venerdì 31 luglio 2020


UN COMMENTO CHIARIIFICATORE AL MIO POST RIEVOCATIVO  DI MOMENTI VISSUTI NEL 1944 ONDE SPIEGARE QUAL' ERA LA REALTA' DI FATTO E QUALI LE INVENZIONI.




Grato a Roberto Valentinuzzi, Odette Della Martina, Alida Petris,, Ivano Plozner e  molti altri per l' attenzione alla rievocazione di miei personali ricordi di quell' ottobre 1944 denso di emozioni . Credo che Odette Della Martina , di Givigliana, conosca bene lo "Stalon" che precede malga Naval, da me menzionato. Vorrei aggiungere qualche utile considerazione oggettiva. Il  clima in cui si visse quel 1944 è quello da me descritto : un' aria di suspens e cioè di attese.  In Carnia non vi fu alcuna Repubblica partigiana nè un' estate di libertà, autentiche deplorevoli falsità da operetta di paese,  messe in giro per ragioni di comodo. In Carnia, parte dell' Adriatisches Kustenland, vigeva di fatto la sovranità tedesca dichiarata nello stato di guerra. Quindi il potere dell' autorità tedesca esisteva ed era palpabile. I tedeschi in forze erano presenti a Tolmezzo e Pontebba, con un presidio di collaborazionisti turchestani a Sauris. Altro forte presidio fu instaurato in val d' Aupa, richiesto da cittadini del luogo che si presentarono supplichevoli al comando tedesco di Pontebba, in quanto stanchi delle vessazioni e ruberie partigiane ( a Buzzi Silvio fu svuotata la stalla col prelievo di 21 vacche ed un mulo. Gli rilasciarono dei buoni prelievo che poi, nel dopoguerra, esibiti in un processo a Venezia risultarono falsi).  In val d' Aupa fu quindi insediata una forza rilevante della Waffen SS. Gebirgs Division KARSTJAGER (poi riformata in brigata). al comando dello Sturmbannfuehrer Berscnaider, col quale, per ragioni di indagine storica io stesso ebbi rapporti nel dopoguerra e non solo con lui. Il traffico di truppe tedesche da Tolmezzo a Sappada, Passo Mauria, e Plockenpass (Monte Croce) all' occorrenza si svolgeva regolarmente.

 Senza sminuire l'attività partigiana che in senso storico va trattata nel suo realismo, non vi fu alcuna estate di libertà per la Carnia. Le restrizioni alimentari imposte dai tedeschi alla popolazione, quale strumento punitivo per l' attività partigiana anti tedesca, provocarono già prima di fine estate l' inizio dell' esodo di centinaia, migliaia di cittadini che affrontarono a piedi il calvario del passo monte Rest e raggiunsero il Friuli ed il Veneto alla ricerca di granaglie ed altro per il sostentamento vitale: una dura esperienza conosciuta anche dai miei genitori. Nell' estate 1944 ebbe sviluppo da lato partigiano, sia della Garibaldi che dell' Osoppo, l' operazione di prelievo a mano armata nelle malghe di confine austriache, di mandrie di bestiame bovino e cavalli che comportò, dal 17 al 22 luglio 1944, un massiccia/rappresaglia punitiva tedesca con   rilevante numero di vittime civili carniche, motivato in senso più ampio anche da una certa convinzione che le forze partigiane comuniste della Carnia avessero in progetto o coltivassero un collegamento con quelle slave che già operavano con infiltrazioni nel sud Carinzia. La rappresaglia fu condotta in prevalenza da controbande addestrate allo scopo, ma non vi fu  alcuna contro reazione partigiana. Ovviamente c'è da chiedersi dove stavano le  forze della Repubblica partigiana della Carnia  ??!!

martedì 28 luglio 2020




  CARNIER  PIER  ARRIGO

  
  -EINTRITT VERBOTEN-


CRONACA PARTICOLAREGGIATA DI LONTANE
VICENDE DI GUERRA: OTTOBRE 1944,
TEDESCHI E COSACCHI NEL MIO PAESE.


Cari lettori ho notato sul mio sito Blogger un interesse rilevante riguardo il post che qui di seguito ripropongo, diffuso in data 31 ottobre 2015, riferito a circostanze da me personalmente vissute nell' ottobre di guerra del 1944.

* * *

La rievocazione legata al commissario partigiano Guerra (Foschiani Mario) diffusa nelle mie puntate del 5,11,17, 22, 25 ottobre, ha rimosso in me lontani ricordi dell’epoca partigiana quale testimone del tempo oltre che collaboratore a fianco di uno dei membri di rilievo del C.L.N.( Comitato di Liberazione Nazionale) Val Gorto, come precisai in altre circostanze. Vissi pertanto quel clima teso d' attese e di paure nell’ imminenza e durante i rastrellamenti tedeschi nonché le improvvise notizie di accadimenti incresciosi. Ed ecco la cronaca di qualche ricordo. Nella prima quindicina dell’ottobre 1944 per sfuggire ad un rastrellamento che precedette l’arrivo dei cosacchi, con mio fratello Alcide ed un compaesano detto “Bibi” (Luciano Biasotti) cercammo, come altri, rifugio in montagna. Appena fuori dal paese incrociammo una formazione partigiana della Garibaldi di una trentina di elementi che, in ritirata dalla valle del But, si dirigevano nella val Pesarina. Nella maggioranza erano armati della pistola mitragliatrice sten e taluni di mitra.
Con alcune ore di cammino ci portammo sulle pendici del monte Crostis, nei pressi della malga Naval, sistemandoci in uno stallo detto “Stalon”. Avevamo scorta di viveri e da quel luogo, altitudine circa 1800 metri, muniti di un prezioso cannocchiale Zeiss, potevamo controllare il fondovalle e il nostro stesso paese Comeglians. C’era in noi tensione e tuttavia ci pareva di essere al sicuro, ma era solo un' illusione perchè al sicuro non eravamo affatto in quanto i tedeschi battevano anche le montagne e in quel luogo (lo “Stalon” lo si vedeva dal fondovalle) sarebbero potuti arrivare e, ritenendoci partigiani, ci avrebbero fucilati o quantomeno deportati. Da lassù notammo l’arrivo dei tedeschi e degli stessi cosacchi (Nota n. 1). Dopo alcuni giorni, decidemmo tuttavia di tornare in paese per renderci conto di ciò succedeva laggiù anche perché stavamo esaurendo i viveri di scorta. Scendendo dalla montagna lungo scorciatoie scorgemmo chiazze di funghi commestibili che, in parte, raccogliemmo e mettemmo separati da un divisorio nei nostri zaini. Raggiunto il fondovalle passammo per Valpicetto, paese in comune di Rigolato dove notammo del fumo che si alzava dai ruderi di uno stallo ormai distrutto da un incendio. Fummo informati da un casuale valligiano che, una colonna tedesca avendo sorpreso nello stallo tre partigiani, che in seguito sapemmo erano del paese di Illegio, li fucilarono assieme a un anziano casaro di malghe che si trovava sul luogo, proprietario dello stallo che poi incendiarono. I quattro morti, in seguito all’incendio, furono trovati mezzi carbonizzati. Tale notizia ci turbò per cui proseguimmo con una certa apprensione ed imboccammo una mulattiera che correva fra i boschi di fondovalle sulla sinistra del fiume. Arrivammo nel paese di Mieli. che ormai calavano le prime ombre della sera. Superata l’ultima casa sentimmo alle spalle una voce che ci gridò:”Alt, Alt “.
Ci fermammo sbigottiti e notammo due tedeschi che venivano verso di noi. Uno dei due era giovane l’altro più anziano.Vestivano l’uniforme delle truppe Waffen SS. da montagna con la stella alpina sul lato sinistro del berretto alla finlandese ed impugnavano il Mauser. ”Documenta”, ci dissero da vicino. Porgemmo quindi, senza profferire parola, il documento di identità assieme a un tesserino che attestava l’impegno di ciascuno di noi, con nome e cognome, nel lavoro per la produzione bellica nell’interesse della Germania. All’azienda industriale dove io, allora studente, comunque lavoravo, li aveva rilasciati per disposizione dell’autorità tedesca (Der Deutsche Berater =Prefetto) che aveva sovranità sul territorio, un comando croato-ustascia sottoposto ai tedeschi. insediato a Bad Lusnizz in comune di Malborghetto nella val Canale, dove l’azienda aveva un noto stabilimento. A “Bibi”, studente che non lavorava , il tesserino glielo avevo procurato io, regolarmente a lui intestato, mentre mio fratello dipendente da un’altra azienda, lo aveva per conto suo. Credetemi mi piace ricordare minuziosamente queste cose riferite a quegli anni vissuti con tante emozioni. I due tedeschi esaminarono minuziosamente i documenti ed il più giovane dei due, rivolgendosi a mio fratello, gli fece osservare che la statura indicata nella carta di identità, metri 1,75, non era esatta perché a lui sembrava che fosse un po’ più basso. Ci parve, ed ebbimo paura, che volessero trattenere mio fratello, ma dopo momenti di esitazione il dubbio fu superato e i due tedeschi ci restituirono i documenti e ci lasciarono andare.
I tedeschi sospettavano di tutto temendo che, sotto false spoglie, si nascondesse un partigiano. Il soldato tedesco vedeva nel partigiano un fuori legge che, nascosto in un qualsiasi angolo, poteva sparare ed uccidere e poi dileguarsi. Il partigiano rappresentava per il tedesco un’ostilità insidiosa sfuggente le norme di guerra, in quanto privo dei segni di regolare identificazione, diverso cioè dal nemico che indossava un’uniforme.
Ci riavviammo verso casa che distava ancora alcuni chilometri. Strada facendo incontrammo dei valligiani provenienti da Comeglians, diretti ai paesi di Noiaretto, Frassenetto e Tualis, a cui chiedemmo notizie. Ci dissero che in vari luoghi vi era stata qualche vittima, uccisa dai tedeschi durante il rastrellamento, che dei giovani erano stati deportati, infine che i cosacchi, giunti nella nostra valle attraverso la val Calda, avevano commesso atti di violenza su donne, per cui si era diffuso un clima di paura. Arrivammo alla periferia nord del nostro paese e, con sorpresa, non notammo alcuna sentinella. Procedemmo con cautela e, raggiunto il centro, ci rendemmo conto della presenza di molti tedeschi, direi centinaia con diverse macchine ed autocarri parcheggiati. Era ormai buio e temevamo, anche per le notizie ascoltate lungo la strada che, ai tedeschi, vedendo tre giovani con gli zaini, venisse inevitabile il sospetto che fossimo partigiani e ci arrestassero. Quelle riflessioni ci crearono uno stato di tensione. Potevamo proseguire e semplicemente raggiungere le nostre case ma non ci sentimmo di farlo. I tedeschi ci avevano messo soggezione, sentivamo la loro sovranità e avvertivamo quasi uno stato di sudditanza che rivelava la nostra fragilità italiana dovuta al collasso in cui era precipatata l’Italia (Nota n.2).
Consultandoci nervosamente ci venne l’idea di presentarci spontaneamente al comando delle forze che, dopo il rastrellamento, stazionavano in paese. Chiesi, in tedesco, ad un soldato di indicarmi “das Kommando Truppe” ed egli allungando la mano ed additando una casa dove si vedeva l’ingresso spalancato e illuminato , disse. “ Jaaa, in jene Haus est der Kommandeur ”( Siii, in quella casa c’è il comandante). Entrammo quindi nella stessa togliendoci i berretti, tenendo in mano le carte d' identità e quei preziosi tesserini con lo stemma croato. C’erano diversi ufficiali in piedi che parlavano tra loro e si voltarono a guardarci. Chiesi allora di parlare con “der Herr Kommandeur” (il signor comandante). Uno di loro, alto, si fece avanti e ci chiese, in italiano, “cosa desiderare” per cui, tutti e tre, ci rivolgemmo a lui in italiano dichiarando che eravamo cittadini del luogo che rientravamo da una gita in montagna dove avevamo raccolto dei funghi e, slacciando gli zaini, mostrammo i funghi. Affermammo che, stante la situazione di guerra in essere, volevamo dimostrare la nostra regolarità di cittadini impegnati nel lavoro ed esibimmo a turno i documenti. L’ufficiale ci guardò un po’ stupito forse per lo zelo dimostrato, guardò i documenti e ci disse: “ Sehr guut, guut, andare, andare (Molto bene,bene, andare, andare) e ci sorrise…!!”
Uscimmo rasserenati.
Passando accanto a un pubblico noto locale sul lato sinistro della strada, poco dopo il centro, di proprietà di un conosciuto benestante, ( S.Tavoschi ), a sua volta titolare dell’azienda trasporti pubblici della valle, notammo che, il medesimo, stava cenando assieme a molti tedeschi, tutti seduti attorno al gran tavolo della sala illuminata, ai quali presumibilmente, su loro pretesa, aveva dovuto far preparare la cena. A guardare quella scena pareva che il paese fosse in festa e non vivesse, invece, la realtà dell'occupazione.
“Bibi”, eravamo vicini alla sua abitazione, ci lasciò per cui proseguimmo soli.
Più oltre nel grande piazzale dell’ ex stazione ferroviaria in disuso da tempo, stava in sosta una massa di cosacchi con cavalli e carrette che occupavano pure la parallela via principale di accesso al paese, che noi stavamo percorrendo. Era la prima volta che vedevamo i cosacchi . Notammo fra loro anche diverse donne, talune in uniforme militare. Traggo da una mia prima pubblicazione, risalente al 1957, brevi frasi sull’impressione che fecero in me i cosacchi , “”…Nel buio della notte si mescolavano le ombre dei cavalli che fiatavano una lunga stanchezza. La luna venne nel cielo a rischiarare vagamente i loro mantelli, mostrando furtivamente attorno ai carri sagome goffe di soldati dormienti, fucili ammucchiati, ceneri semispente “”.
Leggendo vecchie pagine di quella pubblicazione provo ammirazione per me stesso. Penso che avei dovuto scrivere un romanzo che, in ogni modo, vive dentro di me, ma sento nostalgia di non averlo fatto.
Fummo costretti a procedere cautamente e, superato quell’addiaccio, ci trovammo finalmente di fronte alla nostra casa, la prima del paese sulla via principale della valle venendo da sud. Sul portone d’ingresso risultava affisso un manifesto dove, in grosso stampatello, stava scritto in tedesco EINTRITT VERBOTEN (INGRESSO VIETATO). Pensammo subito che la casa fosse occupata dai tedeschi. Mi ero dimenticato di dire che i miei genitori non c’erano. Ancora prima della nostra andata in montagna erano partiti, come centinaia anzi migliaia di carnici, donne coraggiose soprattutto, diretti a piedi, attraverso il passo di Monte Rest, nella pianura friulana e veneta alla ricerca di granaglie ed altre risorse alimentari, a causa della crisi provocata dall’attività partigiana, avendo i tedeschi bloccato ogni rifornimento alimentare. In casa erano rimaste le due nostre sorelle e, alla nostra partenza per il monte Crostis, avevamo raccomandato a un’anziana signora della casa vicina di tenerle sotto protezione.
Suonammo e poi bussammo al portone. Giunse ad aprirci un ufficiale non tedesco ma fascista che guardammo con sorpresa, al quale ci dichiarammo ed egli sorridente ci disse che le sorelle avevano già parlato di noi. Entrammo e ci sedemmo nella sala dove c’erano altri ufficiali fascisti. Giunsero frattanto, dal piano superiore, le due nostre sorelle alle quali, dopo un abbraccio, consegnammo gli zaini. Dopo di che, scambiate alcune considerazioni con gli ufficiali, salimmo nelle nostre stanze a rimetterci in ordine. La sera, dopo la cena, fu trascorsa a dialogare con i detti ufficiali. Gli stessi non si toglievano di testa l’idea che noi due fratelli fossimo partigiani scesi dal bosco dopo aver nascosto le armi. Erano tutti pordenonesi e ci lasciarono anche i loro nomi che ora non ho sottomano, ma ricordo con precisione che uno di oro si chiamava Messinese. Ci parlarono ovviamente della rinascita dell’Italia attraverso il fascismo repubblicano, delle armi segrete della Germania, del nuovo esercito repubblicano con importanti innovazioni che effettivamente, anche dal mio punto di vista come in seguito mi resi conto, non era cosa effimera e riscuoteva credito negli italiani che si aspettavano qualcosa di concreto in cui credere. Parlarono anche della situazione partigiana contro la quale in tutto il nord Italia, Carnia e Friuli compresi, era un atto da parte tedesca con l’appoggio fascista, un’inesorabile azione repressiva che portò a un decisivo, per certi versi spietato, travolgimento della forze alla macchia da cui la lotta uscì effettivamente stremata. Nell’autunno, perlomeno in Carnia, quasi non se ne sentiva più parlare e pochi nuclei resistenti sopravvivevano sulle montagne.
Gli ufficiali lasciarono la nostra casa nell’ indomani molto presto che ancora era notte, senza salutarci . Quando ci alzammo notammo che, nell’ anticamera, avevano staccato i due quadri del re Vittorio Emanuele III° di Savoia e della regina Elena accostandoli per terra con l’immagine girata verso la parete ed un biglietto accostato a uno dei due dove si leggeva “ Traditori”. Vent’anni dopo essendomi insediato con la famiglia nella città di Pordenone mentre professionalmente lavoravo anche in quel di Venezia, ebbi modo di interessarmi a dette persone. Seppi che, a fine guerra, detti ufficiali furono arrestati dai partigiani, incarcerati, condannati a morte da un Tribunale del popolo e giustiziati, semplicemente perché fascisti repubblicani. Provai umanamente dispiacere. Fra l’altro aggiungo un’altra notizia spiacevole. Alcuni anni dopo la fine della guerra seppimo che “Bibi” il nostro amico, che si era trasferito a Milano, era morto.
31 ottobre 2015 PIER ARRIGO CARNIER
Nota n.1
I cosacchi giunsero al mio paese il 12 ottobre 1944.
Nota n.2
La caduta del fascismo provocata da traditori nel luglio 1943 e il tradimento nei confronti dei tedeschi con la resa separata italiana, del settembre 1943, agli alleati anglo americani, sulla quale vi sarebbero alcune considerazioni da esporre, provocò nei tedeschi un’evidente ostilità verso l’Italia che accrebbe nel 1944 con il rivelarsi dell’attività partigiana apportatrice, primariamente, di un contributo in favore degli alleati che, sbarcati nel sud Italia, salivano lentamente lungo la penisola.
I tedeschi si erano insediati nel Litorale adriatico come nel resto dell’Italia fin dal settembre1943, assumendo la sovranità sul territorio in base al decreto di Hitler del 13 settembre 1943.
Segue timbro apposto su tutti i tesserini rilasciati ai dipendenti e al personale direttivo dell'azienda presso cui lavoravo dal comando delle forze appartenenti alla Legione croato-ustascia subordinata ai tedeschi, insediato a Bad Lusnizz (Malborghetto) in val Canale. Dette forze croate erano addette al controllo della linea ferroviaria Tarvisio-Venezia.

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venerdì 17 luglio 2020

CARNIER PIER ARRIGO

BRATISLAVA : LE CASE A LUCI ROSSE NEL MONDO COMUNISTA D' INFLUENZA SOVIETICA.



Cari amici e lettori ripubblico il post da me diffuso ieri 17 luglio delle mie reminiscenze su Bratislava, avendo aggiunto qualche ritocco e stante il fatto del sorprendente interesse sollevato nei miei siti Facebook e Blogger.

* * *

Ogni tanto mi riaffiorano nella mente lontane vicende che sembravano dimenticate. . Quello che vengo a ricordare riguarda miei viaggi, negli anni dal 1965 al 1985 con Wanda mia moglie, nei paesi dell' est., allora immersi e gestiti nel clima d' influenza sovietica. Erano tempi duri. La vittoria alleata del 1945 sulla Germania era costata la perdita della libertà ai paesi dell' Est, Cecoslovacchia, Ungheria, Polonia, Estoni, Lituania ...con l'estensione sugli stessi dell' egemonia comunista sovietica verso occidente che poi, solo negli anni novanta, tornarono liberi. Sia a me che a Wanda interessava comunque conoscerli.
Ci piaceva la Slovacchia e l' Ungheria in particolare. Il mondo comunista era chiuso, la gente parlava poco. La polizia era rigida e metteva paura, ma a onor del vero quella rigidità non mi dispiaceva perchè , in ogni caso, rivelava disciplina . In Slovacchia soggiornavamo all' importante Hotel Charton di Bratislava posto al centro della città.. Nella stessa, in relazione ai miei interessi di carattere storico, avevo delle conoscenze. A Wanda piaceva entrare nei negozi di abbigliamento femminile e, in una boutique, saputo che era italiana, le presentarono sorprendentemente una serie di abiti alla moda appena giunti dalla Francia.
Dal punto di vista del tenore di vita si capiva che l' influenza sovietica social comunista, riguardo la massa dei cittadini, imponeva una vita senza agiatezze, ma il il lavoro era garantito per tutti. Era noto che, se la polizia s' imbatteva per istrada in un disoccupato, in qualche modo gli trovava un lavoro. L' influenza sovietica aveva quindi le sue regole e non tutto era da buttare. Al di là delle parvenze d' immagine, conversando col portiere del Charlton, questi confidenzialmente volle farci sapere che, in Slovacchia come in Ungheria, Polonia etc., esisteva comunque e chiaramente una classe d' elite, tale e quale a quella descritta in Iugoslavia nel libro "La nuova classe" di Milovan Gilas. Sì, c'era un' elite. Nei ristoranti al centro di Bratislava, dove confluivano i politici, vale a dire la classe dominante, la ristorazione era ad alto livello. Fu dal caposala del Charlton , che sapemmo dell' altro e molto. Per farla breve fummo informati che, un po' fuori della città esistevano delle "case a luci rosse", dotate dei relativi comfort e quindi con camere, ufficialmente però dette case erano ignorate. Le stesse per passare la sera ed eventualmente la notte erano punto di riferimento di gente facoltosa in genere stranieri, uomini d'affari, trafficanti e turisti. Il tutto, secondo il caposala, debitamente vigilato da agenti di polizia ovviamente in borghese. Si diceva che, nelle camere sarebbero stati installati dei sistemi di ascolto finalizzati a raccogliere possibili confidenze, ovviamente nell' interesse della polizia e pìù in alto, se del caso, con segnalazioni ai servizi segreti. Ne derivava che le " case a luci rosse", erano una rivitalizzazione alla Mata Hari , la famosa spia, donna dal fascino travolgente, fucilata poi dai francesi. Spingendosi avanti nel discorso il caposala disse che lì, naturalmente, per il servizio serale e notturno di bar con ristorazione era di alta qualità con alcoolici e vini francesi e tedeschi del Reno.
Entrambi, io e mia moglie, fummo quindi presi dal desiderio di mettere piede in una delle case a luci rosse. Ma volli sentire a proposito uno degli slovacchi che conoscevo per rapporti di interesse storic. : Walter Gossibow. Lo chiamai al telefono e lo pregai di venire al Charlton. Venne. Sapeva naturalmente delle case a luci rosse e alla proposta di farvi una visita, per prima cosa disse .""...però signori, lì si và spendere molte corone (molti soldi) Aggiunse poi che lì bisognava stare in guardia nel parlare , non toccare il terreno politico.
Fu deciso quindi di andarci in compagnia di Gossibow., ma all' ultimo istante mia moglie ebbe delle titubanze per cui rimandò la sua venuta a una prossima volta, dopo aver sentito quello che noi avremmo raccontato con una prima presa di conoscenza. Venne a farle compagnia, onde non rimanere sola in albergo, una signora di origine italiana, la Sniarkova, andata sposa nel 1944 ad un membro della Legione slovacca, inviata in Italia in appoggio ai tedeschi dal presidente slovacco Monsignor Tiso. Quello che vengo a raccontare è quindi uno stralcio dell' impressione che provai, assieme a Gossibow.
Dopo l' ingresso con portiere ed inchini del medesimo ed un addetto a cui volgere delle richieste ad esempio quella di prenotare una camera e depositare il documento di identità, che non era il caso nostro, si passava lungo un corridoio che dava accesso ad alcune mini stanze arredate, di ritrovo intimo, quindi si entrava in un' ampia sala con tavoli, sedie e poltrone e, sul lato di fondo, il palco per l' orchestra.
Prendemmo posto ad un tavolo. Già nella sala c' erano dei clienti e via via arrivarono numerose le donne , talune assieme a un uomo. Alcune si sedettero sulle poltrone poste attorno al tavolo vicino al nostro. Erano sorridenti e non mancò l' iniziativa, da parte di Gossibow che parlava slovacco, tedesco e russo, di avviare brevi conversazioni di circostanza. L' ingresso delle donne dava senz' altro motivo di attenzione per delle particolarità che memorizzai, quali un incedere ancheggiante di talune e le spiccate scollature di altre dai raffinati abiti da sera. Si tratta di sensazione che poi lievitava, dovuta al modo di quelle donne del porsi a sedere : quell' accomodarsi sulle poltrone tondeggianti dall' ancor fragrante odore di cuoio di lusso come appena sfoderate, mettendo in vista fuggenti spazi delle gambe oltre le ginocchia verso la profondità delle cosce...Piccoli segnali rivelatori che si trattava, in prevalenza, di donne "escort" o, definendole con altro termine, " Hostess Wing" , cioè accompagnatrici per uominì, venute a passare una serata d' elite e un' auspicabile notte di piacere. C' erano comunque anche evidenti coppie marito e moglie, la cui presenza mitigava il giudizio in assoluto del ritrovo quale luogo di sesso.
Raggiunta una certa entità di presenze l' orchestra ravvivò il suo repertorio creando un' atmosfera felice con momenti esaltanti, dando spazio ai Foxtrot, che a me piacevano molto perchè creavano sensualità ed a eccitanti polke slave.
Ci rendemmo conto, col passare delle ore che, i posti della sala occupati erano al completo ed i ciarlio ai tavoli, sebbene contenuto, era intenso. L' intreccio confidenziale tra donne ed uomini aveva preso sviluppo e notammo che, qualche donna. lasciava il tavolo e, simultaneamente, anche un uomo si alzava ed usciva, ovviamente per salire alla camera...
E' chiaro che sia io che Gossibow non potevamo restare degli inerti spettatori per cui facemmo dei balli, io con una tartara di Crimea e una cosacca di Alma Ata (Siberia). ed anche Gossibow si dette da fare. Al tavolo, nei momenti di sosta con le ospiti, consumammo delle specialità dolciarie agrodolci e bevemmo un prelibato vino ceco. Sia nel territorio ceco che in quello slovacco l' agricoltura vantava e vanta dei vini eccellenti. Parlando con la cosacca di vicende siberiane del passato, pur essendo giovane e quindi non avendo vissuto il periodo della controrivoluzione, sapeva tutto sull' ammiraglio Kolciak, noto protagonista guida della lotta dei bianchi contro i bolscevichi in Siberia, finita però nell' insuccesso.
Quando lasciammo il ritrovo era tardi . Gossibow aveva la sua autovettura per cui andò via per conto suo. Rientrai al Charlton attraversando Bratislava buia e silenziosa. Giorni dopo tornai, assieme a mia moglie, ad una delle case a luci rosse. per rivivere ancora quelle sensazioni mondane del mondo slavo comunista sovietico, diverso dall' occident

17 luglio 2020                                          CARNIER PIER ARRIGO



















mercoledì 15 luglio 2020



SNEZHANNA KRAVISOVA, tipica cosacca nell' atteggiamento, nata a VOLGOGRAD, oggi consistente città ed a suo tempo vecchia fortezza cosacca. SNEZHANNA, sposata vive oggi a MOSCA.
Commenti
Pier Arrigo Carnier
Le cosacche, io certamente le ricordo nei miei lontani anni giovani e ardenti : Navieska, Liuba, Tamara, Liudmilla, Sonja Cavaloj....Al brio esterno e, per talune, a un' aria di vaga piacevole malinconia che richiamava la steppa , faceva riscontro all'interno di sè stesse un qualcosa che rivelava forza quasi rammentando il simbolo della quercia... Se ne andarono quelle cosacche, comunque belle, in quelle notti nevose di inizio maggio 1945, al dilà delle montagne del Plockenpass avvolte nella nebbia ...Mi piace pensarle così, quasi ieratiche, ardenti e a volte fuggenti. provate dall' aver dormito sulle carrette, nei vagoni delle tradotte, spesso senza potersi lavare il volto. con addosso l' odore delle selle di cavallo, ma belle ugualmente, le cosacche che io ho conosciuto....!!" CARNIER PIER ARRIGO. Delegato ufficiale, per la storia, del XV Corpo di cavalleria cosacca del generale von Pannwitz che, nel 1943-1945, combattè nei Balcani.



L'immagine può contenere: 4 persone, persone in piedi, bambino e spazio all'aperto

giovedì 2 luglio 2020




Ieri alle ore 18:09 YouTube 
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IL GRANDE BAGNO DI SANGUE - LA TRAGEDIA DI BLEIBURG NEL SUD CARINZIA Maggio 1945 fine guerra.

Nel mio diario su FACEBOOK è inserito un Video documentale, con stralci probatori riferiti alla tragedia croata di cui parlo nella rievocazione che segue.
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Cari amici e cari miei lettori, di qualsiasi nazionalità voi siate, questo video contiene stralci, tracce, foto di morti, colonne in marcia, il tutto riferito alla tragedia di BLEIBURG del sud Carinzia, del maggio 1945 (Austria), dove l' esercito croato-ustascia, dopo una stressante ritirata dalla Croazia col seguito di una massa di civili, si arrese ai britannici i quali, altro non seppero fare, che consegnarlo assieme ai civili ai partigiani comunisti di Josip Broz Tito, convenuti opportunamente sul luogo. Disarmati, assieme ai civili del seguito, unitamente a due reggimenti di "cetnici" di Draha Mihailovic, i croati-ustascja furono incolonnati e scortati, con destinazione oltre la linea di confine austriaco. Giunti nell'' Oberkrein in Slovenia, nella foresta di Kocevje, in prossimità di voragini naturali la quasi totalità fu massacrata a raffiche e quindi infoibata. Il resto, con identico metodo, fu eliminato nei dintorni di Maribor. Ho il merito di avere rivelato giornalisticamente per primo, in Italia, questa spaventosa ecatombe, che poi trattai , come storico, nelle appendici del mio volume "Lo Sterminio Mancato"- Mursia-Milano, prima edizione 1982. Si tratta di decine e decine di migliaia di vittime. E' vicenda che mi fu dato di conoscere a fondo, nei suoi dettagli allucinanti. Sono stato amico del tribuno croato-ustascja Branko Jelic, stretto collaboratore del Poglavnik Ante Pavelic e mi trovavo annualmente col medesimo, oltre a degli incontri riservati, a Bleiburg alla commemorazione del tragico anniversario. Ho avuto inoltre cara amicizia con altri croati-ustascja, tra i quali don Vilim Cecelia, personalità eminente, colonnello ed a sua volta cappellano militare e confessore di Pavelic. Anche il Cecelia, proveniente da Salzburg dove risiedeva, prendeva parte alla commemorazione come celebrante la messa da requiem. Rammento che in uno degli incontri, dopo la cerimonia, per il rientro a Salzburg, salì sulla mia macchina fino alla stazione di Klagenfurt. Strada facendo, per suo desiderio, facemmo sosta lungo una valle, in una fattoria ed ebbimo modo di conversare. Di Bleiburg non posso dimenticare una croata del luogo, signora Kosmac, diretta testimone della tragica resa croata del maggio 1945, che aveva cura delle tombe di croati caduti nella circostanza e sepolti nel cimitero del luogo. A volte , dopo la cerimonia, ci si riuniva a Klagenfurt, all' Hotel Kasec. Con me c'era sempre mia moglie Wanda. Ritualmente prima dell' inizio del pranzo, facendosi il segno della croce, i croati intonavano in coro l' inno ""Lepa nasa domovina " ( Cara è la nostra Patria). Non nascondo che, questi ricordi, mi hanno commosso !!


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Meriterebbe spiegare dal punto di vista storico ed anche giuridico su chi ricadono le responsabilità del massacro dei croati - ustascja, se cioè sussistette una causale. Io stesso sono stato nell' Oberkrainer sloveno, ho messo piede e camminato in quei boschi nella zona delle voragini che fu luogo della massiccia esecuzione. Era una giornata umida e silenziosa, tale che potevi sentire lo sbatter d'ali di un uccello. Ma il silenzio mi parlava...

Attorno a questo immane massacro, così come su altri, l' opinione pubblica si perde solitamente nel generico anche e perchè non ci si spiega come si possa arrivare ad ammettere la possibilità di simile bagno di sangue. Ma le ragioni oscure ci sono. Quello che sto per dire non è che sia scritto da qualche parte. Sta di fatto che, la nascente Federativa iugoslava era consapevole di avere contro la reazione nazionalista conservatrice e non, i Krizari etc. sostenuta da forze esterne. Si impose quindi senza scrupoli la necessità di ripulire il terreno da ogni avversione, con un bagno di sangue dei perdenti. Fu questa l' inesorabile fredda logica dello staff comunista della resistenza iugoslava creato a Jaice, rafforzato dalla teoria stalinista in cui, Josip Broz Tito, si era formato. Andando oltre a questa questa fredda logica non posso non ricordare una frase che sempre mi resta in mente con certa amarezza, del poeta Andrè de Chenier, condannato alla ghigliottina nel 1794 che sembra legittimare ogni diritto del potere, cioè di chi vince : " Intinta nel sangue dei vinti, ogni spada è innocente".

1 luglio 2020 CARNIER PIER ARRIGO

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Dedico questa rievocazione di altissimo significato umano a imperitura memoria del martirio delle forze dell' esercito croato-ustascja', dei reggimenti cetnici, del novello esercito sloveno dei domobranci , arresisi ai vincitori alleati nel maggio 1945, e sacrificati da mano partigiano-comunista quale prezzo del proprio trionfo di vincenti sui perdenti. L' immane sacrificio sfavilla comunque nel ricordo con candore, come bianche luminose nuvole che solcano il cielo. Il massacro fu a lungo tenacemente nascosto. Alle interlocuzioni, in sede di Governo della Federativa iugoslava, si rispondeva che la menzionata massa di prigionieri era stata confinata in luoghi di rieducazione riservati, in Serbia.
Bisogna sapere ed aver conosciuto i fatti : molti erano giovani militanti le cui vite, sciupate con la cinica esecuzione, furono gettate in profonde foibe nei boschi di Kocevje, luogo dal profumo di muschi d' abete ma dal silenzio che parla di morte. In un' esplorazione, dopo decenni, nella profondità delle foibe comparvero cataste di scheletri, spettacolo da cui sorse e sorge inevitabile la domanda : ma Cristo dov' eri ??!!

1° luglio 2020 CARNIER PIER ARRIGO

COMMENTO

Ho preso atto che il post "IL GRANDE BAGNO DI SANGUE - LA TRAGEDIA DI BLEIBURG NEL SUD CARINZIA Maggio 1945 fine guerra" , dal numero dei lettori della statistica e dai messaggi di condivisione nonchè da telefonate, ha inevitabilmente suscitato interesse. Il video con gli stralci di immagini , colonne in ritirata, cadaveri ed altro e, soprattutto, la figura finale della giovane donna croata vagante in solitudine lungo la strada nella piana di Bleiburg nel cui volto, ormai senza più lacrime, si legge sofferenza e desolazione dolore e desolazione. Nella grande tragedia da me rievocata, di cui gli italiani sanno poco o quasi nulla, perchè la politica in atto sembra insistere e far conoscere le sole storie della resistenza....ma chiude il sipario ad una conoscenza più ampia e fondamentalmente formativa. Gli alleati anglo americani hanno la loro parte di colpa, stante il loro responsabile ruolo guida assieme a Stalin nelle decisioni primarie e regolamento di confini di fine guerra, nell' essersi abilmente lavati le mani passando il compito agli slavi di Josip Broz Tito, di gestire il destino degli eserciti vinti, croato e sloveno ivi inclusi buona parte dei cetnici.
CARNIER PIER ARRIGO