COMUNICATO.
Agli amici
interessati a vicende storiche ed ai centri archivistici storiografici della
Slovenia, Bosnia. Slovacchia. Mosca. Alle comunità cosacche di Germania,
Francia, Serbia, Stati Uniti, Canadà, Argentina ed alle comunità caucasiche di
Germania e Turchia.
Un amico,
fra i tanti di Facebook, e precisamente il signor Leita Lucio, mi ha
cortesemente inviato copia della pubblicazione del dott. Gregorio Venir, dal
titolo I COSACCHI IN CARNIA, 1944-1945. Si tratta di uno studio di 94 pagine,
che è parte di una tesi di laurea in Storia contemporanea discussa dall’autore
ventiseienne presso l’Università di Bologna nel 1994.
Colgo
quindi occasione per un mio intervento integrativo inteso a fornire
delucidazioni e precisazioni che, da parte mia, ritengo utili ad esaustivo
approfondimento dell’argomento con l’aggiunta, sebbene non pertinente,
di qualche
sensazione personale vissuta.
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La tesi si fonda su pubblicazioni uscite nel dopo seconda guerra che
affrontano l’argomento dell’insediamento dei cosacchi, da parte
tedesca, nel circoscritto territorio della Carnia, nord Friuli e parte del
Goriziano, ribattezzato “COSSACKJA” Il testo principale preso in esame ,
asserisce il Venir, è “L’Armata cosacca in Italia 1944-1945”- De Vecchi-Milano
1965 di cui sono autore alle cui argomentazioni è dedicato nella tesi ampio spazio con disamina dei contenuti posti, in taluni casi, a
confronto con richiami a pubblicazioni
di altri autori, diffuse, in ordine di tempo, successivamente alla mia e con riferimenti ad altro mio volume “Lo Sterminio
Mancato”- Mursia, Milano 1982 ed a vari miei articoli pubblicati sulla
stampa. Peccato, devo dirlo subito, che
all’autore, laureatosi nel 1994, sia sfuggita la riedizione de “L’Armata
Cosacca in Italia 1944-1945”
diffusa nel 1990 dal cessionario Gruppo Ugo Mursia-Milano con successive
diverse riedizioni su piano nazionale, ampiamente integrata da nuovi preziosi
dati acquisiti e da ponderate valutazioni sul piano storico che avrebbero
offerto al laureando una più agevole comprensione dell’evento sotto il profilo
fattuale e storico.
L’aggiornamento
del testo diffuso dalla Mursia, con altri inserimenti, ha preteso un mio notevole
impegno per un allineamento rigoroso alla realtà degli avvenimenti in
senso storico, suscitando forte interesse nella Direzione nazionale
RAI-TV che, mediante un’equipe, realizzò poi , su mia documentazione d’archivio
con la mia e qualche altra testimonianza, il film documentario “COSSACKIA”
della durata di due ore. E’ innegabile che, le due menzionate pubblicazioni ed
il filmato, mediante una trattazione radicata su fondamento documentale e dei
contatti con autentici protagonisti, apersero in certo senso gli occhi agli
italiani, superando ampiamente la provincialità. Motivato da interesse venne ad
incontrarmi anche il famoso regista internazionale Fred Zinnemann col proposito
di realizzare un film, progetto che insieme concordammo in alcuni incontri, uno dei quali in Austria
sulla Drava. La realizzazione venne poi sospesa dalla casa produttrice Fox
francese, per motivi politici e, diciamolo pure stando a quanto mi riferì
Zinnemann, perché il film avrebbe evidenziato la disumana, delittuosa, barbara
operazione degli Alleati, di consegnare i cosacchi ai sovietici, che equivalse
ad un atto di morte. Non posso evitare di riferire l’indimenticabile
grande personalità e sensibilità di Fred Zinnemann, ebreo di origine, da cui
appresi fondamentali principi e, mi perdonino i lettori se mi permetto di
ricordare la gioia e l’ emozione che provai in Austria, nella Hall dell’
Hotel Post di Lienz, dove lui stava ad attendermi per uno degli incontri e
dove, al mio arrivo, una notevole folla di giovani austriaci mi acclamarono,
consapevoli che io ero l’uomo scelto da Zinnemann per realizzare la trama del
film sui cosacchi che avrebbe evidenziato la tragica ritirata dall’
Italia attraverso le alpi innevate e la tragedia della Drava, argomento
di cui aveva parlato la stampa austriaca.
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Scrive il
Venir a pag. 40:”Credo che sia opportuno esaminare più da vicino la posizione
di Carnier, che è un nome che spesso ricorre anche nelle parole di Lizzero.(Nota
n.1) Nell’impossibilità di contattarlo personalmente, nonostante ripetute
richieste di un colloquio sempre rifiutato, bisogna accontentarsi dei
suoi scritti che, peraltro credo contengano sufficienti indicazioni sulla sua
posizione ” Si tratta di affermazione che, assolutamente contesto non
essendo mai stato contattato dal Venir per cui, di conseguenza, non
ho rifiutato alcuna proposta di colloquio che invece avrei accettato volentieri
come da mia abitudine, trattandosi soprattutto di argomento riguardo il quale
avevo tutto l’interesse a fornire informazioni.
Vero è,
quanto asserisce il Venir, che io non ho dissimulato la simpatia per i cosacchi
e ciò a conferma della loro possente fama storica, ma questo non altera
l’intelaiatura dei fatti da me riferiti e descritti. I cosacchi . giunti
nell’ottobre 1944 in Carnia, fomentati inizialmente da
una falsa propaganda tedesca che dipingeva la popolazione carnica come nemica e
comunista, dettero luogo a spiacevoli incidenti, ad alcuni atti di
violenza e saccheggi, situazione che rientrò tuttavia rapidamente nell'ordine
dovuto. Nella realtà di fatto i cosacchi ( ed i caucasici) in termini
storici furono destinati dall’alleato tedesco nell’ Adriatisches
Küstenland per un loro insediamento provvisorio in seguito alla
retrocessione del fronte orientale con la motivazione di garantire la sicurezza
del territorio minacciato dalla presenza di bande, qualificate comuniste
( Nota n.2) che agivano
contro l’instaurata Repubblica Sociale Italiana e contro l’ alleato
tedesco considerato invasore, sceso ad occupare l’Italia per colmare il vuoto
determinato dal tradimento italiano dell’8 settembre e combattere gli
Alleati sbarcati in Sicilia ed a Salerno, con particolare interesse
a garantire i valichi del Brennero e Coccau (Tarvisio) nel caso di una
presumibile ritirata.
Al tempo
dei fatti, 1944-1945, pur essendo studente diciannovenne, io non ero
proprio un adolescente, come si
accenna a fini tendenziosi nella tesi a
pag. n.44, in quanto lavoravo come dipendente amministrativo
presso un’azienda industriale a fianco dell’amministratore delegato
L.D.A. che era, a sua volta, membro di rilievo del C.L.N. “Val Gorto”,
organismo per il quale battevo a macchina i rapporti e, tenuto ovviamente al
segreto, presenziavo ad incontri riservati ed importanti, diversi
dei quali, tanto per citarne alcuni, tra l’ amministratore delegato e l’ing.
Franz Gnadlinger, fiduciario della massima autorità dell’Adriatisches
Küstenland il Supremo commissario tedesco, dott. Friedrich Rainer, l’ing.
Rinaldo Cioni dirigente delle miniere di Ovaro pure membro del C.L.N ed in
seguito nominato presidente e vari membri dell’organizzazione partigiana
o ad essa legati. Avevo modo quindi di ascoltare ed apprendere notizie,
segnalazioni informative dirette e voci su quanto stava accadendo nell’
organizzazione partigiana della Carnia oltre a conoscere, ovviamente,
le decisioni che si prendevano nel C.L.N. “Val Gorto” e le disposizioni riservate
che pervenivano dal C.L.N.A.I. (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia). Riferisce il Venir a pag. 44 riportando una
frase del Lizzero: “” che Carnier viveva in un paese occupato dai cosacchi, il
che è vero,(per la verità si trattava di caucasici-Nota n.3) e non poteva quindi avere informazioni dirette su quanto
accadeva tra i partigiani”” ed aggiunge a tal proposito “” e qui ritorna ancora
una volta l’accusa di Lizzero sulla “posteriorità” di certe affermazioni””. Si
tratta di supposizione del tutto accampata e destituita di ogni
fondamento, tenendo fermo quanto da me sopraprecisato sulla mia posizione e mi permetto di
osservare che la critica della
“posteriorità” ”, escogitata dal Lizzero appare scopertamente pretestuosa, intesa ad invalidare affermazioni
scomode le mie comprese.
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In
quanto al movimento partigiano, nelle mie pubblicazioni, tenni conto del
giudizio popolare. Il movimento, in base ad attestazioni scritte pervenutemi
nel lungo tempo della mia attività culturale e pubblicate ed in relazione alla
mia personale testimonianza e conoscenza, in base alla mia riferita posizione,
secondo molteplici fatti spesso
non ha rispettato la dignità popolare. Il movimento partigiano, nei suoi
contenuti di fondo, (tralasciando l’ organizzazione Osoppo, scioltasi
nell’autunno 1944, su cui va dato un giudizio
del tutto separato) esprimeva non tanto un’aspirazione di libertà bensì un
prevalente impegno di rivendicazione
sociale con l’obbiettivo di una profonda riforma di fondamento marxista. Era questo
l’orientamento imposto alle formazioni Garibaldi da Palmiro Togliatti, leader
senza dubbio di forte carisma e di grandi capacità tattiche, che non ho mai
sottovalutato.
La
popolazione carnica come altrove, temendo ritorsioni, preferiva tacere in
pubblico il suo giudizio sui partigiani che, motivato da comportamenti autoritari
ed eccessi, era prevalentemente negativo. Vi si aggiungeva che, fin dall’
inizio, si erano verificate diverse uccisioni di civili, con l’accusa di
essere oppositori o presunti tali, per cui si era diffuso nella
popolazione un clima d' insicurezza. Ai comandi tedeschi, da mie informazioni,
pervennero centinaia e centinaia di lettere di delazione, in parte anonime per
ovvia precauzione, denuncianti abusi, soprusi, rapine e delitti dei
partigiani con invito accorato a liquidare le bande, così allora definite. Nel
tribunale di Tolmezzo, nell’immediato dopoguerra, risultavano avviate
oltre 300 istruttorie penali per omicidi, rapine ed altri reati delittuosi
sulla popolazione civile, consumati nell’ ambito della lotta partigiana che
trovarono poi, in certa parte, in seguito ai provvedimenti di amnistia,
ingiusta archiviazione. A quel
tempo, nell’alta Carnia, esisteva una coalizione reazionaria di notabili. Si
trattava di industriali che gestivano il potere economico, i quali non
condividevano la Resistenza, resisi
conto che la stessa era di radicale tendenza comunista, ma fingevano
ufficialmente di appoggiarla e godevano d' infiltrazioni ed agganci nelle file
partigiane a scopo informativo. A fine estate 1944, la Resistenza carnica, aveva perduto per una
serie di motivi, che qui tralascio di enunciare, l’aggressività rivoluzionaria
iniziale e, con grande abilità, la coalizione di notabili, tramite l’ing.
Gnaglinger, era riuscita a far credere, al Supremo commissario dott. Friedrich
Rainer, con suo compiacimento che, la Resistenza carnica, aveva assunto un
carattere puramente patriottico situazione a me inequivocabilmente nota ed
accertata. Dati i miei lunghi rapporti
di stretta cara amicizia
avuti ,dall’ immediato dopoguerra fino al suo decesso, con Frau Ada Pflüger,
tedesca della Slesia, vedova del Supremo commissario Friedrich Rainer e sulla
base di documenti mi fu chiaro che il medesimo, nell’esercizio delle sue
funzioni, aveva come obbiettivo essenziale la normalizzazione ambientale e
coltivava, negli ultimi tempi sul presumibile crollo del III° Reich, il
progetto patrocinato dal Vaticano della creazione di una Grande Austria.
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Occorre anche ricordare qual’era il clima predominante di quegli anni
(1943-1945) nell’opinione pubblica. Rammento che, dopo l’ecatombe tedesca di
Stalingrado (febbraio1943) e la forte retrocessione del fronte orientale nel
1944, reggeva ancora il desiderio nell’opinione pubblica, sebbene fosse
un’illusione, che la
Germania potesse
resistere e negli Stati d’Europa sotto occupazione tedesca, vi fu
un febbrile arruolamento nelle Waffen SS. di decine di migliaia volontari,
spinti dalla volontà di giovare al rafforzamento dell’armata tedesca per
bloccare il pericolo della minacciosa avanzata sovietica verso occidente.
Allora si era completamente all’oscuro di quanto detestabilmente era accaduto
ed accadeva nei campi di concentramento tedeschi. La Resistenza, rispetto al pericolo
che incombeva sull’Europa. era un fenomeno secondario, sicuramente di disturbo
per i tedeschi, ma poco convincente nel suo divenire per le popolazioni. ”Le popolazioni non
riconoscevano più nei partigiani gli interpreti delle loro aspirazioni, i loro
protettori, le forze sane e costruttive del paese…” come ho già scritto spesse
volte riportando le sincere affermazioni del partigiano Paolo Zanelli
della Garibaldi. Di fatto, alla fine del 1944, la
Resistenza carnica,
come altrove nel nord Italia, era stata travolta dai grandi rastrellamenti
tedeschi.
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Ritengo di
lasciar perdere alcune osservazioni critiche dell’ autore tipiche nella
stesura di una tesi onde dimostrare la dovuta attenzione all’argomento in
causa, prescindendo dal fatto che nei contenuti si riscontra il metodo di non trarre
conclusioni definitive laddove si tratti di riferire fatti sgradevoli non
edificanti riguardo la Resistenza. Non posso, in ogni caso, evitare alcuni motivati
rilievi. Prendo in esame la pagina
43 dove, con riferimento
all’attività partigiana in Carnia, si parla di una zona liberata dove si
tennero libere elezioni. Senza tema di smentita posso affermare che,
in Carnia, non ebbe a verificarsi alcuna zona liberata tant’è che i tedeschi
mantennero un costante
collegamento tra il capoluogo di Tolmezzo posto a sud e dagli stessi
stabilmente occupato, e la cittadina di Sappada, posta a nord nel Cadore, percorrendo
l’arteria stradale attraverso l’intero territorio con frequenti colonne di
automezzi e forze appiedate, ma vi fu soprattutto, da parte tedesca,
l’attuazione di costanti ricognizioni sul terreno e rastrellamenti, che costituirono il
quotidiano timore e spesso l’incubo della popolazione. In particolare, nel
luglio 44, ebbe a verificarsi il rastrellamento e conseguente rappresaglia
della zona malghe, al confine orientale con l’Austria e valle del But, che
causò la rappresaglia di malga Pramosio che fu una strage di valligiani innocenti ed altre vittime. I
tedeschi mantennero inoltre, per diverso tempo, un presidio di Turchestani nel
villaggio di Sauris ed un secondo, di Karstjäger, nella val d’Aupa. C’è
pertanto da chiedersi, in tali condizioni, come una zona in qualsiasi area si trovasse, potesse intendersi
liberata, per cui appare evidente trattarsi di una autentica invenzione per dar lustro alla
lotta partigiana e per ragioni che tralascio di esporre per questione di
spazio, già a suo tempo da me pubblicate. In quanto alle libere elezioni, iniziativa di
cui fui diretto testimone, della quale una
stragrande maggioranza di carnici nemmeno sentirono parlare, le stesse
risultarono null’ altro una squallida messinscena
priva del convalidante
suffragio popolare.
Più
oltre, nella stessa pagina 43 con prosecuzione nella 44, il laureando cade in una interpretazione permissiva, del tutto
errata, su quanto da me
riferito ne “L’Armata Cosacca…“ - edizione De Vecchi-Milano 1965,
a pagine 86,87,88 a proposito di un’esecuzione partigiana di due anziani valligiani in val
Pesarina il 23 dicembre 1944. Vengo pertanto a riferire il caso seguendo in
sintesi lo scritto del mio testo con l’aggiunta di qualche breve risvolto
tratto dal brogliaccio di vecchi appunti e dalla memoria, essendo utile che i
lettori prendano cognizione. Dei due esecutati si trattava di una donna, detta
la “Maga”, che aveva perduto un figlio ucciso dai partigiani e del fratello
della stessa, cittadini di Pesariis compaesani di mia moglie, purtroppo
venuta a mancare da alcuni anni. Sul caso, stante la mia familiare conoscenza
dei valligiani di Pesariis, ebbi modo di ricostruire e chiarire l’intera
vicenda dal sospettato, ma non provato spionaggio dei due da lato
partigiano, all’azione del prelievo notturno grazie al tradimento di un
valligiano delatore che ricevette, a compenso, una grossa somma di denaro
e quant’altro. Per la verità se ne parlò molto soprattutto con Cleva Romana,
donna ”pesarina” sorella dei due fucilati, nel suo casolare posto sotto le
vette dolomitiche della quale tengo una dichiarazione firmata il
24.09.1962, in cui la stessa riferisce ed afferma che il prelievo dei due fratelli
fu effettuato da Nembo (Augusto Nassivera), commissario della Garibaldi ex
condannato al confino dal regime fascista. Al fianco di Nembo, come risultò da
accertamenti, c'erano alcuni altri , uno dei quali Tito, nome di
battaglia a me fin troppo noto che riemergerà nel caso Mirko …. Da indagini accurate e confidenze fattemi
a suo tempo da partigiani, seppi che, la fucilazione dei due
valligiani, fu decisa a scopo deterrente, per vendicare la morte del
commissario Gracco (Roiatti Pietro), uno dei più ardenti sostenitori della lotta
rossa, avvenuta nella stessa valle a località Pieria, mediante un’azione
dei caucasici in data 14 dicembre 1944 e quindi pochi giorni
prima, a seguito di segnalazione spionistica anonima ed al riguardo mi giunse
in seguito notizia che, tale segnalazione sarebbe stata fatta da un
osovano. Nembo, di lì a pochi giorni, il 9 gennaio 1945, cadde sotto un
attacco a sorpresa dei caucasici nel suo
rifugio sul monte Vinadia.
Nell’indomani
24 dicembre, vigilia di Natale, tutti gli abitanti di Pesariis furono spinti a
bastonate sulla piazza dai caucasici posti a presidio del villaggio, i quali
scelsero una trentina d’uomini, giovani e vecchi da fucilare per rappresaglia,
secondo i termini della legge marziale, qualora non venisse fatta
un’aperta confessione indicando gli autori dell’esecuzione. Vi furono scene di
panico ed i caucasici parvero comprendere che, la popolazione, era del tutto
estranea al duplice delitto. L’esecuzione fu quindi sospesa.
Il mio testo
sul caso termina con la frase : “ ….Certamente,
con la fucilazione dei due valligiani, la brigata Garibaldi aveva voluto
vendicare la morte del commissario Gracco, ritenuto vittima dell’attività
spionistica che allora imperversava “.
Scrive
sorprendentemente l’autore della tesi, con riferimento a quanto sopra riportato
: ”… mi sembra impensabile che,
i partigiani, attuassero la legge
marziale, così come facevano gli occupanti, e tantomeno che si servissero della
vendetta. Certo, i due civili furono fucilati, ma per un motivo ben preciso,
per spionaggio e non per vendetta, che è motivazione aggiunta dall’autore, il quale, a
sostegno della propria tesi, fa precedere questa affermazione dalla
narrazione di un episodio nel corso del quale un gruppo di cosacchi avrebbe
evitato per pietà una rappresaglia sulla popolazione civile”.
Si tratta di
esternazione che decisamente respingo, viziata nel giudizio dovuto a non
conoscenza e quindi radicalmente priva di fondamento, avendo riferito, da parte
mia, gli eventi accaduti nella loro reale successione. Preciso inoltre che non
vi è, nel mio scritto, manipolazione o posposizione di fatti per far sì che il
lettore tragga un’ impressione diversa dalla verità. I caucasici del presidio
di Pesariis (non un gruppo di cosacchi) pronti all’ esecuzione della
trentina di elementi è fatto grave, indelebile. rimasto nella memoria dei
valligiani che, il laureando, sembra trattare con svagatezza per
sfornare una nota di verginità pro Resistenza, interponendo l’illazione
che i due valligiani , la “Maga” ed il fratello”, furono uccisi dai partigiani
per spionaggio e non per vendetta con l’ aggiunta, come sopra riportato, di
ritenere “… impensabile che i partigiani attuassero la legge marziale, così
come facevano gli occupanti". Ciò spiega che il medesimo, autore
della tesi , non era quindi informato sulle malefatte dei
partigiani perchè anche queste furono Resistenza: ladroneggi, vendette personali, esecuzioni
capitali senza preamboli su due piedi e senza verifiche, intese a soddisfare la
brama di uccidere in nome della legge della macchia, delitti di molti di loro
dalle mani sporche di sangue, fatta eccezione ovviamente per quell’ altra parte
che si comportò con correttezza nei comportamenti rispettando l' ideale della
lotta. Ignorava, evidentemente, il
laureando, che i partigiani, non potendo mantenere e custodire i prigionieri
tedeschi, li fucilavano, ignorava il massacro dei cosacchi a Chialina,
quello degli sei caucasici fucilati a Casiacco,( pagine n.196-197 de “Lo
Sterminio Mancato”) il criminale massacro dei prigionieri cosacchi con
donne e bambini nel bosco Chianâl sui monti di Avasinis, consumato dopo l’avvenuta firma dell’armistizio e le cessate
ostilità, e molto altro.
Riconfermo quindi che, la fucilazione dei due
valligiani, in conformità a valutazioni e confidenze fattemi da partigiani
della Garibaldi fu decisa ed avvenne per vendicare la morte del commissario
Gracco.
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Al dilà
della zona d’ombra lasciata dai comportamenti partigiani nella memoria
popolare, è necessario tracciare un profilo storico della Resistenza
carnica, come già scrissi altre volte, riconoscendo che in nome dell’ideale
rivoluzionario attribuitole nello stesso diario della Garibaldi perché questo è
l’elemento chiave, lasciando perdere false aureole, essa sopportò
sacrifici, difficoltà di vettovagliamento, visse delusioni, ebbe vittime, subì
deportazioni nei lager d’oltralpe per cui, seppure nel coacervo di intrighi,
taluni inestricabili, vi furono
figure di resistenti che pagarono con la vita la fedeltà ideale al principio di
una radicale giustizia sociale intesa quale apportatrice di profonde riforme.
Il
giudizio storico deve tenere in debita considerazione che l’obbiettivo di una
radicale giustizia ed equità sociale fu sentito,come elemento portante, a molti
dei componenti le formazioni Garibaldi della Resistenza carnica, dai
filostali-nisti soprattutto, consapevoli del disegno di Stalin di un
allargamento della sfera d ‘ invadenza sovietica che includeva anche il nord
Italia.
Nel volume
“Lo Sterminio Mancato”, ho evidenziato, sulla base di certezze, la verità su
Porzûs, che non fu, con tutto il rispetto per le vittime, un eccidio, ma
un’esecuzione motivata ( riguardo Porzûs ho difeso Giacca (Toffanin Mario) che
condusse l’azione, mediante vasti miei articoli sulla stampa,
rimasti senza alcun intervento a contestazione, perché nessuno è in grado
di farlo e perché sanno che io conosco le vere motivazioni dell’esecuzione ) A
tal riguardo è venuto ad incontrarmi in Italia, nella mia residenza, il
biografo di Winston Churcill, Richard Lamb, per discutere ed
attingere notizie etc. etc.
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Sul
tentativo dell’Osoppo, organizzazione partigiana riemersa a fine guerra dopo lo
scioglimento autunnale, con qualche nucleo per affrontare i tedeschi ormai
perdenti ed in ritirata, proponendosi di ottenere la resa del presidio cosacco
di Ovaro e bloccare decine di migliaia di cosacchi in ritirata verso l’Austria
lungo la val Gorto, il 2 maggio 1945, il Venir riporta quanto da me affermato nell’“Armata
cosacca in Italia…” fin
dalla prima edizione del 1965, riconfermato nelle riedizioni della Mursia ad
iniziare dal 1990 (vedi nota a pagina nr. 170 riportata in calce, Nota n.4). Si
trattò di ” una decisione dovuta alle insistenze di un gruppo di borghesi che
affiancavano il C.L.N., appoggiati dal comandante osovano Paolo ”. Conclude poi
il Venir a pag.46: ” In fin dei conti la
posizione di Carnier è qui forse la più obbiettiva e la più vicina al vero, se
parecchi testi paiono sorvolare sull’accaduto, se lo stesso Lizzero appare così
restio a parlarne, qualcosa di vero in ciò che dice Carnier probabilmente c’è,
evidentemente ci sono precise responsabilità partigiane….”. Lizzero “Andrea”, ed altri importanti
esponenti della Garibaldi non furono presenti, in quanto impegnati altrove,
nell’azione di Ovaro.
Stante il grave
risentimento della totalità della
popolazione di Ovaro contro i responsabili della sciagurata azione contro i
cosacchi, fu eletta una commissione che provvide a redigere un
ricorso, che qui riporto in
sintesi, firmato dalla totalità della popolazione attraverso i suoi capi famiglia: Nel medesimo
fu fatta richiesta di effettuare una rigorosa inchiesta allo scopo di accertare
le responsabilità delle persone che, il 2 maggio 1945, provocarono i tragici fatti di Ovaro dopo che
già era stato firmato l’armistizio e fossero stati impartiti gli ordini alla
calma. Fu chiesto quindi di accertare l’identità dei colpevoli e che, gli stessi,
siano chiamati a rispondere dei gravissimi danni materiali e morali .Furono 26
le vittime innocenti e ben sette famiglie rimasero senza tetto e persero
ogni avere.
L’atto
prosegue precisando che “ vi è ragione di ritenere che un gruppo di
industriali della zona avessero interesse a dimostrare attraverso un fatto
d’arme la loro simpatia per gli Alleati allo scopo di mascherare i loro veri
sentimenti e assicurarsi in tal modo l’impunità politica”…L’atto fu
trasmesso, in data 9
settembre 1945, a S.E. il PREFETTO di Udine – al COMANDO
MILITARE ALLEATO di Udine – al PROCURATORE DI STATO di Udine. Non si conoscono
i risultati, ma è sospettabile che il ricorso sia stato insabbiato…
Grosse
sciocchezze sono state scritte, a gran distanza di tempo, da pennaioli paesani
sulla battaglia di Ovaro, emerse soprattutto al Convegno di Verzegnis tenuto in
due sessioni separate nel 2005 e 2007, e da me bocciato in conformità a precise
motivazioni sul Messaggero Veneto, in data 28.04.2009, sotto il titolo “BOCCIO
IL CONVEGNO DI VERZEGNIS”: cui fece seguito un articolato rapporto, sui miei
siti Facebook e Blogger, intitolato : COSACCHI. LO STRANO CONGRESSO DI
VERZEGNIS in data 13.09.2013...
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Il Venir riferisce a pag.40 ” che Carnier è un nome
che spesso ricorre nelle parole di Lizzero”.Suppongo che il Lizzero possa
essersi espresso, nei miei confronti, in senso critico, ritenendomi
opposto alla sua posizione . In ogni caso a pag. 88 della tesi, in
un’intervista rilasciata dal Lizzero, il medesimo dice : “”Carnier ha
preso una posizione precisa e va rispettato”: Dal punto di vista
storico l’On.le Lizzero, per quanto di mia conoscenza, svolse nel movimento
partigiano un ruolo di essenziale responsabilità al vertice. Fu lui, in una
riunione di esponenti partigiani responsabili nell’alta valle di Pani in
Carnia, il 20 novembre 1944, in uno dei più tenebrosi momenti
della lotta partigiana, ad imporre la continuazione della
Resistenza sui monti come precisai a pag.64 delle più volte citato mio volume
“L’Armata Cosacca…”
Nella parte da pag.52 a 62 il Venir. passa in rassegna i contenuti
di romanzi usciti sull’argomento, autori Sgorlon, Magris, Sibille Sizia e fa
riemergere la figura del-
l’atamano generale cosacco Piotr Nikolaevic Krassnoff che fu in
Carnia, insediatosi nel villaggio di Villa di Verzegnis. Si tratta di
personaggio del quale, oltre a quanto riferito nei miei due volumi, ho
esplorato l’intera esistenza. Riemerge nella tesi l’equivoco causato dalla
falsa notizia del diario della Garibaldi, a pagina n. 67, in cui si dichiara che i partigiani, a
località Chiassis lungo la val Gorto, nel corso della ritirata, avevano ucciso il generale Krassnoff.
Tale falsità mi costò lunghe indagini per accertare la vera identità del
generale e, grazie
all’apporto di cosacchi rintracciati all’estero e, soprattutto, del generale
Boris Bogaevsky, rifugiato in Francia fin dall’esodo al termine della
controrivoluzione russa, fui in grado di stabilire la verità. Si trattava del
generale Teodor Diakonoff, anni 73, nato a Novocerkassk ucciso in realtà da un partigiano, Ateo Beorchia, come
da dichiarazione postuma apparsa sul periodico “Patria Indipendente”
nr.14/15-1984, mentre inoffensivo procedeva a piedi in ritirata, come
dettagliatemente riferito a pagine n.188,189 de “L’Armata Cosacca…”. Sulla base
delle mie documentate informazioni la
Commissione tedesca di Kassel, addetta alle onoranze
dei caduti, provvide a
scolpire l’epigrafe nella tomba n.527 del campo I° nel grande cimitero militare
tedesco di Costernano sul Garda ed ovviamente diffusi la notizia sul Messaggero Veneto.
Riscontro comunque che, nella tesi del Venir, nulla appare
riguardo la destituzione del generale Krassnoff, rimosso dal comando
dell’Armata cosacca appena giunse da Berlino in Italia, su disposizione del SS.
Gruppenfuehrer Globocnik dell’Alto comando SS. e Polizia Trieste, con passaggio
dei poteri di comando al generale Timofej Ivanovic Domanow, notizia diffusa tra
i cosacchi con proclama nr. 4 del 14 febbraio 1945. L’argomento risulta
trattato introduttivamente nella parte V de “L’Armata Cosacca….”, riedizione
1990, Mursia-Milano, sfuggita all’autore ed ugualmente a pagine nr.182-183 de “
Lo Sterminio Mancato”.
Termina qui questo mio intervento . Ho rilevato che l’autore Venir
ha espresso stupore e disappunto che la vicenda cosacca, sulla quale il
Messaggero Veneto e altre testate e poi il Gazzettino, di cui sono tuttora
collaboratore culturale, mi avevano dato spazio e quindi ovvia attendibilità,
non abbia scosso il freddo mondo culturale friulano dando luogo ad un fecondo
dibattito storico, in contrapposizione al fatto, e questo lo dico io che, in
molti centri importanti, perfino in Sardegna ad Orgosolo, mi fu offerta la
possibilità di tenere conferenze sul caso.
Non posso non rilevare che
l’ambiente regionale, soprattutto friulano, coercito dalla pesante cappa
del clericalismo e vincolato a subordinazione politica, risulti
condizionato da una chiusura alla conoscenza teoretica e quindi, in riferimento
a molte vicende, al riconoscimento
dell’oggettività storica.E’ ormai consolidato che la gestione dell’eredità
storiografica della Resistenza è in mano a consorterie che ciecamente perseguono interessi di parte
in danno di un’oggettiva formazione
culturale della collettività, attribuendo all’ insurrezione partigiana
prevalenti ed impropri aspetti
agiografici ed occultando alle giovani generazioni la conoscenza di quali
furono le concrete risultanze ed i veri fini politici.
17 gennaio 2016
PIER ARRIGO CARNIER
Nota n. 1
On.le Mario Lizzero “Andrea”, ex
commissario della Garibaldi, personalità rilevante della Resistenza.
Nota n.2
Di tali bande sussistevano elementi probatori di un loro
collegamento con le formazioni partigiane slovene di Josip Broz Tito.
Nota n.3
Caucasici della Freiwilligen Brigade Nord
Kaukasus e Reggimento georgiano.
Nota n.4
Fu tenuta, la sera del 1° maggio, un’ulteriore riunione segreta
dei membri del C.L.N. e dei capi partigiani in una casa isolata alla periferia
nord di Chialina.
Nella riunionenil membro del C.L.N. Elio ( Fabiani) aggregato allo
Stato Maggiore della “Garibaldi” (in base alla ricostruzione fatta dal medesimo
all’autore), manifestò assieme a Da Monte, comandante delle formazioni
d’assalto dell’”Osoppo”, la ferma opinione di nun usare le armi contro i
cosacchi ad evitare prevedibili gravi conseguenze. Mancava allora alla riunione
il comandante Furore, che si trovava col suo battaglione oltre il fiume Degano,
nel villaggio di Cella.
Tutto il C.L.N., nel complesso, era dell’avviso di rimanere in
posizione di trattativa coi cosacchi. Ma, poco dopo,, a modificare le opinioni
di alcuni membri del C.L.N., giunsero alla riunione dei nuovi elementi
borghesi, col fazzoletto verde al collo quale attestazione di fiancheggiamento
dell’”Osoppo” ( si trattava di alcuni De Antoni di Comeglians, imprenditori
dell’industria del legno e di qualche altro), i quali, col capo partigiano
Paolo dell’”Osoppo”, riuscirono a far prevalere l’opinione di attaccare il
presidio. Mancava allora alla riunione il conte Burgos, inoltratosi con alcuni
partigiani verso la pianura per incontrare gli Alleati ch’erano già stati
segnalati in arrivo.
L’opinione dei nuovi elementi, che rafforzavano il C.L.N., ebbe
prevalenza e l’attacco fu progettato per l’alba. L’idea dell’attacco era quindi
il volere di una terza forza, di natura borghese, che costituiva una corrente a
sé stante appoggiata dalla brigata “Osoppo”:
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