Mi riferisco a un bosco detto "" Chianeschchias", posto su un altopiano sopra il mio paese, in Carnia. Lo percorreva una mulattiera che si staccava dalla strada maestra di fondovalle e aveva inizio di fianco alla mia casa. Saliva quindi su un altopiano di prati, campi e stalli e, percorrendo il lato nord di un grande bosco passava poi accanto a un casolare dal nome tedesco, detto Tauz abitato da contadini, quindi continuava sul monte.
Percorsi infinite volte quella mulattiera e, più volte, volli spingermi all' interno del bosco dal nome detto "" Chianeschchias"", etimologicamente indecifrabile, un bosco vasto dove a lungo la proprietà non faceva dei tagli di piante, il che significava che non aveva bisogno di denaro.
Si trattava di bosco di conifere, della specie abete rosso, con talune piante altissime che, per vederne le cime, dovevi alzare la testa e sembrava raggiungessero il cielo. Guardato da distanza il bosco era cupo, di un verde imponente. Talune piante evidenziavano dei fusti consistenti nel diametro di base e mi sarebbe piaciuto avere con me il misuratore metallico, in carnico detto "cavalet", per soddisfare la mia curiosità di verifica. Merita precisare che, ai tempi cui mi riferisco, il legname di abete rosso era oro. Erano piante dalla corteccia morbida non rugosa, il che dipendeva dalla qualità del terreno. Il clima interno del bosco era mite ed odorava di muschio e di aghifoglie in frollimento, che veniva dal mantello di superficie del suolo. All' interno regnava un' ombra dal tepore amico, direi lievemente dolce. Girando lo sguardo tra il fitto dei tronchi avvertivo l' esterno luminoso che fasciava il bosco di luce ed era altra cosa, due cose diverse e il percepire questa diversità rivelava un senso di classificazione che aveva ragioni filosofiche. Rammento che, all' improvviso, provavo la sensazione di non essere solo e che una voce, quella del bosco, mi parlasse ed io percepissi il senso delle parole, ma non la voce. Il bosco parlava col silenzio. Mi rendevo conto che ero entrato coi sensi nel mondo metafisico, sentivo l' avvenuto sdoppiamento del pensiero e provavo uno stato immateriale dell' essere. Accusai l' evidenza che, il bosco, aveva un' anima.
Percorrendo la mulattiera che seguiva il lato superiore del bosco, circa a metà aprile inizi di maggio, anche a distanza si avvertiva un piacevole profumo che, col fresco del mattino assumeva un tono vivo e carezzevole. Si trattava del profumo del"Mezereo" fiore arboreo colore lilla, ovviamente di vegetazione spontanea, cresciuto fra il cespugliame. Percorrendo la mulattiera per raggiungere il casolare Tauz mi capitò, una volta, di notare in uno spazio dal lato superiore alla stessa, dei tronchi raggruppati per cui mi resi conto che, dopo lungo tempo, vi era stato un taglio eccezionale di piante. Già da anni, a quel tempo, svolgevo attività di amministrativo in una azienda industriale di utilizzazioni boschive. Avevo quindi contatto coi boscaioli carnici anche in funzione di miei sopralluoghi nelle zone di lavoro per cui avevo acquisito dimestichezza sull' abbattimento e sezionamento delle piante. Mi soffermai pertanto a guardare quei tronchi. Notai che la finitura delle testate ed il taglio dei rami era stata eseguita con cura, con l' accetta bene affilata e da mani esperte, il che mi piacque. Erano tempi in cui si viveva di piccole cose. Sempre a quei tempi, anni 1940-1960, la Carnia disponeva di maestranze eccezionali nel il settore boschivo. Come già detto ebbi dei rapporti coi boscaioli in sede operativa, raggiungendoli nei boschi, anche perchè, quindicinalmente, consegnavo loro la busta paga. Mi sedevo con gli stessi in mezzo ai boschi, a parlare e discutere su eventuali problemi. A mezzogiorno talvolta facevo colazione coi medesimi mangiando polenta, formaggio e lardo. In quanto alla polenta mi piace ricordare che era fatta di una di farina color giallo grigio di un tipo di grano, la cui semente , si diceva che in tempi lontani era stata portata in Carnia da emigranti, al loro rientro dall' America. Oppure la polenta veniva fatta di farina di granturco del Friuli, detta di Mortegliano ( blave di Mortean ), ed il gradito profumo nell'un caso o nell' altro, a cottura eseguita in un grosso paiolo su fuoco di ramaglie, si espandeva nel bosco e lo l' avvertivi a distanza.
Nel corso di grandi utilizzazioni boschive dell' azienda ricordo di aver preso conoscenza di molti boschi importanti, tra i quali il "Bandito" nell' alta val Gorto, il "Digola" in comune di Sappada, territorio cadorino, di vari boschi della val Visdende (Comelico) dalla nota pregevole qualità dell' abete rosso. Conobbi poi, nell' alta val Pesarina, i boschi detti di "Lavardet" e il "Palabuina". L' operazione di utilizzazione boschiva, sul piano operativo dei boscaioli, aveva le seguenti fasi delle quali cito la corrispondente dizione nell' idioma ladino-carnico : 1) abbattimento delle piante cioè " trai in frata" oppure "frataa " ; 2) sezionamento in tronchi con taglio dei rami, vale a dire " sezionaa" ; il concentramento dei tronchi a porto di carico su carri o automezzi, cioè " bignatura" oppure "bignaa" se riferito a zone agevoli eventualmente su terreno declinante agevole per lo slittamento dei tronchi, detto invece "paissaa", se riferito a zone accidentate, dove l' opera di concentramento veniva fatta mediante traino con cavallo, dotato di adeguata bardatura per il trascinamento di uno, due tronchi per volta. No so se, da qualcuno la vita del boscaiolo sia stata descritta, ma meriterebbe di farlo, per rendere note le fatiche del passato, oggi alleviate quasi annullate dal meraviglioso modernismo di strumenti specificatamente creati a tale scopo.