venerdì 27 maggio 2016

LEZIONE DI STORIA TENUTA, IL 24 MAGGIO 2016, AI MATURANDI DELLA TERZA LICEO CLASSICO DEL NOTO ISTITUTO STATALE CATERINA PERCOTO DI UDINE SUL TEMA DELLA PRESENZA NEL FRIULI, IN CARNIA E PARTE DEL GORIZIANO, NEL1944-1945, DI FORZE MILITARI COSACCO-CAUCASICHE E GEORGIANE COLLABORAZIONISTE DEI TEDESCHI.


COMUNICATO

Alle associazioni cosacche delle comunità  ZAPOROGHI (Zaporoz’e) del basso Dnieper, di ROSTOV (Rostovna-Donu) e  KRASNODAR (Kuban), nonché alle associazioni delle comunità cosacche presenti in Germania, Francia, Serbia, Slovacchia, Stati Uniti, Canada, ed a quelle caucasiche del Nord Caucaso e  Monaco di Baviera rendo noto l’assunto storico della lezionUdine.e di storia di cui all’oggetto, da me tenuta nel menzionato istituto Caterina Percoto di 

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Ho tenuto ieri, 24 maggio, agli studenti delle due aule riunite della 3a liceo classico del noto istituto CATERINA PERCOTO di Udine, dalle ore 10 alle 12,  su richiesta dei  preposti docenti  responsabili, una lezione di storia incentrata sulle vicende  verificatesi nel 1944-1945 con l’occupazione del Friuli, della Carnia e parte del Goriziano, da  forze russe cosacco-caucasiche collaborazioniste dei tedeschi, nonché georgiane, riferendo le ragioni che  motivarono tale intervento.
Ho ritenuto, ovviamente, di spiegare  le causali del collaborazionismo dovute al fatto che,  le grandi comunità cosacche, allora come oggi  esistenti, del Don, Kuban, Astrakan, Orenburg, Urali, Jenissei, Baikal, Siberia, a seguito dell’instaurata rigida politica  di Stalin, dalle radicali riforme di livellamento sociale,  avendo liquidato con le stesse il principio della proprietà privata e, addirittura eliminato, mediante decreto del 18 giugno 1923,  il termine “Kazak” (Cosacco), e stanti le ben note sbrigative eliminazioni fisiche o deportazione dei dissidenti  nei lager penali della Siberia, tutto ciò aveva profondamente prostrato il morale delle popolazioni. Ne derivò che,  nel giugno 194,1 allorchè i tedeschi  attaccarono a sorpresa la Russia sovietica occupando rapidamente l’Ucraina e quindi le regioni meridionali cosacche ed il Caucaso, furono salutati  come liberatori. Ebbe quindi  sviluppo, in appoggio all’occupante tedesco, uno spirito di collaborazione con creazione di reparti volontari finalizzati a garanzia dell’ordine e la sicurezza, e contingenti  armati. Dando per scontata la vittoria tedesca vi fu pertanto, nelle regioni occupate, cosacche e caucasiche,  una chiara collaborazione con i tedeschi. Il crescente entusiasmo animato da spirito di un rinnovamento della Russia ebbe tuttavia un  colpo d’arresto. Nel febbraio 1943,  con la perdita, da parte tedesca, della dura battaglia di Stalingrado,  ebbe inizio la lenta ma irreversibile  retrocessione del fronte orientale. Le forze collaborazioniste col  seguito di una notevole massa di civili che si sentivano e risultavano palesemente responsabili di un compromesso collaborativo con l’occupante, ad evitare le inevitabili conseguenti ritorsioni punitive sovietiche, abbandonarono quindi, con una marcia verso occidente al seguito della ritirata tedesca, le terre cosacche ed il Caucaso. L’esodo con delle soste all’addiaccio, attraversò’Ucraina e raggiunse la Bielorussia dove i contingenti organizzati militarmente assunsero, sotto il controllo  tedesco, un primo concreto assetto militare con la formazione di 11 reggimenti di cavalleria.. Erano sorte contemporaneamente altre formazioni militari di collaborazionisti, create in gran parte con arruolamenti volontari di prigionieri russi concentrati in grandi lager, costituite da cosacchi, turchestani, calmucchi, tartari e russi che i tedeschi ritennero  di impiegare nei territori sotto il proprio controllo con compiti di garantire l’ordine e la sicurezza e a repressione di insurrezioni partigiane antitedesche e cioè in Iugoslavia, Francia ed Italia. Per i cosacchi che stazionavano in Polonia e relativo seguito di civili fu deciso il loro insediamento nell’Italia nord-orientale precisamente nell’Adriatisches Küstenland che fu raggiunto mediante  tradotte  attraverso la Slovacchia, l’Ungheria e l’Austria. I primi arrivi fecero scalo alla stazione “La Carnia” il 20 luglio 1944, nel medesimo giorno in cui ebbe a verificarsi il fallito attentato ad Hitler nel Bunker della Wolfschanze. I trasporti continuarono fino al tardo ottobre.
Ritengo utile smentire in questa sede, come o fatto in altre, la favola diffusa a suo tempo da galoppini secondo cui “Hitler concesse ai cosacchi il territorio del  Friuli e della Carnia quale loro sede permanente  in contropartita all’impegno di reprimere l’attività partigiana antitedesca”. Si tratta di autentica menzogna. Va precisato che, nell’ Adriatisches Küstenland,  dove cosacchi e caucasici vennero ad insediarsi con compiti di presidio a seguito dell’ingresso di forze tedesche ad occupazione dell’Italia, vigeva in assoluto la sovranità tedesca sancita con decreto di Hitler del settembre 1943, quale misura cautelativa  di  sicurezza, nel caso di ipotetica ma prevedibile ritirata, così come per il Brennero, onde  evitare  il rischio di rimanere imbottigliati. L’invio dei cosacco-caucasici fu quindi null’altro che una decisione militare motivata dal fatto che, nel menzionato territorio assegnato, era venuta a manifestarsi dell’attività partigiana antitedesca. L’attività di presidio dei collaborazionisti cosacco-caucasici cui si aggiunsero formazioni minori di turchestani ed ucraini nonchè flottiglie di reparti, dopo i  grandi rastrellamenti tedeschi di fine estate ed autunno 1944 che  annientarono praticamente la resistenza della quale rimasero pochi nuclei isolati, svolse sostanzialmente il ruolo di vigilanza affidato per 9 mesi ed 11 giorni.Vi furono inizialmente inevitabili fatti spiacevoli, quali prepotenze, furti e qualche  violenza su donne, ma  le cose poi gradualmente cambiarono rientrando nella normalità. Non va però dimenticato che l’occupazione costò sacrifici sopportati dalle popolazioni della Carnia, del Friuli in particolare nelle zone pedemontane ed altre, nel concorrere con le risorse foraggiere, a propio discapito, al mantenimento delle migliaia di cavalli dell’Armata e seguito drella massa di civili, onere ed altri sacrifici che furono affrontati e sopportati in genere con dignitosa consapevolezza, in considerazione delle circostanze. di guerra Per ragioni strategiche e come misura di difesa per un temuto sbarco alleato nel nord Adriatico, nei primi mesi del 1945, forze cosacche ed anche caucasiche vennero spostate e scaglionate lungo la linea del cosiddetto fronte orientale, da Fiume a Gorizia, Tolmino, Kraniska Gora in affiancamento ad unità tedesche e forze della Repubblica Sociale di Salò che tenevano quel fronte.  Al prezzo di un' entità rilevante di vite umane l’assieme di dette forze respinse, in difesa dell' Italia, i tentativi di sfondamento delle forze slave di Tito che puntavano all’ occupazione di Trieste e di parte del Friuli orientale.
Ritengo di evocare, in questa sede, i contenuti  incisivi della lezione. Ho riferito fra l’altro nell’ esposizione delle notizie inedite sulla figura dell’atamano generale Pjotr Nikolaevic Krassnoff,  citando fonti e testimonianze documentali. Lasciata Berlino col seguito del suo quartier generale, l’atamano giunse in Italia, a Gemona del Friuli, nella prima quindicina di febbraio 1945. Convocato ad Artegna il giorno 14, presso un alto comando SS., Krassnoff,  fu pressato a dal generale Domanow ivi presente, su appoggio dell’alta autorità SS., a rinunciare ad ogni potere di comando sull’Armata cosacca che passò al medesimo Domanow, imposizione che l’atamano dovette accettare. Trattasi di argomento accuratamente riferito in un mio nuovo libro la cui  pubblicazione è prevista dall’ editore, salvo contrattempi, nell’ imminente prossimo giugno.
Altre ancora le  notizie che ho ritenuto di far conoscere, talune  in riferimento all’ attacco partigiano del 2 maggio 1945,  nel corso della ritirata, al presidio cosacco di Ovaro in  Carnia, azione che si risolse nel fallimento, attuata dall’ Osoppo  su pressioni  di alcuni imprenditori locali. All’ alba di quel giorno partigiani dell’Osoppo avevano inoltre provocato lo scoppio di una potente carica di esplosivo che mandò in frantumi a Chialina, villaggio a breve distanza a nord di Ovaro, una caserma dove si trovavano asseragliati dei cosacchi con donne e bambini  che naturalmente perirono.
Per Ovaro ad ora tarda della notte, dopo la battaglia,  transitò e vi fece sosta  il già menzionato atamano generale Krassnoff assieme alla consorte Lidia Fedeorovna e all’aiutante dott. Himpel, da me rintracciato nel  dopoguerra in Svezia. Inseriti nella massa transitarono per Ovaro, dopo la battaglia, anche due battaglioni di donne cosacche provenienti in ritirata dal fronte del Po. Li vide e mi fornì testimonianza Tatiana Danilewitsch, da me rintracciata a Londra, convivente del colonnello Medinsky comandante effettivo della Scuola “Junker”, allievi ufficiali di Villa Santina, pure in ritirata. Quei battaglioni li vide inoltre la dottoressa Kriklenko, membro dell’equipe medica dello Stato maggiore cosacco, accreditata quale assistente presso  Krassnoff.
Nell’ atmosfera desolante del villaggio dove alcune case, che si incendiarono nel corso della  battaglia, ancora bruciavano ed il clima era gelido con pioggia frammista a neve, una cosacca ufficiale, facendosi largo nelle cerchia di astanti che attorniavano Krassnoff mentre stava in sosta,  si presentò al medesimo e, scattando sull’attenti si dichiarò con la frase :” Kommandeur des Kosaken bataillon Nina Boiko !” (Comandante del battaglione cosacco Nina Boiko. La Nina Boiko era un’eroina della controrivoluzione alla quale era stato intestato il battaglione). Il fatto sollevò entusiasmo  e si levarono grida di “urrà, urrà !!”. La Danilewitsc ebbe inoltre a raccontarmi che, sempre in Ovaro, disseminata di morti cosacchi e civili, questi ultimi uccisi per rappresaglia, dei cosacchi in sosta intonavano in coro la canzone degli antistalinisti “ La terra bruciata dei cosacchi “. Fu vista in ritirata anche Tatiana De Dubrosky che comandava il presidio  dei cosacchi siberiani di Tauriano del Friuli. La massa  in ritirata, che si allungava incuneata nella strada della valle a sud di Ovaro, bloccata dall’ attacco partigiano al presidio e calcolata su valutazioni attendibili di  circa 35.000 cosacchi, riprese quindi la marcia. Sempre a sud Ovaro l’anziano generale Teodor Diakonoff,  che procedeva a piedi  fra le colonne in ritirata, venne ucciso senza alcun motivo da un partigiano della Garibaldi. I resti del medesimo, riesumati nel cimitero di Villa Santina a dieci anni dalla morte furono inumati nel grande cimitero militare tedesco di Costermano del Garda, nella tomba n. 527 e fui io a fornire le prove della sua identità e quant’altro alla Commissione tedesca di Kassel per l’intestazione della lapide. Feci altrettanto per il colonnello Nefedow Wladinir Michailovic, assassinato a Mediis in al Tagliamento, il 29 aprile 1945, da un  agente provocatore sovietico infiltratosi nella Scuola Junker di Villa Santina, pure sepolto a Villa Santina ed poi traslato a Costermano ed inumato nella tomba nr. 400.
Ho riferito nella lezione sui massacri di prigionieri cosacchi  e profughi compiuti dai.    partigiani di fine guerra dopo le cessate ostilità. in grave violazione delle norme internazio- nali di Ginevra e dell’Aia. Ed ecco un sunto di tali massacri: circa 90/100 cosacchi arresisi  ad Avasinis, sulla promessa del parroco don Fancesco Zossi che sarebbero stati consegnati agli americani e non ai sovietici, venendo meno alla parola data furono invece eliminati a  sulle montagne sovrastanti ad ovest del villaggio, nelle località “Gadoria” e “bosch Chianal”. Tra gli stessi’c’erano diverse donne e bambini taluni in fasce. Altri 150 cosacchi furono eliminati nel trevigiano, a località “Madean” nei boschi sulle alture ad ovest di Follina. Tralasciando uccisioni spicciole, un numero di cosacchi rilevante arresisi nelle valli del Natisone, su garanzia della propria incolumità, a partigiani dell’Osoppo,  vennero a questi sottratti da partigiani slavi della Beneska Ceta ed uccisi oltre la linea di confine, in territorio slavo, dando loro sepoltura in fosse comuni. Si tratta di centinaia  di vittime fra le quali  molte donne e bambini. Sul caso sono bene informato e documentato. Una donna slava, nella zona di Caporetto, volle darmi a suo tempo particolari informazioni.
Passo ad un fatto, connesso alla ritirata, che non può essere ignorato : si tratta della donazione di un milione di lire versate nelle man del parroco di Timau,  don Ludovico Morassi che ne stese  memoria nel diario parrocchiale e di cui posseggo la prova. Asserì don Morassi, nella citata memoria diaristica, che fu un  comandante germanico a versargli la somma e, in un incontro che io ebbi col medesimo  nel dopoguerra in canonica, presente il mio compagno di studi  Di Centa Norberto cittadino di Timau, confermò tale versione escludendo tassativa mente, e ciò a dissipazione di chiacchiere paesane, che i cosacchi non avevano alcunchè da vedere con  tale donazione. Fui poi io, con una lunga dispendiosa ricerca, e grazie alle mie conoscenze austriache, ad accertare che il donatore fu il Gruppenführer SS. Otto Gustav Wächter, ex governatore di Cracovia poi amministratore militare dei comandi campo 101° (Milano) ed 104° (Trieste) con sede a Gardone Riviera, il quale in ritirata d Trieste transitò per Timau facendo sosta presso il parroco.
Particolare attenzione merita la tragica conclusione della ritirata nell’Austria,  sulla quale ho fornito, con la mia relazione,  dati e notizie su basi documentali delle quali, per ragioni di spazio accennerò qui alle più incisive. Come precisato in narrativa furono circa 35.000  cosacchi che percorsero la deviazione lungo la val Gorto, Ovaro, val Calda, Paluzza, Ploeckenpass, mentre  60.000, dopo Tolmezzo, seguirono la valle del But. Un certo numero, percorrendo la nazionale Udine-Tarvisio, intrapresero, a Pontebba, la strada del passo Pramollo (Nassfeld) e si congiunsero alle forze concentrate nella Drava (Lienz). Una serie di  notizie e di dati  riguardo la ritirata, furono pubblicati  in mio articolo, di due puntate, dal Gazzettino ( Edizioni Udine-Pordenone), di cui sono tutt’ora collaboratore culturale, nelle date del 17.01 e 24.01.2009. Praticamente le forze cosacche e russe in ritirata ammontavano a 100.000 ivi incluse unità collaborazioniste e formazioni provenienti dal fronte del Po le quali, essendo risultata impraticabile la via del Brennero, puntarono in direzione di Mestre e del Friuli valicando poi le Alpi.
Sulla Drava, nell' Östtirol (Lienz) vi fu la resa delle forze cosacche ai britannici e, ad Oberdrauburg, dei caucasici. Si trattò di resa informale, nel senso che i vincitori non stesero opportunemente, per motivate ragioni sottraendosi alle regole ufficiali, alcun atto. Per una serie di considerazioni  si diffuse nella massa degli arresi e relativo seguito di profughi l’illusione che il travaglio della propria esistenza fosse finito e gli alleati, in questo caso i britannici, fossero espressione di democrazia e di civiltà in cui riporre fiducia, garanti della propria salvezza e di un futuro. Ma non fu così. Trascorse un maggio caldo, quasi afoso che rese dimentiche le sofferte vicende degli addiacci, della ritirata e delle  ansie vissute. La verità scattò il 1° giugno allorchè, nei campi,  un  alto ufficiale britannico, fiancheggiato da elementi della polizia, diffuse la notizia dell’ordine perentorio  dell’immediato rimpatrio nell’ URSS. Abilmente i britannici delegarono l’incarico esecutivo dell’effettiva consegna a forze militari della Brigata Ebraica ( Jevis Brigade) fatte arrivare da Tarvisio dove tale Brigata si era acquartierata.
Sotto il profilo storico non si può tuttavia nascondere che, stante la posizione di potere dell’alleato Stalin, il tentativo presumibilmente affrontato di evitare la consegna fu sicuramente, per Churcill e Roosevelt un grosso problema, considerata la posizione di forza assunta dal dittatore del Kremlino nei confronti della Germania , che  intendeva spogliare delle più importanti strutture industriali. Essendo stato, io sottoscritto, uno dei primi a raggiunge- re la Drava, dopo la tragedia della forzata consegna, mi fu possibile raccogliere preziose testimonianze per quanto concerne i fatti e, in questo senso, ebbi l’appoggio dell’allora Bürgermeister (Sindaco) di Lienz, che convocò a deporre presso l'Amtgemeinde (Casa municipale), i cosacchi superstiti alloggiati  alla periferia sud della città  nelle baracche del lager “Peggetz”. L’ atamano e generale del Kuban Viaceslav Naumenko, personalità cosacca di grande rilievo, sapeva della mia dedizione alla causa della tragedia cosacca della Drava e del mio patrimonio testimoniale. Il medesimo, arresosi a fine guerra in Baviera agli americani, che evitarono per motivate ragioni  la sua consegna ai sovietici, rese poi preziose testimonianze con una sua deposizione al Senato americano. Nel dopoguerra allorchè giunse dagli U.S.A. a visitare i luoghi della famigerata consegna sulla Drava, Naumenko mi volle al suo fianco perchè sapeva che io sapevo....Da parte britannica l’ operazione consegna a livello decisionale e nella responsabilità esecutiva, ebbe un suo retroscena di intrighi che, stanti le mie conoscenze ad alto livello, mi fu possibile conoscere e che tralascio di accennare trattandosi  di materia estremamente delicata. La forzata consegna, in base ad esaustive valutazioni, resta decisamente un atto adombrato che non può trovare attenuanti ed il lamento di coloro che pagarono con la morte dovuta alla violenza dell’ esecuzione negli accampamenti ed al suicidio collettivo per annegamento nella Drava  causato  dal  panico provocato  dall' ordine della consegna, sembra aleggiare in quella meravigliosa valle. Dai dati di fatto le vittime dell’azione forzata negli accampamenti furono 700 e, ad 800 circa ammontano quelle del suicidio collettivo per annegamento. Da fonti informative, nella mia indagine ricognitiva  austriaca dopo da tragedia seppi  che, nei dintorni di Judenburg, nei giorni successivi alla consegna come scrissi a pag. 211 del mio già citato volume “L’Armata cosacca in Italia 1944-1945” : “la NKVD avrebbe provveduto alla fucilazione di un considerevole numero di ufficiali cosacchi, si sospetta alcune centinaia.  L’esecuzione   sarebbe avvenuta in una zona mineraria adatta a far  sparire le tracce. Lunghe scariche vennero udite… “.

27 maggio 2016

PIER ARRIGO CARNIER






RINGRAZIAMENTO AI LETTORI

Grazie a Grisca Grava, Marisa Turco, Alessandro Carnier, Fabio Galimberti, Irene Diana, Luca Leita, Nadia Sana, Luciano Poletti, Andrea Di Natale e molti altri per l’assenso ai contenuti della lezione di storia da me tenuta al Caterina Percoto di Udine. Grazie per le certezze da me dichiarate, come in altre circostanze, su mie dirette testimonianze e sofferte lunghe indagini con prove documentali che smantellano molte sporche menzogne all’italiana….La mia è una storia che parte da lontano e che porto nel sangue. Grazie per l’aver letto la verità su Ovaro, sui massacri consumati dai partigiani (quelli sulle valli del Natisone li devo ancora raccontare accuratamente ed è una storia molto importante anche perché l’UBDA, la polizia segreta iugoslava, sapendo che io sapevo, mi stava cercando ….). Grazie per l’aver preso atto della realtà dei fatti sulla donazione di un milione di lire al parroco di Timau, don Ludovico Morassi e su tante altre vicende. Ai raduni celebrativi della Drava, in anni lontani, quando durante la celebrazione della messa un cosacco del Kuban, sull’opposta riva del fiume, scandiva con la tromba le note della ritirata cosacca, molti piangevano. Piangevano perché quelle note evocavano il preludio alla tragedia. Ricordo a tal proposito una donna ucraina (cosacca del Dnieper) ancora giovane, Sikorska Stani, che da bambina aveva vissuto coi cosacchi il periodo della loro presenza in Italia ed aveva conosciuto la ritirata, la neve e la tormenta del Ploeckenpass …Vedevo il suo volto bagnato di lacrime sotto quel sole sferzante della cerimonia austriaca nelle ore meridiane. Ricordo che cosacchi e donne dalla tipica bellezza non sfiorita, arrivavano sulla Drava indossando l’abito migliore e , nei momenti toccanti della cerimonia, notavi sui loro volti la fierezza del loro passato, poi nel pomeriggio, dopo il pranzo collettivo al “ Zu Golden Fisch” od al “Boznerhof”, nel lasciarci mi dicevano : “ Tu scriverai la verità sulle vicende cosacche. Giuralo in nome di Dio!”. Me lo diceva pure il cosacco Wassily Lichatchow sulla tomba dell’ufficiale Golovinskj nel cimitero di Delsach, i cui resti furono poi traslati nel cimitero cosacco di “Peggetz” sulla Drava.. Golovinskj, come altri. si era impiccato ad una pianta negli accampamenti a sud di Lienz, al momento in cui fu diffuso dai vincitori britannici l’ordine dell’immediato rimpatrio nell’Unione Sovietica.Si tratta di memorie lontane , che esistono e si agitano nella mia mente come una favola irreale , ma che furono vere e rifioriscono ogni volta che ritorno in quella meravigliosa valle della Drava.
28 maggio 
PIER ARRIGO  CARNIER


domenica 8 maggio 2016

8 MAGGIO – COMMEMORAZIONE DELLA GRANDE TRAGEDIA CROATA E SLOVENA DEI CRIMUNALI MASSACRI DI FINE SECONDA GUERRA .


COMUNICATO
Agli amici della Croazia, Slovenia, Serbia  e  Slovacchia desidero ricordare, anche se ritengo che alcuni lo sappiano,  l’anniversario che cade oggi, 8 maggio,  della grande tragedia croata e slovena dei criminali massacri di fine seconda guerra, troppo dimenticati da una società che ormai ha perduto l’antica sensibilità morale.
                 
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Ricorre oggi, infatti, l’anniversario celebrativo  a Bleiburg,  nel sud Carinzia, dove con solenne messa all’aperto sul luogo dove esiste un monumento, si commemorano le vittime croate e slovene ed anche serbe, falcidiate dai partigiani di Tito, a fine guerra, nelle località Kocevie, Kocevski Rog  e nei dintorni di Maribor nella Slovenia e gettate prevalentemente in foibe naturali.
Fu a Bleiburg che l’esercito croato di Ante Pavelic,  in fuga dalla Croazia col seguito di una massa di civili, si arrese ai britannici unitamente ad alcune unità di “Cetnici” serbi pure ritiratesi in quella locaità. Analogamente le forze slovene, dette “Domobranci”, in ritirata in Carinzia, si arresero ai britannici lungo la Drava nei pressi di Spittal an der Drau.
Sulla base di intese tra gli alleati, dette forze croate, slovene e serbe furono disarmate e consegnate ai partigiani di Josip Broz Tito per essere condotte, sotto scorta, nella nascente Repubblica Federativa Jugoslava, ma passata la frontiera ebbe inizio un tremendo massacro. Epicentro di una vasta liquidazione furono i dintorni di Maribor, dove il numero delle vittime, secondo testimonianze raccolte dall’ Istituto croato latino-americano di cultura, si aggira su 75.000. Nella foresta di Kocevlje il numero dei croati assassinati fu di 30.000. Altro massacro, di circa 10.000 prigionieri, ma talune fonti parlano di una cifra superiore,  fu consumato la località Kocevski Rog,  ma vi sono altri massacri i cui  dettagli ed i luoghi  unitamente ad altre vicende connesse, tra cui una lunga marcia definita “Marcia della morte”, sono riferiti nelle appendici testuali del mio volume “Lo Sterminio Mancato”-Mursia-Milano 1982 e successive riedizioni. 
Il Governo di Tito negò a lungo l’esistenza di tali massacri, ma emersero infine prove e testimonianze inconfutabili. 
Io stesso che fui amico del grande tribuno croato Branko Jelic sostenitore dell’attività clandestina degli “Ustascja” nel dopo seconda guerra, finalizzata provocare le condizioni per restituire alla Croazia l’indipendenza, partecipai più volte assieme al medesimo ai raduni commemorativi di Bleiburg . Ebbi anche preziosa amicizia con Vilim Cecelia, parroco confessore di Ante Pavelic, Poglavik della Croazia, celebrante le commemorazioni di Bleiburg. Molto stimato dal vescovo di Zagabria, Aloiziie Victor Stepinac, don Cecilia visse isolato, nel dopo seconda guerra, in un convento a Salisburgo. Nei vari incontri a Bleiburg,  dopo la cerimonia, ebbi da lui varie informazioni importanti, direi segrete sul Poglavnik.  Si presentò anche l’ occasione mentre mi accingevo al ritorno in Italia, che lui chiedesse di salire sulla mia autovettura  per poi lasciarlo alla stazione di Klagenfurt da dove, a mezzo ferrovia, sarebbe rientrato a  Salisburgo. Durante il viaggio volle fermarsi   presso una casa contadina a salutare una famiglia di croati, insediatasi in Austria dalla fine della guerra, e qui la sosta si  protrasse in una conversazione  dov’ egli  mi confidò  ulteriori delicate vicende croate e sul Poglavnik  con l’intesa che, sull’ argomento potevo contare sul suo appoggio informativo, come in realtà avvenne. Era   stato il mio primo editore, lo svizzero De Vecchi con nota casa editrice a Milano, imprenditore editoriale molto acuto, a suggerirmi di trovare  notizie certe su Ante Pavelic onde chiarire dei lati oscuri, indagine che in realtà portai  positivamente a buon punto, grazie anche alle informazioni fornitemi da Branco Jelic, prima del suo decesso a seguito di un attentato da parte dell’ UBDA, la polizia segreta della Federativa Iugoslava, ed altri colleghi.
08 maggio 2016
PIER ARRIGO CARNIER



Ho riletto oggi, 6 ottobre 2016, il mio post di cui sopra. Lo trovo preciso, essenziale, nel delineare il profilo della grande tragedia croata, slovena ed anche serba. Ho molto materiale documentale accantonato e dei cari ricordi di Branko Jelic, Vilim Cecelia, Dragoliub Vurdelia e del grande voivoda serbo Momcilo Djujic. Spero che il Padre eterno  mi conservi in vita finchè io possa rendere pubblici questi ricordi e, per la verità, molti, molti altri.

PIER ARRIGO CARNIER


Mi ha molto confortato l'interesse di recente manifestato da lettori di varie nazionalità sull'argomento rievocativo della tragedia croata, slovena ed anche serba in quanto sono riaffiorati nella mia mente i ricordi degli incontri a Bleiburg con Branko Jelic, Vilim Cecelia e molti altri, in quel luogo sacro alla memoria e nondimeno mi è riemersa l'immagine della Kosmac, donna dalla figura autorevole ma piacente e garbata nei modi, custode attenta delle tombe croate  e testimone diretta degli eventi del maggio 1945. Pure mi è tornata in mente la figura di Dragoliub Vurdelia, autoritario custode di segrete memorie a me confidate e presidente della facoltosa comunità serbo-ortodossa di Trieste, gioiello di memorie orientali con la meravigliosa chiesa dedicata a San Spiridione. 12 ottobre 2016

PIER ARRIGO CARNIER