Cari amici e lettori, prima di esporre vicende della resistenza, riferendomi agli eventi verificatisi in Carnia ed anche nel Friuli, premetto che, da tempo, il clima dominante della prevalente politica gestionale nella gerarchia degli enti d' informazione, stampa e TV. ed ogni altro mezzo informativo di contorno, salvo poche eccezioni, risulta categoricamente impegnato ad evitare rivelazioni incresciose sulla stessa onde non offuscare l' artificiosa aureola aulica creatavi intorno o, in ogni caso, ove capitasse di fronteggiare situazioni negative, cercando di renderle irrilevanti ed è questa la norma ormai consolidata.
Di recente, in funzione dei contenuti del mio ultimo libro "Cosacchi contro Partigiani,-Mursia - Milano e di mie dichiarazioni diffuse da un Canale TV., ho ricevuto telefonate interlocutorie di apertura ad un dialogo costruttivo interessato a conoscere delle verità nascoste e da me solo in parte rivelate e quindi a capire l' autentica resistenza, disinnescata dall' aureola glorificante costruita necessariamente per dare un senso conveniente alla coscienza nazionale, fenomeno tipico italiano ed anche francese, ma non tedesco. I tedeschi hanno perduto la guerra pagando un prezzo altissimo,
ma non si sono svestiti delle loro responsabilità, mentre gli italiani, maestri di trasformismo, si sono gettati in braccio all' avversario plutocratico anglo americano disconoscendo il proprio passato fascista, sebbene il fascismo, a prescindere dalle cause della guerra, aveva portato l' Italia in una posizione rispettabile.
Emerge quindi, seppure lentamente, quella verità cui io ho dedicato per decenni il mio impegno culturale storiografico, non per svalutare la resistenza, ma per stabilire la sua autenticità e l' orientamento.
IL CRIMINE PARTIGIANO DEL MASSACRO DI UN CENTINAIO DI PRIGIONIERI COSACCHI (MILITARI E PROFUGHI CIVILI) SULLE MONTAGNE DI AVASINIS, DA ME RIVELATO
Grande effetto ha prodotto la concreta rivelazione del massacro, per mano partigiana (Osoppo e Garibaldi.), del centinaio di cosacchi arresisi ai partigiani nell' aprile 1945 ad Avasinis, su garanzia di avere salva la vita, con avallo del parroco locale, ed invece uccisi ed abbandonati senza sepoltura, lasciando i resti sul luogo per ben quattro anni, tant'è che solo il 15 ottobre 1949 la Pretura di Gemona, con documento ordinatorio che detengo nel mio archivio, ne dispose la ricognizione e quanto vi consegue e la sepoltura. Assieme alle spoglie non risultarono ricuperabili nè dei piastrini di riconoscimento (Erkennung Marke), nè documenti od altro ed è ovvio, che fra gli effetti personali, i prigionieri tenevano del denaro e questo evidenzia il reato di appropriazione indebita ed anche l'intento premeditato di non lasciare tracce dell' identità delle vittime onde togliere la possibilità di dar luogo a un procedimento penale d'ufficio. Si tratta di ulteriore reato che, assieme all' appropriazione indebita, viene ad aggiungersi al crimine del massacro, ma non risultò che fosse stato disposto alcun procedimento.
Ho notato che il citato documento della Pretura suscita timore, come una bomba inesplosa.
Rivelazioni scomode traspaiono poi dalle notizie della battaglia di Ovaro, perfettamente descritta motivando da chi dipese la volontà decisiva con nota nr.. 15 a pag. n. 170 del mio volume " L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945". Si afferma in detta nota che, l' azione su Ovaro, fu decisa su pressioni di una coalizione di notabili industriali, legati all' organizzazione anticomunista Osoppo, argomento scottante probatorio che, a partire da fine estate 1944, il mordente della resistenza carnica rossa aveva perduto l' aggressività iniziale, essendo intervenute delle segrete intese raggiunte bilateralmente, dalla coalizione di notabili industriali , sia con l' Osoppo che con la Garibaldi, sulla base di un appoggio finanziario e, a tal riguardo posso riferire che, agli inizi del luglio 1944, su disposizione del mio titolare (L.D.A.) uno dei notabili, prelevai io stesso nella banca del mio paese, 300mila lire, che io presente furono consegnate al commissario della Garibaldi "Arturo" Aulo Magrini, caduto giorni dopo, il giorno 15/07, in un' azione contro i tedeschi a località "Ponte di Noiaris" della val But in Carnia. Esisteva quindi un' intesa che conferiva potere alla coalizione dei notabili industriali. epoca dell' intesa l' aggressività iniziale della Garibaldi, fondata su principi ideali di tendenza filo stalinista, apparve allentata e addirittura l' Osoppo si sentì associata a tale coalizione di notabli e quasi subalterna. ". Il tutto però faceva perno, con la funzione di dominus nel commissario tedesco Franz ing. Gnadlinger, referente del Gaulaiter (Supremo commmissario) dott.Friedrich Rainer. Come scrissi nel menzionato volume le intese raggiunte ponevano un freno al < mitra facile> e limitavano il potere decisionale partigiano. Ma il compromesso, in generale, svuotava dei contenuti essenziali la lotta rivoluzionaria. L'unico che aveva fiutato il pericolo e si era opposto a questo <connubio tra il diavolo e l'acqua santa> era stato il capo partigiano "Mirko" (Arko Mirko) che , successivamente, venne emarginato e , alla vigilia della liberazione, assassinato su su mandato onde ridurre al silenzio il proposito dichiarato del medesimo di denunciare, agli alleati in arrivo, talune vicende resistenziali tra cui l' assassinio di sei ufficiali delle missioni alleate accreditati presso i partigiani... e fui io, non i partigiani, ad informare i familiari e la competente autorità iugoslava per cui, affinchè provvedessi a tutti gli approfondimenti del caso, ciò che infatti feci con impegno, fui nominato procuratore irrevocabile.
Nel periodo resistenziale, come già precisato in narrativa, essendo stato a fianco, quale dipendente amministrativo, di uno degli industriali della coalizione di notabili (L.D.A.), membro di rilievo del C.L.N. "Val Gorto", fui testimone di un retroscena di incontri e varie vicende tenute a lungo segrete, ma delle quali ritengo di poter parlare. Al menzionato industriale, membro del C.L.N. facevano segretamente capo dei delatori partigiani della Garibaldi che riferivano sulle azioni operative ed altro ...ed al riguardo ebbi motivo di ritenere che ricevessero qualche compenso in denaro. Merita evidenziare che, dagli inizi del 1944 fino al volgere dell' estate, l' ala di sinistra resistenziale, cioè la resistenza rossa rivelava un concreto orientamento ideologico e mirava chiaramente ad un futuro comunista-stalinista. Gli appartenenti alle formazioni della Garibaldi, dal fazzoletto rosso attorno al collo, portavano nella bustina copricapo l' insegna della stella rossa comunista. Solamente dopo la svolta di Salerno verificatasi nell' aprile 1944 dove, per volontà del tribuno comunista Palmiro Togliatti che agiva sul direttive di Stalin ( finalizzate a trovare un compromesso tra antifascisti, monarchia e Badoglio per la formazione di un governo di unità) fu deciso che l'insegna comunista della stella rossa, posta sul copricapo, fosse collocata sul fondo tricolore della bandiera italiana. Ovviamente detto particolare ed altre provvedimenti costituivano solo un aspetto ammorbidente, mentre l' obbiettivo essenziale era la costituzione, a fine guerra, di un governo social comunista.
L' INTESA SEGRETA
Tornando alla Carnia un' intesa segreta intercorreva il membro del C.L.N. "Val Gorto", ing. Rinaldo Cioni direttore delle miniera di Ovaro ed il commissario tedesco Franz ing. Gnadlinger ispettore tedesco addetto al controllo delle aziende vincolate alle necessità belliche nel territorio dell' Adriaisches Kustenland,sottoposto a sovranità tedesca. Cioni, a sua volta, era collegato con filo diretto all' industriale e membro del C.L.N. contitolare dell' azienda industriale ed amministratore delegato della stessa al cui fianco operavo. Gnadlinger e Cioni ebbero degli incontri riservati a Tolmezzo ed entrambi assieme col mio titolare nella sede aziendale. Erano questi i legami sostanziali su cui il Gnadlinger, nella veste di referente, informava il supremo commissario dott. Friedrich Rainer con sede a Trieste il cui obbiettivo, in riferimento al territorio amministrato dell' Adriatisches Kustenland con particolare attenzione al Friuli e la Carnia, era un ritorno alla normalità. Verso fine estate le forze resistenziali della Carnia, non assolutamente nell' entità ed organizzazione falsamente fatta credere da una propaganda faziosa nel dopoguerra, idealmente di prevalente fede comunista-stalinista, risultarono disposte a non ostacolare gli orientamenti della menzionata coalizione formata dai notabili e strettamente legata all'"Osoppo" e dei segreti collegamenti col commissario tedesco Gnadlinger. In ogni caso, in coincidenza dell' inizio dei grandi rastrellamenti tedeschi a fine estate 1944, la Garibaldi aveva perduto la sua aggressività rivoluzionaria iniziale.
L' apertura di Rainer nei confronti alla coalizione dei notabili della Carnia aveva in contropartita su una precisa richiesta, formulata in una lettera che l'ing. Gnadlinger fece recapitare all' ing. Cioni, direttore delle miniere di Ovaro, resa nota a pag. 133 del mio volume "Lo Sterminio Mancato "-Mursia-Milano 1982, che qui di seguito riporto : -" Sarebbe quanto mai opportuno se Ella potesse farmi avere una dichiarazione approvata dalle persone più in vista di tutta la Carnia in cui si aspira e viene affermata la volontà di tutti di voler ritornare al lavoro e di collaborare sinceramente con noi. Detta dichiarazione mi sarebbe utile per potere, a mia volta, confermare quanto già da tempo vado predicando presso le Autorità competenti. Ella comunque sa quanto io abbia fatto per il benessere della popolazione della Carnia e Le assicuro che non mancherò di \prestare le mia opera disinteressata anche in seguito".
Occorre qui precisare che il supremo commissario dott Rainer, di cui la richiesta tramite Gnaglinger rifletteva il pensiero, coltivava fermamente il proposito, riferito nel citato mio volume, di "" ...una lenta annessione del Friuli, Carnia compresa, al III° Reich o, in ogni caso, alla Grande Austria, del cui progetto è riferito a pag. 236.
Ciò premesso, in riferimento alla proposta fatta da Gnaglinger in nome di Rainer, che impegnava le persone più in vista della Carnia e quindi simbolicamente l' intera popolazione ad affermare la propria volontà di sincera collaborazione coi tedeschi che presidiavano il territorio e sul quale, per decreto di Hitler, avevano sovranità, la coalizione dei notabili comprensibilmente non aderì, per due essenziali motivi. Il primo consisteva nel fatto che, nel frattempo, come accennato in narrativa, i notabili avevano raggiunto un' accordo coi partigiani concedendo agli stessi dei finanziamenti commisurati alle singole realtà economiche con l' intesa, in contropartita che, certe decisioni dell attività resistenziale dovevano avere il preventivo assenso dei notabili di Comeglians. Il secondo e forse il più incisivo, portatore di una ventata di speranze sull' imminente futuro delle vicende di guerra legate alla realtà italiana, era dovuto al fatto, tenuto segreto che, un agente delle missioni alleate, munito di radio ricetrasmittente, sfuggendo al caos dei rastrellamenti tedeschi era stato ospitato da uno dei notabili, l' industriale cav. U.De Antoni. nella propria aggraziata villa posta alla periferia nord di Comeglians, per il quale stante la segretezza, organizzò un rifugio nella soffitta. Ciò che conta è che, il detto agente attraverso il proprio canale di collegamento col superiore comando posto nel sud Italia, favorì l'apertura di un dialogo per possibili richieste informative nell' interesse della coalizione dei notabili ed altro. La coalizione teneva quindi i piedi in più staffe : godeva da un lato della protezione tedesca da parte del Supremo commissario, aveva stabilito un' intesa tranquillizzante coi partigiani comunisti, mentre coi bianchi (Osoppo) non vi erano problemi ed aveva aperto un canale informativo con gli alleati. Bisogna riconoscere che nel clima di incertezze regnante in quel periodo, dal confine incerto tra il sicuro e l' insicuro, tale linea di comportamento fu senza dubbio abile.
L 'ing Gnadlinger giunse ad Ovaro dove aveva indetto una riunione riservata coi notabili, dopo il 20 ottobre. Rilevò che alla richiesta dichiarazione scritta di una sincera fattiva collaborazione da arte delle persone più in vista della Carnia si era risposto col silenzio e tuttavia, stante il clima carico di tensioni provocato dai rastrellamenti non insistette sull' argomento, ma affrontò decisamente la questone " eliminazione individui", come precisai a pag. 136 nel mio citato volume. In pratica, senza mezzi termini, l' ing. Gnadlinger proponeva come soluzione di trovare i mezzi, per eliminare e ciò uccidere gli elementi sanguinari, e cioè dei capi ormai noti responsabili direttamente o fomentatori di uccisioni sul piano politico e addirittura per questioni ed odi personali onde imprimere all'attività partigiana carattere puramente patriottico.
I rastrellamenti tedeschi di fine estate si spinsero nell' autunno. In adeguamento alle direttive del maresciallo britannico Alexander l' organizzazione Osoppo si sciolse lasciando pochi nuclei dislocati in zone diverse in attesa di una possibile ripresa dell' attività in primavera o al momento del presunto imminente fine guerra. La Garibaldi, in seguito ai rastrellamenti, subì notevoli perdite dovute ad esecuzioni e deportazioni in Germania per cui si ridusse a delle formazioni superstiti e, a tal proposito, sento il dovere di precisare che, in un momento oscuro di palesi gravi difficoltà e dissoluzione, in una riunione segreta tenuta il 20 novembre 1944 nell'alta valle di Pani, presenti vari comandanti della Garibaldi e taluni dell' Osoppo, fu il commissario "Andrea" (Mario Lizzero) ad imporre con energia e capacità persuasiva la continuazione della resistenza sui monti della Carnia.
I rapporti Cioni - Gnadlinger , continuarono anche dopo i rastrellamenti, in maniera piuttosto formale.
Nel caso da parte tedesca vi fosse stato qualche proposito di intervento antipartigiano nella zona Carnia ed in particolare nella val Gorto, la mia valle, un segnalatore tedesco, via telefono, informava, con frasi convenzionali, l'ing. Cioni, direttore delle Minere di Ovaro e membro del C.L.N. cui fu anche presidente. Fra le maestranze alle sue dipendenze, dopo i rastrellamenti tedeschi , aveva trovato copertura protettiva un' entità rilevante di partigiani comunisti ed i tedeschi ne erano informati, ma andava bene così. Ai fini della normalizzazione voluta da Rainer ebbe anche a verificarsi che l 'ing, Gnadlinger lo assicurasse che la presenza di partigiani comunisti slavi in Carnia era stata del tutto eliminata in Carnia e le esistenti formazioni partigiane erano, a suo avviso, animate unicamente da sentimenti patriottici, realtà che i tedeschi ritenevano compatibile, il che però non era vero per cui si trattava di un' autentica invenzione.
Dal punto di vista storico, in riferimento all' organizzazione partigiana Garibaldi, al dilà dello sconfinamento in certi degradanti aspetti tipici delle insurrezioni, ma per la coerenza dell orientamento a sinistra ispirato dall' obiettivo di giustizia ed uguaglianza sociale in nome delle classi soccombenti con progetto di profonde riforme, ed anche con l' accettazione di ventilate intese miranti a sottoporre l' area dell' Adriatisches Kustenland e parte della stessa alla sovranità iugoslava, , merita di essere considerato, trattando anche il profilo di alcuni protagonisti guida quali il già menzionato "Andrea, "Mirko", "Grifo", "Giacca" ed altri. Si tratta degli effetivi propositi di fine guerra della sinistra, di fatto accantonati a fine guerra sante la presenza sul territorio nazionale delle divisioni corazzate alleate.
In riferimento all' inverno 1944 ritengo di rievocare un fatto realmente accaduto in val Gorto che, come già precisato era la mia valle Un aereo alleato decollato da una base del Sud, previe intese convenzionali, provvide al lancio di rifornimenti ai partigiani in prossimità del mio paese, i cui contenitori caddero però in buona parte in mano ai caucasici che presidiavano la zona. Seppi da alcuni di essi, che coabitavano in casa che in contenitore, fa molte confezioni di tè di Cejlon, fu trovata una consistente cassetta redgalo contenente dei dolci e delle bottiglie di spumante, il tutto con il nome di ufficiale alleato con l' augurio di Buon Natale. Naturalmente i caucasici non riuscirono a sapere dove si trovasse l' agente alleato. Si dà il caso che, nella stessa villa dove l' agente era stato sistemato nella soffitta , trovò alloggiamento, verso fine autunno 1944, il comandante di un reggimento della Legione georgiana giunto ad acquartierarsi al mio paese. Si trattava del colonnello Fridonio Zulukize il quale, stante la poderosa avanzata sovietica verso occidente, considerando irrealizzabile l' obbiettivo della liberazione della Georgia per il quale notevoli forze georgiane, costituite da emigrati risalenti alla prima guerra mondiale e prigionieri della seconda concentrati nei Lager tedeschi si erano poste al servizio della Germania, aveva assunto un atteggiamento attendista ed inoffensivo verso i partigiani. Il colonnello, essendo stato cautelativamente informato sulla presenza clandestina dell' agente alleato, ritenne in qualche modo di servirsene. Messo in contatto con l' agente chiese di inoltrare una richiesta di protezione, considerata imminente la fine della guerra, per le forze georgiane ed i profughi al seguito, nel senso di essere sottratti al rischio della consegna ai sovietici ed avere destinazione negli USA o in qualche paese del Commenwalt. L' idea fu accettata a condizione che, in contropartita, il reggimento georgiano, armi e bagagli, passasse a fianco dell' organizzazione partigiana. Zulukize e il suo Stato maggiore furono d'accordo e Osoppo il 29 aprile 1945, in Comeglians, presso la sede amministrativa di altro industriale della coalizione, G: De Antoni, presente il colonnello Zulukize e i suoi collaboratori, due esponenti osovani, il comandante Paolo ed il commissario politico Flavio della 2a Brigata Osoppo-Friuli, sottoscrissero l' accettazione del passaggio delle truppe georgiane alle dipendenze della 5a Divisione Osoppo-Carnia-Pal Piccolo. Dei tre originali dell' atto, uno venne rilasciato, quale teste, all' Amministratore della citata azienda che in seguito volle donarmelo per cui lo pubblicai nel mio volume "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945".
Il reggimento georgiano ed il seguito dei profughi, dopo la firma dell' atto si spostarono ad alcuni chilometri verso nord-ovest nel capoluogo di Forni Avoltri, in attesa delle forze britanniche che celermente avanzavano, segnalate in arrivo verso la Carnia attraverso il Cadore. Seppi da fonte certa che, nel nuovo insediamento di Forni Avoltri, l 'avvenuto passaggio del reggimento georgiano alle dipendenze del' Osoppo dette luogo ad una forte reazione, allorchè giorni dopo, fu proposto di affiancare gli osovani in un attacco, su cui verrò a breve a riferire, contro i cosacchi del presidio di Ovaro per indurli alla resa Si verificò infatti una forte lite tra parte dei georgiani contrari all' affiancamento all' Osoppo e quelli favorevoli e si arrivò ad uno scambio di revolverate che provocarono dei feriti.
Elementi dell' Osoppo, scioltasi nell' autunno, si ricomposero vennero a colloquio riservato col mio titolare, onde apprestarsi a formulare le proposte di resa, primariamente ai presidi cosacchi della valle. Fra gli stessi notai il capo osovano "Max", Enzo Noro da Sutrio che conoscevo. C'era un clima di fervore e di tensioni nell'attesa di eventi. Un membro osovano del C.L.N. di Gorto, il conte Burgos, indossando l' uniforme da ufficiale della Regia Marina, si presentò a Tolmezzo a proporre la resa al Comandante dell' Armata Cosacca, richiesta che fu respinta e venne allontanato. In realtà il medesimo, essendo membro del C.L.N. Val Gorto avrebbe agito al di fuori delle sue competenze.
La moglie di uno dei notabili passò nel mio ufficio e mi dette delle fasce di un tessuto di tela bianca, preparate per essere infilate nel braccio sinistro, dai membri e collaboratori del C.L.N. su cui, con un pennello appropriato ed inchiostro nero di china, dovevo segnare le menzionate tre iniziali, ciò che infatti feci. La dichiarazione ufficiale di fine della guerra era imminente di minuto in minuto. Le notizie dell' avanzata alleata incalzavano prepotenti. Sembrava tutto facile, tutto risolto. I presidi cosacchi dell' alta Val Gorto , di Forni Avoltri e Rigolato, su intimazione partigiana si erano arresi, quelli di Chialina e di Ovaro, invece resistevano rifiutando categoricamente la resa essendo loro proposito ritirarsi, stante anche la presenza, lungo la strada che si snodava a sud verso Villa Santina, di oltre trentacinquemila cosacchi in sosta, bloccati dai partigiani ad Ovaro dai nella prosecuzione della marcia. Nella coalizione dei notabili industriali l' idea di ottenere la resa di Chialina-Ovaro e della massa dei cosacchi bloccata a sud del capoluogo si era fatta impellente ed irrinunciabile.
O V A R O
La resa doveva suggellare trionfalmente l’ operato della coalizione dei notabili industriali che, appoggiata dall' Osoppo, aveva sovranità decisoria. In un’ultima riunione segreta dei membri del C.L.N. e capi partigiani la sera del 1° maggio, in una casa isolata alla periferia nord di Chialina, era stato deciso di rimanere in posizione di trattativa coi cosacchi, ma a modificare le opinioni di alcuni membri del C.L.N. giunsero alla riunione dei nuovi elementi, borghesi, col fazzoletto verde al collo quale attestazione di fiancheggiamento all’ “Osoppo” (si trattava di alcuni imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro) i quali col capo partigiano Paolo dell “Osoppo” riuscirono a far prevalere l’opinione di attacco del presidio. A pag. nr. 170 del mio volume “L’Armata Cosacca in Italia 1944-1945”- con nota in calce nr. 15 è incontestabilmente affermato:- L’ opinione dei nuovi elementi ( imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro), che rafforzavano il C.L.N. ebbe prevalenza e l’ attacco fu progettato per l’ alba. L’ idea dell attacco era quindi il volere di una terza forza, di natura borghese, che costituiva una corrente a sè stante appoggiata dalla brigata “Osoppo”.
Presto nel mattino del 2 maggio 1945 nella mia valle tutti sentirono un' esplosione che fece vibrare i vetri delle finestre. Si trattava del brillamento di una carica di dinamite, fatta esplodere su iniziativa dei partigiani dell' Osoppo, che provocò nel villaggio di Chialina, posto ad alcuni chilometri a sud del mio paese, il crollo di una caserma dove stavano alloggiati dei cosacchi, taluni con le proprie famiglie e quindi con donne e bambini. Ovviamente la gran parte decedette sotto il crollo salvo una ventina di feriti. A tal riguardo debbo doverosamente precisare che la carica di esplosivo fu collocata da due giorgiani ( Romano Todua e Georg Lolua) che poi, rimasti in Carnia, sposarono donne locali. Poco dopo, potevano essere le sette del mattino, ed io assieme ai miei ero appena alzato, avvertimmo all' esterno uno scalpiccio di cavalli e sentimmo bussare alla porta. Aprimmo. Sull' uscio comparvero diversi cosacchi, di cui due ufficiali, mentre un cosacco di fianco alla casa badava ai cavalli. Entrarono in casa ed uno dei due ufficiali chiese in tedesco a mio padre che parlava tedesco se, nel villaggio, ci fossero dei partigiani, quanti e di quale brigata :- "Non ve ne sono . Vi sono solo i georgiani, circa un migliaio, e sono in fondo al villaggio , passati a fianco dell' organizzazione partigiana Osoppo", rispose mio padre. L' ufficiale chiese poi se la strada, che proseguiva per l' alta valle, fosse interrotta e in quanto tempo si sarebbe potuta raggiungere l' Austria, al che mio padre dette tutte le necessarie informazioni. Avevo allora 19 anni. La guerra era appena finita e regnava un' aria di tensione . Pioveva forte. Quei cosacchi, sfidando la vigilanza partigiana, provenivano dal presidio di Ovaro. Avevano le uniformi bagnate e bagnati erano pure i cavalli accostati alla casa, che dava sulla strada ed era la prima casa del paese venendo da sud.
Usciti di casa con un rapido saluto e rimontati a cavallo, quei cosacchi con folle galoppo si diressero verso Ovaro. Cadeva ancora una pioggia' insistente ed io, uscito sulla strada, li seguii con lo sguardo fino ad una curva, dove scomparvero avvolti in un pulviscolo nebbioso provocato dal furioso scalpiccio dei cavalli nelle pozzanghere.Poco dopo, in quel mattino, un compaesano delle famiglie di industriali del mio paese che, verso fine guerra avevano creato una coalizione con l'organizzazione partigiana Osoppo, sostenendo l'opportunità di attaccare il presidio cosacco di Ovaro per ottenere la resa e, di conseguenza, bloccare la ritirata di oltre trentacinquemila cosacchi in sosta lungo la bassa val Gorto a sud di Ovaro, bussò a casa mia e disse di esporre la bandiera perchè la guerra era finita. Mio padre ed io ci affrettammo precisare che un drappello di cosacchi a cavallo, giunto in avanscoperta da Ovaro, era appena ripartito dopo avere ottenuto informazioni rassicuranti sulla via della ritirata. Il compaesano sorrise sarcasticamente ed aggiunse testualmente che ""... ai cosacchi di Ovaro, fra poco, ci pensiamo noi (partigiani assieme ai georgiani), ...""
La menzionata coalizione di notabili industriali aveva assunto sovranità decisoria sull' 0rganizza- zione partigiana anticomunista Osoppo, argomento che andrebbe spiegato nel suo retroscena e nei dettagli, a me ben noti, essendo stato a fianco come già precisato, quale dipendente amministrativo di uno degli esponenti di maggior prestigio, membro del Comitato di Liberazione Nazionale " Val Gorto".
Preliminarmente trattative di resa si verificarono tra esponenti partigiani, il C.L.N. ed il comando cosacco di Ovaro delle quali, qui di seguito, riporto alcune precisazioni del mio volume " L' Armata Cosacca in Italia 1944-1945", prima edizione 1965 e varie successive, ( editrice Mursia 1990 etc.).
"" L'ordine dell' atamano Krassnoff, di non cedere le armi ai partigiani, aveva assunto per le sue truppe un significato profondo. Tutte le trattative cosacche di resa non costituivano quindi che una falsa lusinga. Fu così che i partigiani e il C.l.N.a Ovaro, avevano intavolato con una certa facilità delle trattative con il tenente colonnello G.P. Nasikow, comandante di quel presidio, un vecchio astuto ufficiale dai baffi ad uncino, che indossava un' uniforme di panno blu"".
"" Nasikow teneva il comando della guarnigione che riuniva Ovaro e Chialina. Faceva parte delle forze di presidio anche uno squadrone di polizia militare sotto il suo diretto comando. L' ora ed il luogo per la consegna delle armi erano ormai stati convenuti, ma allorchè il momento venne, i cosacchi aprirono improvvisamente il fuoco contro i parlamentari, che scomparvero in fuga disordinata. Il tradimento cosacco rivelò il retroscena di un piano d' azione meditato con principi di settaria abilità militare. La battaglia era imminente, ma pure evitabile, e una riflessione sarebbe bastata a tenere lontano lutti e rovine. I cosacchi avrebbero potuto lasciare infatti la regione senza colpo ferire"".
Forze partigiane, al comando di Alessandro Foi dell' Osoppo, attaccarono nella tarda mattinata del 2 maggio il presidio di Ovaro. Gli attaccanti partigiani erano circa una trentina in maggiorana osovani. Vi si aggiunsero alcuni garibaldini e qualche giovane aderente spontaneo. Di rincalzo, in seconda linea, c'era una trentina di georgiani al comando dell' osovano De Monte. Gli attaccanti agirono come se la resa fosse scontata, con scarsità di armi e munizioni. La Garibaldi non aveva ufficialmente aderito all' azione, che fu decisa senza la sua presenza, comportamento chiaramente imposto dalla coalizione di notabili dei quali l' Osoppo, come già accennato, era diventata strumento esecutivo.Seppi che i pochi aderenti garibaldini, che si tenevano in stato di all' erta nella borgata di Cella, posta verso l' alveo del fiume Degano rispetto d Ovaro, e tra questi il capo partigiano"Furore", furono chiamati ad intervenire su invito di un membro del C.L.N. "Val Gorto". A sollecitare tale intervento si prestò un certo Dino, che volontariamente si era messo a disposizione del C.L.N., proprietario e gestore di un ristorante a località Patossera, piccola frazione di Ovaro posta all' imbocco della val Pesarina.
Trincerati in due fabbricati, il municipio e l' albergo Martinis, i cosacchi del presidio si difesero tenacemente finchè, nel primo pomeriggio, intervennero dei rinforzi costituiti da un contingente della Scuola allievi ufficiali di cosacchi di Villa Santina, dotati di un pezzo di artiglieria, e forze del I° Reggimento a cavallo del colonnello A.M. Golubow (che io personalmente potei conoscere nel dopoguerra in Austria e dal quale ottenni preziose informazioni) che si trovava in ritirata a sud di Ovaro proveniente da presidi abbandonati nel Friuli dei quali il più avanzato verso est si trovava a Kobarid (Caporetto). Applicando la tattica dell' accerchiamento i cosacchi del I° Reggimento sorpresero i partigiani alle spalle, che caddero colpiti da raffiche, mentre dei georgiani, sorpresi alla periferia del villaggio, furono fucilati quali traditori.
L' attacco ad Ovaro che doveva suggellare trionfalmente la decisione di fonte borghese, concepita dalla coalizione di notabili ed attuata attraverso l' Osoppo anticomunista, finalizzata ad accogliere l’ imminente ingresso degli alleati americani con un titolo d’ onore probatorio della propria arrischiata collaborazione ( in pratica, scusate se mi permetto di osservare, da fascisti alleati e protetti dai tedeschi ci si gettava in braccio all’ avversario vincitore, confermando quella disponibilità al trasformismo e direi anche al calcolismo criticato da Heidegger, propria degli italiani) . Verso mezzogiorno del 2 maggio al mio paese giungeva l' eco di scoppi e mitragliamenti per cui, assieme ad altri, ero salito sul promontorio della chiesa di San Giorgio, dal quale si domina agevolmente la valle e si poteva scorgere Ovaro, onde rendermi conto di ciò che succedeva. Oltre al frastuono degli scoppi notammo delle fiamme che avvolgevano dei fabbricati e, sul lato sinistro della valle in una zona di prati e campi appena arati posti sotto il villaggio di Clavais, vedemmo un movimento frettoloso di persone : si trattava di partigiani in precipitosa fuga verso nord. Un fatto, rimastomi indelebile in mente, ci sorprese. Dal punto dominante, in cui ci si trovava, un precipizio roccioso scendeva sull' alveo del fiume Degano e, dall' altra parte, la strada che lasciava la periferia nord del mio paese, usciva da un tunnel. Due uomini, in cui mi parve di riconoscere dei paesani, usciti dal tunnel ed imboccato un sentiero, scendevano lentamente verso l' alveo del fiume, portando avvolto in un lenzuolo il corpo di un morto, che depositarono sulla sabbia, sotto una parete rocciosa, al margine del fiume. Spesso in seguito mi tornò in mente quell' immagine e, a mio avviso, altro non non poteva trattarsi che di un cosacco, gravemente ferito nel crollo provocato dai partigiani della caserma di Chialina, e trasportato assieme ad altri al mio paese in un improvvisato ospedale all' albergo Val Degano, era poi deceduto. Prevedendo l' arrivo dei cosacchi in ritirata, come infatti avvenne, si ritenne di occultare il cadavere nel dubbio che avesse potuto provocare una vendetta sul paese. Non trovai altra spiegazione ed indagando per sentire come stavano le cose e dove, quel cadavere fosse stato sepolto i probabili consapevoli girarono attorno alla domanda e mai dissero nulla. !!.
I cosacchi di Ovaro che, secondo il paesano che passò a casa mia invitando ad esporre la bandiera, sarebbero stati sistemati, travolsero invece l' aggressione partigiana. In ogni caso il sacrificio delle vittime partigiane va comunque rispettato, talune di giovani promettenti che mai avevano preso un fucile in mano e sparato un solo colpo, trascinati ad affrontare un’ azione con slancio giovanile nell’ illusione di conquistarsi la fama di eroi.... L’ azione, in ogni caso, risultò condotta con svagatezza come ebbe a raccontare, nelle sue memorie, l’insegnante Pittini e comportò il prezzo di una rappresaglia con ventotto vittime civili innocenti, una ferita che lasciò nella popolazione ovarese un segno profondo.Fra le vittime vi furono due giovani fratelli di mia conoscenza che mi risultava fossero in amicizia coi cosacchi ( nomi)... ma purtroppo l' ondata della della vendetta, condotta dai cosacchi di presidio non cioè non da quelli sopraggiunti a rinforzo non fece eccezioni.. Del comandante osovano Alessandro Foi, emigrato nell'immediato dopoguerra oltreoceano, non si seppe più nulla.
A tarda notte tra il 2 e 3 maggio buona parte dei cosacchi del presidio di Ovaro col comandante Nasikow, caricati parte dei morti su carrette che poi furono sepolti lungo la strada oltre il Ploeckenpass, preceduti da pattuglie in avanscoperta, intrapresero la ritirata col lento seguito dei trentacinquemila che sostavano a sud lungo la valle. Attraversarono quindi il mio paese per poi seguire la val Calda verso Paluzza e superare che immette nell' Austria.. Delle particolarità ancora non pubblicate, frutto di un meticoloso direi appassionato lavoro di ricognizione, riconosciutomi da molte fonti e con onestà d'animo dallo scrittore Carlo Sgorlon, stanno nel mio cassetto. Nel mattino del 3 maggio forze cosacche erano ancora in ritirata e, fra le stesse si trovavano le restanti forze del presidio di Ovaro che, attraversando il mio paese, fecero purtroppo una vittima. Si tratta del dott. Marco Raber ex ufficiale del Regio esercito, organizzatore verso fine guerra di un nucleo di giovani resistenti aderenti alla corrente osovana, detto "Monte Canin, alcuni dei quali, il giorno prima, avevano preso parte all' attacco su Ovaro ed erano caduti colpiti alle spalle dall' avvolgente contrattacco cosacco. Stando ad indizi è presumibile che i cosacchi di Ovaro, sul dott. Raber, fossero in possesso di precedenti informazioni per cui si spiegherebbe che, pur nelle circostanze della ritirata, dopo averlo prelevato nello stabile di sua proprietà posto accanto alla strada, allora noto come albergo-ristorante "Raber", lo fucilarono in una vicina aiuola. La versione che circolò nel paese fu che, tra il dott. Raber e dei cosacchi entrati al piano terra adibito a bar-ristorante, dove lui casualmente si trovava, sarebbe sorta una discussione ed egli avesse alzato la voce intimando ai cosacchi di uscire. Quasi certamente in quei giorni, quale organizzatore partigiano, egli si portava addosso la pistola ed i cosacchi, controllando, se ne resero conto per cui scattò immediata la decisione della fucilazione. La sua uccisione, essendo il dott. Raber persona gradita e rispettabile, sollevò sgomento e uno strascico di amarezza ed a memoria, sulla facciata della casa, venne in seguito posta motivatamente una lapide.
Tornando ai notabili industriali uno dei quali, come già riferito, era membro importante del C.L.N. "Val Gorto"al cui fianco ebbi ad operare per cui,come testimone, conoscol’intero sviluppo degli eventi, giunti in macchina ad Ovaro nel primo pomeriggio del 2 maggio in quanto avvertiti che la situazione precipitava e quando ormai stava verificandosi l’ intervento dei rinforzi, furono arrestati dai cosacchi del presidio comandato dal colonnello G.P. Nasikow, cioè non da quelli sopraggiunti a rinforzo, e per ben due volte allineati per la fucilazione, miracolosamente poi sospesa. Trattenuti come ostaggi nella notte dovettero seguire la lenta angosciosa ritirata, per poi essere lasciati liberi, lungo la val Calda prima di Ravascletto, ad alcuni chilometri dopo il villaggio di Povolaro. Uno di loro, persona che ricordo motivatamente con rispetto per la correttezza morale, direttore di banca nel mio paese, rag. Angelo De Antoni Migliorati, associatosi al gruppo dei notabili ritenendo doveroso il rendersi utile nelle circostanze del momento, incontratolo nel dopoguerra a Vicenza mi dichiarò che, dopo il primo intento di fucilazione da parte cosacca, tolse di tasca un bloch notes e, con brevi parole, vergò freneticamente le proprie volontà testamentarie...
L' azione dell' attacco al presidio cosacco di Ovaro, costituito da alcune centinaia di cosacchi, allo scopo di ottenerne la resa, unitamente a quella dei quantomeno trentacinquemila cosacchi in sosta forzata sull' arteria stradale, nel tratto di alcuni chilometri da sud del capoluogo fino al capoluogo di Villa Santina, preceduto dal massacro dei cosacchi con famiglia e quindi con donne e bambini ostinati a non arrendersi, asseragliati nella caserma della frazione di Chialina, posta verso nord a breve distanza di Ovaro, e demolita all' alba del 2 maggio mediante brillamento di una carica di esplosivo, fu assolutamente operazione detestabile e, per certi versi scriteriata, che pesa negativamente sulla coalizione dei notabili industriali e sull' organizzazione partigiana Osoppo. Basti pensare che, i proponenti la resa rifiutata dal comandante Nasikow, agirono senza valutare un'
inevitabile reazione di contrattacco e senza disporre di forze di riserva dislocate, secondo regole elementari, a nord ed ai fianchi.
Nella notte fra il 2 e 3 maggio aveva peso a nevicare. Buona parte dei cosacchi del presidio di Ovaro col comandante Nasikow, caricati parte dei morti su carrette che poi furono sepolti lungo la strada oltre il Ploeckenpass, preceduti da pattuglie in avanscoperta che segnalavano la loro avanzata nella notte sparando colpi di fucile con pallottole traccianti che disegnavano una scia rossastra, intrapresero la ritirata col lento seguito dei trentacinquemila che sostavano a sud lungo la valle.La ritirata attraversò il mio paese, Comeglians, reso disabitato dalla paura. per poi seguire la val Calda verso Paluzza e superare il Plockenpass che immette nell' Austria. Particolari notizie ancora non pubblicatete, frutto di un meticoloso direi appassionato lavoro di ricognizione, riconosciutomi da molte fonti e con onestà d'animo dallo scrittore Carlo Sgorlon, stanno nel mio cassetto. Pochissimi erano gli abitanti rimasti nelle case. La massa in ritirata era formata da nere colonne staccate l'una dall'altra, che procedevano mute perchè nessuno parlava e si sentiva solo il cigolare delle ruote delle carrette e qualche nitrito dei cavalli. La scena era biblica, grandiosa immagine della sofferta epopea cosacca, perchè i cosacchi cercavano la libertà (...Si suchen die Freiheit..!.= Essi cercavano la libertà !). Testimone di quella notte io li sentii grandi, ed avvertii la la loro possente leggendaria forza . Come già mi era capitato altre volte, per una sensibilità che mi rendeva diverso rispetto l' aridità delle comuni valutazioni e considerazioni, mi sentivo partecipe della loro grandezza e muta sofferenza. Pur sapendo che li attendeva realisticamente un futuro incerto ed oscuro, addirittura quasi li invidiavo, mi pareva che, valicate le alpi, andassero verso una luce fascinosa, lasciando alle spalle le tenebre.
La cosacca T.N. Danilewitsch, convivente del colonnello A.I. Medynsky, dirigente della Scuola allievi ufficiali cosacca, da me rintracciata nel dopoguerra in Inghilterra, mi precisò che, fra le forze in ritirata provenienti dalla linea di fronte del Po, c’ erano due battaglioni di donne cosacche di cui mi descrisse l'uniforme dalle mostrine rosso arancione con le lance incrociate.
Nel mattino del 3 maggio forze cosacche erano ancora in ritirata e, fra le stesse si trovavano le restanti forze del presidio di Ovaro che, attraversando il mio paese, fecero purtroppo una vittima. Si tratta del dott. Marco Raber ex ufficiale del Regio esercito organizzatore, verso fine guerra, di un nucleo di giovani resistenti detto "Monte Canin", aderenti alla corrente osovana alcuni dei quali, il giorno prima, avevano preso parte all' attacco su Ovaro ed erano caduti colpiti alle spalle dall' avvolgente contrattacco cosacco. Stando ad indizi è presumibile che i cosacchi di Ovaro, sul dott. Raber, fossero in possesso di precedenti informazioni per cui si spiegherebbe che, pur nelle circostanze della ritirata, dopo averlo prelevato nello stabile di sua proprietà, posto accanto alla strada, allora noto come albergo-ristorante "Raber", lo fucilarono in una vicina aiuola. La versione che circolò nel paese fu che, tra il dott. Raber e dei cosacchi entrati al piano terra dello stabile, adibito a bar-ristorante dove lui casualmente si trovava, sarebbe sorta una discussione ed egli, quale organizzatore partigiano, avesse alzato la voce intimando ai cosacchi di uscire e sarebbe stata questa ,nello stato di tensioni del momento, la causale' della fucilazione. A memoria del fatto, molti anni dopo, sulla facciata della casa venne posta una lapide.
Allo storico ricorre il dovere di precisare che, la volontà predominante della coalizione dei notabili a cui l’ Osoppo ecclesiale si rese subalterna e servizievole, non era motivata da ragioni resistenziali e patriottiche. Consolidati sotto il ventennale fascista, va riconosciuto loro l’ impegno individuale nell’ importante creazione di aziende di primaria importanza a livello nazionale, in tempi in cui non sussistevano forme di supporto finanziario o comunque di agevolazione statale, protetti dal tedeschi nel periodo occupazionale 1943-1945, verificatosi il crollo del fascismo , la coalizione del notabili con splendidi fazzoletti verdi al collo ( colore dell’ Osoppo) uscirono allo scoperto onde presentarsi gli Alleati vittoriosi, già annunciati in arrivo, nel candore di fiacheggiatori resistenziali promotori ideali dell’ iniziativa di resa di Ovaro che avrebbe deposto le armi con la massa degli oltre trentacinauemila cosacchi in ritirata alle porte del villaggio. Ma non andò così. Ciò che sorprende non è l’ abiltà dei notabili, di cui sono essendo stato dipendente amministrativo di una delle aziende e quindi diretto testimone, i quali agivano su una linea di’ interesse realistico garante del proprio status economico che di riflesso cointeressava la sicurezza della massa dei prestatori d’opera il che prevede acume e lungimiranza, ma bensì è la servilità in cui caddero gli osovani predicatori di libertà, nati per la protezione del Friuli contro il pericolo slavo, con richiesta agli alleati di due bombardamenti terroristici della città di Udine, centro della friulanità. E sorprende infine ill programma osovano che traccia, in tempo di guerriglia e quindi di tensioni , una linea di comportamento attendista, attribuito all’ esponente partigiano don Lino (don Moretti) medaglia d’oro ??.
La cosacca S. Helene Kevorkova, laureata in medicina, che conobbi in Austria nel dopoguerra, mi riferì delle particolarità interessanti sulla ritirata, esternando le sue sensazioni umane vissute con partecipazione ardente in quei giorni di fine guerra gravidi di emozioni, di attese e di speranze. Rammento le sue frasi allorchè, in uno degli incontri in Austria a Doelsach nell' Osttirol, mi riferì, come infatti ebbi a raccontare nel mio ultimo recente libro "Cosacchi contro Partigiani"- Mursia - Milano, a pagg. 132-133, la gioia che provò nella ritirata, in territorio austriaco, dopo aver vissuto le bufere passando le notti rannicchiata sulle carrette, assistendo nella valle Drava al sorgere del sole sui monti Tauri innevati.
Non posso rinunciare , riguardo la Kevorkova, superando la rigidità storiografica i cui principi non ammettono divagazioni sentimentali e romantiche, a ricordarla come donna dotata di personalità piacente nel cui volto affiorava una velata impronta d’ impercettibile austerità dovuta alle sofferte vicende della guerra. Credo che, dopo il crollo del comunismo all’ est, anni 1989-1990, possa avere fatto ritorno in Russia, ma non nascondo che provo nostalgia ricordando i piacevoli colloqui, evocativi di consumate lontane tragedie ed altre vicende, nel clima distensivo dell’ Osttirol in Austria, terra dai sentieri profumati di bosco e, in estate, di garofano selvatico.
ma non si sono svestiti delle loro responsabilità, mentre gli italiani, maestri di trasformismo, si sono gettati in braccio all' avversario plutocratico anglo americano disconoscendo il proprio passato fascista, sebbene il fascismo, a prescindere dalle cause della guerra, aveva portato l' Italia in una posizione rispettabile.
Emerge quindi, seppure lentamente, quella verità cui io ho dedicato per decenni il mio impegno culturale storiografico, non per svalutare la resistenza, ma per stabilire la sua autenticità e l' orientamento.
IL CRIMINE PARTIGIANO DEL MASSACRO DI UN CENTINAIO DI PRIGIONIERI COSACCHI (MILITARI E PROFUGHI CIVILI) SULLE MONTAGNE DI AVASINIS, DA ME RIVELATO
Grande effetto ha prodotto la concreta rivelazione del massacro, per mano partigiana (Osoppo e Garibaldi.), del centinaio di cosacchi arresisi ai partigiani nell' aprile 1945 ad Avasinis, su garanzia di avere salva la vita, con avallo del parroco locale, ed invece uccisi ed abbandonati senza sepoltura, lasciando i resti sul luogo per ben quattro anni, tant'è che solo il 15 ottobre 1949 la Pretura di Gemona, con documento ordinatorio che detengo nel mio archivio, ne dispose la ricognizione e quanto vi consegue e la sepoltura. Assieme alle spoglie non risultarono ricuperabili nè dei piastrini di riconoscimento (Erkennung Marke), nè documenti od altro ed è ovvio, che fra gli effetti personali, i prigionieri tenevano del denaro e questo evidenzia il reato di appropriazione indebita ed anche l'intento premeditato di non lasciare tracce dell' identità delle vittime onde togliere la possibilità di dar luogo a un procedimento penale d'ufficio. Si tratta di ulteriore reato che, assieme all' appropriazione indebita, viene ad aggiungersi al crimine del massacro, ma non risultò che fosse stato disposto alcun procedimento.
Ho notato che il citato documento della Pretura suscita timore, come una bomba inesplosa.
Rivelazioni scomode traspaiono poi dalle notizie della battaglia di Ovaro, perfettamente descritta motivando da chi dipese la volontà decisiva con nota nr.. 15 a pag. n. 170 del mio volume " L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945". Si afferma in detta nota che, l' azione su Ovaro, fu decisa su pressioni di una coalizione di notabili industriali, legati all' organizzazione anticomunista Osoppo, argomento scottante probatorio che, a partire da fine estate 1944, il mordente della resistenza carnica rossa aveva perduto l' aggressività iniziale, essendo intervenute delle segrete intese raggiunte bilateralmente, dalla coalizione di notabili industriali , sia con l' Osoppo che con la Garibaldi, sulla base di un appoggio finanziario e, a tal riguardo posso riferire che, agli inizi del luglio 1944, su disposizione del mio titolare (L.D.A.) uno dei notabili, prelevai io stesso nella banca del mio paese, 300mila lire, che io presente furono consegnate al commissario della Garibaldi "Arturo" Aulo Magrini, caduto giorni dopo, il giorno 15/07, in un' azione contro i tedeschi a località "Ponte di Noiaris" della val But in Carnia. Esisteva quindi un' intesa che conferiva potere alla coalizione dei notabili industriali. epoca dell' intesa l' aggressività iniziale della Garibaldi, fondata su principi ideali di tendenza filo stalinista, apparve allentata e addirittura l' Osoppo si sentì associata a tale coalizione di notabli e quasi subalterna. ". Il tutto però faceva perno, con la funzione di dominus nel commissario tedesco Franz ing. Gnadlinger, referente del Gaulaiter (Supremo commmissario) dott.Friedrich Rainer. Come scrissi nel menzionato volume le intese raggiunte ponevano un freno al < mitra facile> e limitavano il potere decisionale partigiano. Ma il compromesso, in generale, svuotava dei contenuti essenziali la lotta rivoluzionaria. L'unico che aveva fiutato il pericolo e si era opposto a questo <connubio tra il diavolo e l'acqua santa> era stato il capo partigiano "Mirko" (Arko Mirko) che , successivamente, venne emarginato e , alla vigilia della liberazione, assassinato su su mandato onde ridurre al silenzio il proposito dichiarato del medesimo di denunciare, agli alleati in arrivo, talune vicende resistenziali tra cui l' assassinio di sei ufficiali delle missioni alleate accreditati presso i partigiani... e fui io, non i partigiani, ad informare i familiari e la competente autorità iugoslava per cui, affinchè provvedessi a tutti gli approfondimenti del caso, ciò che infatti feci con impegno, fui nominato procuratore irrevocabile.
Nel periodo resistenziale, come già precisato in narrativa, essendo stato a fianco, quale dipendente amministrativo, di uno degli industriali della coalizione di notabili (L.D.A.), membro di rilievo del C.L.N. "Val Gorto", fui testimone di un retroscena di incontri e varie vicende tenute a lungo segrete, ma delle quali ritengo di poter parlare. Al menzionato industriale, membro del C.L.N. facevano segretamente capo dei delatori partigiani della Garibaldi che riferivano sulle azioni operative ed altro ...ed al riguardo ebbi motivo di ritenere che ricevessero qualche compenso in denaro. Merita evidenziare che, dagli inizi del 1944 fino al volgere dell' estate, l' ala di sinistra resistenziale, cioè la resistenza rossa rivelava un concreto orientamento ideologico e mirava chiaramente ad un futuro comunista-stalinista. Gli appartenenti alle formazioni della Garibaldi, dal fazzoletto rosso attorno al collo, portavano nella bustina copricapo l' insegna della stella rossa comunista. Solamente dopo la svolta di Salerno verificatasi nell' aprile 1944 dove, per volontà del tribuno comunista Palmiro Togliatti che agiva sul direttive di Stalin ( finalizzate a trovare un compromesso tra antifascisti, monarchia e Badoglio per la formazione di un governo di unità) fu deciso che l'insegna comunista della stella rossa, posta sul copricapo, fosse collocata sul fondo tricolore della bandiera italiana. Ovviamente detto particolare ed altre provvedimenti costituivano solo un aspetto ammorbidente, mentre l' obbiettivo essenziale era la costituzione, a fine guerra, di un governo social comunista.
L' INTESA SEGRETA
Tornando alla Carnia un' intesa segreta intercorreva il membro del C.L.N. "Val Gorto", ing. Rinaldo Cioni direttore delle miniera di Ovaro ed il commissario tedesco Franz ing. Gnadlinger ispettore tedesco addetto al controllo delle aziende vincolate alle necessità belliche nel territorio dell' Adriaisches Kustenland,sottoposto a sovranità tedesca. Cioni, a sua volta, era collegato con filo diretto all' industriale e membro del C.L.N. contitolare dell' azienda industriale ed amministratore delegato della stessa al cui fianco operavo. Gnadlinger e Cioni ebbero degli incontri riservati a Tolmezzo ed entrambi assieme col mio titolare nella sede aziendale. Erano questi i legami sostanziali su cui il Gnadlinger, nella veste di referente, informava il supremo commissario dott. Friedrich Rainer con sede a Trieste il cui obbiettivo, in riferimento al territorio amministrato dell' Adriatisches Kustenland con particolare attenzione al Friuli e la Carnia, era un ritorno alla normalità. Verso fine estate le forze resistenziali della Carnia, non assolutamente nell' entità ed organizzazione falsamente fatta credere da una propaganda faziosa nel dopoguerra, idealmente di prevalente fede comunista-stalinista, risultarono disposte a non ostacolare gli orientamenti della menzionata coalizione formata dai notabili e strettamente legata all'"Osoppo" e dei segreti collegamenti col commissario tedesco Gnadlinger. In ogni caso, in coincidenza dell' inizio dei grandi rastrellamenti tedeschi a fine estate 1944, la Garibaldi aveva perduto la sua aggressività rivoluzionaria iniziale.
L' apertura di Rainer nei confronti alla coalizione dei notabili della Carnia aveva in contropartita su una precisa richiesta, formulata in una lettera che l'ing. Gnadlinger fece recapitare all' ing. Cioni, direttore delle miniere di Ovaro, resa nota a pag. 133 del mio volume "Lo Sterminio Mancato "-Mursia-Milano 1982, che qui di seguito riporto : -" Sarebbe quanto mai opportuno se Ella potesse farmi avere una dichiarazione approvata dalle persone più in vista di tutta la Carnia in cui si aspira e viene affermata la volontà di tutti di voler ritornare al lavoro e di collaborare sinceramente con noi. Detta dichiarazione mi sarebbe utile per potere, a mia volta, confermare quanto già da tempo vado predicando presso le Autorità competenti. Ella comunque sa quanto io abbia fatto per il benessere della popolazione della Carnia e Le assicuro che non mancherò di \prestare le mia opera disinteressata anche in seguito".
Occorre qui precisare che il supremo commissario dott Rainer, di cui la richiesta tramite Gnaglinger rifletteva il pensiero, coltivava fermamente il proposito, riferito nel citato mio volume, di "" ...una lenta annessione del Friuli, Carnia compresa, al III° Reich o, in ogni caso, alla Grande Austria, del cui progetto è riferito a pag. 236.
Ciò premesso, in riferimento alla proposta fatta da Gnaglinger in nome di Rainer, che impegnava le persone più in vista della Carnia e quindi simbolicamente l' intera popolazione ad affermare la propria volontà di sincera collaborazione coi tedeschi che presidiavano il territorio e sul quale, per decreto di Hitler, avevano sovranità, la coalizione dei notabili comprensibilmente non aderì, per due essenziali motivi. Il primo consisteva nel fatto che, nel frattempo, come accennato in narrativa, i notabili avevano raggiunto un' accordo coi partigiani concedendo agli stessi dei finanziamenti commisurati alle singole realtà economiche con l' intesa, in contropartita che, certe decisioni dell attività resistenziale dovevano avere il preventivo assenso dei notabili di Comeglians. Il secondo e forse il più incisivo, portatore di una ventata di speranze sull' imminente futuro delle vicende di guerra legate alla realtà italiana, era dovuto al fatto, tenuto segreto che, un agente delle missioni alleate, munito di radio ricetrasmittente, sfuggendo al caos dei rastrellamenti tedeschi era stato ospitato da uno dei notabili, l' industriale cav. U.De Antoni. nella propria aggraziata villa posta alla periferia nord di Comeglians, per il quale stante la segretezza, organizzò un rifugio nella soffitta. Ciò che conta è che, il detto agente attraverso il proprio canale di collegamento col superiore comando posto nel sud Italia, favorì l'apertura di un dialogo per possibili richieste informative nell' interesse della coalizione dei notabili ed altro. La coalizione teneva quindi i piedi in più staffe : godeva da un lato della protezione tedesca da parte del Supremo commissario, aveva stabilito un' intesa tranquillizzante coi partigiani comunisti, mentre coi bianchi (Osoppo) non vi erano problemi ed aveva aperto un canale informativo con gli alleati. Bisogna riconoscere che nel clima di incertezze regnante in quel periodo, dal confine incerto tra il sicuro e l' insicuro, tale linea di comportamento fu senza dubbio abile.
L 'ing Gnadlinger giunse ad Ovaro dove aveva indetto una riunione riservata coi notabili, dopo il 20 ottobre. Rilevò che alla richiesta dichiarazione scritta di una sincera fattiva collaborazione da arte delle persone più in vista della Carnia si era risposto col silenzio e tuttavia, stante il clima carico di tensioni provocato dai rastrellamenti non insistette sull' argomento, ma affrontò decisamente la questone " eliminazione individui", come precisai a pag. 136 nel mio citato volume. In pratica, senza mezzi termini, l' ing. Gnadlinger proponeva come soluzione di trovare i mezzi, per eliminare e ciò uccidere gli elementi sanguinari, e cioè dei capi ormai noti responsabili direttamente o fomentatori di uccisioni sul piano politico e addirittura per questioni ed odi personali onde imprimere all'attività partigiana carattere puramente patriottico.
I rastrellamenti tedeschi di fine estate si spinsero nell' autunno. In adeguamento alle direttive del maresciallo britannico Alexander l' organizzazione Osoppo si sciolse lasciando pochi nuclei dislocati in zone diverse in attesa di una possibile ripresa dell' attività in primavera o al momento del presunto imminente fine guerra. La Garibaldi, in seguito ai rastrellamenti, subì notevoli perdite dovute ad esecuzioni e deportazioni in Germania per cui si ridusse a delle formazioni superstiti e, a tal proposito, sento il dovere di precisare che, in un momento oscuro di palesi gravi difficoltà e dissoluzione, in una riunione segreta tenuta il 20 novembre 1944 nell'alta valle di Pani, presenti vari comandanti della Garibaldi e taluni dell' Osoppo, fu il commissario "Andrea" (Mario Lizzero) ad imporre con energia e capacità persuasiva la continuazione della resistenza sui monti della Carnia.
I rapporti Cioni - Gnadlinger , continuarono anche dopo i rastrellamenti, in maniera piuttosto formale.
Nel caso da parte tedesca vi fosse stato qualche proposito di intervento antipartigiano nella zona Carnia ed in particolare nella val Gorto, la mia valle, un segnalatore tedesco, via telefono, informava, con frasi convenzionali, l'ing. Cioni, direttore delle Minere di Ovaro e membro del C.L.N. cui fu anche presidente. Fra le maestranze alle sue dipendenze, dopo i rastrellamenti tedeschi , aveva trovato copertura protettiva un' entità rilevante di partigiani comunisti ed i tedeschi ne erano informati, ma andava bene così. Ai fini della normalizzazione voluta da Rainer ebbe anche a verificarsi che l 'ing, Gnadlinger lo assicurasse che la presenza di partigiani comunisti slavi in Carnia era stata del tutto eliminata in Carnia e le esistenti formazioni partigiane erano, a suo avviso, animate unicamente da sentimenti patriottici, realtà che i tedeschi ritenevano compatibile, il che però non era vero per cui si trattava di un' autentica invenzione.
Dal punto di vista storico, in riferimento all' organizzazione partigiana Garibaldi, al dilà dello sconfinamento in certi degradanti aspetti tipici delle insurrezioni, ma per la coerenza dell orientamento a sinistra ispirato dall' obiettivo di giustizia ed uguaglianza sociale in nome delle classi soccombenti con progetto di profonde riforme, ed anche con l' accettazione di ventilate intese miranti a sottoporre l' area dell' Adriatisches Kustenland e parte della stessa alla sovranità iugoslava, , merita di essere considerato, trattando anche il profilo di alcuni protagonisti guida quali il già menzionato "Andrea, "Mirko", "Grifo", "Giacca" ed altri. Si tratta degli effetivi propositi di fine guerra della sinistra, di fatto accantonati a fine guerra sante la presenza sul territorio nazionale delle divisioni corazzate alleate.
In riferimento all' inverno 1944 ritengo di rievocare un fatto realmente accaduto in val Gorto che, come già precisato era la mia valle Un aereo alleato decollato da una base del Sud, previe intese convenzionali, provvide al lancio di rifornimenti ai partigiani in prossimità del mio paese, i cui contenitori caddero però in buona parte in mano ai caucasici che presidiavano la zona. Seppi da alcuni di essi, che coabitavano in casa che in contenitore, fa molte confezioni di tè di Cejlon, fu trovata una consistente cassetta redgalo contenente dei dolci e delle bottiglie di spumante, il tutto con il nome di ufficiale alleato con l' augurio di Buon Natale. Naturalmente i caucasici non riuscirono a sapere dove si trovasse l' agente alleato. Si dà il caso che, nella stessa villa dove l' agente era stato sistemato nella soffitta , trovò alloggiamento, verso fine autunno 1944, il comandante di un reggimento della Legione georgiana giunto ad acquartierarsi al mio paese. Si trattava del colonnello Fridonio Zulukize il quale, stante la poderosa avanzata sovietica verso occidente, considerando irrealizzabile l' obbiettivo della liberazione della Georgia per il quale notevoli forze georgiane, costituite da emigrati risalenti alla prima guerra mondiale e prigionieri della seconda concentrati nei Lager tedeschi si erano poste al servizio della Germania, aveva assunto un atteggiamento attendista ed inoffensivo verso i partigiani. Il colonnello, essendo stato cautelativamente informato sulla presenza clandestina dell' agente alleato, ritenne in qualche modo di servirsene. Messo in contatto con l' agente chiese di inoltrare una richiesta di protezione, considerata imminente la fine della guerra, per le forze georgiane ed i profughi al seguito, nel senso di essere sottratti al rischio della consegna ai sovietici ed avere destinazione negli USA o in qualche paese del Commenwalt. L' idea fu accettata a condizione che, in contropartita, il reggimento georgiano, armi e bagagli, passasse a fianco dell' organizzazione partigiana. Zulukize e il suo Stato maggiore furono d'accordo e Osoppo il 29 aprile 1945, in Comeglians, presso la sede amministrativa di altro industriale della coalizione, G: De Antoni, presente il colonnello Zulukize e i suoi collaboratori, due esponenti osovani, il comandante Paolo ed il commissario politico Flavio della 2a Brigata Osoppo-Friuli, sottoscrissero l' accettazione del passaggio delle truppe georgiane alle dipendenze della 5a Divisione Osoppo-Carnia-Pal Piccolo. Dei tre originali dell' atto, uno venne rilasciato, quale teste, all' Amministratore della citata azienda che in seguito volle donarmelo per cui lo pubblicai nel mio volume "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945".
Il reggimento georgiano ed il seguito dei profughi, dopo la firma dell' atto si spostarono ad alcuni chilometri verso nord-ovest nel capoluogo di Forni Avoltri, in attesa delle forze britanniche che celermente avanzavano, segnalate in arrivo verso la Carnia attraverso il Cadore. Seppi da fonte certa che, nel nuovo insediamento di Forni Avoltri, l 'avvenuto passaggio del reggimento georgiano alle dipendenze del' Osoppo dette luogo ad una forte reazione, allorchè giorni dopo, fu proposto di affiancare gli osovani in un attacco, su cui verrò a breve a riferire, contro i cosacchi del presidio di Ovaro per indurli alla resa Si verificò infatti una forte lite tra parte dei georgiani contrari all' affiancamento all' Osoppo e quelli favorevoli e si arrivò ad uno scambio di revolverate che provocarono dei feriti.
Elementi dell' Osoppo, scioltasi nell' autunno, si ricomposero vennero a colloquio riservato col mio titolare, onde apprestarsi a formulare le proposte di resa, primariamente ai presidi cosacchi della valle. Fra gli stessi notai il capo osovano "Max", Enzo Noro da Sutrio che conoscevo. C'era un clima di fervore e di tensioni nell'attesa di eventi. Un membro osovano del C.L.N. di Gorto, il conte Burgos, indossando l' uniforme da ufficiale della Regia Marina, si presentò a Tolmezzo a proporre la resa al Comandante dell' Armata Cosacca, richiesta che fu respinta e venne allontanato. In realtà il medesimo, essendo membro del C.L.N. Val Gorto avrebbe agito al di fuori delle sue competenze.
La moglie di uno dei notabili passò nel mio ufficio e mi dette delle fasce di un tessuto di tela bianca, preparate per essere infilate nel braccio sinistro, dai membri e collaboratori del C.L.N. su cui, con un pennello appropriato ed inchiostro nero di china, dovevo segnare le menzionate tre iniziali, ciò che infatti feci. La dichiarazione ufficiale di fine della guerra era imminente di minuto in minuto. Le notizie dell' avanzata alleata incalzavano prepotenti. Sembrava tutto facile, tutto risolto. I presidi cosacchi dell' alta Val Gorto , di Forni Avoltri e Rigolato, su intimazione partigiana si erano arresi, quelli di Chialina e di Ovaro, invece resistevano rifiutando categoricamente la resa essendo loro proposito ritirarsi, stante anche la presenza, lungo la strada che si snodava a sud verso Villa Santina, di oltre trentacinquemila cosacchi in sosta, bloccati dai partigiani ad Ovaro dai nella prosecuzione della marcia. Nella coalizione dei notabili industriali l' idea di ottenere la resa di Chialina-Ovaro e della massa dei cosacchi bloccata a sud del capoluogo si era fatta impellente ed irrinunciabile.
O V A R O
La resa doveva suggellare trionfalmente l’ operato della coalizione dei notabili industriali che, appoggiata dall' Osoppo, aveva sovranità decisoria. In un’ultima riunione segreta dei membri del C.L.N. e capi partigiani la sera del 1° maggio, in una casa isolata alla periferia nord di Chialina, era stato deciso di rimanere in posizione di trattativa coi cosacchi, ma a modificare le opinioni di alcuni membri del C.L.N. giunsero alla riunione dei nuovi elementi, borghesi, col fazzoletto verde al collo quale attestazione di fiancheggiamento all’ “Osoppo” (si trattava di alcuni imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro) i quali col capo partigiano Paolo dell “Osoppo” riuscirono a far prevalere l’opinione di attacco del presidio. A pag. nr. 170 del mio volume “L’Armata Cosacca in Italia 1944-1945”- con nota in calce nr. 15 è incontestabilmente affermato:- L’ opinione dei nuovi elementi ( imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro), che rafforzavano il C.L.N. ebbe prevalenza e l’ attacco fu progettato per l’ alba. L’ idea dell attacco era quindi il volere di una terza forza, di natura borghese, che costituiva una corrente a sè stante appoggiata dalla brigata “Osoppo”.
Presto nel mattino del 2 maggio 1945 nella mia valle tutti sentirono un' esplosione che fece vibrare i vetri delle finestre. Si trattava del brillamento di una carica di dinamite, fatta esplodere su iniziativa dei partigiani dell' Osoppo, che provocò nel villaggio di Chialina, posto ad alcuni chilometri a sud del mio paese, il crollo di una caserma dove stavano alloggiati dei cosacchi, taluni con le proprie famiglie e quindi con donne e bambini. Ovviamente la gran parte decedette sotto il crollo salvo una ventina di feriti. A tal riguardo debbo doverosamente precisare che la carica di esplosivo fu collocata da due giorgiani ( Romano Todua e Georg Lolua) che poi, rimasti in Carnia, sposarono donne locali. Poco dopo, potevano essere le sette del mattino, ed io assieme ai miei ero appena alzato, avvertimmo all' esterno uno scalpiccio di cavalli e sentimmo bussare alla porta. Aprimmo. Sull' uscio comparvero diversi cosacchi, di cui due ufficiali, mentre un cosacco di fianco alla casa badava ai cavalli. Entrarono in casa ed uno dei due ufficiali chiese in tedesco a mio padre che parlava tedesco se, nel villaggio, ci fossero dei partigiani, quanti e di quale brigata :- "Non ve ne sono . Vi sono solo i georgiani, circa un migliaio, e sono in fondo al villaggio , passati a fianco dell' organizzazione partigiana Osoppo", rispose mio padre. L' ufficiale chiese poi se la strada, che proseguiva per l' alta valle, fosse interrotta e in quanto tempo si sarebbe potuta raggiungere l' Austria, al che mio padre dette tutte le necessarie informazioni. Avevo allora 19 anni. La guerra era appena finita e regnava un' aria di tensione . Pioveva forte. Quei cosacchi, sfidando la vigilanza partigiana, provenivano dal presidio di Ovaro. Avevano le uniformi bagnate e bagnati erano pure i cavalli accostati alla casa, che dava sulla strada ed era la prima casa del paese venendo da sud.
Usciti di casa con un rapido saluto e rimontati a cavallo, quei cosacchi con folle galoppo si diressero verso Ovaro. Cadeva ancora una pioggia' insistente ed io, uscito sulla strada, li seguii con lo sguardo fino ad una curva, dove scomparvero avvolti in un pulviscolo nebbioso provocato dal furioso scalpiccio dei cavalli nelle pozzanghere.Poco dopo, in quel mattino, un compaesano delle famiglie di industriali del mio paese che, verso fine guerra avevano creato una coalizione con l'organizzazione partigiana Osoppo, sostenendo l'opportunità di attaccare il presidio cosacco di Ovaro per ottenere la resa e, di conseguenza, bloccare la ritirata di oltre trentacinquemila cosacchi in sosta lungo la bassa val Gorto a sud di Ovaro, bussò a casa mia e disse di esporre la bandiera perchè la guerra era finita. Mio padre ed io ci affrettammo precisare che un drappello di cosacchi a cavallo, giunto in avanscoperta da Ovaro, era appena ripartito dopo avere ottenuto informazioni rassicuranti sulla via della ritirata. Il compaesano sorrise sarcasticamente ed aggiunse testualmente che ""... ai cosacchi di Ovaro, fra poco, ci pensiamo noi (partigiani assieme ai georgiani), ...""
La menzionata coalizione di notabili industriali aveva assunto sovranità decisoria sull' 0rganizza- zione partigiana anticomunista Osoppo, argomento che andrebbe spiegato nel suo retroscena e nei dettagli, a me ben noti, essendo stato a fianco come già precisato, quale dipendente amministrativo di uno degli esponenti di maggior prestigio, membro del Comitato di Liberazione Nazionale " Val Gorto".
Preliminarmente trattative di resa si verificarono tra esponenti partigiani, il C.L.N. ed il comando cosacco di Ovaro delle quali, qui di seguito, riporto alcune precisazioni del mio volume " L' Armata Cosacca in Italia 1944-1945", prima edizione 1965 e varie successive, ( editrice Mursia 1990 etc.).
"" L'ordine dell' atamano Krassnoff, di non cedere le armi ai partigiani, aveva assunto per le sue truppe un significato profondo. Tutte le trattative cosacche di resa non costituivano quindi che una falsa lusinga. Fu così che i partigiani e il C.l.N.a Ovaro, avevano intavolato con una certa facilità delle trattative con il tenente colonnello G.P. Nasikow, comandante di quel presidio, un vecchio astuto ufficiale dai baffi ad uncino, che indossava un' uniforme di panno blu"".
"" Nasikow teneva il comando della guarnigione che riuniva Ovaro e Chialina. Faceva parte delle forze di presidio anche uno squadrone di polizia militare sotto il suo diretto comando. L' ora ed il luogo per la consegna delle armi erano ormai stati convenuti, ma allorchè il momento venne, i cosacchi aprirono improvvisamente il fuoco contro i parlamentari, che scomparvero in fuga disordinata. Il tradimento cosacco rivelò il retroscena di un piano d' azione meditato con principi di settaria abilità militare. La battaglia era imminente, ma pure evitabile, e una riflessione sarebbe bastata a tenere lontano lutti e rovine. I cosacchi avrebbero potuto lasciare infatti la regione senza colpo ferire"".
Forze partigiane, al comando di Alessandro Foi dell' Osoppo, attaccarono nella tarda mattinata del 2 maggio il presidio di Ovaro. Gli attaccanti partigiani erano circa una trentina in maggiorana osovani. Vi si aggiunsero alcuni garibaldini e qualche giovane aderente spontaneo. Di rincalzo, in seconda linea, c'era una trentina di georgiani al comando dell' osovano De Monte. Gli attaccanti agirono come se la resa fosse scontata, con scarsità di armi e munizioni. La Garibaldi non aveva ufficialmente aderito all' azione, che fu decisa senza la sua presenza, comportamento chiaramente imposto dalla coalizione di notabili dei quali l' Osoppo, come già accennato, era diventata strumento esecutivo.Seppi che i pochi aderenti garibaldini, che si tenevano in stato di all' erta nella borgata di Cella, posta verso l' alveo del fiume Degano rispetto d Ovaro, e tra questi il capo partigiano"Furore", furono chiamati ad intervenire su invito di un membro del C.L.N. "Val Gorto". A sollecitare tale intervento si prestò un certo Dino, che volontariamente si era messo a disposizione del C.L.N., proprietario e gestore di un ristorante a località Patossera, piccola frazione di Ovaro posta all' imbocco della val Pesarina.
Trincerati in due fabbricati, il municipio e l' albergo Martinis, i cosacchi del presidio si difesero tenacemente finchè, nel primo pomeriggio, intervennero dei rinforzi costituiti da un contingente della Scuola allievi ufficiali di cosacchi di Villa Santina, dotati di un pezzo di artiglieria, e forze del I° Reggimento a cavallo del colonnello A.M. Golubow (che io personalmente potei conoscere nel dopoguerra in Austria e dal quale ottenni preziose informazioni) che si trovava in ritirata a sud di Ovaro proveniente da presidi abbandonati nel Friuli dei quali il più avanzato verso est si trovava a Kobarid (Caporetto). Applicando la tattica dell' accerchiamento i cosacchi del I° Reggimento sorpresero i partigiani alle spalle, che caddero colpiti da raffiche, mentre dei georgiani, sorpresi alla periferia del villaggio, furono fucilati quali traditori.
L' attacco ad Ovaro che doveva suggellare trionfalmente la decisione di fonte borghese, concepita dalla coalizione di notabili ed attuata attraverso l' Osoppo anticomunista, finalizzata ad accogliere l’ imminente ingresso degli alleati americani con un titolo d’ onore probatorio della propria arrischiata collaborazione ( in pratica, scusate se mi permetto di osservare, da fascisti alleati e protetti dai tedeschi ci si gettava in braccio all’ avversario vincitore, confermando quella disponibilità al trasformismo e direi anche al calcolismo criticato da Heidegger, propria degli italiani) . Verso mezzogiorno del 2 maggio al mio paese giungeva l' eco di scoppi e mitragliamenti per cui, assieme ad altri, ero salito sul promontorio della chiesa di San Giorgio, dal quale si domina agevolmente la valle e si poteva scorgere Ovaro, onde rendermi conto di ciò che succedeva. Oltre al frastuono degli scoppi notammo delle fiamme che avvolgevano dei fabbricati e, sul lato sinistro della valle in una zona di prati e campi appena arati posti sotto il villaggio di Clavais, vedemmo un movimento frettoloso di persone : si trattava di partigiani in precipitosa fuga verso nord. Un fatto, rimastomi indelebile in mente, ci sorprese. Dal punto dominante, in cui ci si trovava, un precipizio roccioso scendeva sull' alveo del fiume Degano e, dall' altra parte, la strada che lasciava la periferia nord del mio paese, usciva da un tunnel. Due uomini, in cui mi parve di riconoscere dei paesani, usciti dal tunnel ed imboccato un sentiero, scendevano lentamente verso l' alveo del fiume, portando avvolto in un lenzuolo il corpo di un morto, che depositarono sulla sabbia, sotto una parete rocciosa, al margine del fiume. Spesso in seguito mi tornò in mente quell' immagine e, a mio avviso, altro non non poteva trattarsi che di un cosacco, gravemente ferito nel crollo provocato dai partigiani della caserma di Chialina, e trasportato assieme ad altri al mio paese in un improvvisato ospedale all' albergo Val Degano, era poi deceduto. Prevedendo l' arrivo dei cosacchi in ritirata, come infatti avvenne, si ritenne di occultare il cadavere nel dubbio che avesse potuto provocare una vendetta sul paese. Non trovai altra spiegazione ed indagando per sentire come stavano le cose e dove, quel cadavere fosse stato sepolto i probabili consapevoli girarono attorno alla domanda e mai dissero nulla. !!.
I cosacchi di Ovaro che, secondo il paesano che passò a casa mia invitando ad esporre la bandiera, sarebbero stati sistemati, travolsero invece l' aggressione partigiana. In ogni caso il sacrificio delle vittime partigiane va comunque rispettato, talune di giovani promettenti che mai avevano preso un fucile in mano e sparato un solo colpo, trascinati ad affrontare un’ azione con slancio giovanile nell’ illusione di conquistarsi la fama di eroi.... L’ azione, in ogni caso, risultò condotta con svagatezza come ebbe a raccontare, nelle sue memorie, l’insegnante Pittini e comportò il prezzo di una rappresaglia con ventotto vittime civili innocenti, una ferita che lasciò nella popolazione ovarese un segno profondo.Fra le vittime vi furono due giovani fratelli di mia conoscenza che mi risultava fossero in amicizia coi cosacchi ( nomi)... ma purtroppo l' ondata della della vendetta, condotta dai cosacchi di presidio non cioè non da quelli sopraggiunti a rinforzo non fece eccezioni.. Del comandante osovano Alessandro Foi, emigrato nell'immediato dopoguerra oltreoceano, non si seppe più nulla.
A tarda notte tra il 2 e 3 maggio buona parte dei cosacchi del presidio di Ovaro col comandante Nasikow, caricati parte dei morti su carrette che poi furono sepolti lungo la strada oltre il Ploeckenpass, preceduti da pattuglie in avanscoperta, intrapresero la ritirata col lento seguito dei trentacinquemila che sostavano a sud lungo la valle. Attraversarono quindi il mio paese per poi seguire la val Calda verso Paluzza e superare che immette nell' Austria.. Delle particolarità ancora non pubblicate, frutto di un meticoloso direi appassionato lavoro di ricognizione, riconosciutomi da molte fonti e con onestà d'animo dallo scrittore Carlo Sgorlon, stanno nel mio cassetto. Nel mattino del 3 maggio forze cosacche erano ancora in ritirata e, fra le stesse si trovavano le restanti forze del presidio di Ovaro che, attraversando il mio paese, fecero purtroppo una vittima. Si tratta del dott. Marco Raber ex ufficiale del Regio esercito, organizzatore verso fine guerra di un nucleo di giovani resistenti aderenti alla corrente osovana, detto "Monte Canin, alcuni dei quali, il giorno prima, avevano preso parte all' attacco su Ovaro ed erano caduti colpiti alle spalle dall' avvolgente contrattacco cosacco. Stando ad indizi è presumibile che i cosacchi di Ovaro, sul dott. Raber, fossero in possesso di precedenti informazioni per cui si spiegherebbe che, pur nelle circostanze della ritirata, dopo averlo prelevato nello stabile di sua proprietà posto accanto alla strada, allora noto come albergo-ristorante "Raber", lo fucilarono in una vicina aiuola. La versione che circolò nel paese fu che, tra il dott. Raber e dei cosacchi entrati al piano terra adibito a bar-ristorante, dove lui casualmente si trovava, sarebbe sorta una discussione ed egli avesse alzato la voce intimando ai cosacchi di uscire. Quasi certamente in quei giorni, quale organizzatore partigiano, egli si portava addosso la pistola ed i cosacchi, controllando, se ne resero conto per cui scattò immediata la decisione della fucilazione. La sua uccisione, essendo il dott. Raber persona gradita e rispettabile, sollevò sgomento e uno strascico di amarezza ed a memoria, sulla facciata della casa, venne in seguito posta motivatamente una lapide.
Tornando ai notabili industriali uno dei quali, come già riferito, era membro importante del C.L.N. "Val Gorto"al cui fianco ebbi ad operare per cui,come testimone, conoscol’intero sviluppo degli eventi, giunti in macchina ad Ovaro nel primo pomeriggio del 2 maggio in quanto avvertiti che la situazione precipitava e quando ormai stava verificandosi l’ intervento dei rinforzi, furono arrestati dai cosacchi del presidio comandato dal colonnello G.P. Nasikow, cioè non da quelli sopraggiunti a rinforzo, e per ben due volte allineati per la fucilazione, miracolosamente poi sospesa. Trattenuti come ostaggi nella notte dovettero seguire la lenta angosciosa ritirata, per poi essere lasciati liberi, lungo la val Calda prima di Ravascletto, ad alcuni chilometri dopo il villaggio di Povolaro. Uno di loro, persona che ricordo motivatamente con rispetto per la correttezza morale, direttore di banca nel mio paese, rag. Angelo De Antoni Migliorati, associatosi al gruppo dei notabili ritenendo doveroso il rendersi utile nelle circostanze del momento, incontratolo nel dopoguerra a Vicenza mi dichiarò che, dopo il primo intento di fucilazione da parte cosacca, tolse di tasca un bloch notes e, con brevi parole, vergò freneticamente le proprie volontà testamentarie...
L' azione dell' attacco al presidio cosacco di Ovaro, costituito da alcune centinaia di cosacchi, allo scopo di ottenerne la resa, unitamente a quella dei quantomeno trentacinquemila cosacchi in sosta forzata sull' arteria stradale, nel tratto di alcuni chilometri da sud del capoluogo fino al capoluogo di Villa Santina, preceduto dal massacro dei cosacchi con famiglia e quindi con donne e bambini ostinati a non arrendersi, asseragliati nella caserma della frazione di Chialina, posta verso nord a breve distanza di Ovaro, e demolita all' alba del 2 maggio mediante brillamento di una carica di esplosivo, fu assolutamente operazione detestabile e, per certi versi scriteriata, che pesa negativamente sulla coalizione dei notabili industriali e sull' organizzazione partigiana Osoppo. Basti pensare che, i proponenti la resa rifiutata dal comandante Nasikow, agirono senza valutare un'
inevitabile reazione di contrattacco e senza disporre di forze di riserva dislocate, secondo regole elementari, a nord ed ai fianchi.
Nella notte fra il 2 e 3 maggio aveva peso a nevicare. Buona parte dei cosacchi del presidio di Ovaro col comandante Nasikow, caricati parte dei morti su carrette che poi furono sepolti lungo la strada oltre il Ploeckenpass, preceduti da pattuglie in avanscoperta che segnalavano la loro avanzata nella notte sparando colpi di fucile con pallottole traccianti che disegnavano una scia rossastra, intrapresero la ritirata col lento seguito dei trentacinquemila che sostavano a sud lungo la valle.La ritirata attraversò il mio paese, Comeglians, reso disabitato dalla paura. per poi seguire la val Calda verso Paluzza e superare il Plockenpass che immette nell' Austria. Particolari notizie ancora non pubblicatete, frutto di un meticoloso direi appassionato lavoro di ricognizione, riconosciutomi da molte fonti e con onestà d'animo dallo scrittore Carlo Sgorlon, stanno nel mio cassetto. Pochissimi erano gli abitanti rimasti nelle case. La massa in ritirata era formata da nere colonne staccate l'una dall'altra, che procedevano mute perchè nessuno parlava e si sentiva solo il cigolare delle ruote delle carrette e qualche nitrito dei cavalli. La scena era biblica, grandiosa immagine della sofferta epopea cosacca, perchè i cosacchi cercavano la libertà (...Si suchen die Freiheit..!.= Essi cercavano la libertà !). Testimone di quella notte io li sentii grandi, ed avvertii la la loro possente leggendaria forza . Come già mi era capitato altre volte, per una sensibilità che mi rendeva diverso rispetto l' aridità delle comuni valutazioni e considerazioni, mi sentivo partecipe della loro grandezza e muta sofferenza. Pur sapendo che li attendeva realisticamente un futuro incerto ed oscuro, addirittura quasi li invidiavo, mi pareva che, valicate le alpi, andassero verso una luce fascinosa, lasciando alle spalle le tenebre.
La cosacca T.N. Danilewitsch, convivente del colonnello A.I. Medynsky, dirigente della Scuola allievi ufficiali cosacca, da me rintracciata nel dopoguerra in Inghilterra, mi precisò che, fra le forze in ritirata provenienti dalla linea di fronte del Po, c’ erano due battaglioni di donne cosacche di cui mi descrisse l'uniforme dalle mostrine rosso arancione con le lance incrociate.
Nel mattino del 3 maggio forze cosacche erano ancora in ritirata e, fra le stesse si trovavano le restanti forze del presidio di Ovaro che, attraversando il mio paese, fecero purtroppo una vittima. Si tratta del dott. Marco Raber ex ufficiale del Regio esercito organizzatore, verso fine guerra, di un nucleo di giovani resistenti detto "Monte Canin", aderenti alla corrente osovana alcuni dei quali, il giorno prima, avevano preso parte all' attacco su Ovaro ed erano caduti colpiti alle spalle dall' avvolgente contrattacco cosacco. Stando ad indizi è presumibile che i cosacchi di Ovaro, sul dott. Raber, fossero in possesso di precedenti informazioni per cui si spiegherebbe che, pur nelle circostanze della ritirata, dopo averlo prelevato nello stabile di sua proprietà, posto accanto alla strada, allora noto come albergo-ristorante "Raber", lo fucilarono in una vicina aiuola. La versione che circolò nel paese fu che, tra il dott. Raber e dei cosacchi entrati al piano terra dello stabile, adibito a bar-ristorante dove lui casualmente si trovava, sarebbe sorta una discussione ed egli, quale organizzatore partigiano, avesse alzato la voce intimando ai cosacchi di uscire e sarebbe stata questa ,nello stato di tensioni del momento, la causale' della fucilazione. A memoria del fatto, molti anni dopo, sulla facciata della casa venne posta una lapide.
Allo storico ricorre il dovere di precisare che, la volontà predominante della coalizione dei notabili a cui l’ Osoppo ecclesiale si rese subalterna e servizievole, non era motivata da ragioni resistenziali e patriottiche. Consolidati sotto il ventennale fascista, va riconosciuto loro l’ impegno individuale nell’ importante creazione di aziende di primaria importanza a livello nazionale, in tempi in cui non sussistevano forme di supporto finanziario o comunque di agevolazione statale, protetti dal tedeschi nel periodo occupazionale 1943-1945, verificatosi il crollo del fascismo , la coalizione del notabili con splendidi fazzoletti verdi al collo ( colore dell’ Osoppo) uscirono allo scoperto onde presentarsi gli Alleati vittoriosi, già annunciati in arrivo, nel candore di fiacheggiatori resistenziali promotori ideali dell’ iniziativa di resa di Ovaro che avrebbe deposto le armi con la massa degli oltre trentacinauemila cosacchi in ritirata alle porte del villaggio. Ma non andò così. Ciò che sorprende non è l’ abiltà dei notabili, di cui sono essendo stato dipendente amministrativo di una delle aziende e quindi diretto testimone, i quali agivano su una linea di’ interesse realistico garante del proprio status economico che di riflesso cointeressava la sicurezza della massa dei prestatori d’opera il che prevede acume e lungimiranza, ma bensì è la servilità in cui caddero gli osovani predicatori di libertà, nati per la protezione del Friuli contro il pericolo slavo, con richiesta agli alleati di due bombardamenti terroristici della città di Udine, centro della friulanità. E sorprende infine ill programma osovano che traccia, in tempo di guerriglia e quindi di tensioni , una linea di comportamento attendista, attribuito all’ esponente partigiano don Lino (don Moretti) medaglia d’oro ??.
La cosacca S. Helene Kevorkova, laureata in medicina, che conobbi in Austria nel dopoguerra, mi riferì delle particolarità interessanti sulla ritirata, esternando le sue sensazioni umane vissute con partecipazione ardente in quei giorni di fine guerra gravidi di emozioni, di attese e di speranze. Rammento le sue frasi allorchè, in uno degli incontri in Austria a Doelsach nell' Osttirol, mi riferì, come infatti ebbi a raccontare nel mio ultimo recente libro "Cosacchi contro Partigiani"- Mursia - Milano, a pagg. 132-133, la gioia che provò nella ritirata, in territorio austriaco, dopo aver vissuto le bufere passando le notti rannicchiata sulle carrette, assistendo nella valle Drava al sorgere del sole sui monti Tauri innevati.
Non posso rinunciare , riguardo la Kevorkova, superando la rigidità storiografica i cui principi non ammettono divagazioni sentimentali e romantiche, a ricordarla come donna dotata di personalità piacente nel cui volto affiorava una velata impronta d’ impercettibile austerità dovuta alle sofferte vicende della guerra. Credo che, dopo il crollo del comunismo all’ est, anni 1989-1990, possa avere fatto ritorno in Russia, ma non nascondo che provo nostalgia ricordando i piacevoli colloqui, evocativi di consumate lontane tragedie ed altre vicende, nel clima distensivo dell’ Osttirol in Austria, terra dai sentieri profumati di bosco e, in estate, di garofano selvatico.
Nessun commento:
Posta un commento