martedì 28 febbraio 2017

ANCORA INTERESSE SULL'ARGOMENTO DI MIRKO E KATIA, ASSASSINATI ALL'ALBA DELLA LIBERAZIONE, IL 12 APRILE 1945, SULLE MONTAGN E DELLA CARNIA.




COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI, STUDENTI UNIVERSITARI E A QUANTI SI INTERESSANO A VICENDE STORICHE RIFERITE AL 1944-1945


Torno ancora su MIRKO e KATIA, riproponendo quanto già pubblicato il 28 ottobre 2014, in relazione a recenti telefonate ricevute che confermano l’interesse, e ritengo che dovrò tornarci ancora.

28 febbraio 2017

                              
                      MIRKO-KATIA – MONOPOLI (Bari)

Ricevo ancora telefonate dalla Carnia ed anche dalla Slovenia e Bosnia,   soprattutto da giovani in parte universitari in cui si registra un risveglio di interesse per la storia avendo gli stessi saputo, da fonti informative, della mia nomina a suo tempo, nella Federativa Iugoslava, a  procuratore irrevocabile, su alto consenso dei di Autorevoli fonti resistenziali iugoslave della Bosnia-Slovenia, da parte dei congiunti di Mirko (Arko Mirko) noto  comandante partigiano nelle vicende resistenziali della Carnia, onde accertare le ragioni del suo assassinio assieme alla  sua compagna di lotta, Katia (Gisella Bonanni) all’ alba della liberazione. Mi si chiedono notizie  perché, in taluni  miei  scritti,  resi anche noto di essere stato  amico e  confidente dell’ Ors di Pani ( cav. Antonio Zanella),  il patriarca pastore della Carnia da cui Mirko e Katia, nell’ inverno 1944-1945, ebbero effettiva assistenza ed al quale fecero importanti confidenze di cui il medesimo mi rese partecipe. Posseggo su entrambi importanti  documenti per cui, stante i la mia vasta ricognizione informativa in anni lontani, vengo innanzitutto a precisare  che entrambi, Mirko e Katia, furono e restano per la storia irriducibili comunisti filo stalinisti  legati allora al disegno sovietico di espansione nell’ Europa occidentale, Nord Italia compreso. Sulla fedeltà ideale di Mirko oltre alle dichiarazioni dei genitori di Mirko, del fratello Dionisio ex capo partigiano del battaglione “Giornate Nere”,  dispongo  di una relazione stesa da un suo subalterno, Roberto  Guiducci, in seguito laureatosi in ingegneria ma dedicatosi con passione travolgente alla sociologia e come tale famoso in Italia(1=Nota)). Secondo il medesimo la fedeltà filostalinista di Mirko era assoluta, per certi versi addirittura crudele. Come già scrissi in vari miei articoli del passato, Mirko e Katia erano legati e tenevano  contatti con l’infiltrato sovietico Cernikow che li raggiunse un’ultima volta, d’ inverno,  nel secondo rifugio dove nessun altro mise piede all’infuori del padre di Katia, posto su un crinale a località “Pala dai Zocs”  (il primo rifugio, costruito con assi di larice, stava dirimpetto alla zona dell’Ors sulle falde del monte Veltri.). Cernikow, previo accordi con una delle missioni britanniche  “Rankin”B”, paracadutate nell’ ultimo periodo di guerra nel Veneto ed anche altrove nel nord Italia per controllare l’attività resistenziale, data la precaria  salute di Mirko,  convenne col medesimo ed ovviamente con Katia che, a una data stabilita  entrambi si portassero a valle in  zona pianeggiante, dove un Westland Lysander MK. britannico,  li avrebbe prelevati con destinazione  al Sud nella base britannica di Monopoli (Bari) da dove poi  sarebbero stati trasferiti  nell’ Unione sovietica affinchè Mirko potesse beneficiare delle cure necessarie stante il suo stato  di emottisi. Purtroppo non molto prima della data stabilita  due sicari (T. e B.) inviati da mandanti di cui conosco perfettamente i nomi, provvidero alla loro eliminazione sulla quale,  oltre a quanto da me  pubblicato nel mio volume "LO STERMINIO MANCATO", c’è dell’altro da dire. Giovanni Zanier montanaro della valle di Pani e pastore di malghe, dal suo casolare  “ Stali Grant” posto sul versante che fronteggia i casolari dell’ Ors,  mi  dichiarò di aver udito, a una certa data, distintamente le raffiche di mitra che uccisero Mirko e Katia e, qualche tempo dopo, di aver notato un apparecchio, evidentemente  il Westland Lysander,  fare dei giri insistenti  sopra la valle e poi andare via, evidentemente perché i due, essendo stati assassinati, mancarono all’ appuntamento… .

Porcia (Pordenone), 28 ottobre 2014

                                    PIER ARRIGO CARNIER


(1=Nota). Su Guidetti, nato nel 1923 , scrisse il CORRIERE DELLA SERA il giorno della sua morte a Milano, il 10 aprile 1998: “… Riformista ma  radicale non da chiacchiericcio ha sempre indicato un varco nel muro dell’immutabilità, della staticità sociale con i suoi cumuli di ingiustizie…dopo la disillusione dello stalinismo, del socialismo realizzato, disse .”Finirà anche quell’impero. Mille, centomila, milioni di Sacharov li faranno finire”.
Scrisse ancora il CORRIERE DELLA SERA : “…fu un uomo  di grande dignità intellettuale.”

Testimonianze :

Sartori Luigi – fiancheggiatore agenti alleati
Materazzi Alberto – ex agente dell'OSS (U.S.A.)


venerdì 24 febbraio 2017

SONJA LA BIMBA COSACCA DIMENTICATA SULLA DRAVA

Cari amici e simpatizzanti, perdonate se vi chiedo di leggere questa storia vera, qualora riteniate a primo acchito vi possa interessare, una delle tante che io ho scritto legate alla tragedia cosacca, in  parte pubblicate nel corso degli anni decorsi   e in altra parte ancora da pubblicare.

 Sonja Walder la cosacca , fattasi giovane ed avvenente, dimenticata da bambina, nei giorni della forzata consegna dei cosacchi ai sovietici, nelle baracche della Drava.


 Una delle baracche del lager Peggetz fotografata dall’autore nel dopoguerra. Il campo fu successivamente demolito e la zona  urbanizzata.


21 febbraio 2017 
E’ INCREDIBILE ED NORME l’ INTERESSE  SUSCITATO NELLA FEDERAZIONE RUSSA E STATI UNITI LA VICENDA DA ME PUBBLICATA IN QUESTO MIO SITO , IN DATA 21 AGOSTO 2013, DAL TITOLO " SONIA LA BIMBA COSACCA DIMENTICATA SULLA DRAVA", CHE QUI DI SEGUITO RIPROPONGO, OGGI 21 FEBBRAIO 2017, All' ATTENZIONE DEI LETTORI TRATTANDOSI DI RACCONTO UMANO CHE, STANTI I CONTENUTI, EVOCA PARALLELAMENTE QUANTO DI RECENTE DA ME RIFERITO SU UN' ALTRA  COSACCA : DJURA VERA ISAAKOVNA CHE, AL TEMPO DEI FATTI (1944-1945) ERA PURE UNA BAMBINA.

Non posso evitare di aggiungere che, questa storia da me scritta a suo tempo prima di essere diffusa via Interntet, fu pubblicata dal quotidiano IL GAZZETTINO di Venezia nelle sue varie edizioni, un quotidiano di cui sono tutt' ora collaboratore culturale. Questa vicenda di Sonia Walder, assieme ad altre consimili rese da me pubbliche, sulla base di dati statistici  ha scosso positivamente in modo imprevedibile enorme la sensibilità nella Federazione Russa, evidentemente nelle grandi comunità cosacche, ed anche negli U.S.A. In realtà la vicenda e la tragedia cosacca della Drava vengono ad a ssumere una forma rilevante di grande interesse storico ed umano che io ancor giovane avvertii già al momento dei fatti, forse come caso unico  ed al riguardo non posso non ricordare il grande regista internazionale Fred Zinnemann, israelita di grande rara intelligenza e sensibilità, che volle conoscermi e col quale, insieme, mettemmo a punto la regia del film sui Cosacchi di cui già altre volte ho parlato...  



SONJA LA BIMBA  COSACCA DIMENTICATA  SULLA  DRAVA

Nella devastazione provocata dalla consegna ai sovietici di circa 90-100.000 cosacchi, prigionieri militari e profughi civili negli accampamenti dell’alta Drava, nei primi giorni del giugno 1945, attuata agli ordini dei britannici dalle forze della Brigata ebraica “Giuda il vendicativo”, vagava smarrito nella terra di nessuno, insanguinata da centinata di vittime sepolte in fretta in fosse comuni, qualche essere umano sperduto. Nella grande piana degli accampamenti, tra Lienz ed Oberdrauburg, era sceso un silenzio desolante ed alle brume mattutine si mescolava l’odore degli escrementi dei cavalli che, a migliaia, per un intero mese, avevano calpestato quel lembo pianeggiante ed erano stati poi radunati dai britannici, dopo la consegna dei cosacchi, in una zona circoscritta, salvo diverse centinaia che erano state abbattute per ragioni sanitarie.- 
Una pattuglia di Polizia britannica in perlustrazione s’imbatte, com’era accaduto sulla spiaggia di Anzio allorché sbarcarono gli americani della Va armata del generale Clark (il 22 gennaio 1944) in una bambina di poco più di un anno e mezzo, sola, nei baraccamenti detti di “Peggetz” alla periferia sud di Lienz. La piccola era stata evidentemente abbandonata nelle circostanze di panico provocate dalla consegna, concepita con cinismo dai massimi esponenti anglo-americani assieme a Stalin, e cioè la restituzione forzata al despota del Kremlino di esseri umani che, invece, avevano diritto ad asilo e protezione onde  essere sottratti alla condanna nei campi penali della Siberia e quindi a un sicuro destino di morte. Nei baraccamenti di Peggetz furono notate e fotografate, nell’immediato dopoguerra, scritte significative una delle quali in inglese, del seguente tenore : “Meglio morire qui che essere mandati nell’URSS”.
Della piccola creatura abbandonata si prese amorevolmente cura una donna austriaca dell’Östtirol, su cui  in seguito riferirò.
Premetto che, pur avendo avuto sentore, in anni lontani, della straordinaria e singolare vicenda e nonostante le mie relazioni internazionali a livello di esponenti delle associazioni russe  in esilio che via via riunirono i superstiti, solo recentemente mi fu dato di  venire a concreta conoscenza entrando direttamente in contatto con la protagonista, fattasi donna  con figli ormai sposati e nipoti. Mi accingo pertanto a raccontare la sua storia in base alle sue dichiarazioni.-
“Mi chiamo Sonja Antonia Walder e non ho mai saputo chi siano i miei genitori. Nei giorni in cui i cosacchi furono consegnati ai sovietici dagli inglesi, molti cercarono liberamente la morte gettandosi nelle acqua della Drava (oltre a quelli che furono massacrati, negli accampamenti, nell’azione della forzata consegna, ndr). E anch’io dovevo morire travolta dalle acque, il che non accadde perché ero molto ammalata e stavo nel mio giaciglio in una baracca.”
Fu una signora austriaca, Antonia Hanser, cittadina di Lienz, madre di tre figli e il cui marito si trovava in guerra, a prendersi cura di me, rendendosi conto del mio stato precario dovuto a dissenteria. In seguito lei mi dichiarò e me lo ripeté più volte, appena fui in grado di comprendere, che una donna cosacca, in stato di disperazione, disse implorante di prendermi per curarmi e salvarmi. Si trattava evidentemente di una cosacca che, come altri, era sfuggita alla consegna ma nella signora Hanser rimase un forte dubbio che fosse effettivamente mia madre”.
“Ero in stato di trascuratezza pietoso e per il mio spidocchiamento mi furono tagliati i capelli molto corti. Non avendo la signora Hanser la possibilità di nutrimento nemmeno per i suoi tre bambini, non senza difficoltà riuscì a farmi accogliere in una casa di cura, al nr.1 della Schlossgasse di Lienz, dove rimasi per alcuni mesi. Fortuna volle che la signora Hanser parlasse occasionalmente  a Lienz del mio caso alla signora Rosina Walder,  la quale, a sua volta, ne riferì alla sorella Maria, sposata Kock, suscitando in lei attenzione e tenerezza nei miei riguardi. La medesima decise, infatti,  di accogliermi nella sua fattoria posta  in una borgata dell’Obergail, territorio che cade sotto la giurisdizione dell’Osttirol, previo consenso del marito, signor Johann Kock, che si trovava allora prigioniero in Iugoslavia. Questi aveva già espresso l’idea di compiere, appena liberato, una buona azione allorché sarebbe rientrato salvo dalla prigionia. Fu rilasciato nel 1947”.
Prima ancora che la signora Rosina Walder passasse a prendermi in bicicletta, presso la casa di cura nella Schlossgasse, fui battezzata con rito cattolico con il nome di Sonja Antonia. La mia data di nascita, sulla base di un’analisi eseguita da un medico, fu fissata il 3 giugno 1943”.
Dato il mio lungo impegno dedicato a ricostruire storicamente l’intera vicenda cosacca, in buona parte su elementi di prima mano, devo dedurre, prendendo per valida la data di nascita accennata del 3 giugno 1943, che la bambina era venuta alla luce sul suolo sovietico durante l’esodo dei cosacchi al seguito dei tedeschi in ritirata, dopo la sconfitta della 6a Armata di von Paulus a Stalingrado. Aveva quindi stazionato, con le forze dirette verso occidente in Podolia nonché a Novogrudok e Baranovichi in Bielorussia e quindi era giunta in Italia nell’Adriatisches Küstenland, dove  seguì l’iter dell’insediamento in qualche presidio con probabili successivi spostamenti.
In realtà, comunque, assumendo il nome di Sonja Antonia, la piccola cosacca era nata una seconda volta nell’alta Drava, nell’Osttirol, come un fiore sbocciato nella tragedia.
“ Più tardi la signora Hanser - continua Sonja - riguardo la mia vicenda, mi riferì che sulla porta di una chiesa di Lienz, fu notato un biglietto nel quale stava scritto in tedesco: “Ich mochte noch einmal mein Kind schen!”( Io voglio vedere ancora una volta il mio bel bambino !). E poiché in tedesco Kind sta per bambino o bambina, ciò indusse a ritenere che, quel biglietto, si riferisse al mio caso per cui la madre fosse presente fra i cosacchi sfuggiti alla consegna.”
“In base a tale messaggio, l’addetto all’ufficio parrocchiale  portò la signora Hanser assieme a me in una baracca a località Peggetz, dove si trovavano due donne cosacche. A giudizio della Hanser, mia prima vicemadre,  la più giovane delle due era mia madre. L’argomento dette luogo a varie disquisizioni. Tuttavia a causa di differenti discorsi ingannevoli, su nessun dato si potè contare” .
“Le speranze che alimentarono l’intenzione di  risalire, attraverso indizi, ai miei genitori e comunque a mia madre, pur trascinandosi per lungo tempo in una costante ripresa di considerazioni e valutazioni, rimasero senza soluzione”.
 Per la storia Sonja è quindi la bambina di appena 19 mesi abbandonata nelle baracche di Peggetz a causa delle caotiche conseguenze provocate alla brutale consegna dei cosacchi ai sovietici.
Nei ricordi e valutazioni resta opinione prevalente che la madre sia morta per annegamento nelle acqua della Drava in piena in quelle lontane afose giornate di inizio giugno 1945. Diversamente potrebbe avere subito la consegna forzata, essere cioè stata spinta sulle tradotte predisposte per il trasporto a Judenburg, nella Stiria, in mano sovietica, (dalle quali dei testimoni rammentavano di avere udito dei gemiti al loro passaggio per Oberdrauburg) rinunciando a raccogliere la figlia ammalata che giaceva nelle baracche, per lasciarla a miglior destino. Un vago dubbio però rimane, come accennato in precedenza, che cioè la donna disperata, sfuggita alla consegna, che aveva supplicato la signora Hanser a prendersi cura della bambina e che poi risultò  abbia lasciato Lienz per emigrare oltreoceano, potesse essere stata la vera madre.
Sonja  prosegue “Accolta nella famiglia austriaca Kock, proprietaria della   fattoria alpestre a cui già accennai, via via crebbi uniformandomi al clima della tradizione ambientale, appresi la lingua e svolsi la mia parte nei lavori quotidiani, portando avanti contemporaneamente gli studi.  Si viveva in armonia con la gente del luogo. Tra le amiche ricordo volentieri le sorelle Marianne e Agnes.  Maria Kock, la mia nuova vicemadre, che fu con me generosa di affetto e da cui ricevetti fondamentali principi educativi all’insegna della cristianità, soffriva purtroppo di deficienza cardiaca era cioè cardiopatica e, dopo qualche tempo, si aggravò. Per meglio essere assistita e curata, si trasferì dall’Obergail a Tristach, villaggio alla periferia nordovest di Lienz, ospite dalla casa parrocchiale dove c’era uno zio prete. Dopo un breve miglioramento, rientrata nella fattoria, decedette. Era l’anno 1964”.
Sostanzialmente Sonja crebbe nella realtà contadina dell’Obergail (Osttirol) dalle zone prative alpestri, in estate folte di erbe,  profumate d’arnica e di garofano selvatico,  dove si allevano come altrove, le vacche dal mantello  rosso pezzato  o della specie “Pizgauer”  dal mantello rosso scuro. Essa assorbì le nozioni ed i principi morali della terra austriaca esuberante di tradizioni, che fu imperiale e dove gli Schutzen, tipica organizzazione non sol folcloristica dalle radici storiche, si riuniscono puntualmente in adunate, indossando l’uniforme, in genere dal tessuto color tabacco, dalle bordature sgargianti e dal cappello infiocchettato con lucenti scure penne d’urogallo, con bande  musicali che scandiscono nelle piazze solenni marce. Avvertì comunque insopprimibile e costante il senso di un legame interiore con l’immensità della sua terra orientale d’origine: la Russia.
In fondo lei si considera giustamente fortunata. Abbandonata in quei terribili  giorni della forzata consegna nelle baracche della Drava, diversamente sarebbe  morta per annegamento nel fiume, avvinghiata alla madre, oppure,  come la quasi totalità dei deportati,  nei lager siberiani per fame, maltrattamenti o addirittura nel corso del penoso viaggio sulle tradotte. E’ noto che, nelle tappe di sosta del lungo viaggio di deportazione, la polizia sovietica scaricasse i numerosi morti dai vagoni delle tradotte, seppellendoli dove capitasse in fosse comuni,  senza nemmeno  accertarne ed annotare  l’identità.
Nell’ottobre del 1966, ventitreenne avvenente, bella e graziosa, Sonja, come risulta dalle foto del suo album di ricordi, dotata di quel tipico fascino e temperamento della donna cosacca, convolò a nozze con Christian Walder, cittadino austriaco specialista in carpenteria da costruzioni. Dal matrimonio nacquero tre figli, ormai adulti e professionalmente affermati. Oggi  i coniugi sono allietati dalla presenza dei nipoti.
Finisce qui la straordinaria storia di Sonja, ma vorrei aggiungere dell’altro e cioè che lei non fu comunque la sola ad essere abbandonata a causa delle  circostanze connesse alla vicenda cosacca. Lungo le vie della ritirata nel nord Italia, bambini in fasce furono  abbandonati in ore antelucane, dalle colonne cosacche in marcia, qua e là presso abitazioni, contando evidentemente nell’idea che la popolazione vi avrebbe preso cura. I neonati vennero in realtà premurosamente raccolti ed assistiti e poi presi in affidamento da persone.
In ogni caso nell’alta Drava fu pure trovato abbandonato  un bimbo di quattro-cinque anni, che fu curato, adottato e quindi cresciuto da valligiani dell’Osttirol  ed oggi egli è un uomo con figli e nipoti. Si tratta di Michael Rainer, che  ovviamente assunse il cognome della famiglia dalla quale venne adottato. Mi venne presentato  in occasione ad una delle commemorazioni annuali della tragedia della Drava. Mi dichiarò di essere diretto testimone dell’azione brutale della consegna dei cosacchi ai sovietici, scena rimasta indelebile nella sua memoria. Era il primo giugno 1945 ed egli, assieme ad altri ragazzi, donne  e cosacchi  si trovava nel cordone umano  creato attorno all’altare, dove il pope, Vasily Grigoryev, stava celebrando la messa in onore dello zar Pietro il Grande. Vide coi propri occhi avanzare minacciose, impugnando le armi,  le forze della Brigata ebraica che, in esecuzione all’ordine britannico della consegna esigevano l’immediata evacuazione. Le stesse gridavano ordini e a un certo punto presero ad usare il calcio del fucile a mo’ di clava contro la massa ondeggiante e terrorizzata dei cosacchi per spingerla, come un gregge, verso il  punto di scalo delle tradotte. Fecero infine uso delle armi. “Taluni ebrei parlavano russo e lituano…”., dichiarò  Michael Rainer, prezioso testimone.-


PIER  ARRIGO  CARNIER




NOTA in data 17 ottobre 2016

Questa storia vera, credetemi, e molto rilevante. In anni molto lontani quando raggiunsi come primo italiano i luoghi della consegna ai sovietici sulla Drava, a località "Peggetz", c' erano trecento e più cosacchi superstiti nelle baracche del lager. Parlai a più riprese con la maggior parte di loro che mi raccontarono le proprie sofferte vicende. Il Burgermeister (Sindaco) di Lienz apprezzò molto il mio interesse a convocò diversi cosacchi a deporre presso l'Amtgemeinde (Municipio) sulle vicende della consegna, testimonianze che appaiono pubblicate, e vi risulta il timbro del Municipio, nella prima pubblicazione del mio libro "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945" anno 1965 diffusa dal grande editore svizzero De Vecchi che aveva sede a Milano.
           
PIER ARRIGO CARNIER


martedì 7 febbraio 2017

UNA STORIA MERAVIGLIOSA

Una storia meravigliosa




Egregio Kondrat Peryshkin, mi fa piacere che lei sia entrato in amicizia con me e poiché ho notato che lei vive a Kaliningrad desidero chiederle gentilmente un’ informazione. Nel lontano 1944-1945 io, italiano, allora giovane circa ventenne ho vissuto nel nord Italia assieme ai cosacchi dell’armata comandata dal generale Timofei Ivanivic Domanow e poi coi caucasici della Freiwilligen Brigade Nord Kaukasus del generale Sultan Ghirey Klitsch. Nel 1994 una donna cosacca di nome DJURA VERA ISAAKOVNA residente a 236041 KALININGRAD – via tal dei tali, scrisse a al Sindaco della cittadina di OSOPPO in Italia, spiegando che da bambina nel 1944-45 era vissuta coi cosacchi in detta cittadina e , nell’aprile 1945, aveva seguito la ritirata nell’Austria ed era stata poi consegnata dai vincitori inglesi ai sovietici e deportata in Siberia. Dopo undici anni di prigionia nei lager siberiani, con l’amnistia di Krusciow,  DJURA VERA  ISaAKOVNA venne liberata. Il sindaco di OSOPPO mi passò la lettera di questa donna con l’incarico di entrare il contatto per cui negli anni dal 1994 al 1997 vi fu tra me e lei uno scambio di corrispondenza molto interessante :  DJURA mi raccontò l’intera vicenda da lei vissuta e sofferta in quegli anni  di guerra. Egregio signor Kondrat Peryshkin le sarei molto grato se riuscisse a sapere  se DJURA, che avrebbe oggi 76 anni, sia ancora in vita.


Ieri, 06 febbraio, Kondrat mi scrisse di averla trovata perfettamente in vita , allo stesso indirizzo. Ed ecco le parole di Kondrat : <Caro Pierre. Ho trovato la DJURA VERA ISAAKOVNA. Grazie a Dio è viva e vegeta. Abitare allo stesso indirizzo a kaliningrad. Ha parlato con lei. Come possiamo stabilire un rapporto con lei? >

Ed ecco la mia risposta . Meraviglioso, incredibile caro KONDRAT PERSHKIN, sei stato bravo, molto cordiale, sei un cosacco d'onore !!! Il fatto che tu abbia trovato viva DIURA VERA ISAAKOBVNA mi ha commosso, non mi par vero. Conservo tutte le sue lettere, conservo le foto di lei e della madre, una bella cosacca. Furono ad OSOPPO in Italia, conobbero il terribile bombardamento dei caccia bombardieri americani provenienti dalla base di Foggia del 22 novembre 1944 che causò 200 morti, soldati, donne, bambini. (Penosamente i cosacchi, in quell'autunno gelido, abbandonati a sè stessi, non trovavano dove seppellire i loro molti....Immagini penose. Ho delle foto rarissime. Ho scritto e pubblicato al riguardo grandi articoli che conservo. Conservo anche delle foto di Djiura Vera e della madre.
Vera era bambina e con la madre visse la dura ritirata sulle alpi carniche, camminarono sulla neve, dormirono nelle stalle e per terra. Si ricordava che, nella valle Drava, c'era una chiesa bianca che le apparve come una luce all'inizio di un monte, che poi io andando a Lienz spesse volte, non solo alle commemorazioni della tragedia cosacca, constatai che quella chiesa bianca esisteva e la fotografai. Per queste cose ho provato grandi emozioni e tutto ciò veramente mi commuove, ho conosciuto mille storie di cosacchi. Caro KONDRAT se Vera ha un "E. mail" fammelo avere e dalle il mio E. mail, che tu conosci, a lei . Ti sono grato . Pubblicherò questa meravigliosa notizie con un post !!!

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Cari amici ed amiche, in particolare mi rivolgo a Eva Balikovà, Olga Morgun, Svetlana Egorova, Marie Therese Dazin leggete questa storia, una storia vera. Vera Isaakovna Djura è cosacca del Kuban una terra di cui mi è dato di conoscere molte vicende. Le forze cosacche del Kuban, inquadrate nell’Armata di Domanow stavano, per quanto concerne il periodo trascorso in Italia Cossackja, a Cavazzo Carnico, Gemona, Peonis, Enemonzo…. Come più volte già detto ebbi nel dopoguerra contatti con grande atamano e generale del Kuban Wiaceslav Naumenko che, alla fine degli anni sessanta inizio settanta, per suo desiderio incontrai in Austria nell’Osttirol sui luoghi della tragica consegna. Naumenko mi interrogò a lungo, come testimone al corrente dei fatti della Drava, ed insieme ci portammo lungo il fiume, a sud di Lienz ed Oberdrauburg, dove i cosacchi, vittime del suicidio collettivo per annegamento, erano stati in parte sepolti in fosse comuni, mentre ovviamente in certa parte, ritenuta consistente erano stati trascinati dalla corrente del fiume in piena a grandi distanze. Naumenko arresosi a fine guerra in Baviera agli americani, fu risparmiato alla consegna e portato negli USA dove fu sentito, come teste, dal Senato amerficano.
Tornando a Vera Isaakovna essa mi scriveva: “” La mia famiglia apparteneva ai “Kulak” ( ricchi proprietari). Vivevamo, come io stessa, nella stanitsa “Slavjanskaja”. I genitori furono spossessati della proprietà negli anni 30-40. Mio padre era un montanaro: lo ricordo con il mantello, la papakha (berretto di pelliccia del Caucaso) e il pugnale nella cintola. Mia madre mi insegnò dei canti del Kuban che venivano intonati dall’intera famiglia, insieme. Sempre mia madre mi insegnò a ballare la “lesghinca” e le poesie di Pushkin. Nel periodo trascorso ad Osoppo mio padre mi portava con sé in mezzo ai cosacchi, dove leggevo poesie e ballavo la “lesghinca”. Avevo allora sei anni “”
Molto altro vi sarebbe da dire.

07 febbraio 2017

PIER ARRIGO CARNIER, delegato ufficiale -per la storia- del 15° Corpo di cavalleria cosacca del generale von Pannwitz che combattè nei Balcani.


Molti i messaggi pervenutimi da più fonti. Ne riporto uno con relativa mia risposta.
Valeria Romanin : magia di internet e succedono le cose più impensate, quello che ci sembra impossibile diventa possibile come questo contatto che è come un piccolo miracolo. Interessante e commovente racconto di vita vissuta, grazie ancora Signor Carnier, è sempre piacevole leggerLa! Cordialità!

Mia risposta.
Grazie amabile splendida Valeria Romanin per l'attenzione al caso Diura Vera Isaakovna. Ha toccato un punto di profonda delicatezza. Leggendo molti anni addietro le lettere di Vera e rileggendole oggi, riaffiora in me la visione fantasmica della bambina cosacca seienne che in lei s'imponeva sulle circostanze di guerra, dettata dalla natura del mondo cosacco, gravido di fantasie, di sferzanti entusiasmi, brividi eroici ed anche di profonde depressioni morali. Nel corso della ritirata densa di vicende, camminando nella valle Drava, dopo il passo del Gailberg, con i piedi gelidi nelle scarpe bagnate dalla neve, Vera Isaakovna rimase colpita, nella sua memoria, dalla visione  di una chiesa bianca che le apparve come una luce. In anni lontani tornando in Austria dov' ero di casa, spinto da sensazioni extraterrene, cercai quella chiesa, la trovai e ne conservo la foto. In realtà io non cercavo la chiesa, ma volevo rivivere lo stupore della visione che Vera Isaakovna aveva provato riportandomi istantaneamente alle circostanze di fine guerra da me ugualmente vissute. I ricordi hanno un loro profumo, portano delle scintille di vita, di stupore, di felicità ideale...


PIER ARRIGO CARNIER

lunedì 6 febbraio 2017

L’ESECUZIONE DI PORZUS E IL CASO “OLMO” DUE BOMBE INESPLOSE DA PASSARE VICINO MA NON TOCCARE


  
COMUNICATO

Da qualche giorno, sulla stampa in genere, in particolare su quella regionale  stante che il 07 febbraio cade l’anniversario dell’ azione su PORZUS  che si concluse con l’ eliminazione di un gruppo di osovani sono usciti vari articoli rievocativi, a mio giudizio di comodo onde stare in linea con potere politico ancora in auge. La verità è che l’azione su PORZUS, condotta esecutivamente da Giacca (Toffanin Mario), fermo restando il rispetto per le vittime, ebbe una motivazione su cui sono documentato, per cui sotto il profilo storico "causale ed effetti" non fu un eccidio come si vorrebbe far credere,  ma si trattò di  un' esecuzione. A tal riguardo  ho pubblicato a suo tempo, su due diverse testate di quotidiani (L'Arena di Verona ed Il Gazzettino) consistenti articoli nei cui confronti nessuno aprì bocca tant'è che le redazioni rimasero  stupefatte per tale silenzio. 
Tralasciando il caso Porzus, poichè di recente sul mio sito Blogger in particolare si è riaccesa l’attenzione sul caso “OLMO”, lo ripropongo qui di seguito.


COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI  E A CHIUNQUE SI INTERESSI ALLE VICENDE PARTIGIANE DELLA CARNIA 1944-1945

E’ uscita oggi, 27 gennaio, sul Gazzettino edizione di Udine, a pagina XIX, un mia lettera  che affronta l’argomento del capo partigiano “OLMO” CASALI ENORE, giustiziato nel novembre 1944 a località Jalna della val Pesarina dagli stessi  partigiani e poi riabilitato mediante un contro processo tenuto in zona  operativa, il 2.12.1944, e dichiarato INNOCENTE..
Sui miei due siti di   Internet, Facebook e Blogger, l’argomento risulta  comunque da me trattato credo esaustivamente  ed al riguardo ho informato  la figlia del Casali, Isa, residente all’estero. La madre della stessa, vedova del Casali, Ines Maria Rupil,  che in realtà avevo conosciuto in anni lontani, è deceduta nel 2006 senza quindi  apprendere la recente menzionata notizia di riabilitazione del marito emersa dall’ombra dopo settantuno anni. Ines Maria Rupil era comunque  d’accordo con quanto io già sapevo dalla fine della guerra, per confidenze fattemi da partigiani ed altri indizi, che cioè l’ esecuzione di "OLMO" fu dovuta allo scopo di eliminare, nell’interesse di altri,  un testimone scomodo. Sull'argomento mi riservo di pubblicare sulla stampa  un circostanziato resoconto corredato da foto. 
27 gennaio 2015
PIER ARRIGO CARNIER



 Pier Arrigo Carnier Già nel mio scritto del 17 gennaio 2015 puntualizzavo, sotto il profilo storico, l'importanza del documento che dichiara false le accuse formulate contro il capo partigiano "OLMO", ingiustamente fucilato e poi riabilitato. Il fatto apre uno squarcio e crea una svolta nella storia partigiana della Carnia, evidenziando sprazzi di un buio retroscena.


 Pier Arrigo Carnier Vedo che il caso OLMO crea continuo interesse perchè travolge certe menzogne di taluni elementi, venuti al mondo nel dopo seconda guerra, ignari direi insipienti delle vicende, ma pronti a servire ciecamente la causa partigiana ...Di recente ho disseppellito anche il caso malga Rattendorf su cui ritornerò, frattanto il mio ultimo lavoro "COSACCHI CONTRO PARTIGIANI"- Mursia-Milano, presentato a Udine il 27 gennaio u.s nella nota lbreria Moderna sta raccogliendo consensi ovunque su piano nazionale, forti particolarmente nella Destra Tagliamento o Friuli orientale. Sono fiero di aver messo in luce la figura di IOLANDA CARDAZZO, distinta signora pordenonese meritevole in sede civile di un alto riconoscimento per l'aver sottratto alla deportazione nei lager di concentramento tedeschi 62 (sessantadue partigiani). Dimenticata dai pordenonesi, dalle pretese di taluna associazione culturale.  Letteralmente e vergognosamente dimenticata. 06 febbraio 2017

mercoledì 1 febbraio 2017

AUTENTICO SUCCESSO DELLA PRESENTAZIONE DEL VOLUME "COSACCHI CONTRO PARTIGIANI", MURSIA EDITORE, ALLA NOTA LIBRERIE MODERNA UDINESE.

PRESENTAZIONE ALLA "LIBRERIA MODERNA UDINESE" DEL VOLUME "COSACCHI CONTRO PARTIGIANI" MURSIA EDITORE - MILANO
Ieri 27 gennaio alle ore 18 è stato presentato ad Udine, alla nota Libraria Moderna al centro, il mio ultimo recente libro " Cosacchi contro Partigiani" della casa editrice MURSIA. Relatore il docente prof. Paolo Venti molto brillante al quale risposi su varie intelligenti fondamentali domande sul piano storico e poi intervenni nella discussione ed ebbi modo di puntualizzare vicende rilevanti vissute nel corso della mia lunga attività cultuale storico scientifica. La sala era affollata. Tutto è andato molto bene. Fra i convenuti, oltre a vari amici, c' era la signora Agarinis vedova del noto scrittore Sgorlon che come tale si è presentata con mio onorato, vero piacere di conoscerla. Non posso tralasciare di ricordare, a proposito della forzata consegna dei cosacchi sulla Drava bestialmente ammassati su tradotte formate da vagoni merci che vennero piombati, fui preso da un raptus di commozione mentre stavo pronunciando la frase che, quelle tradotte transitando per Oberdrauburg, dove facevano una sosta, cittadini austriaci, avvicinatisi ai vagoni, ( Nota ) udivano dei pianti di donne e delle grida disperate.....Dopo di che ripresi comunque a parlare.
Fra le molteplici richieste di notizie e chiarificazioni un signore di Interneppo , di cui non ricordo il nome, mi chiese se, in detto suo paese, c’erano i cosacchi, non avendone mai sentito parlare. Stavo firmando delle dediche, per cui non ho risposto, ma rientrando a casa ci ho ripensato e mi è venuta spontanea la risposta che qui di seguito riporto, sperando che l’interessato, se affiliato Facebook, abbia modo di leggerla.o che qualcuno magari lo informi. Ad Interneppo, nel 1944-1945, si trovavano stanziate parecchie maestranze di tedeschi ed austriaci delle organizzazioni TODT ed ENZIAN, addette alle opere di fortificazione e collocazione di ostacoli anticarro contro un presunto e temuto sbarco alleato e, credo anche che, nel paese, vi fosse la direzione di una delle due organizzazioni . Non c’era quindi bisogno di stanziare delle forze cosacche a presidio. Ricordo anche perfettamente che il comandante partigiano “Fontana” ( Venturini Giovanni) col quale negli anni settanta ebbi vari incontri e colloqui nella sua casa posta in montagna a sud ovest di Avasinis (“Fontana” fu colui che comandò la fucilazione, a fine guerra, degli undici tedeschi della Karstjager alla confluenza del torrente Leale nel Tagliamento – pagina nr. 221 del mio libro “Lo Sterminio Mancato”. Fontana, in base al resoconto dei colloqui, mi disse che circa verso fine aprile, una domenica lui fu ad Interneppo, dove si rese conto che c ‘erano molti tedeschi i quali addirittura affluirono alla messa domenicale e, da sue indagini, furono molto attenti alla predica del parroco supponendo che il medesimo potesse pronunciare delle frasi convenzionali predisposte per una presumibile insurrezione partigiana.
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Nota
A Fred Zinnemann, il grande regista internazionale, piaceva molto il particolare del "pianto delle donne e delle grida disperate all'interno dei vagoni..." che furono ascoltate da cittadini austriaci ad Oberdrauburg.
Attratto da interesse dei contenuti del mio libro "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945" Fred Zinnemann volle conoscermi per cui venne a Porcia di Pordenone e mi propose di realizzare un film sul filone storico del libro nominandomi sedutastante suo consulente, ruolo che, ovviamente, accettai con grande entusiasmo. Ebbimo altri incontri alcuni dei quali in Austria per inquadrare la trama. Avrebbe prodotto il film la FOX francese. Zinnemann voleva dar corpo soprattutto, come elemento centrale, ai fatti della tragedia della Drava, provocata dall’ ordine perentorio della consegna forzata ai sovietici che fece esplodere il panico per cui vi furono diverse centinaia di vittime per suicidio collettivo con annegamento nella Drava ed altre centinaia dovute all’ uso delle armi da parte delle forze britanniche per sedare la ribellione scoppiata nei grandi accampamenti a sud di Lienz. Molti i particolari interessanti che potrei riferire sulla trama. Avevo dei precisi incarichi e fra questi quello delle comparse di cavalleria che risolsi, grazie alla compiacenza della direzione della Scuola di cavalleria italiana di Pinerolo, ottenendo la piena disponibilità , per le comparse, dello Stato maggiore dell’esercito di Danimarca che disponeva, appunto, di unità di cavalleria. La stampa austriaca diffuse la notizia del progetto Zinnemann ed anche alcuni quotidiani italiani, eravamo negli anni settanta, vi accennarono. Tutto proseguiva bene, ma accadde che personalità politiche britanniche e statunitensi, cui giunse la notizia trovarono il modo di frenare gli entusiasmi della FOX motivando che il film, mettendo in luce il nefasto operato della consegna, avrebbe screditato fortemente i vincitori. Il progetto venne quindi sospeso.

                                                         
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Ho ricevuto alcune telefonate da fonti elevate su cognizioni a livello storico, non da Pordenone in quanto a Pordenone manca assolutamente una base intellettuale storico scientifica tant’ è che io ho prevalenti rapporti internazionali. Sono stato gratificato dal riconoscimento di avere citato e ricordato nel mio volume “COSACCHI CONTRO PARTIGIANI” la benemerita figura della distinta cittadina pordenonese JOLANDA CARDAZZO, con cui ebbi diretti cari indimenticabili lunghi colloqui, gli ultimi addirittura mentre si trovava a letto ammalata , e raccolsi le sue più segrete preziose confidenze riferite agli anni di guerra 1943-1945. La Cardazzo  salvò dalla deportazione nei lager tedeschi ben 62 ( sessantadue) partigiani.  Taluni sedicenti storici pordenonesi, preposti a tutelare gli argomenti degni di memoria legati all' eredità resistenziale, mai l' hanno ricordata. Nessuno sembra sappia niente e sono tutti trincerati in un rigido schema di parte...Per JOLANDA CARDAZZO, meritoriamente messa nella giusta luce nel menzionato mio libro, farò dell'altro !!

02 febbraio 2017

                                            PIER ARRIGO CARNIER

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Nella foto grande  sto spiegando a degli interlocutori il metodo usato dai britannici trattando con ufficiali cosacchi delegati dal generale Domanow comandante dell' Armata in quanto Krassnoff era stato esautorato. I britannici, generale Goffried Musson ed altri, evitarono scrupolosamente di redigere un atto scritto di resa in quanto avrebbero assunto verso i cosacchi le responsabilità previste dalle convenzioni dell'AIA e di GINEVRA che sanciscono la protezione e tutela dei prigionieri di guerra e questo fu il sistema di aggiramento per avere le mani libere e quindi provvedere cinicamente alla consegna ai sovietici voluta da STALIN. Mi fu dato di conoscere, date le mie preziose amicizie, il retroscena di intrighi e trattative che si conclusero con la famigerata forzata consegna .....

Ho anche puntualmente risposto ad altre richieste. quella, ad esempio, del motivo per cui fu assassinato il comandante partigiano iugoslavo Mirko (Arko Mirko) e la fedele compagna Katia (Gisella Bonanni). Riguardo il caso Mirko fui nominato procuratore nella Federativa Iugoslava con due procure legali irrevocabili "Post mortem" onde accertare le causa o motivazioni del duplice assassinio e le responsabilità che accertai documentalmente e relazionai le fonti mandanti, notizie in ogni caso che in parte rivelai nel mio libro "Lo Sterminio Mancato"-Mursia
 -Milano.
Su Mirko furono dette, su per la Carnia ed altrove, autentiche ridicole sciocchezze che non voglio sporcarmi a ripeterle. Sarò io a pubblicare la figura di Mirko e Katia su risultanze documentali e dati certi incontestabili ponendole nella giusta luce .. Mirko dall' incrollabile fede comunista filostalinista come Katia, agganciato all'infiltrato sovietico Cernikow, mentre dopo essere stato esautorato sopravviveva in Carnia nelle alte propaggini della valle di Pani, era pronto, stante il suo stato aggravato di emottisi, per intesa raggiunte da Cernikow con membri di una missione alleata, per essere trasferito via aerea al Sud per poi destinato per cure appropriate nell' Unione Sovietica. Un aereo (Lisander) giunse infatti, ad una data stabilita, a sorvolare l' alta valle di Pani per compiere l'operazione. Fece molti giri, ma inutilmente sopra la valle e poi si diresse nuovamente a Sud  poichè  Mirko e Katia non risposero all'appuntamento in quanto erano già stati assassinati ( era l'alba della liberazione) per ridurre al silenzio le loro gravi accuse. Come ho già detto io pubblicherò di loro la verità, evocando il loro vincolo di passione e l'ardore di combattere per l'affermazione di un ideale   quello del comunismo stalinista affinchè ne rimanga  memoria futura su quelle montagne della Carnia dove loro si aggiravano e  che io ho amato. Mi fu riferito che, con insipienza paesana, anni addietro da ignoti furono poste segnalazioni sui luoghi dove Mirko e Katia, isolati, trascorsero l'ultimo periodo, sciupando l'incanto ed il fascino del mistero che avvolgeva il loro ricordo che  doveva invece restare inviolato.... Ma la stoltezza fa questo ed altro.

Ho fatto anche, su richiesta dei convenuti alla presentazione, altre rilevanti precisazioni una delle quali riferita alla rappresaglia tedesca del luglio 1944, dal 16 al 22, sulle malghe carniche di confine con la valle austriaca del Gail, malghe Lanza, Cordin, Pramosio…. Uno dei convenuti, Candolini, nel ricordarmi piacevolmente una mia nota conferenza a Tarcento di molti anni fa presentando altro mio libro, disse di sapere, per diretta conoscenza o per informazione ricevuta che, il partigiano osovano Enzo Moro, a me molto noto col quale ebbi frequenti rapporti, nome di battaglia “Max”, figlio di un avvocato, fu visto scendere dalla menzionata zona malghe con una quindicina di cavalli prelevati nelle adiacenti malghe austriache il che, secondo il Candolini e secondo una corrente diceria, ebbe a provocare la dura rappresaglia sulle malghe.
Si tratta di argomento sul quale ho già scritto molto, sia sul Gazzettino che sul Messaggero, fornendo, su basi certe, delle puntualizzazioni a dissipazione di notizie assolutamente prive di ogni fondamento diffuse da fonti incompetenti venute al mondo nel dopoguerra…..Ho avuto rapporti ad alto livello coi tedeschi, col l’ex capo di Stato maggiore dell’Alto comando SS. e Polizia di Trieste, Ernst Lerch, con il Leiter (capo) del Kommando Waffen SS. ADRIA, Franz Hradetsky addetto al servizio informazioni con duecento agenti Waffen SS. subalterni, con diversi altri e con elementi di comando della Gebirgs Brigade Waffen SS. KARSTJÃGER e di uno di questi, Erich Kühpanter prestigioso ufficiale di comando, cognato dell’allora famoso ministro delle finanze Strauss (anni settanta-ottanta).Posseggo precise informazioni sulle controbande tedesche  (travestite da partigiani comunisti) che intervennero nell’ azione di rappresaglia sulle malghe. Veniamo quindi al punto. I tedeschi non attuarono l’ azione repressiva del luglio a titolo di punizione per le rapine partigiane di mandrie bovine e mandrie di cavalli nelle malghe austriache. Questo per loro non era rilevante sebbene ovviamente meritevole di un intervento. Poco interessava loro che i partigiani osovani e le bande comuniste scorazzassero per le valli nel territorio interno carnico (che era stato privato di ogni rifornimento di viveri) credendo di costituire una forza dominante che non lo era affatto perché i tedeschi tenevano il potere nel capoluogo di Tolmezzo con un presidio a Sauris ed un secondo, con un forte nucleo di Karstjäger, in val d’Aupa, ed attraversavano la Carnia per tenere collegamenti col Cadore quando e come volevano. LA CARNIA ERA PER I TEDESCHI UNA SACCA MONTUOSA NON STRATEGICA e gli slogan diffusi in anni recenti in favore della Resistenza, quali CARNIA LIBERA o REPUBBLICA ELLA CARNIA, sono autentiche invenzioni che fanno ridere perfino i corvi !!
L’operazione RAPPREASAGLIA SULLE MALGHE venne attuata in quanto ai tedeschi risultava che i partigiani della Carnia si proponevano ed anche avevano attuato delle penetrazione nella valle austriaca del Gail ed intendevano  stabilire, secondo prove acquisite, un collegamento con le bande
partigiane slave di Josip Broz Tito creando un ponte di contatti attraversi l’alta val Canale. Le bande slave già operavano attivamente nel sud Carinzia, assassinando persone e diffondendo terrore, col proposito che, la Carinzia con la presumibile sconfitta tedesca, sarebbe state annessa alla nascente Federativa Iugoslava nell’area fino al Gross Glokner. La dolorosa rappresaglia del luglio 1944 sulle malghe carniche fu attuata dai tedeschi come atto deterrente per stroncare l’obbiettivo di un collegamento dei partigiani comunisti della Carnia con le bande slave della Slovenia. 

Sull’ argomento della rappresaglia sulle malghe (Lanza, Cordin, Meledis, Pramosio) in  data 2.02.2013, sui miei siti Facebook e Blogger ho pubblicato un dettagliato  intervento correttivo, riferito ad un video dal titolo “Carnia 1944. Il sangue degli innocenti”, che mi consta si è giovato della traccia di precisazioni di miei scritti pubblicati dalla stampa, quali risultato di  mie ampie ricognizioni su quelle montagne ( sento ancora il profumo dei boschi e dei pascoli, l’odore di malga, il senso della fatica per le  lunghe camminate….) in anni lontani con l’appoggio di testimoni ed amici austriaci quali Franz Patterei ed altri..
Il video menzionato  si  propone la condanna della rappresaglia tedesca condotta dal 16 al 22 luglio 1944 che causò 47 vittime civili , ma  la motivazione militare per intervenire mediante rappresaglia, nei termini della legge marziale, come ho già precisato in precedenza, concretamente  sussistette prescindendo dal metodo con cui  la stessa venne attuata. Mi  soffermo, invece , su un argomento  di cui , a più riprese, ebbi modo di occuparmi giornalisticamente in passato. Si  tratta di   malga RATTENDORF, situata  a breve distanza dalla linea di confine su territorio austriaco. Il punto doganale posto accanto alla malga, rafforzato di elementi nel 1944-1945 in considerazione delle scorribande partigiane,  fu attaccato, sopraffatto  ed occupato assieme alla malga,  il 20 luglio 1944, dal distaccamento partigiano comunista Gramsci, un branco d’uomini guidati dal triunvirato formato da  BUZZI SIMONE , TARUSSIO ANTONIO e MENEAN LUIGI. Fu in anni recenti che, a memoria dell' evento,  nella casermetta doganale adiacente alla malga venne posta una tabella o piastra  con epigrafe  a memoria del fatto citando erroneamente, per incompetenza e disinformazione,  quale guida dell’azione partigiana  non i nomi dei tre elementi menzionati bensì quello del capo partigiano C. BELLINA  che, sulla base accurate indagini,  non ebbe alcunchè da  vedere con  tale azione in quanto  altrove impegnato...                                         
Conoscendo fin troppo bene  le vicende verificatesi in quella zona malghe ritenni di  inoltrare un’istanza al   
Bürgermeister (Sindaco) austriaco competente sul territorio, informandolo sull’ alterazione contenuta nella menzionata epigrafe posta a memoria, con motivata richiesta  di apportarvi, a ragion veduta per il che mi rendevo disponibile ad esibire delle prove,  la correzione,  istanza che venne  accolta  dal medesimo e notificata ad ad un austriaco interessato  ed anche coinvolto nel  caso, invitandolo a prendere contatti con me, ma questi non si fece mai vivo lasciando cadere il silenzio sull’ autorevole richiesta del Bürgermeister spinto evidentemente a tale comportamento da oscura fonte carnica in ogni  caso a me nota …A tempo debito riporterò alla ribalta il caso RATTENDORF onde confermare i tre nomi guida nell'azione partigiana nell'interesse dell' effettiva realtà storica.
                                                                                                                                                                                                            
                                                                                                                                                          1° FEBBRAIO 2017             
PIER ARRIGO CARNIER



 L'autore P. A. Carnier mentre autografa i volumi.


 L'autore fornisce delle puntualizzazione su vicende importanti contenute nel volume.


 Sullo sfondo l'autore con il relatore Professor Paolo Venti.



La sala con gli intervenuti.