IL COMMISSARIOPARTIGIANO ALFONSO , DETTO ANCHE CRUCHI E DELL'ALTRO
Quello che mi accingo a pubblicare è un ampio stralcio di un precedente mio post dal titoloINTERVENTO CRITICO SUL FILMATO “ CARNIA 1944 IL SANGUE DEGLI INNOCENTI pubblicato, nei miei siti Facebook e Blogger, il 23 febbraio 2013 di cui riporto una parte introduttiva per poi far seguito con due casi trattati nel medesimo, l'uno riguardante il commissario partigiano comunista ALFONSO, detto anche CRUCHI (Amadio De Stalis ), l'altro il podestà di Sappada, anni 1943-1944, LUIGI CECCONI.
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” Il film del regista americano Spiche Lee “ Miracolo a S.Anna” girato nel 2008 a S.Anna di Stazzema, rievocando le circostanze di una dura rappresaglia tedesca risalente al 1944, ha aperto gli occhi gli italiani sulla resistenza. Nella sua “prima” a Firenze è scattato infatti l’applauso ed il regista è rientrato negli Stati Uniti con la cittadinanza onoraria di Stazzema. Di recente è stato girato in Carnia, non un film, ma un documentario dal titolo “Carnia 1944 . Il sangue degli innocenti”: una vicenda pressochè analoga riferentesi a un’azione di rappresaglia tedesca verificatasi nel 1944. Nel medesimo, anzichè presentare i fatti con spirito aperto ed evolutivo s’è invece insistito in una linea scenica ricognitiva vecchio stereotipo resistenziale, intesa scopertamente a difendere l’operato partigiano comunista, rifuggendo dall’effettiva realtà. Pur essendo già intervenuto, nella mia pagina pubblica, con una nota critica sull’argomento mi permetto un secondo appropriato e motivato intervento che mi accingo ad esporre, dettato non da spirito contestatario, ma da palesi esigenze correttive costruttive ed integrative nel rispetto della verità.
Ricollegandomi all’immagine fornita dal cronista Sollero Natalino in un articolo sul Gazzettino di Venezia, edizione di Udine del 21.7.1994 in cui il medesimo asseriva : “ I fatti sono ancora bene impressi tra gli anziani di Paularo che ricordano i partigiani scendere a valle come barbari: capelli lunghi sul torso nudo fazzoletto rosso al collo forme di formaggio infilate sui fucili, cavalcavano e trascinavano numerosi cavalli ed armenti “ frase che, nel mio precedente intervento del 17 gennaio, ritenni appropriata, quale risultanza dello status di circostanze. Senza negare che, in fondo al tutto, vi fosse stato un filo conduttore ideale, nella veste di testimone, ritengo ora di esporre brevemente dei fatti connessi al sostantivo “barbari”, fra molti altri di mia conoscenza.
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In un mattino di fine maggio 1944, appena uscito di casa per portarmi al mio ufficio al centro del paese, vidi avanzare sulla strada due partigiani e fra loro un uomo alto barcollante. Mi fermai rendendomi conto che c’era qualcosa di sinistro. Appena mi furono vicino vidi che l’uomo barcollante grondava sangue dalla testa ed aveva un orecchio quasi strappato. Riconobbi in lui la guardia campestre del comune, di nome Venier, che svolgeva da anni quel compito, persona nota per la sua correttezza nel dovere. Rimasi impietrito. Giunti vicini alla mia casa, dove mi ero fermato, il Venier, dall’uniforme di guardiano insanguinata, si accasciò sulla una breve gradinata che portava nell’orto. Ansimava e, con voce spossata, disse in carnico “ Uccidetemi ma non torturatemi”. Venni preso da paura e ricordo che non mi venivano in mente le parole per gridare qualcosa. Mi resi anche conto che il Venier doveva avere un braccio spezzato. Conosevo personalmente i due partigiani: uno, commissario partigiano della Garibaldi, nome di battaglia Alfonso, e come già introduttivamente precisato detto anche Cruchi (Amadio De Stalis) , venditore ambulante di indumenti :abiti, camice, cravatte. Spesso, con la sua mercanzia, si metteva di domenica sul sagrato della Pieve di San Giorgo che, dall alto di una cuspide domina la val Gorto e il mio paese, in attesa della gente che, a fine messa, usciva di chiesa. L’altro, pure partigiano della Garibaldi, si chiamava Puschiasis, era di Rigolato, di professione boscaiolo e, come tale, aveva lavorato nell’ azienda dalla quale, allora studente, io dipendevo come amministrativo. Dopo alcuni minuti il Puschiasis, col calcio del fucile vibrò al Venier, che mandò un gemito, un colpo ad un fianco gridandogli : andiamo. Mia madre. avendo avvertito qualcosa, era uscita di casa. Resasi conto del terrificante spettacolo mi grido’ agitata: “Vattene via!” Io non potei trattenermi e gridai : “ Ma cosa fate, lasciate quell’uomo…!! “. Al che il Cruchi mi disse: “ Non impacciarti, ti conviene !”
Qualche giorno dopo seppi che il Venier era stato fucilato in fondo alla val Pesarina lungo il rio Malins, un luogo scelto per le esecuzioni dove io stesso passando, per recarmi alla malga sul monte omonimo, notai ad una curva i cumuli di diverse fosse. Corse voce che la ragione dell’uccisione del Venier fascista sarebbe stata una questione personale del commissario Alfonso e di che si trattasse ebbi anche qualche allusione informativa che tuttavia tralascio di esporre.
Rammento poi che, dopo un po' di tempo, la vedova del Venier assieme a a un'altra donna e un prete, venne a parlare con l'amministratore unico dell' azienda dove io lavoravo in quanto membro importante del C.L.N - Comitato Liberazione Nazionale Val Gorto, implorando di voler conoscere il luogo di sepoltura per provvedere al ricupero della salma ed ovviamente vennero date tutte le informazioni ed anche le prestazioni necessarie per il ricupero.
Il commissario Alfonso ( Cruchi) morì nella primavera 1945 nei dintorni di Ravascletto, com' ebbi a precisare, a pag. 97 del mio volume "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945": cadde sotto una raffica sparatagli dai montanari del Caucaso mentre, dopo essere stato scoperto in seguito a delazione, nascosto in un rifugio di una borgata isolata e quindi arrestato, approfittando di un attimo disattenzione degli addetti alla sua custodia, stava fuggendo.
Sempre in quel periodo, agli inizi di luglio, assieme al mio titolare stavamo andando in macchina in fondo alla val Pesarina ai confini del Comelico, per ragioni di lavoro in quanto l’azienda aveva in corso in quella località l’utilizzazione di un lotto di piante resinose. Attraversando il paese di Prato Carnico notammo un assembramento di gente vicino ad un bar per cui il mio titolare ritenne di fermarsi. Uscimmo dalla macchina e lui chiese a caso ad un uomo che cosa vi fosse. Questo tentennava a rispondere mentre un altro, avvicinatosi disse: “ I partigiani, laggiù, vicino al fiume, hanno fucilato un uomo”. “Ma chi ?”. Chiese il mio titolare e questi disse: “ Un "sappadino", il podestà di Sappada” e, sottovoce :“ Lo ha fatto fucilare il commissario…. “.
A quella frase il mio titolare mi guardò significativamente ed io risposi al suo sguardo altrettanto significativamente: entrambi sapevamo e conoscevamo perfettamente il commissario.
A fronte del paese dove ci trovavamo, alla destra del fiume Pesarina che scorre circa due,trecento metri più sotto, stava dirimpettaio Pradumbli noto paese di anarchici dove, come io sapevo, il commissario della Garibaldi, diciamo di un battaglione della stessa, teneva i quel periodo la sua sede acquartierato in un piccolo locale pubblico che funzionava da bar e trattoria. Lo gestiva allora una giovane donna, “Meri.” che ben conoscevo, nota perché mai la sua presenza mancava nelle feste da ballo della valle che anch’io frequentavo. Passando al fatto dell’uccisione, uno delle tante in quanto in quel periodo era va detto era in atto un programma di pulizia politica, che stav nelle regole della lotta partigiana comunista con l’eliminazione di civili oppositori, collaboratori o fiancheggiatori dei fascisti o dei tedeschi sul terreno, o presunti tali. La vittima del giorno era Luigi Cecconi, podestà di Sappada, fucilato sulla destra del fiume ed ivi sepolto. Ai familiari come io seppi avendo in seguito, nel corso di mie ricerche, preso contatti con gli stessi (aveva moglie e cinque figli), con cinica finzione fu fatto credere, fino al tardo autunno, ch’egli fosse tenuto prigioniero, tant’è che gli stessi, tramite i partigiani, ritiravano la sua biancheria e gli facevano tenere il cambio. Questa precisazione apparve anche in un mio articolo a piena pagina sul Gazzettino di Venezia, edizioni di Udine e Pordenone, dal titolo “Carnia libera.Le opposte verità” in data 21 settembre 1999
Luigi Cecconi podesta del comune di Sappada e rifondatore del partito fascista sotto il nome di partito fascista repubblicano. Archivio storico P. A. Carnier - Porcia (PN) Riproduzione vietata
Detto in breve a carico del Cecconi, come capo di imputazione per l’avvenuta condanna capitale, stava l’accusa di avere rifondato, nel comune di Sappada, la sezione del partito fascista sotto il nuovo nome di partito fascista repubblicano. Anni dopo, allorché mi capitava di passare per Pradumbi, perché di là passava la mulattiera che portava alle malghe, mi fermavo a salutare “Meri.” la barista locandiera. Tornammo più volte sul caso Cecconi. Lei diceva : “ Lo fece fucilare laggiù prima del ponte e seppellire là in una buca scavata nella ghiaia, quel pover’uomo che implorava salvezza, padre di cinque figli. Sono stata male per un pezzo e ogni volta mi ricordo sento pena, ma allora era così. Lui, il commissario, girava qui dentro nervoso con delle carte in mano, fazzolettone rosso al collo e spesso la mano sulla pistola “. Poi “Meri” aggiungeva :” Lo sai benissimo che il commissario era molto conosciuto nella valle di Gorto ed anche qui in val Pesarina era considerato una brava persona, ma resta il fatto che condannò e fece fucilare quel bravuomo, podestà di Sappada."
“Del resto tu lo conoscevi bene il commissario così come conoscevi tutti gli altri del suo contorno: Ivo Toniutti (Ivan) Stefani Odino, detto il “Didi” ed altri ancora che si aggiravano qui dentro nel lo-cale. Poco tempo dopo però morì anche lui, il commissario, si vede che era destino !”
Un vecchio che stava in silenzio seduto ad un tavolo del locale ed aveva ascoltato il nostro dialogare, girandosi verso di noi, disse : "Dio ha la mano lunga !"
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Cari lettori, le due uccisioni, quella del Venier guardia campestre e del Luigi Cecconi, podestà di Sappada, avvenute per mano comunista oltre settant’ anni fà, nel 1944 in Carnia, nell’ iniziale clima resistenziale, stante il potere costituito della Repubblica Sociale Italiana con sovranità tedesca motivata da circostanze di guerra dell’ alleata Germania, sono state riferite nella loro realtà oggettiva. Oggi su singole uccisioni e stragi del periodo resistenziale (1944-1945) trattate da autori esordienti e non, onde rendere i propri scritti in sintonia col clima dominante della politica di sinistra, tutrice della resistenza, si assolve globalmente qualsiasi oscuro aspetto della vicenda partigiana, appianando con un colpo di spugna delitti e stragi, considerando vanificata da giusta causa ogni possibilità di analisi con una fraseologia abilmente generata del tipo seguente: " poichè il tutto ebbe a verificarsi combattendo una guerra dal confine incerto tra il giusto e l’ ingiusto o tra il bene ed il male, col risultato della riconquistata libertà pagata con la propria vita". Pur condividendo che la resistenza ebbe complesse ed evidenti difficoltà, come tutte le sollevazioni, con incertezze tra il giusto e l’ingiusto, dissento fermamente dall' affermazione artificiosa espressa con la frase di " riconquistata libertà" che non rispecchia la realtà. La preponderanza delle forze partigiane non si era infatti battuta per la democrazia, ma all’ insegna del partito comunista, il che non significava libertà, ma instaurazione di un nuovo regime. Se infatti a fine guerra non vi fossero state sul territorio nazionale le divisioni corazzate alleate unitamente all'armata polacca di generale Anders, l 'Italia, come asserì il leader comunista Palmiro Togliatti, educato alla scuola di Stalin col cui consenso fu artefice della svolta politica di Salerno, avrebbe avuto un governo se non comunista quantomeno progressista, al quale auspicava fermamente la maggioranza delle forze partigiane. Tenendo ferma questa ineccepibile ed incontestabile realtà, sotto il profilo storico, va quindi trattata l’ analisi della resistenza.
18 novembre 2018 CARNIER PIER ARRIGO
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