MEMORIA
Riguardo
il territorio della “Destra
Tagliamento”, che ha la sua storia e di cui Pordenone è capoluogo, con
un’indagine condotta mediante sopralluoghi, dialoghi con protagonisti, acquisizioni documentali e presa conoscenza
di pubblicazioni, mi riuscì, nel corso di lunghi anni, a partire al 1962, di raggiungere una
visione concreta di quanto ebbe a verificarsi nel periodo dell’occupazione tedesca 1943-1945, che si
diversificava dal concetto di vera e propria occupazione, essendo la Germania (III°Reich)
nostra alleata, e della conseguente insurrezione resistenziale. I risultati di
questa mia analisi in un
compendio che coglie gli aspetti più
significativi, utili alla comprensione, sono esposti nel mio recente volume
diffuso dalla Mursia, dal titolo
“COSACCHI CONTRO PARTIGIANI- Friuli occidentale”.
Sempre
a proposito della “ Destra Tagliamento” o “Friuli occidentale”, nel corso della
mia attività giornalistica di oltre quarant’anni con diverse testate, trattai vari argomenti resistenziali spesso a
più puntate. In uno di questi, pubblicato dal Messaggero Veneto in tre puntate
nelle date del 5,6 settembre e 13 ottobre 1996, mi occupai della
condanna a morte, su sentenza del Tribunale straordinario tedesco, dell’
ufficiale del Regio Esercito e comandante partigiano Franco Martelli la cui
esecuzione, mediante fucilazione, avvenne nelle caserme di via Rovereto in Pordenone..
Per taluni risvolti, del tutto ignorati e da me rivelati, l’argomento era e
rimane senza dubbio rilevante. Nella puntata
conclusiva uscita il 13 ottobre
1996, oltre a porre in rilievo lo
straordinario impegno umano del federale fascista Bortolozzi nel tentare di
bloccare, sebbene vanamente, l’esecuzione del Martelli, evidenziai un’oscura
vicenda rimasta ignorata, quella
precisamente dell’uccisione, da lato partigiano, di Elena Del Ben, splendida giovane trentaseienne di Pieve,
piccola borgata contadina in comune di Porcia. Eravamo alla fine di ottobre
1944. L’uccisione avvenne esattamente il giorno 27. Nell’ aria piuttosto umida,
essendo periodo di fine vendemmie, regnava odore di raccolti. Stante lo stato
di guerra e le circostanze resistenziali sussisteva un clima di paura stagnante, ciò nonostante il sinistro
episodio di sangue, toccò la sensibilità dei cittadini e vi fu una forte
disapprovazione. Per avere notizie sul caso presi a suo tempo contatti, nella
menzionata borgata, con alcuni stretti
parenti. Ebbi dagli stessi una bella fotografia della giovane che pubblicai sul
Messaggero, nella menzionata ultima puntata. Tenendo in mano quella foto ed
ascoltando ciò che i parenti rievocavano, mi passarono per la mente i tempi di
assoluto potere delle grandi famiglie possidenti purliliesi e dei dintorni che
avevano il dominio sulle proprietà terriere, una delle quali legata nelle
origini al Sacro Romano Impero. Per contadini e prestatori d’opera quei tempi
furono di assolta sudditanza e più esattamente da “Pane da padrone”, secondo un’
appropriata definizione contenuta nel
libro “La ragazza di Fònzerga”, scritto a due mani dalle vicentine Marta
Prebianca e Maria Anna Polli, indubbiamente interessante per talune notizie
sulla seconda guerra relative ai tedeschi.
Fu in quel clima che Elena visse ? Sì,
effettivamente visse tale realtà. Essa amava però decisamente l’eleganza, le
piaceva distinguersi, curava molto la sua immagine mettendo i suoi risparmi nel
vestire bene. Elena fu sospettata dai partigiani di possibili simpatie da parte
dei tedeschi che allora presidiavano quei luoghi con comando a Villa Dolfin di
Porcia. Essendo giovane donna di bell’ aspetto con cura di sé stessa era
naturale che suscitasse delle simpatie. Diverse furono le versioni del come fu
prelevata. I parenti mi informarono che Elena, per quelle inevitabili simpatie
dei tedeschi, temeva i partigiani ed
aveva realmente confidato a diversi la paura di essere uccisa…. Fu prelevata
nella sua borgata o, in ogni caso, al seguito di taluno raggiunse i pressi del
cimitero di Pieve, luogo evidentemente
prescelto, dove le si pararono di fronte gli esecutori. Credo le siano state
dette frasi indegne dell’essere umano, tali da allibirla.. Dalle testimonianze, non solo dei parenti, ma
di cittadini di Palse e Porcia, Elena venne violentata dall’ intero gruppo e poi
uccisa. Al rinvenimento del cadavere oltre a mortali colpi d’arma da fuoco
furono notati segni laceranti di diverse
pugnalate al collo, alle braccia ed al seno, prova di una ferocia bestiale. Una
donna anziana di Fontanafredda, a cui, oltre quarant’ anni fa al tempo
delle indagini sul caso , ero stato
indirizzato, mi disse fra altre cose che restano a latere del giudizio sul delitto, che Elena era molto
devota a Santa Rita da Cascia per cui
ritengo che, prima di perdere conoscenza sotto lo i colpi d’arma e le crudeli pugnalate, lei l’abbia invocata. Il suo
martirio va senza dubbio assunto a memoria luminosa ed a condanna, senza
possibilità di appello, della crudeltà da
sciacalli che infangarono certe vicende partigiane. Un amico,
sempre oltre quarant’ anni fa, mi aveva rilasciò alcune foto di partigiani del
luogo, ritenuti i torturatori ed uccisori di Elena. Elena Del Ben, secondo
la certificazione rilasciatami dalla Parrocchia di Palse, essendo nata il 3 settembre 1908 ed uccisa il
27 ottobre 1944 aveva, come già riferito
in precedenza, 36 anni. Fu sepolta il 30
ottobre 1944 nel cimitero di Pieve, luogo isolato sprofondato nella quiete
contadina, ma la storia non finisce qui. Nei giorni successivi al rinvenimento
del cadavere il comandante tedesco di Villa Dolfin, un severo maresciallo che,
si dice, intervenisse perfino nelle liti familiari quando taluno usava
violenza, provvide rapidamente all’ arresto di alcuni partigiani sospettati,
secondo soffiate, di essere gli autori
del delitto. Sottoposti ad interrogatorio probabilmente confessarono, ma questo
non fu dato di saperlo. Al termine dell’ interrogatorio, sotto scorta di alcuni tedeschi, detti
partigiani furono fatti salire su uno dei tipici autocarri della Wehrmacht che fece sosta a circa a metà di via Correr. Qui uno dei tedeschi, disse loro: “ Siete liberi, potete andare !”
Scesi dall’ autocarro i partigiani si avviarono sulla strada ma, nel giro di
pochi istanti, furono abbattuti da alcune raffiche di “Maschinenpistole”. Era
il tipico metodo dei tedeschi che, in relazione all’ordinanza Nacht und Nebel
del 7 febbraio 1941 firmata da Keitel,
accertata la colpevolezza e stabilita la condanna a morte, semplificavano
l’esecuzione della stessa e, nel rapporto d’obbligo che inviavano a Berlino,
precisavano che l’uccisione era avvenuta legittimamente mentre tentavano la fuga.
Porcia
di Pordenone, 18 luglio 2017
PIER ARRIGO CARNIER
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