IL CASO PRIEBKE
25 ottobre 2013 alle ore 18.56
COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI E A QUANTI SI INTERESSANO DI VICENDE STORICHE
IL CASO PRIEBKE
Non scrivo per difendere Priebke né per prendere posizione negativa contro di lui ma per esporre le circostanze ed i fatti che lo riguardano, da me accertati come storico, onde far luce sul caos che ne è derivato con il suo decesso ad opera soprattutto di profani dando luogo a reazioni pubbliche isteriche ed incoerenti, ignorando che la morte, in ogni caso, estingue ogni reato ove reato vi fosse stato.
Già nel 1994, in occasione al suo arresto ed estradizione da San Carlos di Bariloque in Argentina, mi occupai dell’argomento pubblicando un esauriente articolo che uscì il 23 maggio 1994 sui quotidiani del gruppo veneto, L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e L’Adige e, il giorno 25, sul Messaggero Veneto.
Priebke, Hauptsturmführer (capitano) delle SS. generali nelle quali si era arruolato volontariamente e non quindi delle Waffen SS. fu un ingranaggio dell’esecuzione di massa comandata dal colonnello SS. Herbert Kappler ed ordinata da Hitler, con cui vennero trucidati 335 italiani perl’attentato del 23 marzo 1944, avvenuto in via Rasella nella capitale, che la sentenza nr.631 pronunciata dal Tribunale militare di Roma il 20 luglio 1948, considerò illegittimo, giudicando invece legittima, sul piano militare, la rappresaglia. Il colonnello Kappler venne condannato per un errore di calcolo in quanto l’esecuzione comprese cinque vittime in più rispetto alle 330, secondo il rapportodi 10x1, in relazione ai 33 membri del reggimento di polizia “Bozen”, formato da alto atesini, periti a causa dell’attentato.
In base all’informazione soprattutto televisiva, diffusa nei giorni scorsi dopo il decesso, è parso che Priebke fosse il boia dell’intero massacro, ma così non fu. Priebke assieme al capitano Schultz, preposti alla direzione dell’esecuzione ed al controllo degli elenchi dei condannati, nel processo celebrato nel 1948, furono stralciati ancora in fase istruttoria e quindi non processati. Gli altri imputati, maggiore SS. Domislaff, capitano SS. Clemens, Quap, Schulze, Wiedner, tutti sottufficiali SS. arrestati e detenuti a Roma nel carcere giudiziario di Regina Coeli assieme al colonnello Kappler, vennero prosciolti, eccezion fatta per Kappler che fu condannato all’ergastolo. Priebke in realtà era latitante ma poteva essere regolarmente giudicato in contumacia. Sta di fatto però che fu stralciato in fase istruttoria il che ha una sua rilevanza sul piano giuridico.
I 335 condannati erano consapevoli che li attendeva l’esecuzione. Fu detto loro infatti chiaramente che sarebbero stati uccisi. Questo perché la rappresaglia collettiva comportava allora tale meccanismo presumendo, in ossequio alla normativa, che qualcuno avesse denunciato gli esecutori dell’attentato. La normativa prevedeva infatti che, ove nel territorio dove si verificò l’attentato, con sovranità dell’occupante e relativi oneri e diritti, non si fosse giunti a risultati positivi nell’individuazione degli attentatori coi possibili metodi, sorgeva una responsabilità collettiva. Il concetto è contenuto nell’art. 50 della Convenzione dell’Aia.
Nella sentenza tale concetto venne però superato dalla Giuria ritenendo che, da lato tedesco, non fu perseguito con tutti i mezzi allora disponibili allo scopo di individuare i responsabili del grave attentato di via Rasella. Ma si riconobbe che Kappler aveva agito in esecuzione di un ordine nel meccanismo gerarchico tipico del nazismo sul quale il mio amico Lerch, ex capo di Stato Maggioredell’ Alto comando SS. e Polizia a Trieste ( 1943-1945) mi rese ampiamente edotto illustrandomi il sistema. Su Kappler ricaddero però, secondo la sentenza, responsabilità dirette quali l’eliminazione di 10 cittadini (ebrei) in seguito al successivo decesso, per ferite, di un tedesco. Quindi se i condannati erano 320 in base ai 32 morti accertati di fatto subito dopo l’attentato, altri 10 si aggiunsero più ulteriori 5 eliminati per errore, dei quali la responsabilità ricadde ugualmente su Kappler.
Durante il lungo periodo di detenzione di Kappler, da parte di un’ Associazione tedesca che patrocinava la sua difesa fu ritenuto, negli anni settanta, di sottoporre alla Magistratura militare italiana, a firma dell’avvocato penalista Nuvolone, un ricorso finalizzato alla revisione delle motivazioni per le quali il colonnello era stato condannato. Elementi rilevanti per la riapertura del procedimento erano costituiti dalle testimonianze del Feldmaresciallo Koesselring, del generale Dietrich Baelitz capo di Stato maggiore della 10a armata tedesca impegnata in Italia assieme alla 14a, del consigliere criminale Karl Schutz, del console generale tedesco a Roma, Moellhausen A.F., del generale italiano Umberto Presti ed altri. Radicalmente l’elemento essenziale consisteva nel fatto che le vittime dell’attentato partigiano di via Rasella non erano solamente trentatrè ma complessivamente quarantadue, in quanto taluni erano deceduti in seguito in conseguenza alle ferite. E’ presumibile che l’intento di revisione del processo, eravamo nel settembre 1970, per evidenti ragioni politiche, abbia trovato la porta sbarrata. In quel periodo infatti, un numero rilevante di istanze contro i tedeschi con l’accusa di strage, era stato nascosto in un armadio del competente ministero, chiamato in seguito “L’armadio della vergogna”, per disposizioni impartite dall’alto. In base ad una relazione conclusiva del Consiglio della Magistratura militare del 23 marzo 1999, fu ritenuto che l’inerzia, in ordine all’accertamento dei crimini denunciati, fu determinata dalla “ragion di Stato”, le cui radici di massima trovavano motivazione nelle linee politiche internazionali che guidavano il blocco dei Paesi occidentali durante la "guerra fredda": ne derivò che, se da un lato le istruttorie di imputazione erano state congelate e di conseguenza non fu dato avvio ai conseguenti processi , per contro anche il ricorso di riapertura del processo Kappler, inteso ad invalidare l’accusa delle cinque vittime in più e quindi prosciogliere e rendere libero Kappler, seguì la medesima sorte.
In quanto a Priebke risulta che nel 1943 il medesimo faceva parte dello Stato maggiore di Kappler a Roma. Fu infatti comandato di scorta alla famiglia del ministro Ciano la quale, sotto protezione tedesca, si trasferì in Germania. Nel 1944 Priebke era ancora a Roma e agli inizi del 1945 risultò dislocato a Brescia. A fine guerra, negli elenchi che l’Oberstgruppenfuehrer SS. Karl Wolff consegnò agli alleati, di cui posseggo copia dell’incartamento, indicanti i vari comandi dell’intera organizzazione SS. e di polizia tedesca a lui subalterni con relativi nomi di generali ed ufficiali, mentre il colonnello SS. Kappler risulta dislocato a Fasano, il capitano SS. Priebke non vi appare elencato. Da miei accertamenti risulta comunque che, nell’immediato dopoguerra, egli fu arrestato e destinato nel campo di concentramento di Afragola (Napoli), dal quale evase nel 1947. Rientrato in Germania, assieme a moglie e figli, grazie alla catena solidaristica filonazista egli si spostò in Alto Adige, località basilare quale premessa per l’espatrio oltre oceano, dove in gran parte confluirono i fuggiaschi ex nazisti nel periodo1946-1949. Fuggito da Dachau giunse in Alto Adige anche l’ex Gaulaiter della Stiria, Siegfried Uiberreiter, che poi si rifugiò in Bolivia come mi fu dato di sapere da fonte certa. Esisteva, come già accennato, un’ organizzazione che disponeva di mezzi finanziari per appoggiare l’espatrio. Anche Friederich Rainer, Gaulaiter della Carinzia e Supremo commissario del Litorale Adriatico, come mi confidò Frau Ada, moglie e poi vedova del medesimo con cui mantenni un lungo rapporto di amicizia fino al suo decesso unitamente a quella del figlio ing. Friedrich, ebbe nel lager Dachau, dov’era stato internato dai britannici, una proposta di fuga ma si rifiutò di aderire.
Lasciato l’Alto Adige Priebke raggiunse l’Argentina, stabilendosi, come precisato introduttivamente, a S.Carlos di Bariloque, seguito in un secondo tempo da moglie e figli. A seguito di segnalazioni, dopo oltre quarant’anni, non appena fu individuata la sua presenza certa a S.Carlos di Bariloque, nel 1994 scattò, da parte dell’Italia, la richiesta del suo arresto ed estradizione con l’accusa di sue corresponsabilità nella strage delle Fosse Ardeatine per cui il medesimo fu innanzitutto arrestato.
Un alto funzionario di Bariloque di origine italiana contrario all’estradizione, col quale ero entrato in contatto a scopo di attingere informazioni sul caso, essendogli nota la mia attività di storico, mi chiese di fornirgli possibili notizie sulla posizione militare dell’accusato e sul processo di Roma del 1948, ciò che infatti feci inviandogli copia della sentenza e del successivo ricorso in materia, sul cui contenuto ho già riferito.
Ritengo opportune, a questo punto, alcune mie considerazioni ed informazioni. Qualche tempo prima dell’arresto di Priebke ero entrato in contatto e avevo stretto rapporti per le mie finalità storiche, con Karl Hass, ex Sturmbannführer SS.(maggiore) ed agente del servizio informazioni SS. che si trovava a Roma fin dalla fine del 1943, praticamente inviato con scopi informativi dopo l’armistizio dell’Italia con gli alleati, sottoposto comunque, dal 1944, al comando Kappler e rimasto tranquillamente in Italia dopo la fine della guerra. Al momento del nostro primo incontro egli viveva ad Albiate (Milano) in via Gramsci n.9.
Nei miei riguardi Hass si dimostrò molto aperto, probabilmente consapevole delle mie conoscenze e rapporti con elementi di rilievo ex appartenenti al settore militare e politico tedesco ma, nel contempo anche guardingo e forse sospettoso che avessi l’incarico di scavare nel suo passato.
Ebbi da Hass diverse informazioni sul come si svolse l’esecuzione delle Fosse Ardeatine e, rispondendo a domanda, ammise che, intimati da Kappler a dare l’esempio, i membri del comando, mobilitati nell’operazione Ardeatine, dovettero intervenire nelle esecuzioni, lui disse in alcune…. Spontaneamente, riguardo sè stesso, affermò cautelativamente, il che è giustificabile, che lui con le Ardeatine non aveva nulla a che vedere, ma allora io mi chiesii come mai lui conoscesse tanti particolari. Da dichiarazioni fatte alla magistratura dopo il suo successivo arresto, su cui riferirò nel prosieguo, ammise invece di avervi effettivamente preso parte. Ebbi da lui interessanti notizie sulla vicenda delle riserve auree sequestrate dai tedeschi alla Banca d’Italia prima della ritirata e collocate in un Bunker nella vecchia fortezza austriaca di Bressanone dove a lungo, nel dopoguerra, si ritenne che ancora esistessero, argomento al quale dedicai assidue ricerche. Mi riferì, inoltre, sulle ultime disposizioni diramate da Himmler, Reichsführer delle SS., riguardo i comportamenti da assumere con la ritirata dall’Italia, a conferma di quanto sapevo. Già disponevo infatti del testo della circolare segreta, documento di estrema riservatezza diramato da Himmler ai comandi SS., di Polizia e Gestapo della quale pubblicai un estratto con un articolo sul Gazzettino di Venezia in data 7 marzo 1999, che sollevò vasto interesse. Parlammo anche dell’organizzazione dei servizi segreti tedeschi nel dopoguerra, il Bundesnachrichtendienst con cui lui aveva degli agganci, messo in piedi dalle forze di occupazione degli Stati Uniti d’America nel periodo di occupazione della Germania ed affidato alla direzione di Reinhard Gehlen, ( generalmajor della Wehrmacht che , durante la seconda guerra, aveva ricoperto il ruolo di capo dei servizi segreti tedeschi sul fronte orientale) inteso a canalizzare le informazioni riguardanti le nazioni aderenti al Patto di Varsavia per conto del Servizio informazioni della NATO con compiti d’infiltrazione nei paesi di espansione sovietica allo scopo di provocare e sostenere movimenti di rivolta in opposizione al controllo sovietico, vicende insurrezionali completamente ignorate in Italia, alla cui conoscenza, anche in riferimento a vicende riferite al periodo dell'occupazione tedesca nella seconda guerra, avevo un forte motivato interesse. Sulle stesse pubblicai degli articoli riferiti in particolare all'Ucraina, argomento che ritengo di rivivificare, non appena possibile, pubblicando un sunto e degli scritti su questo mio sito Facebook.
Gehlen rimase a capo dell’organizzazione fino alla fine degli anni sessanta ed ebbe contemporaneamente, soprattutto nel primo dopoguerra, una parte anche nell’Organizzazione Odessa che, com'è noto, favorì l'espatrio oltre oceano di molti ex nazisti i quali, per responsabilità risalenti al periodo di guerra, si aspettavano possibili processi nei loro riguardi.
Quando Priebke fu estradato in Italia, ricordo che Hass mi disse di troncare i con lui i rapporti telefonici e ogni altro contatto in quanto si sarebbe eclissato, stante il fatto che l’informazione, a mezzo stampa e televisione, aveva dato notizia che Priebke intendeva fare i nomi di ex nazisti, e quindi anche il suo, che si nascondevano in Italia, ritenendo che egli (Priebke) non potesse costituire un’eccezione, data la minaccia di essere processato rispetto ad altri verso i quali vi sarebbe una palese tolleranza da parte dell’Italia. Hass temeva infatti che il suo nome venisse segnalato da Priebke alla magistratura. Cessai quindi i contatti nel rispetto di una regola che già conoscevo. Non molto dopo però Hass venne comunque rintracciato, arrestato e, com’è noto, processato assieme a Priebke. Decedette nel 2004, all’età di 92 anni, mentre scontava l’ergastolo agli arresti domiciliari presso la casa di riposo Garden di Castel Gandolfo. Fu in quel periodo prima del suo decesso, avendo cercato di ricontattarlo mentre si trovava a casa Garden che, dei tedeschi appartenenti evidentemente a un'associazione solidale ex SS. che manteneva con lui collegamenti, mi fecero pervenire indirettamente delle serie minacce supponendo, da quel che dedussi, che io fossi legato od agente di Israle o comunque esponente di un' associazione antinazista.
Priebke, dopo il suo arresto in Argentina, in seguito all’accoglimento della richiesta di estradizione avanzata dall’Italia, il 21 novembre 1995 giunse all’aeroporto di Ciampino. La Germania, a sua volta, chiedeva l’estradizione dall’Italia per processarlo.
Iter dei processi
1)-La prima seduta del processo avviato a carico di Priebke ebbe luogo nel Tribunale militare di via delle Milizie a Roma il 7 maggio 1996 e il 1° agosto 1998 fu emessa la sentenza, decisa a maggioranza: Priebke fu ritenuto colpevole di omicidio plurimo, ma in suo favore giocavano le attenuanti, prevalenti sulle circostanze aggravanti dell’eccidio, ragion per cui – tenuto conto che il reato era caduto in prescrizione - l’imputato doveva essere liberato come infatti avvenne. Pur trattandosi di sentenza legittimamente radicata sulla prescrizione del reato la Magistratura militare spiccò su Priebke mandato di cattura traendo spunto giustificativo, come motivazione, da un’ondata di protesta popolare, soprattutto da parte dei parenti delle vittime delle Ardeatine ed in attesa della decisione dell’estradizione tedesca. Per arrivare a questo vi furono evidentemente forti pressioni che meriterebbero una trattazione a parte, non cioè in questa sede. Il 15 ottobre 1996 la Cassazione annullò la sentenza disponendo così un nuovo processo a carico di Priebke e il 10 febbraio1997 la Corte decise che l’istruzione del medesimo spettava nuovamente al Tribunale militare di Roma ma con una nuova composizione, stante l’avvenuta ricusazione del presidente Quistelli.
2)-Il 14 aprile 1997, nell’aula Bunker di Rebibbia, ebbe inizio il secondo processo di Priebke congiunto a Karl Hass che si concluse il 27 giugno con sentenza emessa il 27 luglio 1997, contenente la richiesta di un verdetto di colpevolezza e della pena dell’ergastolo da approvare, mentre aveva effetto immediato la condannaa 15 anni di reclusione in parte condonati (dieci anni per amnistia e tre anni e quattro mesi, questi ultimi per Priebke, scontati partendo dal suo arresto in Argentina). La motivazione essenziale consisteva nel ritenere irrealistica la tesi delle minacce aggravanti su Priebke dall’eventuale disapplicazione dell’ordine dirappresaglia, da parte della struttura delle SS., organismo cui egli aveva aderito volontariamente, raggiungendo livelli di alta responsabilità. Questo sta a significare che egli poteva rifiutarsi di prendere parte alla fase esecutiva della rappresaglia ed anche dimettersi dalle SS., il che non gli avrebbe comportato gravi conseguenze. E’ altrettanto vero però che l’allora clima vigente nell’organizzazione SS. non favoriva una tale decisione. Nella sentenza fu sancita l’imprescrittibilità del reato per crimini di guerra.
3)-Contro tale sentenza fu fatto ricorso in appello sia dal Tribunale militare sia dai difensori dei due imputati ed il processo, il terzo, iniziò il 27 gennaio 1998 e si concluse, con sentenza della Corte d’appello militare, l’8 marzo 1998 con condanna di Priebke ed Hass all’ergastolo.
E’ ovvio che, in violazione di ogni più elementare nozione di diritto, Priebke fu processato tre volte con un accanimento gestito sul panorama internazionale per trarre effetti al servizio di interessi che andavano ampiamente oltre lo scopo di perseguire dei crimini.
La condanna fu accolta da proteste della destra e vi anche un riscontro nella sinistra dei "comunisti internazionalisti" diramato dal sito“www.tightrope. it/user/cherfare/archivcf/cf4o/oriebke.html.”, di cui riporto la parte finale in quanto la stessa esprime l’opinione che il processo, più che finalizzato a punire l’imputato Priebke, sia stato inscenato a favore di Israele:
“ L’operazione Priebke, finta persecuzione dei crimini di guerra del passato, è stata ed è in realtà un’operazione di propaganda bellica in vista di futuri, e forse non troppo lontani, nuovi "crimini di guerra”, rivolta da un lato contro la Germania (presentata come presunto terreno di elezione del nazismo) e dall’altro a pro di Israele (cui la persecuzione subita dagli ebrei darebbe un’assoluta giustificazione per la sua azione oppressiva nei confronti delle masse palestinesi ed arabo-islamiche). Non a caso il capofila dell’attuale battage è un ben riconoscibile sionismo che gioca una sua partita pro-imperialista USA anche contro l’Europa, ma prioritariamente contro il proletariato internazionale “.
Concludo qui questa mia rivisitazione della lontana tragedia risalente a settant’anni fa, del grave attentato partigiano di via Rasella a Roma e conseguente tremenda strage per rappresaglia, delle Fosse Ardeatine, ritenuta giuridicamente legittima. riguardo l’azione partigiana di via Rasella che fu un attentato e non un’azione militare, perché i partigiani, a quella data (23 marzo 1944), erano delle bande e non dei militari e cioè non erano un esercito regolare come falsamente dalla stampa recente, anche nel Friuli Venezia Giulia, si è tentato di far credere agli sprovveduti ed erano quindi consapevoli che il fatto avrebbe provocato una strage di civili preannunciata da regolare avvertimento ufficiale premonitorio d’obbligo, diffuso mediante manifesto bilingue tedesco-italiano fatto affiggere dal Feldmaresciallo kesselring nelle piazze e nei municipi, cosi come avvenne pure nell’Adriatisches Küstenland da parte del SS. Gruppenführer Odilo Globocnik sempre mediante manifesto bilingue (1), ampiamente diffuso in data 6 novembre 1943, incontestabile documento probatorio che conservo nel mio archivio e del quale, in calce, riporto il testo. Vi era quindi una chiara consapevolezza del come si sarebbero comportati i tedeschi dai quali i partigiani va ritenuto con certezza, nel caso di attentati, non potessero aspettarsi un ringraziamento, essendo gli stessi, i tedeschi, scesi n Italia ad impegnarsi sul fronte sud-west contro gli alleati, dove già si trovavano con delle forze militari consistenti e col pieno consenso dell’Italia, per tener testa al vuoto lasciato dall’esercito italiano in fuga dopol’armistizio separato italiano firmato a Cassibile il 3 settembre e reso pubblico l’8 settembre 1943. La preventiva consapevolezza dell’inevitabile rappresaglia lasciò comunque indifferente l’organizzazione partigiana che aveva progettato l’attentato, tanto a pagare sarebbero stati i civili come infatti lo furono. Questa considerazione sorvolata da storici sull’organizzazione partigiana clandestina, va invece storicamente registrata così come va detto che l'atteggiamento della maggioranza degli italiani, riguardo l'attività partigiana, fu agnostico non vedendo nei partigiani i futuri rappresentanti del proprio avvenire ed il giudizio dell'opinione pubblica sugli stessi, già dal primo dopoguerra, fu controverso e lo è tutt’ora. A sua volta, da un punto di osservazione equidistante, non può essere tuttavia nascosto che l’immagine di Priebke, se da un lato, come Kappler, conferma la biblica lealtà tedesca nell’impegno militare esecutivo, quale che fosse il motivo, e ricorda la resistenza estrema di Stalingrado o la difesa di Berlino, in questo secondo caso quando ormai la guerra per la Germania era perduta, dall’altro lato ovviamente, per la sensibilità italiana e soprattutto per coloro che, nell’atroce crudele, ordinata esecuzione delle Ardeatine, persero dei congiunti, padri, fratelli od altro, provoca un inevitabile risentimento emotivo e ripropone interrogativi, intesi astabilire se quanto accadde fu legittimo, sbagliato o assurdo. Per questo ho voluto ripercorrere i fatti, attraverso gli accertamenti da me perseguiti come storico ed i ricordi anche personali, ritenendo che, gli stessi, offrano un contributo alla conoscenza delle causali e delle relative conseguenze, onde il lettore mi auguro possa ricavare dei segnali utili alla verità e trarre delle obbiettive deduzioni.
25 ottobre 2013
PIER ARRIGO CARNIER
(1) Testo italiano del manifesto diffuso a firma del Gruppeneführer ss. ODILO GLOBOCNIK il 6 novembre 1943
A V V I S O
Abbiamo avuto occasione di constatare, che le bande hanno
potuto prendere piede e svolgere la loro attiività, soltanto in regioni
dove la popolazione stessa offriva loro appoggio ed aiuto. Coscienti
di ciò e per difendersi contro gli attacchi domunisti si ordina :
1. Ogni abitante, che abbia conoscenza del sog-
giorno e dell'attività di bande comuniste, singoli
appartenenti alle bande e dei loro collaboratori,
è obbligato a segnalare le sue osservazioni al più
vicino posto di Polizia.
2. I danni cagionati dalle bande, devono essere ri-
parati in comunanza dalla popolazione del luogo
che è stato danneggiato.
3. Se il danno è tanto rilevante da non poter es-
sere riparato, esso verrà coperto invece che dalla
contribuzione di lavoro, da una multa in denaro
che sarà calcolata secondo la possibilità della
popolazione del luogo.
4. Attacchi contro tedeschi, sabotaggio, atti di
violenza, favoreggiamento delle bande, ecc.
saranno, nel caso il colpevole non venga sco-
perto, puniti secondo la gravità del caso, con
misure severissime, contro le persone fra le quali
si suppone trovasi il colpevole e le quali con il
loro antecedente contegno danno motivo di sup-
porre d'avere favorito l'azione.
5. Le conseguenze a par. 2 - 4 saranno eliminate
del tutto o in parte in seguito ad indicazioni che
portano all'arresto del colpevole.
Trieste, 6 novembre 1943
Der Höhere SS. - u. Pol. Führer in der Operationszone - Adriatisches Küstenland
G L O B O C N I K
SS. GRUPPENFÜHRER U. GENERALLEUTNANT DER POLIZEI
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