domenica 28 giugno 2020


CARNIER PIER  ARRIGO

Onore al folclore dei Cosacchi. Nel 1944-1945 i Cosacchi in affiancamento di tedeschi, nelle complesse circostanze e conseguenze della seconda guerra mondiale, giunsero con compiti di presidio nell' Adriatisches Kustenland ( Nord Italia orientale :Friuli, Carnia, Goriziano....) .Non vennero a conquistare o, secondo la falsa tesi di storici pietosi, ad occupare una terra promessa da Hitler, autentica menzogna.. Tale operazione di presidio indubbiamente comportò sacrifici alle popolazioni indigene e vi furono ineviabili. spiacevoli incidenti. Al dilà di tutto essi, i Cosacchi, non lasciarono segni di odio ma un ricordo etico del loro mondo immateriale ed epico, di fierezza e umanità. Così io li ricordo !!!
25 GIUGNO 202O
CARNIER PIER ARRIGO



COMUNICATO

Ho riscontrato in questi giorni a seguito del rilevante  successo  del mio ltimo recente lavoro dal tito  L' ORS DI  PANI. Storie e racconti della Carnia, un riaffiorante  notevole interesse, registrato dai grafici dei miei siti,  riferito al mio intervento critico diffuso in data 3 settembre 2013, dal titolo COSACCHI: LO STRANO CONGRESSO DI VERZEGNIS. che pertanto ripubblico nella sua interezza ritenendo che, tale scritto severamente ponderato, continui a svolgere opera costruttiva a rettifica di  realtà storiche alterate e travisate  da talune fonti incompetenti.

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COSACCHI: LO STRANO CONGRESSO DI VERZEGNIS
13 settembre 2013  alle ore 9.29
COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI, UNIVERSITARI E CHIUNQUE ALTRO  ABBIA INTERESSE A VICENDE STORICHE

                                              

Riporto qui all’ attenzione di amici, simpatizzanti,  studenti universitari e chiunque altro abbia interesse un mio lungo intervento motivato a bocciatura del congresso sulla vicenda cosacca tenuto a Verzegnis, in Carnia,  in due sessioni separate, nel 2005 e 2007.
 I contenuti sostanziali della bocciatura, furono anticipati da un mio articolo pubblicato il 28.04.2009 sul MessaggeroVeneto, quotidiano regionale de Friuli Venezia Giulia, sotto il titolo “ BOCCIO IL CONVEGNO DI VERZEGNIS”, mentre il testo  integrale qui di seguito riportato fu  pubblicato, in due puntate, sul noto periodico carnico “asou geats…” diffuso anche in Austria. Lo ripropongo ora in quanto i  contenuti rientrano in quell’ impegno chiarificatore della storia, da me assunto per suggerimento di molti onde travolgere le continue invenzioni e i maleodoranti pressappochismi soprattutto sulle vicende storiche partigiane in generale  (1944-1945) con particolare riferimento alla Carnia ed altro. Lo faccio sulla base di certezze  in quanto realmente s’impone la necessità di un severo riordino della materia, in gran parte deliberatamente alterata a scopo agiografico per dal lustro alla resistenza e, in altra parte, dovuto ad insipienza ed approssimazione.


TESTO PUBBLICATO SUL PERIODICO  “ asou  geats…”
( in due puntate ì, nel nr. 61 dell’ agosto 2009 e nr. 62 del dicembre 2009, ripubblicato il 13.09.2013 con l’aggiunta di qualche breve integrazione).-
 Mi è capitata  casualmente tra le mani una recente pubblicazione, riassuntiva degli atti di un Congresso sui cosacchi avvenuto a Verzegnis sotto il patrocinio della precedente amministrazione regionale di sinistra e dalla stessa ovviamente finanziato con denaro pubblico, verificatosi in due appuntamenti nel 2005 e 2007, a cui però l’informazione non aveva dato rilievo.

Da una rapida scorsa si evidenzia che trattasi di  un assunto eterogeneo di dichiarazioni che ricalcano notizie già  pubblicate e, nella maggioranza, marginali, vecchie sensazioni , senza  effettivamente  innescare il vero filone storicoMi permetto pertanto motivatamente di intervenire in quanto autore di pubblicazioni diffuse da editori nazionali qualificati fin dal 1965 i cui testi, via via aggiornati da incessanti ricerche con ripetute riedizioni sono tuttora presenti nelle librerie nazionali. Sono stato il primo e il solo italiano a raggiungere la Drava dopo l’infame massacro dei cosacchi eseguito dalla Brigata  Ebraica agli ordini dei vincitori britannici.

Sul filone storico del mio volume “L’Armata cosacca in Italia 1944-1945”, sulle mie documentazioni d’archivio con la mia  testimonianza e alcune altre, la direzione nazionale della RAI-TV di Roma ha realizzato il film-documentario“ Cossackja” della durata di due ore. In occasione al 60° anniversario della fine della seconda guerra, su intervista rilasciata alla giornalista Marina Valensise, inviata da Canale 5, ho rilasciato sulla Drava dichiarazioni dal contenuto essenziale sulle responsabilità della tragedia cosacca, causata da violazioni delle norme internazionali, mandate in onda nel medesimo canale nel programma “Terra” il 6 maggio 2005.

Sulla vicenda cosacca era venuto da me  il grande regista  Fred Zinnemann  col chiaro proposito di realizzare un film. Dopo i primi incontri ed un soggiorno insieme in Austria ed aver gettato le basi del programma,  mentre operavamo insieme e la stampa aveva diffuso la notizia, l’attività fu sospesa per decisione del produttore, la Fox francese, temendo, allora, ostacoli politici. Era il 1979. L’argomento fu da me in seguito ricordato in occasione al decesso del famoso regista, con un articolo sul Messaggero Veneto, il 19 marzo 1997.

Tornando al testo degli atti  del congresso a un certo punto si apre un capitolo bibliografico dove rilevo che sono state elencate, in ordine cronologico, le  pubblicazioni più o meno attinenti al caso e quindi anche le mie, oltre a  circa una dozzina di miei servizi giornalistici documentati, riferiti al periodo dagli anni 1960 ad oggi. Rilevo però la mancata citazione del film documentario “Cossackja” dove appaiono importantissime testimonianze.

In quanto ai titoli citati, di miei articoli, rilevo  una loro alterazione o manomissione. Infatti sotto il 10.07.2002 si legge “ L’oblio sugli eroi segreti…”, nel mentre  sull’argomento esistono  ben tre lunghe puntate documentate, diffuse su tutte le edizioni del Gazzettino, concernente la rivelazione di un piano segreto britannico, e cioè : 
" 3.07.2002. Austria. Il piano di Winston. Un’organizzazione era pronta ad agire in Carnia e nell’ area prealpina friulana" - " 6.07.2002. Storia di una secessione resa  impossibile dalla morsa del Führer austriaco. Come e perché fallì l’operazione segreta  britannica per sollevare la Carinzia " - " 10.07.2002. 1945. L’oblio degli eroi segreti. I mesti epiloghi personali di coloro che aderirono al progetto segreto austriaco degli Alleati ".
Oltre alle mie  pubblicazioni editoriali  e alla dozzina di articoli  sopra menzionati esiste  una massa di altri  centosettantotto titoli,  di miei articoli e scritti documentati su temi fondamentali del collaborazionismo, e quindi sulla questione cosacca, pubblicati su intere pagine di quotidiani nelle testate a cui ho collaborato (Gazzettino – di cui sono tuttora collaboratore - Il Resto del Carlino - Messaggero Veneto, L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza) taluni a più puntate , e in parte su periodici, quali  la rivista nazionale Alisei, Il Barbecian periodico friulano della “Pro Spilimbergo”, nonché asou geats”, periodico dell’alta Carnia, redatto nell’idioma tedescofono locale e in italiano, diffuso anche in Austria. Si tratta di un’attività giornalistica, di base storica, equivalente  a oltre mille pagine di testo storico. Impossibile qui riportare, per questione di spazio, nemmeno una minima parte del lungo elenco dei titoli trattati sulla stampa. Indicherò comunque, a caso, qualche titolo :
     “ Quarantamila cosacchi cercarono la patria in Italia”- La Notte-Milano – 4.08.1962”.
       “ Krassnoff non morì in Carnia ma fu impiccato dai sovietici “ – Messaggero Veneto 4  10.1963”-
       “ Nella tomba nr. 527 del cimitero tedesco a Costermano sul Garda è accertato che riposano  i resti del  generalleutnant  Diakonoff, assassinato da un  partigiano in Carnia nel 1945 . L’Arena di Verona 4.03.1970 ".
       " I Turchmeni russi collaborazionisti dei nazisti, portati ad Odessa morirono nei lager siberiani – L’Arena  di  Verona  10.12.1982 “( Molto è stato da me pubblicato sulla 162° divisione Turkestan, e sugli "Ostürkischenwaffenverband der SS”, questi ultimi che operarono nell’Oltrepo Pavese).
       “ Krassnoff e i suoi cosacchi – L’Arena di Verona 8.06.1974".
       “ I Cosacchi non avevano un vescovo in Vaticano – Il Barbecian . dicembre 1996”.
       “ Cecenia .La lunga secessione cominciata nelle valli della Carnia – Gazzettino17.05.2004” (In detto articolo  ho riferito, in parte, sui miei rapporti con il generale Djokhar Dudaev, presidente della Cecenia. Com’è  noto Dudaev fu poi assas- sinato).-
      “ Ovaro 2 Maggio 1945 – L’attacco partigiano ai cosacchi in ritirata – Gazzettino 25.04.2005
      " Drava1945.  Il massacro dei cosacchi… – Gazzettino 5.06.2006”-
      “ L’altro 1945. La riconsegna a Stalin di tutti gli oppositori - Gazzettino 12.06.2006”-
       “ Sonja la bimba cosacca dimenticata sulla Drava – Gazzettino 2.10.2006”-
       “ Confutazione sul piano storico e di fatto dei contenuti del filmato Kosakenland in Nord Italien, diffuso da  RAI/3 – nr. 43 “Asou Geats “, aprile 2003 “.-
       “ Storia della Chiesa di “Cristo Re”-Timau – nr.51 aprile 2006 " (=  Lunga ricerca, sostenuta da prove, inerente alla somma di denaro, donata il 2 maggio1945 durante la ritirata, all’allora parroco don Morassi,  dall'Obergruppenfuehrer SS. Otto Gustav Wächter e non dai cosacchi).etc,etc.
          Esiste poi il volume, di cui sono coautore assieme ad ufficiali cosacchi e al generale Boris Polosow dal  titolo " So gingen die Kosaken durch d Hoelle” (Così i cosacchi passarono per l’inferno), edito  a Vienna.                                                                       

Senza tema di smentita, è pacifico che la mia attività storiografica sull’ argomento è ufficialmente nota, pertanto il coordinatore del congresso, trattandosi di iniziativa pagata con denaro pubblico, era tenuto a rendermi partecipe come autore, ciò che, invece, è stato evitato deliberatamente. Mi rendo conto che, nella redazione degli atti del congresso, il richiamo anche di una sola parte dell’intera mole dei miei titoli era disagevole in quanto stava  e sta a dimostrare che il risultato della mia lunga attività, peraltro di dominio pubblico, travolgeva e vanificava di fatto ogni contenuto ed intento congressuale.
Ciò dimostra che, sul piano storico,  esiste una mia  posizione incontestabile riconosciuta sull’ argomento, dovuta all’ impegno dedicato che ha assorbito una consistente parte della mia esistenza, col risultato di avere creato l’archivio dei cosacchi esteso alle forze di Wlassow ed altre unità collaborazioniste ed al vasto argomento dell’occupazione tedesca, e di aver gettato  le basi storiche documentali della vicenda laddove nel Friuli e nella Carnia esisteva il deserto, dando vita a testi diffusi  a livello storico su piano nazionale e ad una vasta informazione pubblicistica storica, dal cui complesso tutti hanno  attinto nozioni e tratto orientamento e lo posso dimostrare, oltre all’aver utilizzato abusivamente delle iconografie, protette da Copyright, di cui ho titolarietà assoluta tra le  quali la foto delle truppe cammellate del 4° reggimento Terek-Stavropol, nella Valle di Verzegnis, ripetendo la precisa didascalia, senza citare la fonte etc. etc.

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In quanto all’ elencazione biografica  e agli effettivi  atti congressuali, ho rilevato che  l’assieme  denota una commistione anomala tra  testi di  contenuto storico, pubblicazioni ibride ed altre di intendimento letterario affabulatorio.
L’assetto del volume fa rilevare, inoltre, la mancanza di una prefazione professionalmente appropriata e qualificata, quale assunto sostanziale, con indicazione di dati e valutazioni in riferimento al  panorama generale del consistente argomento del collaborazionismo dell’est, a fianco dei tedeschi, nel quadro degli eventi di quel  periodo storico, mentre quanto riferito appare squallido di contenuti e dall’ intonazione amanuense... Vi sono inoltre altri aspetti su cui non posso tacere. C’è, ad esempio, chi, dopo un’introduzione su dei cosacchi in ritirata a fine aprile 45, (pagg.232-264) avendo trovato all’estero il libro di Nikolai Tolstoi ( al cui noto processo di Londra sono stato citato come teste storico), come colui che scopre l’acqua calda, ne cavalca dichiaratamente e sontuosamente il contenuti riferiti alla tragedia della Drava, come se il sottoscritto decenni prima di Tolstoi, non avesse rivelato dettagliatamente  l’intera vicenda, così come per primo in Italia, in tempi arrischiati per dire la verità, ha rivelato i massacri dei “domobranci”, ”cetnici” , “croati”, per mano comunista a fine guerra, nella Federativa iugoslava.
Non posso evitare di rilevare che i contenuti del filmato “ Kosakenland in Nord Italien”, diffuso da RAI/3 nel 2003, citato nella pubblicazione (pag.19-36), le cui immagini, tratte da spezzoni di filmati britannici a me noti da gran tempo, in buona parte già utilizzati nel film girato dalla televisione austriaca, dal titolo “Ausgeliefert” nel quale figuro come testimone e storico, non hanno nulla a che vedere con l’Armata cosacca stazionata in Italia nell’Adriatisches Küstenland, salvo alcune immagini tratte abusivamente da mie pubblicazioni ed appartenenti al mio archivio privato….Il contenuto del filmato  si riferisce essenzialmente al 15° Corpo di cavalleria che operò nel Balcani e che, a fine guerra, si ritirò nel sud Carinzia, argomento da me trattato ampiamente in vari scritti pubblicati, anche perché ho avuto la fortuna di conoscere vari ex ufficiali appartenenti a detta unità: i conti von Stolberg, von Schenborg e Goess e molti altri ex appartenenti, oltre alla stessa moglie del generale comandante Helmut von Pannwitz, vedova Frau Ingeborg.
Va subito detto che il 15° Corpo di cavalleria  era unità della Wehrmacht, che aveva prestato giuramento ad Hitler, organizzata in Polonia sui quadri di una prima divisione,  mentre l’Armata cosacca era autonoma, piedestallo della rinascita cosacca nella Nuova Russia. Si tratta di due aspetti nettamente distinti e profondamente diversi.
Ho denunciato, a suo tempo, sulla stampa le invenzioni propinate in tale filmato, una delle quali l’affermazione che la consegna dei cosacchi sulla Drava, considerata nel film operazione necessaria (pag.32) quale mezzo di scambio con prigionieri britannici e francesi in mano ai sovietici che ammontavano a un numero esiguo, contro i duemilioniduecento- settantaduemila russi ex collaborazionisti e profughi, sottoposti questi ultimi dai tedeschi a lavoro coatto, ivi incluso  un rilevante numero di profughi russi che avevano assunto una nuova cittadinanza in Europa in quanto rifugiatisi in occidente nel 1918, a seguito della disfatta dei bianchi, consegnati ugualmente ai sovietici assieme alla massa concentrata in vari campi  d’Europa, in  violazione delle convenzioni internazionali. Per dare credito a tale invenzione compare nel filmato un certo prof. K., presentato come grande esperto della questione cosacca, quando invece le informazioni scritte nei riguardi del medesimo, pervenutemi dalle università britanniche attestano, in base al curriculum della sua attività, che tengo a disposizione come prova, che  il medesimo non ha scritto una sola riga sull’ argomento e in quanto alla sua posizione figurava, allora, professore supplente come lettore di tedesco che vagava da una università all’ altra di terza classe.
Sempre nel filmato,  riguardo la consegna, viene chiamata in causa la conferenza dei Tre grandi a Yalta, Roosewelt, Churchill e Stalin, del febbraio 1945, che sanzionò tale decisione. Di fatto, invece, come più volte da me dichiarato attraverso la stampa e Canale 5, sulla base di informazioni certe della Croce Rossa Internazionale e prove documentali, gli alleati anglo americani avevano già predisposto, alla metà del 1944, il piano della consegna all’URSS dei cittadini sovietici passati ai tedeschi, militari e civili. Agenti anglo-americani e sovietici finirono per riunire i loro sforzi a fine guerra, nel dare esecuzione all’ operazione battezzata in codice " Operation Keelhaul", in russo  "PodKiliem v nakazanjie". A riprova che l’operazione consegna  stata predisposta con la piena consapevolezza delle inevitabili conseguenze di morte che la stessa comportava, ci sono gli atti di resa dell’arma- ta  tedesca in Italia firmata a Caserta alle ore 14 del 29 aprile1945, rispettivamente dal generale inglese W.d.Morgan, dal generale americano Lemnitzer, da un lato e dall’altro dal tenente colonnello Schweinitz e maggiore SS. Wenner con la presenza del generale sovietico Kislenko. In tali atti, che costituiscono lo specchio delle pretese dei vincitori, le forze collaborazioniste cosacche, ucraine etc., anzicchè essere qualificate  "prigionieri di guerra", il che garantiva loro il trattamento previsto e tutelato dalle convenzioni internazionali, furono invece qualificate col termine illegale ed arbitrario di  " profughi " che spianò la strada alla consegna e che, purtroppo, i due firmatari tedeschi accettarono, sembra senza sollevare le dovute eccezioni.
Quanto sopra rende di maggior evidenza le gravi responsabilità degli alleati ed ugualmente evidenzia la menzogna pronunciata nel menzionato filmato che la consegna dei cosacchi rappresentò uno scambio necessario.
Il filmato “ Kosakenland in Nord Italien”, contrariamente al significato del titolo, per le motivazioni esposte, non ha invece  nulla a che vedere con i cosacchi che furono in Carnia e nel Friuli e quindi è un falso. Molto carenti e limitate poi le testimonianze raccolte in Carnia ed altrove, in riferimento a fatti importanti, quali ad esempio la battaglia di Ovaro.
Proprio in riferimento ad Ovaro le citazioni e le blande considerazioni fatte dal relatore Ellero (pagg.123-124) evidenziano scopertamente l’intento di aggirare   le responsabilità partigiane puntualizzate nelle mie pubblicazioni, negli innumerevoli articoli sulla stampa , e non solo miei, nonchè nel film-documentario “Cossackja”, ampiamente consolidate nella memoria popolare e storica, in quanto, nella sua esposizione , si è servito di frasi evane- scenti tratte da pubblicazioni affabulatorie, che non hanno il benchè minimo peso nell’impegno storico. Ne dà prova eloquente la fragile storiella del georgiano Givi, scom- parso  ad Ovaro armi in pugno, a fianco dei   partigiani….Dall’elenco preciso dei nove georgiani caduti, sette dei quali  ad Ovaro il 2 maggio, rilasciatomi dai georgiani capitano Menteshashvili e graduato Todua Romano nei giorni successivi alla battaglia, e da me pubblicato e ripubblicato in varie circostanze, nomi  che qui riporto come prova incontestabile: Uruschadse Akaki, Kwartschia Iason, Antadse Georg, Zomaia Rashedn, Schamu Petre, Danella Schakwa, Cunia Prokophi, Cancelaki Schota,Mtschedlischwili Schalwa. Fra gli stessi non vi è alcun Givi, quindi  si tratta di evidente versione fantasiosa di cui ogni narratore ha libertà di servirsi, utilizzata,  invece, dal  relatore come attestazione fattuale vera  e quindi come espediente  in sede congressuale. In ogni e qualsiasi caso l’immagine di quei georgiani passati ai partigiani e presenti nell’ attacco ad Ovaro, non è brillante. Gli stessi, dopo aver ripudiato il comunismo sovietico per assumere la veste di collaborazionisti alleati dei tedeschi, tradirono questi ultimi per passare a fianco dei  partigiani italiani e sparare sui compatrioti cosacchi. Un intreccio mercenario disarmante. E questo è cio’ che il citato relatore, a pag.123, definisce “ il  bellissimo ritratto del georgiano, Givi ". Cari amici vi rendete conto !!
Il colonnello cosacco Goluboff, che comandò il travolgente contrattacco su Ovaro,  mettendo in fuga precipitosa partigiani e georgiani dei quali una parte, essendo accerchiati, caddero colpiti a morte alle spalle, da me rintracciato all’estero ,  mi disse che, al termine del contrattacco, dette ordine ai suoi fedeli cosacchi di fucilare senza indugio i georgiani, se presi prigionieri: “”Puzzavano di tradimento“”, mi ripetè il vecchio colonnello. Nel dopo- guerra, dati i miei rapporti con la Commissione tedesca di Kassel, addetta al ricupero dei resti dei caduti tedeschi, cosacchi etc. ed alle rispettive onoranze, chiesi alla stessa di traslare i resti delle nove vittime georgiane, di cui indicai la sepoltura, nel grande cimitero militare tedesco realizzato nella meravigliosa località di Costermano sul Garda. Con lettera del 7.12.1966 – rep. Ital.allgem.GN/VI/Bl/Wi.a firma Blaschke, mi fu risposto che i resti di quei georgiani non potevano essere riesumati  e trasferiti nell’ anzidetto cimitero militare tedesco, in quanto la morte degli stessi non era avvenuta in nome della causa tedesca. A prescindere da ciò  il relatore Ellero, pescando a destra e a manca da  storielle scritte da autori,  su emozioni ispirate dal proprio orientamento politico e  che mai hanno speso il  becco di un quattrino in ricerche, ha rabberciato la sua esposizione.
                                                    
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Passo  al capitolo del relatore S., il quale non ha vissuto le vicende della seconda guerra nel Litorale Adriatico, in quanto giovane o relativamente, ed ha comunque affrontato la trattazione dell’argomento, limitandosi a citazioni nozionistiche ed indicazioni generiche riferite al collaborazionismo, rispetto all’ ampiezza e portata storica del vasto fenomeno. Riguardo i cosacchi, oggetto del congresso, la trattazione appare conseguentemente inconsistente, mancante del supporto di approfondimenti storici e di doverose citazioni. Ciò premesso risulta quindi motivato questo mio intervento dettato non da spirito contestatario, ma da palesi esigenze correttive, costruttive e integrative, nel rispetto della verità. Scrive il relatore, a pag.95 della pubblicazione, che  "...collaborazionisti  cosacchi, turkmeni, mongoli non tutti lo facevano per servilismo verso la Germania, vedevano nella Germania di Hitler solo lo strumento adatto per realizzare o aiutarli a realizzare i loro sogni di indipendenza, di libertà, di rinascita, di patrie che avevano perduto nei decenni del secolo precedente", ma non tarda a dissipare  tale riconoscimento, affermando, a pag.98, che "questi cosacchi, dopo tutto, erano dei disgraziati, travolti dalla storia che qui ( in Italia) cercavano di riprodurre condizioni di esistenza accettabili". Con tale dispregio e biasimo, egli nega la presa di posizione dei cosacchi contro lo stalinismo, elemento storico insovvertibile conclamato su scala mondiale da Solgenitzin, motivato dall’estrema necessità di difesa della dignità etnica e della condizione dell’essere formata nei secoli, trattandosi di un popolo cui la storia ha riconosciuto fondati principi democratici.
In quanto a trasmigrazioni, le affermazioni che qui di seguito riporto del  citato relatore, risultanti a pag.96, sono nettamente difformi dalla realtà storica: " Questa trasmigrazione di cosacchi con tutte le loro famiglie, un popolo al completo dall’ est nel cuore dell’Italia settentrionale come territorio che sarebbe stato definito Kosakenland, terra o patria dei cosacchi, rientrava in quello che era anche un progetto complessivo dei teorici nazional- socialisti di ricolonizzazione e risistemazione territoriale dell’Europa””; e a pag. 97: "Ancora cinquant’anni fa le minoranze…erano viste come elementi di disturbo e quindi dovevano essere eliminate, oppure se erano popoli affiliati potevano essere trasferiti anche a migliaia di chilometri di distanza per seguire le logiche del loro alleato, in realtà padrone, come nel caso della Germania di Hitler, e all’interno di un simile disegno che i cosacchi attraversano tutta l’Europa centro orientale e vengono scaraventati e insediati in Carnia".
Tali versioni, rivelatrici di un’evidente non conoscenza storica, vanno radicalmente  smentite e stralciate e quindi sostituite, per cui mi appresto a fornire dati storici sostanziali e concreti.
Il primo raggruppamento dello “Stan” dei cosacchi (complesso di armati col seguito di profughi), in base a mie accurate ricerche, testimonianze di protagonisti e documenta- zioni, avvenne dopo Stalingrado, nel 1943, con un  tragico esodo da Stavropol, Kislo- vodsk  e Novorossisk e con costanti crescenti successive adesioni di cosacchi  sotto la spinta della  ritirata tedesca. Sul territorio  sovietico vi furono due lunghe soste, a scopo organizzativo, in Podolia e Bielorussia, dove le formazioni armate si dettero un inquadramento militare, dando vita all’Armata cosacca, dopo di che, sempre in funzione della retrocessione tedesca,  venne raggiunta  la  Polonia. Ultima tappa  di tale odissea, da non confondersi con trasmigrazione programmata, fu quindi l’Italia.
Identico, ma separato dai cosacchi, fu l’iter dei caucasici, le cui basi si formarono a Gaissin nel Caucaso per poi costituire la Freiwilligen Brigade Nord Kaukasus  (posseggo al riguardo una documentazione fotografica di eccezionale importanza storica) con tappe a Melitopol (Ucraina), Bielorussia, Polonia e come ultima destinazione l’ Italia, sempre e in ogni caso, sotto la spinta dalla ritirata tedesca dal fronte orientale e non come trasmigrazio- ne programmata.
L’impiego provvisorio nell' "Adriatisches Küstenland" dell’Armata cosacca e della Freiwilligen Brigade Nord Kaukasus ed organizzazioni minori, col seguito della massa dei profughi, ebbe puramente una finalità di presidio e repressione delle iniziative partigiane antitedesche. Va precisato che il territorio non era affatto loro assegnato anche se voci, in tal senso, vennero propagandisticamente diffuse, speciosamente anche dai tedeschi e in certi casi con insistenza, ma decisamente contestate dal manifesto dello Stato maggiore cosacco, riportato a pagg. 56-57 del già citato mio volume.
In merito all’ assegnazione effettiva di un territorio ai cosacchi il documento tedesco 10.11.43 firmato da Kaitel e Rosenberg, da me pubblicato per primo in Italia nel volume “ L’Armata Cosacca in Italia 1944-1945”,  precisa che solo nel caso di un impossibile ritorno nelle  terre orientali, il governo tedesco garantiva che "….noi organizzeremo la vostra vita di cosacchi nell’ Europa occidentale, sotto la protezione del Führer, dandovi terre e tutto ciò che è necessario per la vostra sussistenza….". La dislocazione nell' "Adriatisches Küstenland" era quindi puramente transitoria ed i cosacchi, dopo le prime false interpretazioni,  lo sapevano ed ugualmente i caucasici, i quali non avevano stipulato alcuna intesa scritta col Governo tedesco. Perfino i profughi civili ammassati nel territorio di Alesso, Cavazzo, Somplago…paesi  da loro occupati, in quanto forzatamente evacuati dagli abitanti su imposizione tedesca, ne erano consapevoli ed infatti mentre la primavera avanzava e col consenso dello "Starosta", loro responsabile,  si fossero  assegnati dei terreni  su cui intrapresero le  proprie coltivazioni, sapevano  che tale iniziativa  aveva puramente  carattere di provvisorietà.
Conosco naturalmente qual’era il territorio dove i cosacchi si sarebbero dovuti insediare, dopo aver superato le alpi in ritirata, nel 1945, ma il precipitare degli eventi li costrinse  ad accamparsi ed arrendersi ai britannici nell’ alta valle Drava, ma non è il caso di parlarne in questa sede.
Constatato l’assieme di disinformazioni di cui sopra, da parte del relatore S., si rendono necessarie alcune ulteriori essenziali puntualizzazioni. Il programma delle migrazioni previste dai tedeschi per un riordino etnico nella Nuova Europa e per la riacquisizione di sangue tedesco, che in quest’ultimo caso  riguardava  i  Volksdeutsche  ( cittadini di origine tedesca), non includeva affatto  i cosacchi, tenuti invece in alta considerazione dai tedeschi, considerati un popolo affine al germanico  in quanto di origine nordica, sceso in epoche remote, per vie fluviali, ad insediarsi nella Russia meridionale. I caucasici godevano  ancora di maggior considerazione, come  risulta  provato anche da un documento in mio possesso. Trattasi di un libro fatto stampare dall’Ufficio propaganda tedesco, che porta impresso il timbro "Georgischer Verbindungsstab” (Stato maggiore georgiano di collegamento), appartenuto all’Oberleutnant georgiano Givi Gabliani, personalmente da me conosciuto nel 1945 in quanto apparteneva a forze del reggimento georgiano dislocate in Carnia, nel mio paese.    
In merito  al programma delle trasmigrazioni previste dai tedeschi, finalizzate a un riordino delle varie comunità etniche, piccole e grandi che fossero  ed  alla riunione di vecchie minoranze tedesche sparse ad oriente, il medesimo  escludeva completamente cosacchi,  bielorussi, ucraini etc. In tal senso mi fu possibile apprendere, nel dopoguerra, precise nozioni da Ezavitonow., ex capo della milizia collaborazionista bielorussa forte di 36.000 armati e dal  generale Pawlo Schandruk, ex  comandante dell’Armata Nazionale Ucraina, rafforzate  da una serie di rapporti, a scopo informativo, che io ebbi  con l’ex luogotenente di Eichmann, avv. Erich Rajakowitsch, funzionario della SD.(Sicherheits Dienst), in materia di trasmigrazioni ed evacuazioni il quale, infatti, predispose il grande piano di deportazione nel Madagaskar di tutti gli ebrei d’Europa, progetto già concepito dai polacchi e quindi utilizzato dai tedeschi,  che poi fu  sospeso a  causa delle circostanze di guerra. Ebbi con  Rajakowitsch  un lungo rapporto  con vari incontri a Graz in Austria,  dalla quale non poteva uscire, sussistendo a suo carico un mandato di arresto, da parte non dell'Austria, su denuncia di Simon Wiesenthal. Riguardo la  sua posizione e in  relazione agli  incarichi rivestiti dal medesimo nel periodo nazionalsocialista, su richiesta  del suo legale  avv. Fabio Lonciari di Trieste, provvidi alla stesura di un elaborato pubblicato a mia firma, negli anni settanta, sulla stampa italiana  quale condizione per la transazione della querela da lui intentata all’ Editore Mondadori in quanto  in un articolo sulla rivista Epoca era stato definito  “Belva di Eichmann".  Faccio tale precisazione solo per dire che conosco specificatamente la materia compreso l' ampio argomento della "Soluzione finale del problema ebaico" a cui dedicai anni di impegno.
In ogni caso onde completare l’argomento dei trasferimenti e delle migrazioni forzate riferisco  a grandi linee quanto in realtà accadde. Con  l’avanzata tedesca in profondità sul territorio sovietico progetti di trasferimento di popolazioni vennero ideati dai tedeschi  in relazione alla costituzione del  Governatorato generale in Polonia e  settori amministrativi minori, nonché dei vari Commissariati costituiti sul territorio russo, al fine di dare omogeneità alle comunità etniche, talora divise da precedenti mutamenti storici di confini tra Polonia, Ucraina e Paesi baltici e in rapporto al progetto di una  sistemazione secondo il  concetto del Nuovo Ordine ( Noies Ordnung). In buona parte però tali progetti rimasero inattuati, stanti i mutamenti dovuti a circostanze di guerra, ad eccezione di quanto vengo ad esporre. Per dar vita al piano di colonizzazione di Zamosc nel distretto di Lublino in Polonia, voluto da Himmler (di cui conservo copia autentica) ai fini dell’insediamento di Volksdeutsche, ebbe luogo il trasferimento nel Reich di parte dei 35.000 polacchi ivi residenti. Trasferimenti forzati di polacchi avvennero nella Prussia orientale per dare spazio ed integrare la comunità tedesca ivi esistente. Spostamenti di popolazioni per ragioni militari, in relazione alle esigenze della linea del fronte, avvennero in Bessarabia e Moldavia. Trasferimenti forzati di slavi nel Reich avvennero dalla Slovenia,  per insediare dei Volksdeutsche dell’Alto Adige e della Val Canale a seguito delle opzioni, ed altri non rilevanti. Capitolo del tutto a parte l’ intricata vicenda dei vari trasferimenti forzati di ebrei.
Occorre comunque tenere conto  delle ultime importanti intese del Governo tedesco raggiunte col generale Andrei Andrejevic Wlassow, paladino della Nuova Russia, con atto, detto di Norimberga, citato nel mio volume " L'Armata cosacca... "  a pag..104-105, con cui risultarono eliminati tutti i preconcetti sulla slavità, compreso  il dispregiativo "Untermenschen" e conseguentemente , ogni residuo programma di trasmigrazioni. Si tratta di materia che solo chi ha vissuto quel periodo e conosciuto dei veri protagonisti, come nel mio caso, può trattare seriamente.
A pag.89 il relatore Selogia poi la Repubblica Libera della Carnia. Ignora, evidentemente , che la proclamazione della Giunta di Governo della "Zona Libera della Carnia e dello Spilimberghese" altro non fu che uno stratagemma comunista, finalizzato ad ottenere assistenza dai sovietici o da Tito, posto in essere per iniziativa dei comandanti  partigiani comunisti Emilio, Ninci, Andrea,verso metà settembre 1944, nel momento in cui i servizi segreti alleati resero noto alle rispettive missioni accreditate presso i partigiani, l’imminente inizio,da parte tedesca, di vasti rastrellamenti che, in realtà, travolsero la resistenza in tutto il nord Italia. A tale scopo era stato localizzato un terreno pianeggiante,  nella  bassa val Tagliamento (zona di Enemonzo), quale scalo improvvisato per l'auspicabile atterraggio richiesto, ma non ottenuto di aerei con forze aviotrasportate sovietiche o slave. La  proclamazione della Giunta di Governo avvenne il 26 settembre 1944, all’ insaputa della maggior parte della popolazione carnica che viveva in uno stato di costante  tensione ed all’ erta in quanto i tedeschi, mantenendo l’occupazione del capoluogo di Tolmezzo, non avevano interrotto il traffico, attraverso la Carnia, col Cadore  ed il  Plöckenpass che immetteva nei Reich  e, nel luglio avevano attuato dure rappresaglie causate da azioni partigiane per cui il loro intervento era imprevedibile e temuto, situazione di per sé invalidante il fantasioso concetto di “Zona libera”. L’agente della missione britannica Sir Thomas Machpherson, accreditato presso l'organizzazione partigiana l’Osoppo, nell’ informare il proprio superiore comando al Sud,  definì  “ fatua” la proclamazione della Giunta di Governo della “Zona Libera”. La  stessa restò in vita per poco più  una settimana. Nei primi giorni di ottobre i tedeschi col seguito dei cosacchi, che già dall’agosto stazionavano ammassati ad Amaro ed Osoppo, alla periferia sud della Carnia, agendo a tenaglia la occupavano stabilmente, mentre  migliaia di carnici si trovavano inoltrati nella pianura friulana e veneta, raggiunte a piedi come poi il ritorno,  con snervanti  marce , superando il calvario del passo monte Rest, alla ricerca di granaglie ed altro per la sopravvivenza, data la fame provocata dal blocco alimentare cinicamente imposto  dai tedeschi per punizione contro l'attività partigiana antitedesca. L’espediente della proclamazione della  Giunta, da parte della Garibaldi che perseguiva i suoi scopi autonomamente,  non senza difficoltà,  per tenere in piedi la propria organizzazione logistica. Peraltro l'iniziativa della Giunta risultava di discutibile legalità stante il basso  consenso della popolazione che risultò per la stragrande maggioranza disinformata sull'iniziativa. Fantasiosa risultò poi  la pseudo definizione di “Zona o Repubblica Libera della Carnia ”, che continua a sopravvivere, ricordata in celebrazioni e propinata per vera nelle scuole, nonostante  la verità vera sia un’altra, che cioè la Carnia  non fu affatto mai libera. Patrick Martin Smith, pure agente britannico della missione S.O.E. (Special Oparation  Esecutive) che operava nell’alta Carnia col compito di provocare una sollevazione in Carinzia, attività da me ricostruita con la collaborazione di  ex agenti britannici e pubblicata a puntate sul Gazzettino  di Venezia, concludendo la sua valutazione sulla “Zona Libera” scrisse nelle sue memorie "…il 14 ottobre Tedeschi e Cosacchi entrarono ad Ampezzo (Capoluogo dov’era stata proclamata la Giunta) così segnando la fine della resistenza in Carnia….., più a meridione le speranze alleate di prendere finalmente Bologna affondavano nella pioggia e nel fango ".
Continuando nella sua relazione il relatore S., a pag. 98, cita la Brigata ebraica, prendendo spunto dal fatto che dei reduci della stessa presero parte, in Italia, a una recente manifestazione del 25 aprile, ma ignora  accuratamente i deprecati  comportamenti della stessa durante il suo stazionamento, dopo la fine guerra, nell’alto Friuli (Tarvisio, Ugovizza, Val Bruna) e l’infame operato della medesima, nell’eseguire la consegna forzata dei cosacchi al servizio dei vincitori britannici, massacrandoli  bestialmente sulla Drava. L’impegno della Brigata ebraica va oltre, comunque, a quanto riferito. Squadre di brigatisti ebrei travestiti, eliminarono in val Canale ed altrove, degli ex nazisti o presunti tali. Infiltratesi in Austria partendo da Tarvisio dette squadre, dal sud Carinzia al Tirolo ed oltre, fino  Vienna, esclusa la zona occupata dai sovietici. come ebbe a confermare Jonathon Pelz, uno dei brigatisti, eliminarono  124 elementi, ex nazisti o sospetti tali, ma secondo notizie in mio possesso le eliminazioni furono 200 ed oltre. La notizia fu riportata dal Corriere della Sera nell’ aprile 2000, riferendosi a un documentario televisivo dell’America’s Pbs Television”, realizzato in Germania, che include anche una mia testimonianza, raccolta dalla Televisione di Stoccarda in un servizio mandato in onda sul canale tedesco ARD, sotto il titolo REPORT, nell’aprile 1998. Le uccisioni avvenivano mediante pugnalate, soffocamento e colpi di pistola. Recentissimamente l’ebreo Chaim Miller, ex membro della Brigata Ebraica, in un’intervista  rilasciata a Villaco, pubblicata il 30.05.2009 dal Messaggero Veneto, ha confermato quanto io sapevo da gran tempo che cioè squadre omicide della brigata, di cui il Miller fece parte, uccisero nel 1945 ex nazisti austriaci o presunti tali a decine. La sua squadra agiva in territorio carinziano. Gli ex nazisti segnalati, prelevati con la scusa di essere interrogati, condotti nella Val Canale, venivano uccisi con un colpo di pistola alla nuca in un bosco tra Tarvisio e Malborghetto, ed ivi sepolti.  Il Miller parla di operazione Nakam. A me risulta, senza dubitare di tale affermazione, che l’operazione veniva chiamata “ Haganah”. In un articolo del 22.11.1998 sul Gazzettuno io  riferii sull'attività svolta dalla Brigata ebraica, compresa l’operazione della forzata consegna dei cosacchi ai sovietici nell’Östtirol e Carinzia.
Continuando, sempre il relatore S., risolve  il problema della lotta partigiana  riconoscendo che la “Resistenza è la grande incognita”, aggiustando poi  le profonde contrapposte tendenze, con la frase, a pag.99,  che tra Risorgimento e Resistenza non ci sono poi quelle differenze che un tempo si credeva”, ma non cita elementi storici a sostegno per spiegare un tale favoloso aggiustamento. Va ricordato che il vero obbiettivo  dell’organizzazione partigiana comunista dominante era  l’instaurazione della dittatura del proletariato e, com’è noto, la possibile creazione nel territorio nord orientale d’Italia di un’Amministrazione sovietica o iugoslava (Il giornale comunista dell’organizzazione partigiana nel Friuli appariva inteso,nel settembre 44, a preparare la popolazione all’arrivo delle truppe di “Tito”, sostenute dal vittorioso esercito sovietico che aveva appena liberato, Romania, Bulgaria e Ungheria.), obbiettivi  impediti dalla presenza delle unità corazzate alleate e dal preventivo lancio , sul terreno, delle missioni britanniche Rankin B.  Non è ammissibile quindi, analizzando il quadro degli eventi bellici di quel periodo, che investirono l’intera Europa, determinati dallo scontro di interessi  internazionali e dettati dal forte impulso di nuove aspirazioni sociali di prevalente orientamento progressista  e dal  riesplodere di rivendicazioni territoriali più o meno legittime, che una tale situazione possa  trovare accostamento al concetto risorgimentale, di tutt’altro spirito, in cui l’Italia nel periodo dai primi dell’800 al 1870, conquistò l’indipendenza e l’unità.

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Gli elaborati della pubblicazione relativa al Congresso, nel loro assieme, rivelano una profonda lacuna riguardo l’attività partigiana riferita all’Adriatisches Küstenland. ed ugualmente  in riferimento all’attività antiguerriglia e di  repressione intrapresa dalle unità tedesche, la cui punta di diamante, elgiata da Hitler, era la Gebirgs Brigade Waffen SS. Karstjäger che condizionò e travolse incontestabilmente la resistenza nell’intero territorio.
In tali elaborati manca, inoltre, ogni citazione sui barbari massacri compiuti dai partigiani a fine guerra e dopo, essendo anche questa  storia, di prigionieri cosacchi, uomini, donne, vecchi e bambini, come accadde nel bosco Chianal – località Gadoria nella pedemontana occidentale (Trasaghis)) dove i corpi dei medesimi, dopo un tentativo maldestro di venire bruciati,  furono abbandonati senza sepoltura, ma eccidi di prigionieri  accaddero anche  in Carnia, nel Friuli orientale e nel Trevigiano, taluni nell ‘ordine di varie centinaia, in violazione di precise norme internazionali, in parte da me già rivelati nelle mie pubblicazio- ni e su cui sono documentato.
La trattazione  esplicata nel congresso di Verzegnis, sotto il profilo strettamente fattuale e quindi storico, tralasciando stralci di pubblicazioni  o scritti dai contenuti semplicemente espositivi, che non affrontano la tematica storica, o brevi interventi cattedratici magnilo- quenti puramente agiografici, evidenzia un comune  servile allineamento conformistico, privo da ogni minimo accenno contraddittorio e in netto contrasto con gli elementari principi di un consesso storico, inteso tale in una società dalle pretese democratiche. Più che di un congresso si è trattato di una congiura preparata  mobilitando tutte le possibili anime nascoste e, naturalmente, dei caporioni che nulla hanno a che vedere con la cultura, onde gestire una manifestazione in cui sfogare i propri istinti retrivi e parlare di un argomento con euforia paesana, lontani dalla conoscenza delle radici storiche dei fatti di cui mai si erano e si sono interessati se non casualmente o superficialmente, fatta  salva la  presumibile presenza di taluno  o taluni   intervenuti al  congresso,  non per invito ufficiale, ma  perché sollecitati  da interesse  in quanto, in linea generale, consapevoli dell’argomento e probabilmente a conoscenza di  vicende settoriali del medesimo.
In riferimento a una relazione redatta da autori venuti da fuori i quali hanno ritenuto gentilmente di citarmi ricordando il mio lavoro, a prescindere dai dettagli riferiti ad  azioni repressive attribuite ai "mongoli" su cui non entro in merito anche per questione di spazio, mi permetto di osservare che, in quanto a repressioni  nell’Oltrepo Pavese e nel Piacenti- no, le stesse furono però  attuate, salvo qualche sporadico intervento della 162a divisione Turkestan, dalle  "Ostürkischen Waffenverband der SS.” (Forze SS: Turchi dell’Est asso- ciate) che erano tutt’altra cosa, formate cioè da elementi di etnia turca. Le "Türkischen Waffenverband der SS."  facevano parte delle forze di sicurezza e lotta antipartigiana sottoposte all’Oberstgruppenfuehrer SS. Karl Wolff, mentre la 162a , unità della Wehrmacht, dipendeva alternativamente dal comando della 10° e 14° armate.
                                               
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In quanto al diario di don Boria, riportato  nella pubblicazione , ho preso in esame  la parte riferita al periodo settembre 1944 giugno 1945, praticamente da  pagg.  181 a 209, su cui mi permetto alcune osservazioni  avendo riscontrato  delle discordanze che vengo ad evidenziare nel rispetto dei principi storici  ed anche per dimostrare l’attenzione alla lettura. In data 9.11.44 egli annota nel diario la morte del partigiano Regolo Artini, avvenuta in uno scontro coi caucasici, in data 31.10.44, nei pressi del ponte di Muina, vicenda a me nota anche perché mi riuscì di sfuggire  miracolosamente alla   rappresa- glia cosacca attuata ad ondate sulla popolazione, dettagliatamente riferita nel mio citato volume a pagg.60-63. Afferma don Boria che  "Un’imboscata lo tradì. Uccise un ufficiale russo e ne ebbe la morte". In realtà si trattò di uno scontro casuale, mentre imboscata significa agguato ed è quindi cosa diversa. Indipendentemente da ciò,  la notazione nel diario rivela una peculiare attenzione di don Boria su particolarità che riguardano la sepoltura del partigiano Artini, nel cimitero di Ovaro. Il reverendo tralascia invece, sorprendentemente, ogni attenzione umana, e non mi spiego la ragione, sulle tredici vittime civili della rappresaglia cosacco-caucasica, abbattutasi sui villaggi di Muina Cella,Agrons ed Ovasta, a causa dell’uccisione dell’ufficiale caucasico, che  cadde per primo nello  scontro. Si tratta di vittime che lasciarono vedove, figli etc con tragiche conseguenze familiari, oltre allo stato d’angoscia  provocato nella popolazione della valle di Gorto, e vi furono funerali con larga partecipazione dei valligiani, ma don Boria, su tutto questo, lascia cadere il silenzio….
I data 9.2.45 egli  annota  che i cosacchi vogliono l’albergo “Stella d’Oro”, quando nelle lettere che mi scrisse di proprio pugno Pia Cella, proprietaria del medesimo,  la stessa precisa trattarsi dell’ albergo “Savoia" che i cosacchi battezzarono “Palais Savoia”, come  confermatami dalla dottoressa E. Kriklenko,  membro dell’equipe medica dello stato maggiore cosacco, staccata presso Krassnoff, che mi riuscì di rintracciare nel dopoguerra in Germania. Trattasi di notizia riconfermata da Nikolaj Himpel, aiutante di Krassnoff, da me rintracciato in Svezia.
Krassnoff, secondo don Boria, arriva a Villa di Verzegnis il  12.2.45 mentre Pia Cella precisa trattarsi del 27.02.45, il che mi fu confermato dal già citato dott. Himpel. “ Palais Savoia” diviene in pratica il Quartier generale dei cosacchi. Come riferito nel mio volu- me  "L’Armata cosacca…",  nei corridoi e nelle stanze a tal fine si stendono tappeti orientali, vi  si tengono riunioni importanti  con la presenza di alti ufficiali e generali, vi sono anche momenti di tensione per questioni essenziali ,  si discutono i problemi di una nuova Russia sulla quale il ministro Rosenberg per i paesi orientali occupati ha formula- to un progetto. Vi convengono in visita, nei pomeriggi, principesse e contesse dal profluvio di raffinati profumi francesi e, tra queste,  Tatiana Kolesnikoff, acquartierata a Tolmezzo, donna di indiscutibile  fascino nel fisico e nel portamento, al cui passaggio gli ufficiali restano attoniti. Nel “Palais” si tiene quindi salotto evocando sensazioni e ricordi della bell’epoque. Ma il tutto  avviene in modo circoscritto di cui don Boria non può cogliere nulla, per cui egli annota solo  l’arrivo di un generale cosacco che non si ferma (pag.201), e tantomeno nulla colgono i paesani, chiusi nel loro guscio,  né la Carnia intera percepisce ciò che si medita e si discute in quell’ angolo di resurrezione imperiale nella valle di Verzegnis, in quel periodo di miserie (estate-inverno 1944-1945) . Ma in ogni caso i carnici, anche se avessero potuto sapere, io ritengo  sarebbero rimasti indifferenti a ciò che non rientrava nei loro concreti e palpabili interessi. Fred Zinnemann, nel corso dei rapporti ch’ebbe con me per il film sui Cosacchi, dopo un paio di incontri, e prima di rivederci in un più ampio rapporto in Austria, fece un giro per la Carnia assieme al suo collaboratore romano, Bianco, interrogando a caso gente incontrata nelle piazze od altrove al fine di trarre un’ impressione di ciò che aveva recepito la gente sulla presenza dei cosacchi. Fecero ritorno desolati in quanto avevano ottenuto risposte vaghe, spiccicate, insignificanti. Evidentemente si erano imbattuti nella consueta ritrosia dei carnici, come scrisse il noto narratore trevigiano Comisso in un suo opuscolo sulla Carnia, diffuso verso la fine degli anni cinquanta, il quale ebbe ad osservare  che  " la posizione geografica della Carnia, così isolata in questa parte remota d’Italia, risulta come una soffitta penosa da  abitare. Io stesso, dopo qualche giorno di permanenza, mi sentivo preso da una smania di uscirne, come temessi che qualche porta si chiudesse dietro di me senza possibilità di ritornare in pianura ". E più oltre aggiunse  "…avendo chiesto informazioni ad alcuni uomini intenti a costruire una slitta…mi risposero brevi, quasi economizzando le parole, riprendendo subito il lavoro. Non erano neanche curiosi di me, non mi chiesero niente, donde venivo e che mestiere facevo ".  Questo disinteresse e distacco  dei carnici fu registrato anche da Zinnemann. Rammento che  mi disse : " Carnier, la sua gente è priva di emozioni, è una popolazione spenta !". Offeso cercai di controbattere, ma lui , scuotendo la testa, uomo intelligentissimo la cui genialità e sensibilità umana meravigliava, rivelata anche nel film girato nelle alpi sviz- zere “ Cinque giorni, un’estate”, delle cui scene rimasi profondamente commosso, non fece che ripetere quanto aveva pronunciato. In ogni modo, riguardo la regia del film sui cosacchi , Zinnemann così concluse: “… niente carnici, niente partigiani. Si parte da Timau col calvario del Plöckenpass, il tradimento britannico e la tragedia della Drava, la deportazione. Questi gli elementi ".-
Il 2.05.45 don Boria annota che, alle 13,30  Krassnoff è ancora a Villa diVerzegnis quando, invece, la sera del 1° maggio l’atamano aveva lasciato “Palais Savoia” con la consorte ed il seguito ed  era sceso a Villa Santina facendo sosta a villa Masieri. Quivi giunto s’intrattenne in un  lungo colloquio coi generali Solamakin, Wassiliew, Bidakow, Woronow, Jesaulow. Fu qui che si discusse su quanto si stava verificando e cioè che Naumenko era stato eletto atamano generale su tutti i cosacchi stante la proclamata emergenza di una resistenza ad oltranza in previsione della  caduta del III° Reich. Tale notizia – mi disse il dott. Himpel, suo aiutante – sarebbe stata appresa ancora prima di lasciare il “Palais Savoia”. La stessa creava ovviamente una nuova situazione e poneva  sopra Krassnoff una figura con poteri assoluti sulle truppe cosacche. Si seppe anche che il generale finlandese C.G. Mannerheim, che allora aveva assunto la presidenza della Finlandia, garantiva l’appoggio ai cosacchi, per una resistenza armata seppure illusoria contro i sovietici, fornendo  armi ed altri aiuti.
Krassnoff passò la notte nella villa e ripartì nell’indomani, come confermatomi  dall’ing. Masieri e consorte e dal figlio pure ingegnere, mio compagno di studi. Ebbe quindi un  incontro a Tolmezzo con il Gruppenfuehrer SS. Globocnik e poi si diresse su Ovaro. La vicenda Naumenko è  già stata trattata nel mio volume “L’Armata…” ma le successive notizie, ottenute da Himpel etc., consentono un’ anticipazione nei termini accennati .
Nel primo dopoguerra ebbi un incontro con don Boria  a Villa di Verzegnis. Rammento che mi dette delle notizie a memoria e in parte su appunti, piuttosto riservato.  Se ben ricordo aveva sul tavolo anche un volume che ritengo possa essere stato il diario parroc- chiale. Rammento  comunque che gli partecipai quanto ero riuscito a sapere da mie ricerche già inoltrate. Constatai che ci trovavamo d’accordo, ad esempio sul forte nucleo di cosacchi dislocati nella valle (3.500), ed approssimativamente sulla massa dei cosacchi appartenenti all’armata. Sul diario  trovo ora che discordiamo  sul colonnello atamano M.I. Zimin, che lui riteneva stabile a Chiaulis, mentre da   dichiarazioni fattemi da Eduard Radtke, personalità di spicco referente di Rosenberg, il colonnello atamano aveva poteri più ampi, da me descritti nel mio volume, era subordinato al generale Tichotzkij e teneva una sede anche nella val Tagliamento.
Risulta strano che, dalle notazioni del diario non vi risulti mai citato Eduard Radtche che aveva la sua sede a Chiaulis villaggio non distante dal Quartier generale di Krassnoff. Sorprende inoltre notevolmente, considerata la presenza di Piotr Nikolaevic Krassnoff, capo dell’organizzazione reazionaria cosacca, in altri termini essendo presente nella valle la vecchia Russia imperiale che, don Boria, parroco del luogo non abbia in ogni e qualsiasi caso avvertito l’eccezionalità dell’evento ed anche il fascino ed espresso, nel diario, proprie più ampie sensazioni umane da tramandare ai posteri.
Inoltre pur strano appare che  egli non abbia mai saputo il nome della signora Krassnoff, Lidia Fedeorovna, da me rivelato, nè si sia interessato all’identità delle dame dell’entourage dell’atamano, talune di alto lignaggio, come mi spiegò la baronessa tedesca von Schweder, da me raggiunta nel dopoguerra in Germania, donna raffinata di grande distinzione dell'alta società tedesca di vaste conoscenze e cultura, che conobbe i Krassnoff e  fu con me generosa di informazioni. In ogni caso riguardo l’assenza di valutazioni cui il diario dà motivo, va considerato che esistette effettivamente  una concreta difficoltà nel captare possibili notizie, dovuta alla  presenza del cordone di vigilanza che stringeva “Palais Savoia”. A nessun civile  fu consentita infatti, come più oltre riferirò, la presa di contatti col Quartier generale e tantomeno personalmente con Krassnoff ed in tal senso ne dà conferma il medesimo don Boria, che , in occasione al secondo colloquio asserisce: " Volevo metterlo in relazione con Gortani (noto docente locale), ma non ne vuol sapere. Teme inganni".  I due colloqui concessi al parroco, dopo un’anticamera, furono infatti l’unica eccezione.

Di quando in quando con don Boria ci si scambiava qualche telefonata. Nel corso degli anni sessanta egli mi chiamò per dirmi essere sua intenzione collocare una lapide sulla facciata dell’albergo Savoia, in memoria del soggiorno di Krassnoff. Mi pregò anche di predisporre una bozza dell’epigrafe che infatti preparai, inserendo i nomi di generali, aiutanti, referenti e dame a me noti, annotati nel mio dossier in vari incontri e colloqui, in parte con la dottoressa (medico) Kriklenko, al tempo dei fatti, come già precisato, accreditata presso il Quartier generale, e in altra parte avuti da Tamara Cambiagio nobildonna di origine italiana  che, secondo voci,  avrebbe  fatto parte dell'entourage della corte imperiale dello zar Nicola II  dopo di che nel 1918, con  la caduta dei Romanow, riparò in Iugoslavia dove le riuscì di stabilire rapporti nella cerchia di amicizie della corte di  re Alessano di Iugoslavia.  Assieme a mia moglie Wanda, dopo averla rintracciata, ebbimo un incontro a Fiume nella Federativa Iugoslava. Era una splendida giornata di sole settembrino. La Cambiagio viveva sola  in un appartamento condominiale  e, seppure in età,  portava le tracce di  un fascino non tramontato. Vi fu una lunga conversazione, estremamente interessante, poichè la Cambiagio  rivangò  le sue vicissitudini  talchè mi parve donna che meritasse di  essere raccontata. Volle darci copia di una foto di re Alessandro, colto dall'obbiettivo sulla  coperta della nave che lo portò a Marsiglia dove, il 9 ottobre 1934, fu assassinato da un macedone assieme al ministro francese Gian Luigi Barthu, vicenda che conoscevo e conosco bene  compreso personalmente l'organizzatore di quell'attentato, Branko Jelic. Annotai ovviamente quanto mi riferì sulla sua permanenza a Tolmezzo ( ed al riguardo, da qualche parte, devo avere scritto qualcosa) dov'essa  giunse dalla Iugoslavia  con un nutrito gruppo di  profughi russi e cosacchi che si ponevano sotto la protezione di Krassnoff  e coi quali aveva un legame. Fu  alcune volte gradita ospite di Lidia Fedeorovna,  a Villa di Verzegnis.

Da vari indizi devo  dedurre  che don Boria abbia  steso il diario, sulla base di note,  in un secondo tempo. Ne dà prova il fatto che, sotto la data del 3 settembre 1944, parlando  di Mirko, noto comandante  partigiano sloveno che operò in Carnia,  asserisce che il medesimo a la sua ragazza, una di Raveo, furono uccisi al momento della liberazione. In realtà furono uccisi il 12 aprile 45,  ma il cadavere della ragazza (Gisella Bonanni, nome di battaglia Katia) fu rinvenuto nel maggio e quello di Mirko un anno dopo, cioè nell’estate 1946. E’  evidente pertanto che tutto ciò don Boria, in data 3 settembre 44, non  poteva saperlo, quindi non si tratterebbe di diario, ma di una redazione postuma di appunti e notizie  il che, sotto il profilo storico, senza mettere assolutamente il dubbio la buona fede dell'autore, è però cosa  diversa, concetto importante che fu oggetto di particolare considerazione  e valutazione da me affrontato, discutendo sulla cultura della prova, con lo storico inglese Richard Lamb, biografo di Churchill.
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                                                                                                                            Poiché in un una recente trasmissione a Telefriuli (Udine), in data 6.05.2009, rievocativa delle vicenda cosacca, alla quale venni  invitato come autore e testimone, mi fu dato di ascoltare dei giovani universitari interessati alla questione cosacca, ma comprensibil- mente ignari e male informati da fonti pressappochiste  su molti aspetti e fatti,  anche a proposito del soggiorno di Krassnoff a Villa di Verzegnis, ritengo utile riassumere la posizione del generale atamano.
Al suo arrivo in Italia proveniente da Berlino, nel febbraio 1945,  l’atamano generale, per decisione del Gruppenfuehrer SS. Globocnik, dovette rinunciare ai poteri militari effettivi sull’armata cosacca, affidata al comando del  generale Domanow, argomento comunque già trattato nel mio volume " L’Armata cosacca….” .L’atamano mantenne comunque  la presidenza dell’Amministrazione centrale cosacca, che aveva la struttura di Governo provvisorio e l’autorità sulla massa dei profughi cosacchi. Krassnoff era persona dal comportamento irreprensibile e godeva di grande rispetto, vigilato da un corpo speciale a cavallo di cosacchi del Mar Nero, che descrissi sin dalla mia  prima edizione (1965) del citato mio volume ed al riguardo ebbi notizie particolareggiate dagli stessi cosacchi, uno dei quali, sfuggito alla consegna ai sovietici, fu  da me rintracciato fra le montagne del sud Carinzia.
La vigilanza del Quartier generale, insediato all’albergo Savoia, venne ulterioremente integrata da agenti SS. che venivano staccati da Tolmezzo, dal capitano SS.Schindlmayr.  Tale misura di sicurezza, ebbe a precisarmi nel dopoguerra il dott. Nikolaj Himpel, aiutante di Krassnoff, era motivata dal timore, ampiamente condiviso dai tedeschi, che l’atamano potesse essere nel mirino degli agenti sovietici e venisse assassinato, come accadde a Trotsky, data la posizione antisovietica assunta del medesimo. Cautelativa- mente fu quindi assolutamente vietato ogni contatto ai civili. Il rigore della vigilanza su Krassnoff  mi fu confermato chiaramente  anche dalla signora Pia Cella e fu da me puntualizzato nel mio volume, a pagg. 122-123. Secondo il colonnello Nazarenko, col quale ebbi degli  incontri nel dopoguerra all’estero, la rigida vigilanza a cui Krassnoff fu sottoposto e che finì per porlo nella condizione di un garbato isolamento, era dovuta non solo a garanzia della sua sicurezza, ma aveva lo scopo di tenerlo sotto controllo. Nel marzo 1945 si verificarono forti discrepanze tra Krassnoff e Naumenko, atamano e generale del Kuban. Ne fu motivo sostanziale il fatto che Naumenko, ritenendo che tutte le forze collaborazioniste  cosacche e russe dovessero accorparsi nell’Armata di Liberazione Russa creata in Germania da Wlassow su placet di Hitler, optò per Wlassow, cercando di sottoporre al medesimo tutte le unità del Kuban che costituivano una forza consistente, inquadrate nell’Armata cosacca stazionata in Italia, operazione che però venne impedita. Naumenko, frattanto, aveva lasciato il presidio di Cavazzo Carnico  (Jekaterinodar) in Carnia  e raggiunto Wlassow in Germania, ad Heuberg presso Ulma.
L’atamano generale Naumenko, figura leggendaria della potente casta militare del Kuban, di cui conobbi anche la splendida figlia Natalja, come già riferito in narrativa emerse in un momento di emergenza come autorità dominante sulla scena cosacca del collaborazionismo, nel marzo 1945, allorchè fu decisa la resistenza ad oltranza di tutte le forze collaborazioniste in previsione della caduta del III° Reich. Conclusivamente allorchè sulla Drava la vicenda cosacca si concludeva in tragedia, mentre Krassnoff coi generali, ufficiali e la massa dei cosacchi finì deportato nell’URSS dove, assieme ad altri, fu giustiziato, Naumenko, caduto in mano agli americani in Baviera, fu risparmiato alla deportazione ed ebbe un salvacondotto per gli Stati Uniti dove rese un’ampia deposizione al Senato americano. Nel dopoguerra assieme a Naumenko, col quale grazie a speciali conoscenze ero entrato in contatto, percorsi il corso della Drava, a sud di Lienz, volendo egli conoscere le fosse comuni dei cosacchi, dei cui luoghi avevo cognizione, in quanto a centinaia si erano suicidati gettandosi nel fiume piuttosto che subire la consegna forzata ai sovietici. Sull’ argomento Naumenko volle interrogarmi a lungo.
12 settembre 2013                                                          
                                      PIER ARRIGO  CARNIER     
Note
Piccolo particolare. Nella foto a pag. 62 degli atti del congresso i due militari non sono tedeschi, come si afferma nella didascalia, ma cosacchi. Il primo a destra è un ufficiale di cui non si legge bene il grado, l’altro, che porta la sciabola cosacca con impugnatura a becco d’uccello, è un graduato.
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A titolo di notizia ritengo infine di aggiungere che, sull’argomento, vi è ancora molto da pubblicare. Dispongo di importanti dichiarazioni rilasciatemi da Eduard Radtke, già da me ripetutamente citato nel mio libro “L’Armata cosacca …”, in particolare a pag. 242, e  altri scritti. Radtke, referente del ministro del Reich Rosenberg per i paesi orientali occupati, era membro del Quartier generale dei cosacchi e responsabile della massa dei profughi. Aveva in Carnia  la sua sede di comando a Chiaulis di Verzegnis. Ebbi, inoltre,  importanti dichiarazioni dal dott. Nikolaj Himpel, pure  referente di  Rosenberg ed aiutante di Krassnoff. Vi sono poi le divergenze tra l’ataman e generale Krassnoff e l’ataman generale del Kuban Wiaceslav Naumenko, accennate nel corso di questo mio intervento e, in parte,  riferite nel mio citato volume. Nel marzo 1945 Naumenko, come  già preciati, cercò di  sottrarre all’ Armata cosacca  tutte le forze del Kuban onde assumerle sotto suo comando  nei quadri dell’Armata Russa di Liberazione (Russkaja Osvobodietelnaja Armija) sottoposta al generale Andrei Andrejevic Wlassow. Di quest’ultimo mi fu possibile rintracciare, a suo tempo, la moglie signora Adelaide Bielenberg, splendida donna dalla quale pure ottenni preziose informazioni.  Sono state ricuperate all’estero interessanti documentazioni sulla Scuola Junker di Villa Santina . Dispongo, fra l’altro,  di notizie inedite raccolte nelle riunioni cosacche e delle superstiti forze di Wlassow alle cui riunioni partecipai in Baviera e, dopo la caduta dell’URSS, ai raduni cosacchi in Pomerania.                            

12  settembre 2013


                       CARNIER  PIER ARRIGO