CARNIER PIER ARRIGO
COMUNICATO
Ho rilevato, dal mio grafico del sito BLOGGER, un rilevante interesse sul post che qui di seguito riporto, diffuso nel 2013, sempre ritenendo che possa contribuire alla chiarificazione di vicende storiche.
QUELLA GRANDE NOTTE COSACCA
23 settembre 2013 alle ore 17.15
COMUNICATO AD AMICI E SIMPATIZZANTI, UNIVERSITARI E A CHIUNQUE ALTRO ABBIA INTERESSE A VICENDE STORICHE
OVARO 2-3 MAGGIO 1945
(Pubblicato dal Gazzettino di Venezia in due puntate a mia firma, corredate da documenti, rispettivamente il 17 e 24 gennaio 2009, ripubblicato ora con qualche breve integrazione)
SOSTA DELL’ATAMANO GENERALE PIOTR NIKOLAEWITSCH KRASSNOFF AD OVARO NEL FONDO DELLANOTTE.-
UNA DONNA COSACCA IN UNIFORME DA UFFICIALE SI PRESENTA AL COSPETTO DELL’ATAMANO GENERALE E DICHIARA : “” Sono il comandante del battaglione “ Nina Boiko”. SI TRATTAVA DI UN BATTAGLIONE COSACCO DI SOLE DONNE, FRESCO DI COSTITUZIONE ED IL CUI NOME “ NINA BOIKO” EVOCAVA UN’EROINA COSACCA, UFFICIALE DELLA CONTRORIVOLUZIONE (1917-1918).-
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Mi fu possibile, nel dopoguerra, conoscere personalmente in Germania, a una riunione di cosacchi, il colonnello Goluboff che comandò il contrattacco avvolgente su Ovaro il 2 maggio 1945. Si ritenne a lungo che l’ufficiale fosse stato consegnato ai sovietici in Austria mentre, invece, egli era riuscito a salvarsi e ad uscire allo scoperto, non appena la Germania, l’Austria ed altri Stati ricevettero il trattato che legalizzava la posizione degli esuli. Fu consegnato invece ai sovietici il tenente colonnello cosacco Nasikow, comandante la guarnigione che presiedeva Ovaro e Chialina.-
Le notizie da me ottenute dal colonnello Goluboff, sull’azione di contrattacco ed altre, faranno parte di una possibile pubblicazione suppletiva sulle vicende dell ’ Armata cosacca. Mi pare utile, invece, ricostruire in questa sede, dal punto di vista storico, gli eventi della notte sul 3 maggio 1945 in Ovaro, cupo affresco intriso di emozioni e di speranze per le forze cosacche ed in particolare per la lunga colonna di cosacchi e profughi in ritirata, rimasti in sosta a sud del capoluogo, lungo la valle, e che affluirono nel capoluogo non appena l’azione partigiana sul presidio fu travolta dall'intervento di rinforzi. Fu notte di tragica angoscia per la popolazione del luogo, provata da paure per l’incauto attacco partigiano, di cui la stessa fu tenuta all’oscuro , con la conseguente dura rappresaglia cosacca che costò oltre venti vittime civili .-
Da lato cosacco vi furono canti ed abbracci tra le truppe di rinforzo e i resistenti del presidio, e frasi di elogio rivolte a questi ultimi dai dignitari. che raggiunsero Ovaro con le forze in ritirata. Cosacchi ubriachi, per le bevute di alcoolici sottratti a un deposito alimentare, vagavano nella notte per le strade e gli slarghi del villaggio intasati da truppe, profughi e carriaggi. Vi fu il dileggio di alcuni cadaveri di georgiani che avevano disertato il reggimento collaborazionista dei tedeschi per aggregarsi ai partigiani, caduti sotto il contrattacco dei rinforzi, calpestati dai cosacchi e poi disposti a forma di stella sul terreno, in quanto considerati traditori. " Sì, erano dei traditori, veri opportunisti", mi dichiarò Goluboff, dal suo punto di vista, riferendosi a quelli, in realtà complessivamente molto meno di un centinaio che avevano accettato di schierarsi contro i cosacchi ad Ovaro, ed aggiunse : ”Avevano aderito ai tedeschi e, nel momento difficile in cui bisognava dimostrare fedeltà a quella scelta, erano passati contro i tedeschi in appoggio ai partigiani. Se presi vivi ordinai la fucilazione immediata ".
Salvo il parziale intervento dei georgiani ad Ovaro, a fianco dei partigiani, il grosso del reggimento georgiano, in attesa degli alleati vincitori, su direttive della principessa Mariam Kergselize che deteneva il potere sul medesimo, si era spostato a Forni Avoltri verso il Cadore, venti chilometri più a nord. Taluni georgiani tuttavia, per profonde divergenze ideali, non condividevano la decisione dell’avvenuta resa del reggimento ai partigiani dell’organizzazione Osoppo, tant’è che si arrivò a vie di fatto e, a Forni Avoltri, vi fu chi esplose delle revolverate causando dei feriti. I cadaveri dei caduti georgiani ad Ovaro, complessivamente sette più altri due periti in circostanze diverse, furono sepolti nel cimitero di Forni Avoltri in una fossa comune. Nel dopoguerra l’apposita commissione tedesca di Kassel, addetta alle onoranze dei caduti e quindi al ricupero dei resti, si rifiutò di riesumarli per trasferirli nel grande cimitero militare tedesco di Costermano sul Garda da me richiesta, essendo venuta a conoscenza della loro diserzione per passare ai partigiani, come infatti ebbi a riferire nella mia relazione critica sullo strano Congresso sui cosacchi tenuto a Verzegnis.-
Con le truppe in ritirata, nel capoluogo di Tolmezzo, furono viste "... donne gagliarde, cosacche del Kuban, dell’Orenburg e delle steppe boscose della Chopra e Medvediza del Don settentrionale, uomini fieri e donne tipiche del Kuban imperiose nell'aspetto ma dolci nel linguaggio, dal capo avvolto nelle sciarpe e nei "foulars" dai disegni rosso-blu e dalle vesti e lunghe gonne inzuppate di pioggia", com'ebbi a raccontare, a pagine nr. 165,166 del mio volume "L'Armata cosacca in Italia....". Il cosacco Fedor Polsik, aggregato al quartier generale di Domanow, rintracciato nel dopoguerra in Austria, ebbe a riferirmi che la forze di passaggio, militari frammisti a profughi e tra questi in particolarei delle donne " premevano sul cordone di guardie, che sbarravano l'ingresso al comando, per attingere possibili notizie... "
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Nel dopoguerra , ai raduni commemorativi cosacchi in Austria, Germania e in altre circostanze, e ultimamente, dopo la caduta del mondo comunista agli inizi del 1990, anche in Pomerania e Cecoslovacchia, oppure mediante ricerche mi fu dato di conoscere diverse donne cosacche che avevano militato nell’Armata e in formazioni minori, oppure quali profughe erano state al seguito delle truppe in Italia o in altre zone d’operazione occupate dal tedeschi. Alcune, che si trovavano al seguito delle forze destinate in Italia, essendo transitate in ritirata per Ovaro, ricordavano che vi era stata una battaglia tra partigiani e cosacchi. Fra queste donne vi fu Tatiana Danilewitsch, da me rintracciata e conosciuta a suo tempo in Inghilterra, convivente del colonnello Medinski, dirigente della Scuola allievi ufficiali cosacchi (Junker)insediata a Villa Santina. Passò ugualmente per Ovaro la cosacca E. Kriklenko, dottoressa,membro dell’equipe medica dello Stato maggiore cosacco, conosciuta grazie all’aver individuato casualmente una traccia, così come altri membri dell’equipe con l’appoggio informativo dell’Organizzazione Antibolschevik Blok of Nations "A.B.N." di Monaco, finanziata dagli U.S.A., ora inesistente. Conobbi inoltre Tatiana De Dubrowsky, comandante dei cosacchi a Tauriano nella destra Tagliamento, Kati Ilikeria Lietschenko, galiziana aggregata ai cosacchi, Fatianow Pelageja cosacca del Kuban che fu ad Osoppo, Tamara Koval’skaja , Zinaida Zaretskaja e molte altre ancora.-
. Mi fu dato pure di conoscere un consistente numero di ex collaborazionisti superstiti, cosacchi, ucraini, georgiani, armeni etc , non solo ex membri dell’Armata, ma appartenenti ad organizzazioni minori e battaglioni collaborazionisti autonomi affluiti soprattutto negli ultimi mesi di guerra nel Veneto, Lombardia, Piemonte e nell’Istria con funzioni di presidio ed impegno, laddove necessario, nella lotta antipartigiana.-
Ogni nuovo incontro mi riportava alle lontane sensazioni vissute nel periodo 1944-1945 e mi apriva alla conoscenza di fatti ignorati. Al primo impatto comunque ci si guardava come per leggere reciprocamente negli sguardi e nei volti qualcosa . Ma che cosa ? Forse loro, cosacchi e non cosacchi, donne od uomini potevano anche chiedersi, al primo istante, se io potevo essere un agente sovietico. E perché no. Ai raduni commemorativi, in Baviera, Austria ed altrove, fino al momento del crollo dell’impero sovietico agli inizi degli anni Novanta, si sapeva per certo che, fra i superstiti , poteva esserci e c’era sempre un finto esule, un infiltrato dalla faccia patibolare che dichiarava di aver vissuto vicende tragiche e malediva Stalin e il comunismo, ma in realtà era legato a canali informativi che relazionavano il K.G.B. su ogni anche futile indizio che potesse risultare reazionario e nemico dell’Urss.-
Dopo il primo impatto si arrivava poi solitamente a conversazioni ed anche a confidenze. Conobbi uomini e donne cosacche a cui, nei primi anni del dopoguerra, il reinserimento nella vita sociale costò umiliazioni e privazioni indicibili. Conobbi donne che la guerra aveva travolto. Mi confidavano di essersi prostituite per fame ai tedeschi, sotto l’occupazione dei medesimi, a Taganrog, Soci, Kislovodsk , Rostow ….poi di aver fatto le “Ostarbeiterin “ (operaia dell’Est) nelle fabbriche al servizio dei tedeschi, infine talune di essersi arruolate nell’Armata cosacca o in qualche altra unità collaborazionista o battaglione con funzioni ausiliairie, dopo di che vi fu la catastrofe della perdita della guerra.-
Transitò in ritirata per Ovaro anche l’atamano generale Piotr Nikolajewitsch Krassnoff assieme alla consorte Lidia Fedeorowna, su una grossa Fiat nera e vi fece sosta per rendersi conto delle perdite ed onorare con un saluto i feriti, i quali però erano stati trasferiti su carrette ed autocarri, assieme a quelli dell’ospedale ivi esistente ed erano ormai in ritirata. Accompagnava l’atamano generale il suo aiutante e referente del ministro Rosenberg, dottor Nikolaj Himpel, fonte preziosa di informazioni, da me rintracciato nel dopoguerra, mediante difficili indagini, in Svezia.-
”” Il 2 maggio l’atamano Krassnoff””, ebbe a precisarmi il dott. Himpel, " dopo aver trascorso la notte a Villa Santina, si era incontrato nel pomeriggioa Tolmezzo, da me affiancato , col Gruppenfuehrer SS.Globocnik, che era sceso da Arta. Dopo di che, tardi, lasciammo Tolmezzo e, inframmezzati a forze in ritirata, raggiungemmo Ovaro ".-
° ° ° Sulla sosta di Krassnoff ad Ovaro, nella notte tra il 2 e 3 maggio, mi ragguagliò, con dettagliate informazioni anche la dottoressa E. Kriklenko, comandata di servizio dallo Stato maggiore cosacco nel febbraio 1945, come ho già precisato, al Quartier generale dell’atamano generale a Villa di Verzegnis. Krassnoff giunse ad Ovaro a notte fonda. Nevicava. Revocato dai poteri militari sull’Armata cosacca dal Gruppenfuehrer SS. Globocnik, argomento sul quale ho riferito in vari scritti, Krassnoff restava comunque una figura militare di rilievo ed era inoltre presidente dell’Amministrazione centrale cosacca con autorità sulla massa dei profughi. Egli s’intrattenne con alcuni dignitari, molti altri comunque gli si fecero attorno, fra cui la Kriklenko che aveva già raggiunto il villaggio, dopo aver trascorso la notte precedente, assieme a un’amica, sulla macchina del tenente Sevcenko, inserita nella lunga colonna in ritirata bloccata a sud del villaggio. Detto per inciso la Kriklenko, allorchè la incontrai in Germania, era ancora una bella donna e si aperse volentieri a riferirmi i suoi ricordi sul periodo vissuto in Italia ed anche a Lienz, dove mantenne contatti coi Krassnoff. Rammentava soprattutto i dialoghi con l’atamano e con Lidia Fedeorovna, a suo giudizio donna versatile e colta e, a tal riguardo, volle mostrarmi un foular di seta di Orenburg che, la stessa, le aveva regalato con ricamate le sue iniziali. La Kriklenko sfuggì alla consegna ai sovietici, assieme ad altri, in quanto precettata dai britannici, quale medico nell’ospedale di Lienz.-
" La sosta ad Ovaro dell’atamano ", ricordava la Kriklenko, " avvenne in uno slargo mentre da taluni fabbricati, per gli incendi provocati dalla battaglia, si levava ancora del fumo“. " Krassnoff ", ebbe a precisare, " viaggiava su una grossa autovettura scura assieme alla consorte e all’aiutante. Appariva piuttosto stanco, portava gli occhiali ed indossava, sopra l’uniforme, il pastrano regolamentare. Mentre stava dialogando una donna cosacca, in uniforme da ufficiale, si fece largo nella cerchia degli astanti e, di fronte a Krassnoff, scattando sull’attenti e facendo il saluto militare, si dichiarò con la frase“ Kommandeur des Kosaken Bataillon Nina Boiko” (comandante del battaglione cosacco Nina Boiko). Era d’obbligo che gli ordini e quanto annesso si pronunciassero in tedesco. Seppure nelle circostanze tragiche del momento quell’apparizione sollevò entusiasmo e si levarono grida di urrà, urrà….!! "
Il "Nina Boiko" era un battaglione di sole donne, costituito da alcuni mesi, dalle uniformi di panno verde betulla e le mostrine rosso-arancione, ed il cui nome evocava un’eroica donna combattente cosacca, ufficiale nella controrivoluzione ( 1917-1918 ) , ricordata nel profondo di quella notte storica fra le montagne della Carnia. Detto battaglione, proveniente dal Reich, aveva raggiunto da qualche mese l’Italia, destinato ultimamente alle spalle della linea contrapposta dai tedeschi all’avanzata alleata sul fronte del Po. Quelle soldatesse cosacche, in bella uniforme, le ricordava in quanto le vide anche Tatiana Danilewitsch che, nella notte del 2 maggio, in ritirata coi cadetti, fece sosta ad Ovaro in una casa accanto alla strada. La Danilewitsch rammentava, inoltre che, dei cosacchi del I° reggimento a cavallo, riuniti in gruppo nel corso di quella notte, cantavano la canzone delle forze antistaliniste " La terra bruciata dei cosacchi “.-
Transitò in ritirata per Ovaro, incolonnato nella massa anche " Battaglione femminile cosacco della morte "Maria Becekareva" ( JeiscogoBatailona Smerti “Maria Becekareva “ ), che ugualmente proveniva dalle retrovie del fronte del Po.-
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Molte sono le microstorie da riferire od i frammenti delle stesse, salvati dall’oblio dalla mia ricerca su quella notte cosacca che fu, per me, come realmente vissuta nelle tensioni e speranze dei cosacchi: i ricordi, ad esempio, di Tatiana De Dubrosky, rintracciata in Argentina, che fece sosta ad Ovaro coi suoi cosacchi siberiani dalle bande gialle lungo la cucitura dei calzoni, bella e distinta nell’uniforme azzurra che la neve gelida sbiancava. Ricordava che il villaggio era intasato dall’imponente afflusso di truppe e profughi, una complessità organizzativa che mi ci sono voluti tempi lunghi per ricostruirla. E nondimeno quanto ebbero a raccontarmi, ancora negli anni settanta,Tamara koval’skaja e Zinaida Zaretskaja, che rammentavano di aver passato due notti in sosta forzata, a sud del villaggio di Ovaro, avvolte nelle coperte sotto la protezione di un telo, sulla carretta. Videro quindi transitare, con frastuono di zoccoli, i cosacchi a cavallo del gruppo da combattimento Goluboff, destinato a respingere i partigiani che avevano attaccato il presidio di Ovaro e bloccato la ritirata .-
Mi fu possibile rintracciare e conoscere anche taluni degli ex componenti il citato gruppo da combattimento, oltre al colonnello Goluboff. Rammento inoltre Michael Juskin, ex allievo ufficiale della scuola di Villa Santina, che ricordava di aver visto, a sud di Ovaro, il corpo del generale cosacco Diakonoff, ucciso da un partigiano della Garibaldi, mentre procedeva inoffensivo a piedi in ritirata: si trattava di un anziano generale che aveva preso parte attiva, nel corso della sua carriera, alla prima guerra mondiale ed alla controrivoluzione.-
La massa dei profughi cosacchi frammista a baltici, insediata nella “Cossackja” (Adriatisches Küstenland ) confluì quasi compatta in ritirata assieme alle unità militari, fatte poche eccezioni. Tra queste vi fu un consistente gruppo di aristocratici russi acquartierati a Tolmezzo che preferirono attendere l’arrivo degli alleati. Fra gli stessi c’ era la nobildonna Tamara Cambiagio di origine italiana che, nel dopoguerra, assieme a mia moglie Wanda, rintracciammo a Fiume nella Federativa Iugoslava. Secondo voci raccolte ai raduni celebrativi cosacchi , che la Cambiagio nell’incontro non smentì, la stessa avrebbe fatto parte dell’entourage della corte imperiale dello zar Nicola II° dopo di che nel 1918, con la caduta del Romanow, riparò in Iugoslavia dove le riuscì di stabilire stretti rapporti nella cerchia degli addetti alla corte del re Alessandro di Iugoslavia, assassinato nel 1934 a Marsiglia assieme al ministro francese Barthu da un macedone per conto degli ustascja. La Cambiagio Volle darci una foto del monarca colto sulla nave mentre si recava all’appuntamento con la morte. Interessante la sua preparazione sui legami della Serbia con Mosca, argomento su cui mi intrattenni volentieri, ma tornando ai cosacchi ci disse che fu un tempo felice ." Ero ancora giovane, circondata da attenzioni ”, e ci mostrò una incantevole foto." Nella cittadina di Tolmezzo" – aggiunse – " si viveva un fermento di rinascita: c’erano oltre trenta generali cosacchi in attesa di reincarico, " ed al riguardo fece dei nomi altisonanti che riportai nel mio notes. Disse inoltre: " C’erano alcune principesse e diverse tra contesse e baronesse " che pure annotai – "giunte dalla Francia e da Belgrado. Si tenevano festini ristretti, intavolando conversazioni dense di ricordi. Non mancarono vicende passionali ".-
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Nella notte la ritirata fu ripresa, preceduta da esploratori a cavallo che segnalavano l'avanzata con pallottole traccianti che solcavano la valle con strisce rossastre, da un costone all’altro. Regnava un silenzio incantato, reso morbido dal lento innevamento: notte storica in cui dette forze propugnatrici di una Nuova Russia uscivano dalla sacca montuosa della Carnia, verso un ignoto destino.-
In realtà era una grande notte di suspense in cui, secondo dichiarazioni fattemi da superstiti, si alternava la speranza che al dilà delle Alpi, sul suolo del III° Reich , ci doveva essere una ripresa per cui non tutto era perduto. Tale speranza si fondava soprattutto sull’esistente impegno assunto dal Governo tedesco verso il popolo cosacco, sancito dall’accordo del 10 novembre 1943, sottoscritto dal capo di Stato maggiore del Supremo comando tedesco, Feldmaresciallo Kaitel e dal Ministro per le regioni orientali, A. Rosenberg, che garantiva ai cosacchi un territorio all'Ovest e quindi nell’Europa occidentale e un’adeguata assistenza.
La ritirata, dopo Ovaro-Chialina, transitò per Comeglians ed affrontò la val Calda per congiungersi, poco prima di Paluzza, con l’arteria della valle del But e raggiungere e superare il Plöckenpass. . Donne tipiche e gagliarde cosacche furono notate, in un momento di sosta, a Comeglians nel mattino del 3 maggio. Si aggiravano sulla piazza o stavano sedute sulle carrette cariche di bagagli e trainate talune da due pariglie di cavalli: donne dall’aspetto piuttosto impositivo che portavano scialli e fazzoletti alla cosacca in testa, inanellate e con sfarzosi bracciali d’oro e collane al collo. Di ciò rimasero attonite due donne del luogo, una delle quali era mia madre che, nel mattino sul 3 maggio attraversarono rischiosamente il paese e notarono pure delle cosacche armate di fucile e dotate di cartucciere, vere soldatesse. Da una punto di osservazione frontale alla val Calda potei assistere io stesso, nella notte sul 3 maggio, alla ritirata lungo la strada che si snodava sopra il villaggio di Povolaro. Vidi coi miei occhi le lunghe colonne scure che procedevano in silenzio e, fra le stesse, potei notare un ’unità cosacca con gli ufficiali che procedevano a fianco dotati un lungo pastrano bianco. Secondo mie indagini, si trattava di un contingente del 2° reggimento siberiano facente parte del 15° corpo di cavalleria cosacca del generale von Pannwitz, trasferito dalla Iugoslavia in Italia negli ultimi mesi di guerra. Nevicava fitto . Un mio compaesano, Beorchia Nicolò noto negoziante, trattenutosi nel paese quasi deserto temendo che venisse svaligiato il suo negozio e la cui abitazione dava proprio sulla strada della ritirata, raccontò poi che, dalla fessura di una finestra della soffitta, potè osservare il passaggio di nove lunghe colonne di cosacchi. Disse che, fra l'una e l'altra, si stabiliva un profondo silenzio poi si avvertiva una pesante cadenza di passi frammista al rumore delle ruote delle carrette...
Si calcola, sulla base di accertamenti, che a circa 35.000 e forse più ammontassero la forze cosacco-caucasiche che affrontarono tale percorso mentre a circa oltre 60.000 quelle che, da da Tolmezzo seguirono la valle del But. La massa confluita lungo detta valle, oltre a parte rilevante delle forze collaborazioniste stazionate nell’ "Adriatisches Küstenland”, comprendeva notevoli altre forze di organizzazioni collaborazioniste, battaglioni autonomi e flottiglie armate col seguito di profughi in ritirata dal nord Italia, ammassate negli ultimi tempi alle spalle della linea del Po e dell’Adige. Fra le stesse c’erano forze di Wlassow ed altre. I dati normalmente diffusi, da fonti approssimative, s’intendono quindi decisamente superati. Sostanzialmente la massa confluita sulla Drava, negli accampamenti a sud e nord di Lienz nonche ad Oberdrauburg e più a sud, come da verifiche affrontate anche in Austria, ammontava a 100.000. Parte delle forze in ritirata lungo la valle del But, sulla base di indagini, si concesse una sosta ad Arta e Piano d ‘Arta in quanto i comandanti di unità e i responsabili delle organizzazione dei profughi civili, avevano interesse ad un colloquio con l'Alto comando SS. e di Polizia ivi stazionato, onde attingere informazioni sullo sviluppo degli eventi. A tal riguardo ebbi dettagliate notizie dall’ex capo di Stato maggiore dell’Alto comando, Sturmbannfuehrer SS.Ernst Lerch., cui fui legato da rapporti di interesse storico ed amicizia personale. Ebbi da lui dichiarazioni certe che, a Piano d’Arta, fece sosta, con una grossa autovettura scura dalle bordature nichelate, il dottor Georg Leibbrandt, funzionario russo-tedesco nelle grazie del ministro Rosenberg, il quale, nella veste di referente, aveva svolto un ruolo importante nelle comunità dei profughi dell’Est, cosacchi, ucraini, russi, baltici ,tartari … poste sotto il patrocinio tedesco e dislocate nelle zone occupate, in quanto le stesse avrebbero fornito gli elementi per la formazione dei quadri governativi ed amministrativi della Nuova Russia. Gli ultimi precipitosi avvenimenti avevano colto il dottor Leibbrandt nell’ "Adriatisches Küstenland" mentre effettuava un giro d’ispezione per cui si affrettava a rientrare nel Reich e, considerata la situazione, con molte perplessità. La parola d’ordine per tutte le forze collaborazioniste del Reich e la massa dei profughi era: valicare le Alpi !!
23 settembre 2013
PIER ARRIGO CARNIER
Post Scriptum.
Altre notizie ritengo potranno essere da me pubblicate sull’argomento della battaglia di Ovaro tra partigiani e cosacchi e sull’intervento, a fianco dei partigiani, di una certa entità di appartenenti al reggimento georgiano insediatosi negli ultimi giorni diguerra a Forni Avoltri, unitamente ad altri particolari inediti.-
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