CRONACA PARTICOLAREGGIATA DI LONTANE
VICENDE DI GUERRA: OTTOBRE 1944,
TEDESCHI E COSACCHI NEL MIO PAESE.
La recente rievocazione
legata al commissario partigiano Guerra (Foschiani Mario) diffusa nelle
mie puntate del 5,11,17, 22, 25 ottobre,
ha rimosso in me lontani ricordi
dell’epoca partigiana quale testimone del tempo oltre che collaboratore a
fianco di uno dei membri di rilievo del C.L.N.( Comitato di Liberazione Nazionale)
Val Gorto, come precisai in altre circostanze. Vissi pertanto quel clima teso d' attese e di paure nell’ imminenza e durante i rastrellamenti
tedeschi nonché le improvvise notizie di accadimenti
incresciosi. Ed ecco la cronaca di qualche ricordo. Nella prima
quindicina dell’ottobre 1944 per sfuggire ad un rastrellamento che precedette l’arrivo dei cosacchi, con mio fratello Alcide ed un compaesano
detto “Bibi” (Luciano Biasotti) cercammo, come altri, rifugio in montagna.
Appena fuori dal paese incrociammo una formazione partigiana della Garibaldi di
una trentina di elementi che, in ritirata dalla valle del But, si dirigevano
nella val Pesarina. Nella maggioranza erano armati della pistola mitragliatrice
sten e taluni di mitra.
Con alcune ore di cammino ci
portammo sulle pendici del monte Crostis, nei pressi della malga Naval,
sistemandoci in uno stallo detto “Stalon”. Avevamo scorta di viveri e da quel
luogo, altitudine circa 1800
metri , muniti di un prezioso cannocchiale Zeiss,
potevamo controllare il fondovalle e il nostro stesso paese Comeglians. C’era
in noi tensione e tuttavia ci pareva di essere al sicuro, ma era solo un'
illusione perchè al sicuro non eravamo affatto in quanto i tedeschi battevano anche le montagne e in
quel luogo (lo “Stalon” lo si vedeva dal fondovalle) sarebbero potuti arrivare
e, ritenendoci partigiani, ci avrebbero fucilati o quantomeno deportati. Da
lassù notammo l’arrivo dei tedeschi e degli stessi cosacchi (Nota n. 1).
Dopo alcuni giorni, decidemmo tuttavia di tornare in paese per renderci conto di ciò succedeva
laggiù anche perché stavamo esaurendo i viveri
di scorta. Scendendo dalla montagna lungo scorciatoie scorgemmo chiazze
di funghi commestibili che, in parte, raccogliemmo e mettemmo separati da un
divisorio nei nostri zaini. Raggiunto il fondovalle passammo per Valpicetto,
paese in comune di Rigolato dove notammo
del fumo che si alzava dai ruderi di uno stallo ormai distrutto da un incendio.
Fummo informati da un casuale valligiano che, una colonna tedesca avendo sorpreso nello stallo tre partigiani,
che in seguito sapemmo erano del paese di Illegio, li fucilarono assieme a un anziano casaro di malghe che si trovava
sul luogo, proprietario dello stallo che poi incendiarono. I quattro morti, in
seguito all’incendio, furono trovati mezzi carbonizzati. Tale notizia ci turbò
per cui proseguimmo con una certa apprensione ed imboccammo una mulattiera che correva fra i
boschi di fondovalle sulla sinistra del fiume. Arrivammo nel paese di Mieli.
che ormai calavano le prime ombre della sera. Superata l’ultima casa sentimmo
alle spalle una voce che ci gridò:”Alt, Alt “.
Ci fermammo sbigottiti e
notammo due tedeschi che venivano verso
di noi. Uno dei due era giovane
l’altro più anziano.Vestivano l’uniforme delle truppe Waffen SS. da montagna
con la stella alpina sul lato sinistro del berretto alla finlandese ed
impugnavano il Mauser. ”Documenta”, ci dissero da vicino. Porgemmo quindi, senza profferire parola, il
documento di identità assieme a un tesserino che attestava l’impegno di
ciascuno di noi, con nome e cognome, nel lavoro per la produzione bellica
nell’interesse della Germania. All’azienda industriale dove io, allora studente, comunque lavoravo, li aveva rilasciati per disposizione dell’autorità
tedesca (Der Deutsche Berater =Prefetto) che aveva sovranità sul territorio, un comando croato-ustascia
sottoposto ai tedeschi. insediato a Bad Lusnizz in comune di Malborghetto nella val Canale, dove
l’azienda aveva un noto stabilimento. A “Bibi”, studente che non lavorava , il
tesserino glielo avevo procurato io, regolarmente a lui intestato, mentre mio
fratello dipendente da un’altra azienda, lo aveva per conto suo. Credetemi mi piace ricordare
minuziosamente queste cose riferite a quegli anni vissuti con tante emozioni. I due tedeschi esaminarono
minuziosamente i documenti ed il più giovane dei due, rivolgendosi a mio fratello,
gli fece osservare che la statura indicata nella carta di identità, metri 1,75,
non era esatta perché a lui sembrava che fosse un po’ più basso. Ci parve, ed ebbimo paura,
che volessero trattenere mio fratello, ma dopo momenti di esitazione il dubbio
fu superato e i due tedeschi ci restituirono i documenti e ci lasciarono
andare.
I tedeschi sospettavano di
tutto temendo che, sotto false spoglie, si nascondesse un partigiano. Il
soldato tedesco vedeva nel partigiano un fuori legge che, nascosto in un
qualsiasi angolo, poteva sparare ed uccidere e poi dileguarsi. Il partigiano rappresentava per il tedesco un’ostilità insidiosa sfuggente le norme di guerra, in quanto privo dei segni di
regolare identificazione, diverso cioè dal nemico che indossava un’uniforme.
Ci riavviammo verso casa che
distava ancora alcuni chilometri. Strada facendo incontrammo dei
valligiani provenienti da Comeglians,
diretti ai paesi di Noiaretto, Frassenetto e Tualis, a cui chiedemmo notizie.
Ci dissero che in vari luoghi vi era stata qualche vittima, uccisa dai tedeschi durante il rastrellamento, che dei giovani erano stati
deportati, infine che i cosacchi,
giunti nella nostra valle attraverso la val Calda, avevano commesso atti di violenza su donne, per cui si era diffuso
un clima di paura. Arrivammo alla periferia nord del nostro paese e, con
sorpresa, non notammo alcuna sentinella. Procedemmo con cautela e, raggiunto il centro, ci rendemmo
conto della presenza di molti tedeschi, direi centinaia
con diverse macchine ed autocarri parcheggiati. Era ormai buio e temevamo,
anche per le notizie ascoltate lungo la strada che, ai tedeschi, vedendo tre
giovani con gli zaini, venisse
inevitabile il sospetto che fossimo partigiani e ci arrestassero. Quelle
riflessioni ci crearono uno stato di tensione. Potevamo proseguire e
semplicemente raggiungere le nostre case ma non ci sentimmo di farlo. I
tedeschi ci avevano messo soggezione, sentivamo la loro sovranità e avvertivamo
quasi uno stato di sudditanza che rivelava
la nostra fragilità italiana dovuta al collasso in cui era precipatata
l’Italia (Nota n.2).
Consultandoci nervosamente ci
venne l’idea di presentarci spontaneamente al comando delle forze che, dopo il
rastrellamento, stazionavano in paese. Chiesi, in tedesco, ad un soldato di
indicarmi “das Kommando Truppe” ed
egli allungando la mano ed additando una
casa dove si vedeva l’ingresso spalancato e illuminato , disse. “ Jaaa, in jene
Haus est der Kommandeur ”( Siii, in quella casa c’è il comandante). Entrammo
quindi nella stessa togliendoci i berretti, tenendo in mano le carte d'
identità e quei preziosi tesserini con lo stemma croato. C’erano diversi ufficiali in piedi che parlavano tra loro e
si voltarono a guardarci. Chiesi allora
di parlare con “der Herr Kommandeur” (il signor comandante). Uno di
loro, alto, si fece avanti e ci chiese, in
italiano, “cosa desiderare” per
cui, tutti e tre, ci rivolgemmo a lui in
italiano dichiarando che eravamo cittadini del luogo che rientravamo da una gita in montagna dove
avevamo raccolto dei funghi e, slacciando gli zaini, mostrammo i funghi. Affermammo che, stante la
situazione di guerra in essere, volevamo dimostrare la nostra regolarità di
cittadini impegnati nel lavoro ed esibimmo a turno i documenti. L’ufficiale ci
guardò un po’ stupito forse per lo zelo dimostrato, guardò i documenti e ci
disse: “ Sehr guut, guut, andare, andare (Molto bene,bene, andare, andare) e
ci sorrise…!!”
Uscimmo rasserenati.
Passando accanto a un
pubblico noto locale sul lato sinistro della strada, poco dopo il centro, di proprietà di un conosciuto benestante, ( S.Tavoschi
), a sua volta titolare dell’azienda
trasporti pubblici della valle, notammo che, il
medesimo, stava cenando assieme a
molti tedeschi, tutti seduti attorno al gran tavolo della sala illuminata, ai
quali presumibilmente, su loro pretesa, aveva dovuto far preparare la cena. A
guardare quella scena pareva che il paese fosse in festa e non vivesse, invece,
la realtà dell'occupazione.
“Bibi”, eravamo vicini alla sua abitazione, ci lasciò
per cui proseguimmo soli.
Più oltre nel grande piazzale
dell’ ex stazione ferroviaria in disuso da tempo, stava in sosta una massa di cosacchi con cavalli e carrette che
occupavano pure la parallela via principale di accesso al paese, che noi
stavamo percorrendo. Era la prima volta che vedevamo i cosacchi . Notammo fra
loro anche diverse donne, talune in uniforme militare. Traggo da una mia prima pubblicazione, risalente al 1957, brevi frasi
sull’impressione che fecero in me i cosacchi , “”…Nel buio della notte
si mescolavano le ombre dei cavalli che fiatavano una lunga stanchezza. La luna
venne nel cielo a rischiarare vagamente i loro mantelli, mostrando furtivamente
attorno ai carri sagome goffe di soldati dormienti, fucili ammucchiati, ceneri
semispente “”.
Leggendo vecchie pagine di quella pubblicazione provo
ammirazione per me stesso. Penso che avei dovuto scrivere un romanzo che, in
ogni modo, vive dentro di me, ma sento nostalgia di non averlo fatto.
Fummo costretti a procedere
cautamente e, superato quell’addiaccio, ci trovammo finalmente di fronte alla nostra casa, la prima del paese sulla
via principale della valle venendo da
sud. Sul portone d’ingresso risultava affisso un manifesto dove, in
grosso stampatello, stava scritto in tedesco EINTRITT VERBOTEN (INGRESSO VIETATO). Pensammo subito che la casa
fosse occupata dai tedeschi. Mi ero dimenticato di dire che i miei genitori non
c’erano. Ancora prima della nostra andata in
montagna erano partiti, come centinaia
anzi migliaia di carnici, donne
coraggiose soprattutto, diretti a piedi, attraverso il passo di Monte
Rest, nella pianura friulana e veneta alla ricerca di granaglie ed altre
risorse alimentari, a causa della crisi provocata dall’attività partigiana,
avendo i tedeschi bloccato ogni
rifornimento alimentare. In casa erano rimaste le due nostre sorelle e,
alla nostra partenza per il monte Crostis, avevamo raccomandato a un’anziana
signora della casa vicina di tenerle
sotto protezione.
Suonammo e poi bussammo al
portone. Giunse ad aprirci un ufficiale non tedesco ma fascista che guardammo
con sorpresa, al quale ci dichiarammo ed egli sorridente ci disse che le
sorelle avevano già parlato di noi. Entrammo e ci sedemmo nella sala dove c’erano altri ufficiali fascisti.
Giunsero frattanto, dal piano superiore, le due nostre sorelle alle quali, dopo un abbraccio,
consegnammo gli zaini. Dopo di che, scambiate alcune considerazioni con gli
ufficiali, salimmo nelle nostre stanze a rimetterci in ordine. La sera, dopo la
cena, fu trascorsa a dialogare con i detti ufficiali. Gli stessi non si
toglievano di testa l’idea che noi due fratelli fossimo partigiani scesi dal
bosco dopo aver nascosto le armi. Erano tutti pordenonesi e ci lasciarono
anche i loro nomi che ora non ho sottomano, ma
ricordo con precisione che uno di oro si chiamava Messinese. Ci
parlarono ovviamente della rinascita dell’Italia attraverso il fascismo
repubblicano, delle armi segrete della Germania, del nuovo esercito
repubblicano con importanti innovazioni che effettivamente, anche dal mio punto
di vista come in seguito mi resi conto, non era cosa effimera e riscuoteva credito negli italiani che si
aspettavano qualcosa di concreto in cui credere. Parlarono anche della
situazione partigiana contro la quale in tutto il nord Italia, Carnia e Friuli compresi, era un atto da parte tedesca con l’appoggio
fascista, un’inesorabile azione repressiva che portò a un decisivo, per certi versi spietato,
travolgimento della forze alla macchia da cui la lotta uscì effettivamente stremata. Nell’autunno, perlomeno in Carnia, quasi non se ne sentiva più parlare e pochi nuclei resistenti
sopravvivevano sulle montagne.
Gli ufficiali lasciarono la nostra casa nell’ indomani molto
presto che ancora era notte, senza salutarci . Quando ci alzammo notammo che,
nell’ anticamera, avevano staccato i due quadri del re Vittorio Emanuele III° di
Savoia e della regina Elena accostandoli per terra con l’immagine girata verso
la parete ed un biglietto accostato a uno dei due dove si leggeva “ Traditori”. Vent’anni dopo essendomi
insediato con la famiglia nella città di Pordenone mentre professionalmente
lavoravo anche in quel di Venezia, ebbi modo di
interessarmi a dette persone. Seppi che, a fine guerra, detti ufficiali furono arrestati
dai partigiani, incarcerati, condannati a morte da un Tribunale del popolo e
giustiziati, semplicemente perché fascisti repubblicani. Provai umanamente dispiacere. Fra l’altro aggiungo un’altra
notizia spiacevole. Alcuni anni dopo la fine della guerra seppimo che “Bibi” il
nostro amico, che si era trasferito a Milano, era morto.
31 ottobre 2015
PIER ARRIGO CARNIER
Nota n.1
I cosacchi giunsero al mio
paese il 12 ottobre 1944.
Nota n.2
La caduta del
fascismo provocata da traditori nel luglio 1943 e il tradimento nei confronti
dei tedeschi con la resa separata italiana, del settembre 1943, agli
alleati anglo americani, sulla quale vi
sarebbero alcune considerazioni da
esporre, provocò nei tedeschi un’evidente ostilità verso l’Italia che accrebbe nel
1944 con il rivelarsi dell’attività partigiana apportatrice, primariamente, di un
contributo in favore degli alleati che, sbarcati nel sud Italia, salivano lentamente lungo la penisola.
I tedeschi si erano insediati nel Litorale adriatico come nel resto dell’Italia fin dal settembre1943, assumendo la sovranità sul territorio in base al decreto di Hitler del 13 settembre 1943.
I tedeschi si erano insediati nel Litorale adriatico come nel resto dell’Italia fin dal settembre1943, assumendo la sovranità sul territorio in base al decreto di Hitler del 13 settembre 1943.
Segue timbro apposto su tutti i tesserini rilasciati ai dipendenti e al personale direttivo dell'azienda presso cui lavoravo dal comando delle forze appartenenti alla Legione croato-ustascia subordinata ai tedeschi, insediato a Bad Lusnizz (Malborghetto) in val Canale. Dette forze croate erano addette al controllo della linea ferroviaria Tarvisio-Venezia.