IL CASO PRIEBKE
25 ottobre 2013 alle ore 18.56
COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI E A QUANTI SI INTERESSANO DI VICENDE STORICHE
IL CASO PRIEBKE
Non
scrivo per difendere Priebke né per prendere posizione negativa contro
di lui ma per esporre le circostanze ed i fatti che lo riguardano, da
me accertati come storico, onde far luce sul caos che ne è derivato con
il suo decesso ad opera soprattutto di profani dando luogo a reazioni
pubbliche isteriche ed incoerenti, ignorando che la morte, in ogni
caso, estingue ogni reato ove reato vi fosse stato.
Già nel 1994,
in occasione al suo arresto ed estradizione da San Carlos di Bariloque
in Argentina, mi occupai dell’argomento pubblicando un esauriente
articolo che uscì il 23 maggio 1994 sui quotidiani del gruppo veneto,
L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e L’Adige e, il giorno 25, sul
Messaggero Veneto.
Priebke, Hauptsturmführer (capitano) delle SS.
generali nelle quali si era arruolato volontariamente e non quindi
delle Waffen SS. fu un ingranaggio dell’esecuzione di massa comandata
dal colonnello SS. Herbert Kappler ed ordinata da Hitler, con cui
vennero trucidati 335 italiani perl’attentato del 23 marzo 1944,
avvenuto in via Rasella nella capitale, che la sentenza nr.631
pronunciata dal Tribunale militare di Roma il 20 luglio 1948, considerò
illegittimo, giudicando invece legittima, sul piano militare, la
rappresaglia. Il colonnello Kappler venne condannato per un errore di
calcolo in quanto l’esecuzione comprese cinque vittime in più rispetto
alle 330, secondo il rapportodi 10x1, in relazione ai 33 membri del
reggimento di polizia “Bozen”, formato da alto atesini, periti a causa
dell’attentato.
In base all’informazione soprattutto televisiva,
diffusa nei giorni scorsi dopo il decesso, è parso che Priebke fosse il
boia dell’intero massacro, ma così non fu. Priebke assieme al capitano
Schultz, preposti alla direzione dell’esecuzione ed al controllo degli
elenchi dei condannati, nel processo celebrato nel 1948, furono
stralciati ancora in fase istruttoria e quindi non processati. Gli altri
imputati, maggiore SS. Domislaff, capitano SS. Clemens, Quap, Schulze,
Wiedner, tutti sottufficiali SS. arrestati e detenuti a Roma nel
carcere giudiziario di Regina Coeli assieme al colonnello Kappler,
vennero prosciolti, eccezion fatta per Kappler che fu condannato
all’ergastolo. Priebke in realtà era latitante ma poteva essere
regolarmente giudicato in contumacia. Sta di fatto però che fu
stralciato in fase istruttoria il che ha una sua rilevanza sul piano
giuridico.
I 335 condannati erano consapevoli che li attendeva
l’esecuzione. Fu detto loro infatti chiaramente che sarebbero stati
uccisi. Questo perché la rappresaglia collettiva comportava allora tale
meccanismo presumendo, in ossequio alla normativa, che qualcuno avesse
denunciato gli esecutori dell’attentato. La normativa prevedeva infatti
che, ove nel territorio dove si verificò l’attentato, con sovranità
dell’occupante e relativi oneri e diritti, non si fosse giunti a
risultati positivi nell’individuazione degli attentatori coi possibili
metodi, sorgeva una responsabilità collettiva. Il concetto è contenuto
nell’art. 50 della Convenzione dell’Aia.
Nella sentenza tale
concetto venne però superato dalla Giuria ritenendo che, da lato
tedesco, non fu perseguito con tutti i mezzi allora disponibili allo
scopo di individuare i responsabili del grave attentato di via Rasella.
Ma si riconobbe che Kappler aveva agito in esecuzione di un ordine nel
meccanismo gerarchico tipico del nazismo sul quale il mio amico Lerch,
ex capo di Stato Maggioredell’ Alto comando SS. e Polizia a Trieste (
1943-1945) mi rese ampiamente edotto illustrandomi il sistema. Su
Kappler ricaddero però, secondo la sentenza, responsabilità dirette
quali l’eliminazione di 10 cittadini (ebrei) in seguito al successivo
decesso, per ferite, di un tedesco. Quindi se i condannati erano 320
in base ai 32 morti accertati di fatto subito dopo l’attentato, altri
10 si aggiunsero più ulteriori 5 eliminati per errore, dei quali la
responsabilità ricadde ugualmente su Kappler.
Durante il
lungo periodo di detenzione di Kappler, da parte di un’ Associazione
tedesca che patrocinava la sua difesa fu ritenuto, negli anni settanta,
di sottoporre alla Magistratura militare italiana, a firma dell’avvocato
penalista Nuvolone, un ricorso finalizzato alla revisione delle
motivazioni per le quali il colonnello era stato condannato. Elementi rilevanti per la riapertura del procedimento erano costituiti dalle
testimonianze del Feldmaresciallo Koesselring, del generale Dietrich Baelitz
capo di Stato maggiore della 10a armata tedesca impegnata in Italia
assieme alla 14a, del consigliere criminale Karl Schutz, del console generale
tedesco a Roma, Moellhausen A.F., del generale italiano Umberto Presti ed
altri. Radicalmente l’elemento essenziale consisteva nel fatto che
le vittime dell’attentato partigiano di via Rasella non erano solamente
trentatrè ma complessivamente quarantadue, in quanto taluni erano
deceduti in seguito in conseguenza alle ferite. E’ presumibile che
l’intento di revisione del processo, eravamo nel settembre 1970, per
evidenti ragioni politiche, abbia trovato la porta sbarrata. In quel
periodo infatti, un numero rilevante di istanze contro i tedeschi con
l’accusa di strage, era stato nascosto in un armadio del competente
ministero, chiamato in seguito
“L’armadio della vergogna”,
per disposizioni impartite dall’alto. In base ad una relazione
conclusiva del Consiglio della Magistratura militare del 23 marzo 1999,
fu ritenuto che l’inerzia, in ordine all’accertamento dei crimini
denunciati, fu determinata dalla “ragion di Stato”, le cui radici di
massima trovavano motivazione nelle linee politiche internazionali che
guidavano il blocco dei Paesi occidentali durante la "guerra fredda":
ne derivò che, se da un lato le istruttorie di imputazione erano state
congelate e di conseguenza non fu dato avvio ai conseguenti processi ,
per contro anche il ricorso di riapertura del processo Kappler, inteso
ad invalidare l’accusa delle cinque vittime in più e quindi
prosciogliere e rendere libero Kappler, seguì la medesima sorte.
In
quanto a Priebke risulta che nel 1943 il medesimo faceva parte dello
Stato maggiore di Kappler a Roma. Fu infatti comandato di scorta alla
famiglia del ministro Ciano la quale, sotto protezione tedesca, si
trasferì in Germania. Nel 1944 Priebke era ancora a Roma e agli inizi
del 1945 risultò dislocato a Brescia. A fine guerra, negli elenchi che
l’Oberstgruppenfuehrer SS. Karl Wolff consegnò agli alleati, di cui
posseggo copia dell’incartamento, indicanti i vari comandi dell’intera
organizzazione SS. e di polizia tedesca a lui subalterni con relativi
nomi di generali ed ufficiali, mentre il colonnello SS. Kappler risulta
dislocato a Fasano, il capitano SS. Priebke non vi appare elencato. Da
miei accertamenti risulta comunque che, nell’immediato dopoguerra, egli
fu arrestato e destinato nel campo di concentramento di Afragola
(Napoli), dal quale evase nel 1947. Rientrato in Germania, assieme a
moglie e figli, grazie alla catena solidaristica filonazista egli si
spostò in Alto Adige, località basilare quale premessa per l’espatrio
oltre oceano, dove in gran parte confluirono i fuggiaschi ex nazisti
nel periodo1946-1949. Fuggito da Dachau giunse in Alto Adige anche l’ex
Gaulaiter della Stiria, Siegfried Uiberreiter, che poi si rifugiò in
Bolivia come mi fu dato di sapere da fonte certa. Esisteva, come già
accennato, un’ organizzazione che disponeva di mezzi finanziari per
appoggiare l’espatrio. Anche Friederich Rainer, Gaulaiter della
Carinzia e Supremo commissario del Litorale Adriatico, come mi confidò
Frau Ada, moglie e poi vedova del medesimo con cui mantenni un lungo
rapporto di amicizia fino al suo decesso unitamente a quella
del figlio ing. Friedrich, ebbe nel lager Dachau, dov’era stato
internato dai britannici, una proposta di fuga ma si rifiutò di aderire.
Lasciato
l’Alto Adige Priebke raggiunse l’Argentina, stabilendosi, come
precisato introduttivamente, a S.Carlos di Bariloque, seguito in un
secondo tempo da moglie e figli. A seguito di segnalazioni, dopo oltre
quarant’anni, non appena fu individuata la sua presenza certa a
S.Carlos di Bariloque, nel 1994 scattò, da parte dell’Italia, la
richiesta del suo arresto ed estradizione con l’accusa di sue
corresponsabilità nella strage delle Fosse Ardeatine per cui il
medesimo fu innanzitutto arrestato.
Un alto funzionario di
Bariloque di origine italiana contrario all’estradizione, col quale ero
entrato in contatto a scopo di attingere informazioni sul caso,
essendogli nota la mia attività di storico, mi chiese di fornirgli
possibili notizie sulla posizione militare dell’accusato e sul processo
di Roma del 1948, ciò che infatti feci inviandogli copia della sentenza e
del successivo ricorso in materia, sul cui contenuto ho già riferito.
Ritengo
opportune, a questo punto, alcune mie considerazioni ed informazioni.
Qualche tempo prima dell’arresto di Priebke ero entrato in contatto e
avevo stretto rapporti per le mie finalità storiche, con Karl Hass, ex
Sturmbannführer SS.(maggiore) ed agente del servizio informazioni SS.
che si trovava a Roma fin dalla fine del 1943, praticamente inviato
con scopi informativi dopo l’armistizio dell’Italia con gli alleati,
sottoposto comunque, dal 1944, al comando Kappler e rimasto
tranquillamente in Italia dopo la fine della guerra. Al momento del
nostro primo incontro egli viveva ad Albiate (Milano) in via Gramsci
n.9.
Nei miei riguardi Hass si dimostrò molto aperto,
probabilmente consapevole delle mie conoscenze e rapporti con elementi
di rilievo ex appartenenti al settore militare e politico tedesco ma,
nel contempo anche guardingo e forse sospettoso che avessi l’incarico
di scavare nel suo passato.
Ebbi da Hass diverse
informazioni sul come si svolse l’esecuzione delle Fosse Ardeatine e,
rispondendo a domanda, ammise che, intimati da Kappler a dare
l’esempio, i membri del comando, mobilitati nell’operazione Ardeatine,
dovettero intervenire nelle esecuzioni, lui disse in alcune….
Spontaneamente, riguardo sè stesso, affermò cautelativamente, il che è
giustificabile, che lui con le Ardeatine non aveva nulla a che vedere,
ma allora io mi chiesii come mai lui conoscesse tanti particolari. Da
dichiarazioni fatte alla magistratura dopo il suo successivo arresto,
su cui riferirò nel prosieguo, ammise invece di avervi effettivamente
preso parte. Ebbi da lui interessanti notizie sulla vicenda delle
riserve auree sequestrate dai tedeschi alla Banca d’Italia prima della
ritirata e collocate in un Bunker nella vecchia fortezza austriaca di
Bressanone dove a lungo, nel dopoguerra, si ritenne che ancora
esistessero, argomento al quale dedicai assidue ricerche. Mi riferì,
inoltre, sulle ultime disposizioni diramate da Himmler, Reichsführer
delle SS., riguardo i comportamenti da assumere con la ritirata
dall’Italia, a conferma di quanto sapevo. Già disponevo infatti del
testo della circolare segreta, documento di estrema riservatezza
diramato da Himmler ai comandi SS., di Polizia e Gestapo della quale
pubblicai un estratto con un articolo sul Gazzettino di Venezia in data
7 marzo 1999, che sollevò vasto interesse. Parlammo anche
dell’organizzazione dei servizi segreti tedeschi nel dopoguerra, il
Bundesnachrichtendienst con cui lui aveva degli agganci, messo in piedi
dalle forze di occupazione degli Stati Uniti d’America nel periodo di
occupazione della Germania ed affidato alla direzione di Reinhard
Gehlen, ( generalmajor della Wehrmacht che , durante la seconda guerra,
aveva ricoperto il ruolo di capo dei servizi segreti tedeschi sul
fronte orientale) inteso a canalizzare le informazioni riguardanti le
nazioni aderenti al Patto di Varsavia per conto del Servizio
informazioni della NATO con compiti d’infiltrazione nei paesi di
espansione sovietica allo scopo di provocare e sostenere movimenti di
rivolta in opposizione al controllo sovietico, vicende insurrezionali
completamente ignorate in Italia, alla cui conoscenza, anche in
riferimento a vicende riferite al periodo dell'occupazione tedesca
nella seconda guerra, avevo un forte motivato interesse. Sulle stesse
pubblicai degli articoli riferiti in particolare all'Ucraina, argomento
che ritengo di rivivificare, non appena possibile, pubblicando un sunto
e degli scritti su questo mio sito Facebook.
Gehlen rimase a
capo dell’organizzazione fino alla fine degli anni sessanta ed ebbe
contemporaneamente, soprattutto nel primo dopoguerra, una parte anche
nell’Organizzazione Odessa che, com'è noto, favorì l'espatrio oltre
oceano di molti ex nazisti i quali, per responsabilità risalenti al
periodo di guerra, si aspettavano possibili processi nei loro riguardi.
Quando
Priebke fu estradato in Italia, ricordo che Hass mi disse di troncare i
con lui i rapporti telefonici e ogni altro contatto in quanto si
sarebbe eclissato, stante il fatto che l’informazione, a mezzo stampa e
televisione, aveva dato notizia che Priebke intendeva fare i nomi di
ex nazisti, e quindi anche il suo, che si nascondevano in Italia,
ritenendo che egli (Priebke) non potesse costituire un’eccezione, data
la minaccia di essere processato rispetto ad altri verso i quali vi
sarebbe una palese tolleranza da parte dell’Italia. Hass temeva infatti
che il suo nome venisse segnalato da Priebke alla magistratura. Cessai
quindi i contatti nel rispetto di una regola che già conoscevo. Non
molto dopo però Hass venne comunque rintracciato, arrestato e, com’è
noto, processato assieme a Priebke. Decedette nel 2004, all’età di 92
anni, mentre scontava l’ergastolo agli arresti domiciliari presso la
casa di riposo Garden di Castel Gandolfo. Fu in quel periodo prima del
suo decesso, avendo cercato di ricontattarlo mentre si trovava a casa
Garden che, dei tedeschi appartenenti evidentemente a un'associazione
solidale ex SS. che manteneva con lui collegamenti, mi fecero pervenire
indirettamente delle serie minacce supponendo, da quel che dedussi,
che io fossi legato od agente di Israle o comunque esponente di un'
associazione antinazista.
Priebke, dopo il suo arresto in
Argentina, in seguito all’accoglimento della richiesta di estradizione
avanzata dall’Italia, il 21 novembre 1995 giunse all’aeroporto di
Ciampino. La Germania, a sua volta, chiedeva l’estradizione dall’Italia
per processarlo.
Iter dei processi
1)-La
prima seduta del processo avviato a carico di Priebke ebbe luogo nel
Tribunale militare di via delle Milizie a Roma il 7 maggio 1996 e il 1°
agosto 1998 fu emessa la sentenza, decisa a maggioranza: Priebke fu
ritenuto colpevole di omicidio plurimo, ma in suo favore giocavano le
attenuanti, prevalenti sulle circostanze aggravanti dell’eccidio, ragion
per cui – tenuto conto che il reato era caduto in prescrizione -
l’imputato doveva essere liberato come infatti avvenne. Pur trattandosi
di sentenza legittimamente radicata sulla prescrizione del reato la
Magistratura militare spiccò su Priebke mandato di cattura traendo
spunto giustificativo, come motivazione, da un’ondata di protesta
popolare, soprattutto da parte dei parenti delle vittime delle
Ardeatine ed in attesa della decisione dell’estradizione tedesca. Per
arrivare a questo vi furono evidentemente forti pressioni che
meriterebbero una trattazione a parte, non cioè in questa sede. Il 15
ottobre 1996 la Cassazione annullò la sentenza disponendo così un nuovo
processo a carico di Priebke e il 10 febbraio1997 la Corte decise che
l’istruzione del medesimo spettava nuovamente al Tribunale militare di
Roma ma con una nuova composizione, stante l’avvenuta ricusazione del
presidente Quistelli.
2)-Il 14 aprile 1997, nell’aula
Bunker di Rebibbia, ebbe inizio il secondo processo di Priebke congiunto
a Karl Hass che si concluse il 27 giugno con sentenza emessa il
27 luglio 1997, contenente la richiesta di un verdetto di colpevolezza e
della pena dell’ergastolo da approvare, mentre aveva effetto immediato
la condannaa 15 anni di reclusione in parte condonati (dieci anni per
amnistia e tre anni e quattro mesi, questi ultimi per Priebke, scontati
partendo dal suo arresto in Argentina). La motivazione essenziale
consisteva nel ritenere irrealistica la tesi delle minacce aggravanti su
Priebke dall’eventuale disapplicazione dell’ordine dirappresaglia, da
parte della struttura delle SS., organismo cui egli aveva aderito
volontariamente, raggiungendo livelli di alta responsabilità. Questo
sta a significare che egli poteva rifiutarsi di prendere parte alla
fase esecutiva della rappresaglia ed anche dimettersi dalle SS., il che
non gli avrebbe comportato gravi conseguenze. E’ altrettanto vero però
che l’allora clima vigente nell’organizzazione SS. non favoriva una
tale decisione. Nella sentenza fu sancita l’imprescrittibilità del reato
per crimini di guerra
.
3)-Contro tale
sentenza fu fatto ricorso in appello sia dal Tribunale militare sia dai
difensori dei due imputati ed il processo, il terzo, iniziò il 27
gennaio 1998 e si concluse, con sentenza della Corte d’appello militare,
l’8 marzo 1998 con condanna di Priebke ed Hass all’ergastolo.
E’
ovvio che, in violazione di ogni più elementare nozione di diritto,
Priebke fu processato tre volte con un accanimento gestito sul panorama
internazionale per trarre effetti al servizio di interessi che andavano
ampiamente oltre lo scopo di perseguire dei crimini.
La condanna
fu accolta da proteste della destra e vi anche un riscontro nella
sinistra dei "comunisti internazionalisti" diramato dal sito“
www.tightrope. it/user/cherfare/archivcf/cf4o/oriebke.html.”,
di cui riporto la parte finale in quanto la stessa esprime l’opinione
che il processo, più che finalizzato a punire l’imputato Priebke, sia
stato inscenato a favore di Israele:
“ L’operazione Priebke, finta persecuzione dei crimini di guerra del passato, è stata ed è in realtà un’operazione di propaganda bellica in
vista di futuri, e forse non troppo lontani, nuovi "crimini di
guerra”, rivolta da un lato contro la Germania (presentata come presunto
terreno di elezione del nazismo) e dall’altro a pro di Israele (cui la
persecuzione subita dagli ebrei darebbe un’assoluta giustificazione per
la sua azione oppressiva nei confronti delle masse palestinesi ed
arabo-islamiche). Non a caso il capofila dell’attuale battage è un ben riconoscibile sionismo che gioca una sua partita pro-imperialista USA anche contro l’Europa, ma prioritariamente contro il proletariato internazionale “.
Concludo qui questa mia rivisitazione della lontana tragedia
risalente a settant’anni fa, del grave attentato partigiano di via
Rasella a Roma e conseguente tremenda strage per rappresaglia, delle
Fosse Ardeatine, ritenuta giuridicamente legittima. riguardo l’azione
partigiana di via Rasella che fu un attentato e non un’azione militare,
perché i partigiani, a quella data (23 marzo 1944), erano delle bande e
non dei militari e cioè non erano un esercito regolare come falsamente
dalla stampa recente, anche nel Friuli Venezia Giulia, si è tentato
di far credere agli sprovveduti ed erano quindi consapevoli che il fatto
avrebbe provocato una strage di civili preannunciata da regolare
avvertimento ufficiale premonitorio d’obbligo, diffuso mediante
manifesto bilingue tedesco-italiano fatto affiggere dal
Feldmaresciallo kesselring nelle piazze e nei municipi, cosi come
avvenne pure nell’Adriatisches Küstenland da parte del SS.
Gruppenführer Odilo Globocnik sempre mediante manifesto bilingue (1),
ampiamente diffuso in data 6 novembre 1943, incontestabile documento
probatorio che conservo nel mio archivio e del quale, in calce,
riporto il testo. Vi era quindi una chiara consapevolezza del come si
sarebbero comportati i tedeschi dai quali i partigiani va ritenuto con
certezza, nel caso di attentati, non potessero aspettarsi un
ringraziamento, essendo gli stessi, i tedeschi, scesi n Italia ad
impegnarsi sul fronte sud-west contro gli alleati, dove già si trovavano
con delle forze militari consistenti e col pieno consenso dell’Italia,
per tener testa al vuoto lasciato dall’esercito italiano in fuga
dopol’armistizio separato italiano firmato a Cassibile il 3 settembre e
reso pubblico l’8 settembre 1943. La preventiva consapevolezza
dell’inevitabile rappresaglia lasciò comunque indifferente
l’organizzazione partigiana che aveva progettato l’attentato, tanto a
pagare sarebbero stati i civili come infatti lo furono. Questa
considerazione sorvolata da storici sull’organizzazione partigiana
clandestina, va invece storicamente registrata così come va detto che
l'atteggiamento della maggioranza degli italiani, riguardo l'attività
partigiana, fu agnostico non vedendo nei partigiani i futuri
rappresentanti del proprio avvenire ed il giudizio dell'opinione
pubblica sugli stessi, già dal primo dopoguerra, fu controverso e lo è
tutt’ora. A sua volta, da un punto di osservazione equidistante, non può
essere tuttavia nascosto che l’immagine di Priebke, se da un lato, come
Kappler, conferma la biblica lealtà tedesca nell’impegno militare
esecutivo, quale che fosse il motivo, e ricorda la resistenza estrema di
Stalingrado o la difesa di Berlino, in questo secondo caso quando
ormai la guerra per la Germania era perduta, dall’altro lato
ovviamente, per la sensibilità italiana e soprattutto per coloro che,
nell’atroce crudele, ordinata esecuzione delle Ardeatine, persero dei
congiunti, padri, fratelli od altro, provoca un inevitabile
risentimento emotivo e ripropone interrogativi, intesi astabilire se
quanto accadde fu legittimo, sbagliato o assurdo. Per questo ho voluto
ripercorrere i fatti, attraverso gli accertamenti da me perseguiti come
storico ed i ricordi anche personali, ritenendo che, gli stessi,
offrano un contributo alla conoscenza delle causali e delle relative
conseguenze, onde il lettore mi auguro possa ricavare dei segnali utili
alla verità e trarre delle obbiettive deduzioni.
25 ottobre 2013
PIER ARRIGO CARNIER
(1) Testo italiano del manifesto diffuso a firma del Gruppeneführer ss. ODILO GLOBOCNIK il 6 novembre 1943
A V V I S O
Abbiamo avuto occasione di constatare, che le bande hanno
potuto prendere piede e svolgere la loro attiività, soltanto in regioni
dove la popolazione stessa offriva loro appoggio ed aiuto. Coscienti
di ciò e per difendersi contro gli attacchi domunisti si ordina :
1. Ogni abitante, che abbia conoscenza del sog-
giorno e dell'attività di bande comuniste, singoli
appartenenti alle bande e dei loro collaboratori,
è obbligato a segnalare le sue osservazioni al più
vicino posto di Polizia.
2. I danni cagionati dalle bande, devono essere ri-
parati in comunanza dalla popolazione del luogo
che è stato danneggiato.
3. Se il danno è tanto rilevante da non poter es-
sere riparato, esso verrà coperto invece che dalla
contribuzione di lavoro, da una multa in denaro
che sarà calcolata secondo la possibilità della
popolazione del luogo.
4. Attacchi contro tedeschi, sabotaggio, atti di
violenza, favoreggiamento delle bande, ecc.
saranno, nel caso il colpevole non venga sco-
perto, puniti secondo la gravità del caso, con
misure severissime, contro le persone fra le quali
si suppone trovasi il colpevole e le quali con il
loro antecedente contegno danno motivo di sup-
porre d'avere favorito l'azione.
5. Le conseguenze a par. 2 - 4 saranno eliminate
del tutto o in parte in seguito ad indicazioni che
portano all'arresto del colpevole.
Trieste, 6 novembre 1943
Der Höhere SS. - u. Pol. Führer in der Operationszone - Adriatisches Küstenland
G L O B O C N I K
SS. GRUPPENFÜHRER U. GENERALLEUTNANT DER POLIZEI