RAPPRESAGLIA TEDESCA SU AVASINIS (Italia) E STRALCI DI STORIA DELLA "FREIWILLIGEN EINHEIT" SPAGNOLA.
31 agosto 2013 alle ore 15.37
COMUNICATO AD AMIICI, SIMPATIZZANTI ED INTERESSATI A VICENDE STORICHE
IN
PARTICOLARE SEGNALO IL SEGUENTE SCRITTO ALL'ATTENZIONE DEL SITO
"OSTFRONT AZUL"
RAPPRESAGLIA TEDESCA SU AVASINIS (Italia), 2 maggio 1945 E STRALCI DI STORIA SULLA
“
FREIWILLIGHEN EINHEIT”, UNITA’ CHE FU PRESENTE NELL’ “ADRIATISCHES
KÜSTENLAND” FORMATA DA SPAGNOLI EX APPARTENENTI ALLA BLAUEN DIVISION
ED AZUL LEGION,
(Prima puntata - Pubblicata dal Gazzettino di Venezia il 14 novembre 2005)
Vi
sono novità sulla rappresaglia di Avasinis che avrei potuto riferire da
tempo, ma la storia è lenta e ha bisogno di certezze. In pratica è ora
assodato che su Ospedaletto, villaggio a nord di Udine, vennero
concentrate, circa verso la metà di aprile 1945, varie unità Waffen SS.,
Schützen, Gebirgsjäger e reparti minori onde creare una base di pronto
intervento nel caso di attacchi partigiani sulla nazionale
Udine-Tarvisio a protezione dell’imminente defluire della ritirata
proveniente dal Veneto e dal fronte Sud/West (Italia) più esattamente
dalle ultime posizioni della linea di difesa sul fiume Po.
Erich
Kühbandner ufficiale della Karstjäger, promosso a Sturmbannfuehrer SS.
sul campo, a Moggio Udinese, nei primi giorni di maggio 1945 dal
Brigadenfuehrer Heinz Harmel subalterno del SS. Gruppenfuehrer Globocnik
comandante del fronte Val Canale/Tirolo, mi riferì, nel dopoguerra, sul
clima e sugli avvenimenti di quei giorni. Si percepivano, secondo
quanto ricordava, le tensioni del divenire che stava per rivelarsi di
minuto in minuto, ma c’era pure ancora una forte speranza per chi aveva
combattuto con fedeltà per il Terzo Reich. Anch’egli era stato comandato
con un battaglione di Karstjäger, come altri ufficiali con le
rispettive forze della stessa brigata a protezione della ritirata. Venne
quindi a trovarsi proprio ad Ospedaletto e fu a quell’ altezza che,
sulla nazionale, dei partigiani che poi furono visti allontanarsi in
direzione di Avasinis, con degli attacchi sporadici causarono diversi
morti nelle colonne in ritirata. Di conseguenza, nel pomeriggio del
1°maggio 1945, alcune forze di protezione, come misura di sicurezza e
con funzione punitiva mediante rappresaglia, motivata dalle vittime,
vennero spostate da Ospedaletto verso Avasinis e si appostarono nei dintorni su un promontorio piazzando delle mitragliatrici.
Fu nel mattino del 2 maggio che tali forze, dopo aver tenuto sotto controllo il villaggio, lo occuparono e vi effettuarono la rappresaglia. Presero parte all'azione forze della Karstjager assieme a parte di un battaglione di complemento della 7 SS. Gebirgs Division Prinz Eugen, stazionato a Gradisca d'Isonzo e in parte nel Castello di Duino, in quest’ ultimo caso quale componente della Scuola
antiguerriglia ivi costituita con funzioni di addestramento. Il
battaglione, negli ultimi tempi, era stato affiancato per non dire
inglobato, nelle azioni antiguerriglia, alla Karstjäger Brigade.
Nel
dopoguerra, assieme a mia moglie Wanda, fui ospite di Kühbandner in
Germania, nella sua casa accogliente con sauna e ogni comodità. Era
imparentato quale cognato con l’allora ministro dell’economia Strauss,
uno degli uomini politici allora più autorevoli della Germania e
svolgeva, con ottimi profitti, attività di rappresentanza. Fu spesso in
Italia. Tornò anche a Tolmezzo, dove aveva avuto un’amante donna che mi
fu dato di conoscere bene.
A prescindere da ciò ho riascoltato di recente delle
mie preziose registrazioni fatte ad Avasinis sulla rappresaglia del 2
maggio 195, oltre trent’anni fa. Diverse donne ed uomini, testimoni
della rappresaglia, raccontano ciascuno la propria storia fatta di
particolari. Bisogna riascoltarle, quelle registrazioni, mentre il
nastro si svolge lentamente. E allora ti rendi conto che le
testimonianze sono precise e sincere rese nell’idioma friulano del
luogo. Si tratta o diciamo si trattava di gente che aveva avuto delle
vittime, sofferto, pianto disperatamente, provato paure: donne che al
tempo della rappresaglia avevano 10 anni, oppure 15,16. Nelle
testimonianze esse ricordano che i tedeschi camminavano per le viuzze
lastricate del paese con pesante rumore di passi, in quanto calzavano
scarponi da montagna e non quindi gli stivali. Si trattava appunto di
truppe alpine, e cioè di Karstjäger, Prinz Eugen ed altri su cui vengo a
riferire nel prosieguo.
Le testimonianze sono di Anita Del
Fabbro, classe 1935, Rina Da Mora, Anna Di Doi, Maria Rodaro… e di
qualche uomo. Una di esse ricorda :
“ Ci avevano
ammassate in una stanza a pian terreno, nella quale avevano oscurato le
finestre con delle coperte, una specie di carcere. Eravamo qualche
decina con alcuni uomini. Dei tedeschi ci davano della cioccolata e
altro per tenerci buone, mentre altri, quelli che avevano ucciso e
continuavano ad uccidere, giravano per il paese e si sentivano spari,
grida e pianti. Anch’io gridavo, volevo raggiungere la mia casa per
vedere di mia madre. Un giovane tedesco, vero tedesco, disse che mi
avrebbe accompagnata e quindi lo seguii. Era garbato. Mi confidò che
la sua famiglia, in Germania, era stata distrutta dai bombardamenti.
Quando fummo vicini alla casa lui volle precedermi per cui aperse la
porta della cucina e poi la chiuse velocemente, dicendomi che lì non
c’era, ma invece l’aveva vista, stesa morta per terra, ma volle evitarmi
lo strazio. Andiamo di sopra” , aggiunse. “Quindi salimmo ma nemmeno di
sopra mia madre c’era. Tornammo nella casa dove ci tenevano raggruppati
sotto controllo. Io però non avevo pace e insistevo che volevo trovare
mia madre. Un altro giovane tedesco, anche quello vero tedesco, mi prese
sottobraccio e tornammo giù. Aperse la porta della cucina e vidi mia
madre morta, per terra, crivellata di colpi. Cominciai a urlare con
tutta la mia energia ( mi soi metuda a begheraa…!) Dalla casa vicina
uscirono dei soldati e vennero verso di noi ma il giovane tedesco,
urlando col fucile in mano, li allontanò dicendo :” Fertig Kaputt”
(finito uccidere). Era sera “.
Ma c’è dell’altro e questa è
la novità. Una donna di Avasinis, proprio nei giorni che raccolsi le
testimonianze, si tratta credo di Maria Rodaro o di altra testimone, una
donna comunque energica, mi disse che i militari della rappresaglia con
cui lei, pur nella tragicità del momento, ebbe a conversare, parlavano
tedesco, boemo, croato friulano ed anche spagnolo.
“Ma come, che dice “- esclamai – “
Parlavano spagnolo ?”- “ Si, le assicuro che parlavano spagnolo e io ne sono testimone “
Rimasi incredulo e lasciai perdere, sbagliando.
Gli
spagnoli, invece, c’erano veramente. Me lo confermò Kühbandner in
Germania. Lui li ebbe proprio sotto il suo comando nell’”Adriatisches
Küstenland” ed al riguardo mi riferì diversi particolari.
Ma chi
erano questi spagnoli ? Erano parte di circa un migliaio di elementi ex
appartenenti a due unità spagnole impiegate sul fronte orientale e
fatte poi rientrare in Spagna, dal generalissimo Franco, per opportunità
politiche : la Blauen Division che fu ritirata dal fronte nel novembre
1943 e la Legion Azul che fu richiamata nel febbraio-aprile1944. I
restanti dell’entità accennata, che rifiutarono il rimpatrio in quanto
fedelissimi all’ideale della Nuova Europa ideata dai nazionalsocialisti,
mentre la Freiwilligen Einheit, fu destinata nel Litorale Adriatico,
formarono tre compagnie di Waffen SS. ed ebbero varie destinazioni.
Altri ancora fecero parte della SS. Jagdverband Sud-Ovest di Skorzeny,
della 1° Compagnia della Division Vallonie di Leon Degrelle, del
battaglione Azquerra che lottò per la difesa di Berlino, della division
Brandenburg e di una piccola unità, comandata da Martinez Alberich che
operò nei dintorni del Brennero.
La Freiwilligen Einheit, giunta
in Italia, risultò sottoposta al comando
dell’Untersturmfuehrer(Sottotenente) Josè Ortiz Fernandez, già
falangista della “Delegacion Nacional de Sindacatos” de Madrid.
Inizialmente
gli spagnoli furono acquartierati a Tolmezzo ed una parte spostata poi a
San Giorgio di Nogaro. Secondo una memoria di appunti in spagnolo di
uno di loro “
… en Tolmezzo nos riorganizamos come podimos.
Tolmezzo era una torre di Babel. Habia croatos, espanoles, hungaros,
italianos, rusos blancos, menos alemanes de verdad”.
Come
accennato in narrativa la Freiwilligen Einheit passò in forza alla
Karstjäger, fu sottoposta agli ordini di Kühbandner e partecipò a varie
azioni antipartigiane, una delle quali sul monte San Vito, dove alcuni
spagnoli caddero e fra questi Anton Chistu Vallejo.
A fine storico
ebbi vari altri rapporti con degli ex Karstjäger in Austria, Alto
Adige, Germania e con taluni che erano emigrati. Contattai ed incontrai
in Germania l’ex SS. Sturmbannfuehrer Josef Berschneider
nazionalsocialista della prima ora, che fu tra i fondatori del
battaglione Karstwehr, dapprima comandante di compagnia e poi, per un
periodo, comandante della stessa divisione prima che questa venisse
riformata in brigata. Berschneider ebbe una parte rilevante nell’attacco
alla guarnigione italiana di Tarvisio di cui ottenne la resa. Egli mi
dette conferma su quanto riferitomi da Kühbandner circa la presenza di
forze Karstjäger, integrate da forze del battaglione di complemento
Waffen SS, Prinz Eugen e dalla Freiwillign Einheit spagnola sulla
nazionale Udine-Tarvisio e su quanto ivi accadde nonchè sugli eventi
relativi al successivo posizionamento in Val Canale e in Austria fino al
momento della resa.
La presenza degli spagnoli a copertura
della ritirata è comunque provata anche da un’affermazione contenuta
nella memoria di appunti già richiamata
:” ...La compagnia di Josè
Ortiz tiene come obiectivo cubrir la ritirada de la fuerzas de la
Wehrmachte de la Waffen SS. que retroceden da Italia en direcciòn a
Austria “.
La compagnia svolse il
compito di protezione fino a Pontebba in val Canale. Qui itedeschi
proponevano che tutte le forze in ritirata dovessero raggiungere i
Carpazi a fine di contendere l’avanzata dei sovietici. Josè Ortiz
assieme ai suoi uomini decise però di non proseguire, essendo evidente
che ormai la fine della guerra era imminente ed era quindi doveroso
pensare a come risolvere il proprio rientro in patria.
* * *
(Seconda puntata - Pubblicata dal Gazzettino di Venezia il 21 novembre 2005, aggiornata con qualche recente perfezionamento)
Quali
possano essere state le effettive responsabilità degli spagnoli nella
rappresaglia di Avasinis, che costò 51 vittime civile e 25 feriti, e’
difficile dirlo. Essi comunque fecero parte della forza che fu comandata
su Avasinis, ma l’effettiva azione esecutiva, secondo quanto potei
dedurre dalle testimonianze dei superstiti e da altri indizi, in quanto
ad uccisioni, sarebbe stata condotta da un ristretto numero di
elementi preventivamente designati : tedeschi ed austriaci per cui la
presenza spagnola assumerebbe veste formale.
Tornando alla
rappresaglia i non addetti al compito di uccidere e adibiti comunque a
vigilare, tra cui molti erano giovani, sempre secondo le testimonianze
dei superstiti di Avasinis, offrivano conforto ai congiunti straziati
dal dolore, considerando comunque le persone uccise un prezzo da pagare,
una normale azione punitiva in base alle allora vigenti norme di
guerra, eseguita però sconfinando nel crimine. Le vittime infatti non
furono allineate per l’esecuzione né furono elencati i loro nomi ma
vennero scelte lì per lì, con decisione sommaria individuale autocrata
degli addetti. Fra le vittime sette risultarono ragazzi e bambini.
In
quanto al responsabile dell’ordine di rappresaglia, in un incontro a
Velden in Carinzia nel dopoguerra al quale fui invitato, l’ex generale
Heinz Harmel comandante delle forze in subordine a Globocnik mi
dichiarò, rispondendo a domanda, presenti diversi ex ufficiali
Karstjäger, che l’ unità Karstjäger era del tutto autonoma in ogni sua
decisione nei compiti della lotta antipartigiana. Al momento della
ritirata ne era comandante l’SS. Obersturmbannfuehrer Wagner, successo
al SS. Sturmbannfuehrer Werner Hahn.
Le forze comandate su
Avasinis, dopo l’azione di rappresaglia, si ritirarono in Austria
puntando su Tolmezzo e poi su Paularo dove sostarono per rifocillarsi
quindi, utilizzarono mulattiere e sentieri conosciuti su quelle montagne
nel corso di varie azioni antiguerriglia e, superato il confine,
furono in Austria. Altre forze, comandate di protezione a nord di
Udine, imboccarono in ritirata la Val Canale e, giunte a Pontebba
raggiunsero l'Austria superando il passo Nassfeld (Pramollo). Pioveva,
faceva freddo e le montagne erano fasciate di nebbia. Fu a Pontebba
che gli spagnoli sostarono, decisi a non proseguire, riunendosi ai
restanti della compagnia che, lasciato Ospedaletto, avevano imboccato
la nazionale. Talune forze confluite a Pontebba lungo la nazionale, si
trattava di Karstjäger, Prinz Eugen, Gebirgsjäger, Schützen e
flottiglie minori raggiunsero poi Villach, dove erano state approntate
posizioni di resistenza, nel mentre altre forze consistenti provenienti
dal fronte Sud-West(Italia) e più precisamente dalle ultime posizioni
sul Po e sull'Adige , si spinsero oltre. Dopo di che intervenne il
crollo.
Frattanto nei giorni successivi il 2 maggio sette sbandati
che pare indossassero in parte l’uniforme delle Waffen SS. e in parte
quella Repubblica Sociale Italiana, benché non vi fosse alcuna certezza
che avessero preso parte alla rappresaglia, vennero uccisi bestialmente
per ritorsione dalla popolazione di Avasinis, con forche e randelli, in
un clima di furibonda eccitazione. Altri undici sbandati tedeschi,
rastrellati dai partigiani oltre venticinque chilometri a sud di
Avasinis, in una zona deserta tra Pinzano e Valeriano, come da
dettagliata descrizione resa nel mio volume “Lo Sterminio Mancato”
finirono per essere portati ad Avasinis e qui, nonostante la loro
estraneità all’azione di rappresaglia, vennero fucilati lungo il
torrente Leale, in località posta verso la confluenza del medesimo nel
fiume Tagliamento. Seguirono varie altre esecuzioni, singole o di due
tre elementi, senza alcuna prova di colpevolezza.
Non sono
veritiere e quindi false le circostanze riferite, a partire da un certo
momento nel dopoguerra, secondo una fantasiosa trovata di comodo per
sovvertire come sempre la verità, intese a giustificare delle
esecuzioni compiute a punizione della rappresaglia, adducendo che per
una di esse si trattava di elementi rastrellati dai partigiani dopo
l’azione sulle alture dei dintorni dove gli stessi, gettate le
uniformi, avrebbero indossato degli abiti civili ritenuti rubati nel
villaggio in quanto sarebbero stati da taluno riconosciuti come tali. Si
tratta di una versione che non sta in piedi, utilizzata poi anche in
un filmato locale, per incantare gli ignari. Non è credibile che degli
elementi comandati nell'azione possano aver scelto di restare
rischiosamente nei dintorni del luogo dove la stessa ebbe esecuzione,
addirittura indossando abiti rubati nelle case. Risulta, invece, che i
componenti dell'azione si rimisero in marcia il giorno il 3 maggio
lasciando Avasinis e , in base ad accurati accertamenti, raggiunsero, in
in vari modi, l'Austria. Capitolo a parte il centinaio di prigionieri
cosacchi arresisi diversi giorni prima ad Avasinis per intercessione del
parroco in nome dei bravi partigiani, con la promessa che sarebbero
stati rispettati e consegnati agli americani sottraendoli al timore di
venire consegnati all'URSS. Fra gli stessi c’erano diverse donne, talune
giovani e bambini, addirittura uno in fasce.Vennero invece uccisi in
massa a raffiche di mitra sulle montagne sovrastanti Avasinis, da
partigiani associati dell’Osoppo e Garibaldi, come riferito
dettagliatamente nel già citato mio volume “ Lo Sterminio Mancato”. I
corpi delle povere vittime, dopo un tentativo maldestro di bruciarli
con del carburante, furono vilmente abbandonati sul luogo in sacrilego
vilipendio delle più elementari norme di civiltà, senza sepoltura. Si
tratta di un’incancellabile vergogna che adombra la memoria
partigiana...
Vi sono, comunque, altre vicende da
evidenziare relative al teatro d’azione Ospedaletto-Gemona-Avasinis
relativamente a quei giorni di fine guerra, già da me pubblicate
(Gazzettino di Venezia del 1 e 2 agosto 2003), di cui taluna merita
di essere qui richiamata. E’ il caso, ad esempio, di nove tedeschi delle
forze di protezione lungo la nazionale, rimasti indietro per vigilare
su un punto nevralgico del deflusso della ritirata : furono bloccati a
località “
Gleseute” da un gruppo di partigiani
dell’Osoppo mentre si dirigevano da Ospedaletto a Gemona,
presumibilmente per arrendersi agli alleati ormai segnalati in arrivo.
Il capo partigiano osovano, certo M., intimò loro la resa ma questi si
rifiutarono e chiesero, richiamandosi alle norme internazionali, di
arrendersi a un esercito regolare e quindi di venire condotti, sotto
scorta armata, a un comando alleato. Il capo osovano, adducendo di
ritenerli responsabili dell’uccisione di un civile in una certa
località, che fu trovato strangolato, fatto che i nove tedeschi
respinsero sdegnosamente dimostrando che la località dove essi si
trovavano durante il deflusso della ritirata, a scopo di protezione, non
coincideva assolutamente con tale accusa, decise sbrigativamente di
fucilarli, quindi ordinò ai suoi subalterni di aprire il fuoco. I nove
tedeschi caddero indifesi ancora col fucile in spalla e il loro capo
con la pistola nella fondina in atteggiamento del tutto inoffensivo.
Furono sepolti in una fossa comune. Alla loro riesumazione, nel maggio
1957, per essere inumati nel grande cimitero militare tedesco di
Costernano sul Garda, in base a un documento di fonte tedesca in mio
possesso, risultò che sui resti fu riscontrata la mancanza dei
rispettivi piastrini di riconoscimento. Si tratta di un’azione di
strage imprescrittibile che comportava legittimamente, anche per la
sottrazione dei piastrini, di essere perseguita giudiziariamente...
Passo
ora alla vicenda degli spagnoli che va completata. Da testimonianze
raccolte risulta che, nel corso della loro permanenza nel Litorale, essi
manifestassero grande simpatia per il fascismo per l'affinità con le
teorie falangiste che riflettevano i principi di rinnovamento della
Nuova Europa per la quale essi avevano combattuto assieme a varie unità
di volontari che avevano formato le varie divisioni Waffen SS. ed unità
minori. Credevano fermamente in quell’ideale che aveva affascinato il
grande poeta americano Ezra Pound, il quale riteneva che l’ala sinistra
del fascismo fosse la concezione vitale peril rinnovamento dell’Europa,
come scrisse in un suo prezioso opuscolo che mi fu regalato con dedica e
che conservo preziosamente, Riccardo M. Degli Uberti, consulente
letterario della nota casa editrice Sansoni e la cui famiglia ebbe
stretti rapporti col grande poeta…
A Pontebba la compagnia
spagnola, circa duecento uomini, dopo aver deciso di non proseguire
verso un’ultima difesa tedesca, evidentemente ritenuta inutile, onde
evitare il rischio di cadere in mano ai partigiani di Tito, che stavano
infiltrandosi verso occidente, per cercare la propria salvezza si
frazionò. Una sessantina della stessa si spinse verso Latisana e poi
puntò su Trieste con l’obbiettivo di trovare una possibilità di imbarco
per la Spagna. Prima di entrare nella città si videro costretti a
procurarsi degli abiti civili che riuscì loro di rubare, quindi
gettarono le loro uniformi dai fregi tedeschi, ma furono ugualmente
notati, riconosciuti e quindi arrestati e incarcerati. Un commissario
partigiano, che aveva combattuto nelle brigate internazionali in Spagna,
li insultò e sentenziò la loro condanna a morte. Per miracolo
l’esecuzione venne, poi, annullata. Altri componenti la compagnia
caddero ugualmente in mano partigiana e subirono varie carcerazioni per
poi venire destinati in campi di raccolta, a Rimini, vicino a Padova e
ad Afragolaa nord di Napoli. Altri ancora sulla strada per Padova
trovarono un convoglio di rimpatriati italiani al quale si unirono.
Raggiunsero Milano e qui presero contatti col consolato spagnolo. Furono
alloggiati all’Hotel Espana. Vi furono comunque varie peripezie, ma
infine il rimpatrio degli uomini della compagnia di Josè Ortiz fu
raggiunto.
In quanto alla Karstjäger, nella sua formazione
iniziale, non fu adibita alla custodia di un lager come qualcuno ebbe a
sostenere. La stessa nacque con elementi volontari qualificati
provenienti da varie unità, a Pottenstein nell’Oberfranken, come unità
destinata a ricerche per lo studio delle cavità carsiche od anche per
essere paracadutata nel Caucaso dietro le linee nemiche. Ricevette una
formazione per la “lotta individuale” e la
“ lotta
ravvicinata” per cui il vero impiego era la guerra di bande nei
territori carsici e dietro le linee nemiche per cui Pottenstein era
stata scelta, appunto, come zona carsica utile per la preparazione, data
la presenza di voragini.
In un suo rapporto Erich Kühbandner mi
riferì l’atroce fine che i partigiani slavi riservavano ai Karstjäger e
comunque ai tedeschi, che cadevano nelle loro mani, con torture
irriferibili e bestiali.
L’unità ebbe un peso determinante nella
lotta di repressione antipartigiana nell’intero territorio
dell’Adriatisches Küstenland. Le ultime tre compagnie, costituite ad
Ugovizza con sudtirolesi, non arrivarono però concretamente ad operare.
Kühbandner
morì nell’ottobre del 1991 per un male incurabile. Era nato nel 1921.
Nel 1939 entrò volontario nel reggimento SS. Deutschland di cui portava
orgoglioso la fascetta sulla manica sinistra all'inizio
dell’avambraccio. Partecipò a tutte le campagne e in Polonia prese parte
all’assalto della fortezza Modlin. Fu paracadutato a Rotterdam. Fu in
Belgio, Francia e pure a Dunkirchen. Divenne tenente a 19 anni e fu
quindi impiegato al fronte, in Ungheria, Jugoslavia, Grecia, Russia.
Entrò infine a far parte del Karstwehr Bataillon che poi divenne
Karstjäger Bataillon. Fu ferito quattro volte e decorato. Fu infine tra i
quattro Karstjäger che Hitler, nel suo quartier generale, decorò
personalmente con la “ Goldener Bandenkamf Abzeichen” quale ricompensa
al valore per cento giorni di lotta ravvicinata contro le bande.
31 agosto 2013
PIER ARRIGO CARNIER
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