CARNIER PIER ARRIGO
Qui di seguito riporto la recensione diffusa l' 11 settembre scorso sulla Rivista PANORAMA, riguardante il mio recente libro "L' ORS di PANI". Storie e racconti della Carnia"- diffuso dall' ediotrice MURSIA- Milano.
Cultura
Dall’estremo Nord-Est, la storia dell’Ors di Pani
Lo storico friulano Pier Arrigo Carnier, 93 anni, ha appena pubblicato con Mursia un saggio su Antonio Zanella, il mitologico Patriarca della Carnia.
Quando mossi i primi passi come praticante a Epoca, ebbi come maestro Carlo Verdelli, l’attuale direttore di Repubblica al tempo giovanissimo caporedattore. Alla fine degli anni Ottanta, a Milano andava di moda l’aggettivo «mitico». Io mi feci prendere la mano e lo infilai in un pezzo. Apriti cielo! Quando Carlo lo lesse, i suoi verdi occhi diventarono di ghiaccio. «Già è difficile entrare nella cronaca. Non parliamo della storia. Figuriamoci nel mito» sussurrò, cassando il vituperato aggettivo.
Trent’anni dopo, mi permetto di usare per la seconda volta la parola «mito». E stavolta a proposito. Il protagonista dell’ultimo libro dello storico carnico Pier Arrigo Carnier, L’Ors di Pani, è una figura storica diventata prima leggendaria, poi mitologica. E non solo perché il patriarca della Carnia, ucciso a 68 anni assieme a sua figlia Maria, fu protagonista di uno dei più eclatanti casi di cronaca nera degli anni Cinquanta.
«Il cavaliere Antonio Zanella, detto appunto “Ors”, cioè orso della valle di Pani, era un uomo eccezionale dai comportamenti arcaici» ricorda l’autore del libro, appena pubblicato da Mursia. «Erede di parossismo ancestrale, figura ieratica dal contorno mitologico, ha lasciato nella memoria popolare una profonda simpatia, per la sua generosità e umanità nel campo sociale».
Antonio Zanella era un ricco imprenditore agricolo vissuto nella prima metà del Novecento in Carnia, quel rombo montuoso fatto di boschi, torrenti e rocce infilato nella punta più estrema del Nord Est italiano. Nella conca di Pani, un altopiano sopra il villaggio di Raveo, in provincia di Udine, l’Ors possedeva 300 ettari di boschi e pascoli, oltre a centinaia di capi di bestiame. Venne ucciso il 5 marzo 1955 dal pastore Romano Lorenzini.
La ricostruzione della vita (e della morte) di Antonio Zanella ha una valenza straordinaria, perché è basata su fonti primarie. «Dell’Ors di Pani ebbi il privilegio di essere amico e stretto confidente, nonché testimone del suo assassinio assieme alla figlia, nella notte del 5 marzo 1955» racconta Pier Arrigo Carnier, che porta i suoi 93 anni con il brio di un giovanotto.
Pier Arrigo Carnier descrive con toni vividi il suo ultimo incontro con l’Ors, durante «una notte di neve e di sangue»: «Gli sci seminarono nell’aria gli ultimi sibili. Ci avvicinammo al casolare. Apparve, come sempre, la figura dell’Ors e la sua mano nodosa levò nell’aria il solito lento saluto». La mattina dopo, Carnier e il suo amico Lodovico Gressani scoprirono il cadavere della figlia Maria: «Sul petto, verso sinistra, una grossa macchia di sangue rappreso rivelava una grave ferita. Una folata di vento penetrò dalla porta spargendo nell’aria un pugno di bianchi fiocchi di neve che caddero lenti sul cadavere. Ci ritraemmo sgomenti, chiamando entrambi con voci angosciate: “Toni… Toni…”. Ritenevamo, naturalmente, che l’Ors fosse vivo. Non ci rispose che un’eco gelida».
Nato a Comeglians, ma vissuto a lungo a Venezia, Carnier è stato definito un «Omero dei tempi moderni». Storico e giornalista, ha narrato le vicende belliche della sua travagliata terra in vari saggi pubblicati da Mursia: Lo sterminio mancato, L’Armata cosacca in Italia 1944-1945 e Cosacchi contro partigiani.
Per la sua profonda conoscenza delle vicende legate all’occupazione della Carnia da parte delle truppe cosacche inquadrate nella Wehrmacht, fra il 1944 e il 1945, Carnier venne assoldato dal regista di Hollywood Fred Zinnemann. Vincitore di quattro premi Oscar, Zinnemann diresse capolavori come Da qui all’eternità, Mezzogiorno di fuoco e Il giorno dello sciacallo. Negli anni Settanta, Zinnemann chiese a Carnier di fargli da consulente per un film sull’epopea dei cosacchi, che in fuga dalla Carnia furono consegnati dalle truppe britanniche a Stalin. «Eravamo a buon punto con la trama e io avevo trovato anche le comparse della cavalleria che sarebbero state prestate dall’esercito della Danimarca, quando la produzione sospese tutto» ricorda Carnier. Motivo? «Aveva percepito avvisaglie di possibili avversità da parte anglo-americana, data la pesante realtà che il film inevitabilmente affrontava nel tradimento britannico della Drava e nella barbara e forzata consegna ai sovietici».
Anche di cosacchi e di caucasici parla il libro di Carnier, il cui sottotitolo è Storie e racconti della Carnia. Nel terzo capitolo, intitolato «La circassa», l’autore racconta con toni delicati la sua infelice storia d’amore con Tamara Abahyan, crocerossina inquadrata nella Brigata caucasica, affiancata ai nazisti come unità collaborazionista. Con la circassa dalla «pelle olivastra», Carnier divideva scatole di carne scandinava, aprendole «con una baionetta».
Già, perché alla fine della Seconda guerra mondiale il Friuli settentrionale fu occupato anche dai caucasici. «I cosacchi» si legge nel libro Ors di Pani, «finirono per spostarsi prevalentemente nella Carnia meridionale». I paesi della Carnia settentrionale, invece, «venivano affidate al presidio di forze caucasiche».
Al centro del volume, però, resta l’Ors di Pani. Che è entrato a far parte della mitologia locale soprattutto per l’episodio del «tavolo ricoperto di banconote». Tutti i carnici (e gli oriundi carnici) hanno sentito raccontare questa storia almeno una volta nella loro vita. La versione più diffusa narra che, andato a Venezia per affari, l’Ors andò a pranzo all’hotel Danieli, sulla riva degli Schiavoni. Ieri come oggi, il Danieli era un locale raffinato, con lampadari di Murano, soffitti a foglia d’oro, colonne di marmo rosa. E Antonio Zanella, vestito come sempre con abiti stazzonati e un cappellaccio (non a caso lo chiamavano Orso), prese posto a tavola. Inorridito di fronte a quello che sembrava un barbone, il cameriere gli intimò di andarsene. L’Ors non si mosse. A quel punto, il cameriere tolse la tovaglia dal tavolo. Imperterrito, l’Ors aprì il portafogli, gonfio di banconote da mille lire. E iniziò a disporre gli enormi biglietti sul tavolo, fino a ricoprirlo a mò di tovaglia.
Utile la precisazione di Ilaria Toscano, autrice di una tesi di laurea dedicata proprio all’Ors di Pani. «Volevo ricordare le dimensioni delle banconote da mille lire intorno al 1930, per sottolineare e cercare di comprendere la reazione stupita di cui si racconta: 22,2 centimetri di lunghezza e 12,6 cm di altezza, quattro volte più grande dei biglietti da mille lire che abbiamo maneggiato negli anni Novanta» spiega Toscano. Che aggiunge: «Non bisogna dimenticare che il valore d’acquisto di mille lire intorno agli anni Trenta era molto alto, se si pensa che lo stipendio medio di un operaio in quegli anni si aggirava intorno alle 530 lire».
La versione di Carnier colloca l’episodio nel ristorante di un albergo di Cortina d’Ampezzo. Che si sia verificato a Venezia o a Cortina, che sia un episodio realmente avvenuto o una leggenda montana, il racconto spiega perché l’Ors di Pani dalla cronaca è entrato nella storia per poi elevarsi a mito.
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