INTERVENTO CRITICO SUL FILMATO “ CARNIA 1944 IL SANGUE DEGLI INNOCENTI - ( di D. Ariis)
Poiché qualcuno gentilmente ha inserito nella mia pagina pubblica di Facebook il DVD del filmato in oggetto, del che naturalmente ringrazio, avendolo ovviamente visionato mi permetto di esporre un mio punto di vista o chiamiamolo se volete giudizio, se questo era quanto si voleva.
E’ stata inserita anche una premessa che vengo a ripetere :
Tanto per fare chiarezza. L’analisi delle vicende legate agli eccidi sulle malghe carniche ha consentito di approfondire scientificamente un aspetto alquanto controverso in merito ad alcune storie propinate in funzione antipartigiana da ambienti culturali ostili ai valori della resistenza, “pseudoverità” che hanno contribuito ad “ammorbare” il clima di ricupero della memoria storica legata ai predetti eventi. Tali “ dicerie” hanno potuto dilagare in tutti questi anni anche a causa di una inerte attività di contrapposizione da parte della storiografia ufficiale. Questo video, in parte vuole contribuire a fare una qualche chiarezza a fronte di un continuo “avvelenamento” della coscienza collettiva.
Ora sarò io a fare, invece, chiarezza in nome di una sentita verità storica vera quale testimone del tempo dei fatti trattati nel filmato e da tempo studioso dei medesimi. Vengo subito al dunque. Premetto di aver percorso e ripercorso quelle montagne in cui verificarono le rappresaglie, cercando riscontri testimoniali in particolare nella gente austriaca della valle del Gail. A suo tempo il Bürgermeister di Hermagor, Vincenz Rauscher, venendo incontro al il mio interesse storico all’ argomento delle infiltrazioni di bande partigiane carniche nella valle del Gail e dove pure venne ad insediarsi una formazione di disertori tedeschi, la “Freies Deutschland“ (Germania Libera), di cui, nel filmato, si accenna appena, mise a mia disposizione su una lettera dei nomi di persone attendibili che potevano fornirmi notizie ed eventualmente collaborare onde affrontare una seria ricognizione dei fatti ed in realtà ebbi della collaborazione, al dilà del mio rapporto, in anni precedenti, con l’organizzazione tedesca SUCHDIENST che mi offerse la possibilità di andare oltre alla cronaca dei fatti partecipando, in Austria e atrove, quale referente, a raduni ristretti di esponenti d’elite ex appartenenti alla Wehrmacht (divisione Brandenburg), alla Gebirgs Division Waffen SS. “Nord”, Gebirgs Brigade Waffen SS. “Karstjäger”, “Prinz Eugen” eccetera, intesi a raccogliere elementi probatori su accadimenti della seconda guerra, esistenza di fosse comuni o individuali di tedeschi uccisi dai partigiani ed altro ancora.
I miei riscontri derivanti dal supporto austriaco basato su testimonianze combaciano in parte con quanto riferito nel filmato, ma in altra parte no.
Il diario storico della Garibaldi, in riferimento alle azioni condotte nella Gailtal, riferisce di volta in volta l’entità delle vittime provocate dalle azioni, come da stralcio seguente:
-26.07.44 attacco alla caserma doganale di Straniz: 7 morti tedeschi e 10 feriti e, nella prosecuzione e dell’azione altri 2 morti e 3 feriti ;
-24.09.44 attacco caserma doganale di Straniz : 7 morti tedeschi e 10 feriti;
-5.10.44 attacco caserma doganale di Straniz : 12 tedeschi morti e 16 feriti.
Dal confronto dei dati tra le notizie tedesche riferite da fonte partigiana e quelle indicate della gendarmeria, sebbene da lato partigiano è pensabile che le notizie sulle perdite nemiche siano state date con una certa approssimazione, i dati non concordano. Dalla relazione da me ottenuta dalla gendarmeria austriaca, datata 13.10.1994, risulta che in seguito all’azione partigiana del 26.7.1944 alla Straniger Alpe vi sono due feriti, Jakob Jank e Karl Neuwirt, dei quali il primo dei due muore. Successivamente, sempre la gendarmeria asserisce che, nello scorrere del 1944 alla Straniger Alpe si verificano 4 nuovi attacchi partigiani nei quali due funzionari doganali della stazione di controllo di Kirchbach vennero uccisi e un terzo funzionario viene ferito, ma nel filmato viene indicato, come vittima, solo lo Jank Jakob deceduto, il 27.7.1944 in seguito alla ferita riportata. Risultano quindi omessi nel filmato i due funzionari doganali di Kirkbach, Fleischhauer Franz classe 1903 e Reinstadler Josef classe 1896, uccisi dai partigiani alla Straniger Alpe nell’attacco del 7 ottobre 1944. Decedette inoltre,il 14.03.1945, sempre in un attacco alla Straniger Alpe, il funzionario doganale Bernhard Albin, classe 1904, ugualmente omesso nel filmato. Tutte le azioni di attacco alla Straniger furono eseguite dal Gramsci. Viene poi ad aggiungersi un’altra vittima, pure funzionario doganale, ucciso il 20 luglio 1944 nell’attacco alla casermetta doganale di Rattendorf, come risulta da ferma dichiarazione resa nel medesimo filmato dall’austriaco Heinrich Lackner e dal medesimo rilasciata e pubblicata dal Kleine Zeitung, nonostante non fosse stata segnalata nel diario della Garibaldi dove si parla solo di due prigionieri. Riporto il trafiletto del Kleine Zeitung : 25.10.2007 pag. 31 “….Il 20 luglio giunsero i partigiani dall’Italia, uccisero un SS. doganale ed incendiarono anche la casa della dogana. Dall’ufficiale italiano e i suoi seguaci noi civili fummo fortunatamente risparmiati. Noi eravamo in 20 persone".
Le uccisioni certe da parte del Gramsci sono quindi cinque (5) e non una (1) solamente su cui si insiste nel filmato. Oltre a tali vittime di addetti doganali militarizzati, la cui uccisione comportava l’attuazione di rappresaglia nei termini previsti dai noti dispositivi, secondo notizie ricognitive vi sarebbero altre sette (7) vittime tra pastori e militi della difesa doganale confinaria uccisi nel corso di azioni lungo la fascia confinaria della Gaital, per mano partigiana. Evito di riferire dei particolari considerando la notizia per ora indicativa in attesa di una consolidata certezza anche in subordine alla redazione definitiva di un articolato rapporto di contenuto storico. Concludendo allo stato di fatto le vittime certe sono quindi cinque (5) e non una dichiarata nel film, mentre come accennato, rimangono in sospeso, senza per ora assumerne certezza, altre sette (7).
Rilevo nel filmato una certa genericità nell’attribuzione delle azioni ai tedeschi (Waffen SS., controbande etc.). Manca inoltre riguardo la causale delle rappresaglie sulle malghe, il riferimento a sospettabili agganci ed intese delle bande partigiane carniche comuniste con il IX Corpus sloveno, obbiettivo confermato da memoriale in mio possesso, redatto dal capo partigiano C.Bellina mediante l’affermazone seguente: “”….la valle del Gail aveva per noi importanza strategica di primo piano. Significava in parole povere “saldare” i movimenti di resistenza armata austriaca esistenti a nord con il nostro Movimento e il IX° Corpo della Armata popolare iugoslava a cavallo della pontebbana e della Ferrovia Tarvisio-Vienna “”. Ma in realtà movimenti di forze partigiane austriache esistenti a nord, all’infuori dello scarno gruppo “Freies Deutschland” la cui presenza mi fu confermata dal Bürgermeister di Mauthen-Koetschach, Türk, con lettera del 25.04.1978, non risultarono esistiti. Appare comunque evidente che, da parte tedesca, si ebbe a sospettare ed avere persuasione, come mi fu fatto di sapere la fonti certe ed amiche, che gli attacchi delle bande carniche nella valle del Gail si collegassero alle azioni di penetrazione slava nel sud Carinzia anche e perchè la Garibaldi comunista, come da dichiarazione contenuta nel citato memoriale, era favorevole ad un abbraccio con gli slavi e lo ricorda bene , a pagina n. 113 delle sue memorie, l’agente britannico , Patrick Martin Smith, membro di una missione segreta britannica operante su terreno partigiano in alta Carnia, il cosiddetto S.O.E( (Special Oparations Executive) con la precisazione che: “…un articolo sul giornale comunista locale appariva inteso a preparare la popolazione all’arrivo delle truppe di “Tito” sostenute dal vittorioso esercito sovietico che aveva appena liberato Romania, Bulgaria e Ungheria “. Nel prologo introduttivo del filmato questo ed altri aspetti del direttivo resistenziale comunista e del Partito comunista, risultano ignorati mentre s’è fatto sfoggio dell’accusa ai rigidi progetti della Amministrazione tedesca instaurata nell’Adriatisches Küstenland i cui poteri erano stati affidati da Hitler al Supremo commissario dott. Freiedrich Rainer che, in realtà, impose una linea moderata e chiuse gli occhi, generosamente, su molte faccende su cui so qualcosa, essendo stato per lunghi anni in rapporto di vera reciproca amicizia con Frau Ada, vedova Rainer ed i diversi figli, in particolare con Friedrich, ingegnere, prematuramente deceduto che fu a lungo strenuo difensore della memoria del padre.
Ora le azioni delle bande partigiane carniche nella valle del Gail, motivatamente sospette da parte tedesca di un collegamento all’attività del IX° Copus sloveno operante con infiltrazioni nel sud Carinzia in esecuzione alla minaccia di Josip Broz Tito di incorporare la maggior parte di tale territorio, esattamente dal sud fino al Grossglockner nella nascente Federativa iugoslava, dettero motivo ai tedeschi per una solerte repressione a scopo deterrente che si abbattè sulla popolazione delle malghe con uno strascico nell’alta e valle del But e con l’intento di provocare insicurezza e costringere i malghesi carnici ed anche austriaci, della stessa zona di confine della Gailtal, ad abbandonare le malghe, togliendo in tal modo all’organizzazione partigiana una fonte di approvvigionamento.
La decisione punitiva, interessando il caso il territorio nazionale, fu presa del Ministero dell’interno a Berlino per iniziativa di un alto funzionario austriaco, Barone Freiherr von Dürnberg Pächter, sulla base di notizie fornite da una ricognizione affidata a controbande (travestite con indumenti di foggia partigiana) ed inneggianti a Tito, secondo cui la popolazione carnica stava da quella parte, il che non rifletteva certo il pensiero della popolazione, ma fu questa la falsa impressione di immagine. La motivazione di un accertato inizio di infiltrazioni comunque esisteva ed una spinta all’azione punitiva venne anche dall’attacco partigiano a una colonna tedesca lungo la valle del But, verificatosi il 15 luglio a località “Enfrators” che causò delle vittime e dei feriti, e dall’ interruzione della strada del Plöckenpass, ma i due fatti costituirono solo un’ aggravante poichè, ove fosse stata decisa una rappresaglia questa, secondo le regole, sarebbe dovuta scattare entro 24 ore, il che non si verificò. L’ordine esecutivo della rappresaglia sulle malghe venne certamente dall’alto in base a sistema segreto per tali circostanze, sul cui meccanismo che non lasciava traccia l’ex capo di Stato maggiore dell’ Alto Comando SS. e Polizia di Trieste. mio amico Lerch, mi aveva ragguagliato.
Tornando al caso rappresaglie trattate nel filmato, all’osservatore non può sfuggire l’impegno che dal medesimo traspare nel voler dimostrare che le azioni partigiane di prelievo di mandrie di cavalli e bovini nelle malghe della Gailtal produssero perdite umane minime, causando la morte di un solo funzionario doganale militarizzato, evidenziando inoltre che, i danni provocati furono in qualche modo bilanciati da una rivalsa tedesca mediante il consistente prelievo di bestiame bovino in territorio italiano, a malga Lanza il 18 luglio (data risultante da nota del Comando Carabinieri di Tolmezzo),operazione preceduta dall’uccisione a scopo punitivo, dei due pastori ivi addetti, mentre il 19 luglio vennero uccisi quattro pastori nella sovrastante malga Cordin. Ma la questione non si pone in questi termini. Le vittime tedesche potevano comunque essere anche molte di più, il che non avrebbe rilievo sul piano storico se l’iniziativa era sorretta da un motivato impegno ideale e strategico a prescindere dal fatto che le vittime furono comunque cinque fatte salve altre sette , con mia riserva per queste ultime di una ulteriore verifica e certezza.
L’azione punitiva, affidata ricognitivamente e anche in fase attuativa a reparti speciali, come precisato nel mio volume “Lo Sterminio Mancato”- Mursia editore , era finalizzata ad interrompere ogni velleità di creare una situazione di infiltrazione parallela a quanto andava sviluppandosi nel sud Carinzia da parte del IX° Corpus sloveno e, in quanto all’immagine operativa dei partigiani, un’idea la fornisce un articolo apparso in data 21.07.1994 sul Gazzettino di Venezia, edizione di Udine, a firma del cronista Natalino Sollero di Paularo : “….I fatti sono ancora bene impressi tra gli anziani di Paularo che ricordano i partigiani scendere a valle come barbari: capelli lunghi sul torso nudo, fazzoletto rosso al collo, forme di formaggio infilzate sui fucili, cavalcavano e trascinavano numerosi cavalli e armenti…”. Ed in effetti, senza alcun intento spregiativo , era questa l’immagine del partigiano, elemento al di fuori delle regole previste per il soldato combattente riconoscibile da segnali dell’uniforme prescritti da norme internazionali, ma libero nella foggia del vestiario, braccato e senza fissa dimora, costretto a decisioni ed azioni rapide ed uccisioni sbrigative di oppositori o presunti tali, il che finì per imprimerle una certa spregiudicatezza, motivato infine, laddove occorresse, ad assumere atteggiamenti impositivi onde rendere funzionante l’ organizzazione logistica.
Riassumendo il senso del filmato appare racchiuso nel martirio delle complessive 49 (quarantanove) vittime innocenti delle rappresaglie sulle malghe e dintorni ( alta valle del But) (nota n.1) che, nella realtà storica, furono un prezzo pagato dalla popolazione per causa partigiana e qui tralascio di innescare, al riguardo, un giudizio a più alto livello che comporterebbe una delicata dissertazione espositiva di norme relative alle convenzioni internazionali, argomento però da trattarsi in sede storico scientifica.
Non posso sottacere e mi permetto di puntualizzare che la guerra partigiana sviluppatasi in Carnia, nella breve stagione di alcuni mesi estivi, non dette luogo e spazio di fatto ad alcuna “Repubblica libera” o “ Repubblica di Ampezzo” menzionata nel filmato, vera e propria invenzione di comodo da me radicalmente e motivatamente contestata, che comportò fra i vari sacrifici pagati dalla popolazione, la tragica vicenda delle malghe. Rilevo inoltre che non si accenna nemmeno, sul piano oggettivo e storico, quale fu il rapporto dell’attività partigiana con la popolazione e cioè la linea di condotta, elemento di rilevanza storica che non può essere sottaciuta. Dico questo poichè nell’immediato dopoguerra, nella sola giurisdizione del tribunale di Tolmezzo, risultavano avviate oltre 300 istruttorie penali per omicidi ed altri fatti delittuosi sulla popolazione civile, consumati nell’ambito della lotta partigiana. Si tratta di istruttorie che finirono tuttavia per essere in buona parte archiviate, in quanto omicidi e delitti a seguito di provvedimenti di amnistia, trovarono prevalente giustificazione nel concetto dell’azione di guerra. Espongo questa situazione non per suscitare un’immagine aggravante della lotta partigiana ma perché il carattere della stessa, come appare dall’introduzione del diario della Garibaldi, fu rivoluzionario per cui rientrava implicitamente nella natura della lotta che si sarebbero potute verificare uccisioni, stragi, furti etc. e questa cose in qualche modo vanno almeno accennate in una rievocazione filmistica indirizzata a far conoscere la realtà storica in senso educativo e didattico alle nuove generazioni, spiegando concretamente quali furono le ragioni fondamentali della sollevazione dettate, a mio giudizio, da un consistente sottofondo di rivendicazione sociale.
Da ultimo l’esibizione nel filmato di una targa ricordo, da parte dell’austriaco Heinrich Lackner di Spittal an der Drau a memoria dell’azione su Rattendorf, va corretta, sulla base di prove da me acquisite e rese note, indicando i tre nomi del triumvirato guida che condusse effettivamente l’attacco alla casermetta e cioè : Buzzi Simone “Niti”, Tarussio Giacomo fu Lorenzo, classe 1922, Medean Luigi “Bigio”.
Concludendo poiché nel preambolo introduttivo del filmato si accenna a “pseudoverità” storiche propinate in funzione antipartigiana da ambienti culturali ostili ai valori della resistenza, ”pseudoverità” che hanno contribuito ad “ammorbare” il clima di ricupero della memoria storica legata ai predetti eventi, stante il fatto che la mia posizione ha un distinguo perchè si colloca nella classificazione storica apolitica degli eventi, monda da esaltazioni agiografiche ed ispirata al realismo storico regolato da “ causali ed effetti” comunque nel pieno rispetto di ogni nobile principio di reazione e quindi resistenziale laddove realmente fossero risultati lesi la dignità nazionale di italianità ed i diritti fondamentali del cittadino, ho ritenuto di ripercorrere fatti e le circostanze del filmato quale testimone del tempo e studioso della materia, con alle spalle una lunga specifica attività giornalistica storico documentale svolta secondo gli accennati principi.
-Nota nr. 1 : secondo i dati dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione di Udine le vittime delle rappresaglie sulle malghe ed alta valle del But ammontavano a quarantasei (46).
2 febbraio 2013
PIER ARRIGO CARNIER
NUOVO INTERVENTO CRITICO SUL FILMATO “ CARNIA 1944 .IL SANGUE DEGLI INNOCENTI
pubblicato da Pier Arrigo Carnier anche su Facebook il giorno Sabato 23 febbraio 2013 alle ore 17.00
Cari amici e simpatizzanti, in particolare di Treppo Carnico, Ligosullo e paularesi trattandosi di argomento riguardante le vostre contrade, e comunque amici lontani oltreoceano che seguite questa mia trattazione, aggiungo un nuovo intervento esplicativo di una serie di motivi intesi all’ approfondimento storico, sulla base di un’indagine condotta, senza pregiudizi di parte, della tragica vicenda delle rappresaglie sulle malghe Lanza, Cordin, Pramosio ed alta valle del But, in connessione a parallele considerazioni utili alla comprensione della causale che portò il vertice tedesco a decidere un’azione repressiva, impegnando nell’operato tattico delle unità speciali d’avanguardia quali i Kommandos, “Zugsonderdienst”, “Einsatz” etc. dotati della sigla Z.b.V. ( Zur besondere Verwendung-Per speciale impiego). Il tutto affinché questo mio impegno, sintesi di un annoso lungo iter, giovi a porre fine al trascinarsi di illazioni, perniciose fantasie e pressappochismi informativi e si affronti la verità senza circonvenzioni.
UN FILMATO POLITICIZZATO CHE HA MISTIFICATO LA VERITA’ STORICA, FINALIZZATO UNICAMENTE A MANLEVARE DA IMPUTAZIONI L’OPERATO PARTIGIANO COMUNISTA:
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“CARNIA 1944: IL SANGUE DEGLI INNOCENTI” di D.Ariis
Il film del regista americano Spike Lee “ Miracolo a S.Anna” girato nel 2008 a S.Anna di Stazzema, rievocando le circostanze di una dura rappresaglia tedesca risalente al 1944, ha aperto gli occhi gli italiani sulla resistenza. Nella sua “prima” a Firenze è scattato infatti l’applauso ed il regista è rientrato negli Stati Uniti con la cittadinanza onoraria di Stazzema. Di recente è stato girato in Carnia, non un film, ma un documentario dal titolo “Carnia 1944 . Il sangue degli innocenti”: una vicenda pressochè analoga riferentesi a un’azione di rappresaglia tedesca verificatasi nel 1944. Nel medesimo, anzichè presentare i fatti con spirito aperto ed evolutivo s’è invece insistito in una linea scenica ricognitiva vecchio stereotipo resistenziale, intesa scopertamente a difendere l’operato partigiano comunista, rifuggendo dall’effettiva realtà. Pur essendo già intervenuto, nella mia pagina pubblica, con una nota critica sull’argomento mi permetto un secondo appropriato e motivato intervento che mi accingo ad esporre, dettato non da spirito contestatario, ma da palesi esigenze correttive costruttive ed integrative nel rispetto della verità.
Ricollegandomi all’immagine fornita dal cronista Sollero Natalino in un articolo sul Gazzettino di Venezia, edizione di Udine del 21.7.1994 in cui il medesimo asseriva : “ I fatti sono ancora bene impressi tra gli anziani di Paularo che ricordano i partigiani scendere a valle come barbari: capelli lunghi sul torso nudo fazzoletto osso al collo forma di formaggio infilate sui fucili, cavalcavano e trascinavano numerosi cavalli ed armenti “ frase che, nel mio precedente intervento del 17 gennaio, ritenni appropriata, quale risultanza dello status di circostanze. Senza negare che, in fondo al tutto, vi fosse stato un filo conduttore ideale, nella veste di testimone, ritengo ora di esporre brevemente dei fatti connessi al sostantivo “barbari”, fra molti altri di mia conoscenza.
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In un mattino di fine maggio 1944, appena uscito di casa per portarmi al mio ufficio al centro del paese, vidi avanzare sulla strada due partigiani e fra loro un uomo alto barcollante. Mi fermai rendendomi conto che c’era qualcosa di sinistro. Appena mi furono vicini vidi che l’uomo barcollante grondava sangue dalla testa ed aveva un orecchio quasi strappato. Riconobbi in lui la guardia campestre del comune, di nome Venier, che da anni svolgeva quel compito, persona nota per la sua correttezza nel dovere. Rimasi impietrito. Giunti vicini alla mia casa, dove io mi ero bloccato, il Venier, dall’uniforme di guardiano insanguinata, si accasciò sulla una breve gradinata che portava nell’orto. Ansimava e, con voce spossata, disse in carnico “ Uccidetemi ma non torturatemi”. Venni preso da paura e ricordo che non mi venivano in mente le parole per gridare qualcosa. Mi resi anche conto che doveva avere un braccio spezzato. I due li conoscevo: uno, era capo partigiano della Garibaldi, nome di battaglia Alfonso del paese di Tualis, l’altro era un capo reparto della Garibaldi, si chiamava Puschiasis ed era dell’alta valle di Gorto, boscaiolo che aveva lavorato come dipendente dell’ azienda da cui io stesso dipendevo. Dopo alcuni minuti il Puschiasis vibrò al Venier, che mandò un gemito, un colpo col calcio del mìtra colpendolo in un fianco e dicendogli andiamo. Mia madre avendo avvertito qualcosa era uscita di casa. Resasi conto del terrificante spettacolo mi grido’ agitata: “Vattene via!” Io non potei trattenermi e gridai : “ Ma cosa fate, lasciate quell’uomo…!! “. Al che l’Alfonso mi disse: “ Non impacciarti, ti conviene !” Erano come due sciacalli attorno a un essere massacrato. Qualche giorno dopo seppi che il Venier era stato fucilato in fondo alla val Pesarina lungo il rio Malins, un luogo scelto per le esecuzioni dove io stesso passando, per recarmi sul monte omonimo, notai ad una curva le tracce di diverse fosse. Corse voce che la ragione dell’uccisione del Venier fascista sarebbe stata una questione personale del capo partigiano Alfonso, ma di che si fosse trattato non fu dato saperlo. Il capo partigiano Alfonso morì comunque nella primavera 1945 nei dintorni di Ravascletto: cadde sotto una raffica sparatagli dai caucasici mentre , dopo essere stato scoperto, in seguito a una soffiata, nascosto in un rifugio di una borgata isolata e quindi arrestato, approfittando di un attimo disattenzion degli addetti alla sua custodia, stava fuggendo..
Sempre in quel periodo, agli inizi di luglio, assieme al mio titolare stavamo andando in macchina in fondo alla val Pesarina ai confini del Comelico, per ragioni di lavoro in quanto l’azienda aveva in corso in quella località l’utilizzazione di un grosso lotto di piante resinose. Attraversando il paese di Prato Carnico notammo un assembramento di gente vicino ad un bar per cui il mio titolare ritenne di fermarsi. Uscimmo dalla macchina e lui chiese a caso ad un uomo che cosa vi fosse. Questo tentennava a rispondere mentre un altro, avvicinatosi disse: “ I partigiani, laggiù, vicino al fiume, hanno fucilato un uomo”. “Ma chi ?”. Chiese il mio titolare e questi disse: “ Un sappadino, il podestà di Sappada” e, sottovoce :“ Lo ha fatto fucilare il commissario…. “.
A quella frase il mio titolare mi guardò significativamente ed io risposi al suo sguardo altrettanto significativamente: entrambi sapevamo e conoscevamo perfettamente il commissario.
A fronte del paese dove ci trovavamo, alla destra del fiume Pesarina che scorre circa due,trecento metri più sotto, stava dirimpettaio Pradumbli noto paese di anarchici dove, come io sapevo, il commissario della Garibaldi, diciamo di un battaglione della stessa, teneva i quel periodo la sua sede mobile acquartierato in un piccolo locale pubblico che funzionava da bar e trattoria. Lo gestiva allora una giovane simpatica donna, “M.” che ben conoscevo, nota perché mai la sua presenza mancava nelle balere della valle che anch’io frequentavo. Passando al fatto dell’uccisione, uno delle tante, va detto che in quel periodo era in atto un programma di pulizia politica, che stava nelle regole della lotta partigiana comunista della Garibaldi con l’eliminazione di civili oppositori, collaboratori o fiancheggiatori dei fascisti o dei tedeschi sul terreno, o presunti tali .La vittima del giorno era Luigi Cecconi, podestà di Sappada, fucilato sulla destra del fiume ed ivi sepolto. Ai familiari come io seppi avendo in seguito, nel corso di mie ricerche, preso contatti con gli stessi (aveva moglie e cinque figli), con cinica finzione fu fatto credere, fino al tardo autunno, ch’egli fosse tenuto prigioniero, tant’è che gli stessi, tramite i partigiani, ritiravano la sua biancheria e gli facevano tenere il cambio. Questa precisazione apparve anche in un mio articolo a piena pagina sul Gazzettino di Venezia, edizioni di Udine e Pordenone, dal titolo “Carnia libera.Le opposte verità” in data 21 settembre 1999.
Detto in breve a carico del Cecconi, come capo di imputazione per l’avvenuta condanna capitale, stava l’accusa di avere rifondato, nel comune di Sappada, la sezione del partito fascista sotto il nuovo nome di partito fascista repubblicano. Anni dopo, allorché mi capitava di passare per Pradumbi, perché di là passava la mulattiera che portava alle malghe, mi fermavo a salutare “M.” la barista locandiera. Tornammo più volte sul caso Cecconi. Lei diceva : “ Lo fece fucilare laggiù prima del ponte e seppellire là in una buca scavata nella ghiaia, quel pover’uomo che implorava salvezza, padre di cinque figli. Sono stata male per un pezzo e ogni volta che mi ricordo sento pena, ma allora era così. Lui, il commissario, girava qui dentro nervoso con delle carte in mano, fazzolettone rosso al collo e spesso mano sulla pistola per darsi aria da guerriero “. Poi sarcasticamente “M.” aggiungeva :” Lo sai benissimo che il commissario era molto conosciuto nella valle di Gorto ed anche qui in val Pesarina era considerato una brava persona ma resta il fatto che eliminò quel bravuomo, podestà di Sappada, un vero galantuomo come tutti seppero essendosi sparsa la voce “.
“Del resto tu lo conoscevi bene il commissario così come conoscevi tutti gli altri del suo contorno: Ivo Toniutti (Ivan) Stefani Odino, detto il “Didi” ed altri ancora che si aggiravano qui dentro nel locale. Poco tempo dopo però morì anche lui, il commissario, si vede che era destino !”
E a questa frase ricordo che un vecchio, che stava seduto nel bar e aveva sentito i nostri discorsi, aggiunse :” Dio ha la mano lunga !”
Già allora io mi chiedevo ed oggi pure me lo chiedo come si spiega che si possa uccidere un uomo semplicemente perché fascista o perché aveva rifondato il partito, cosa a quel tempo normale nel clima della costituita Repubblica Sociale per cui considero quell’uccisione un crimine.
Una seconda vittima pure prelevata a Sappada ed uccisa lì in val Pesarina, fu la signora Maria Teresa Treichl Rosenwald, moglie del noto pittore cadorino Pio Solero. A fine luglio 1944, partigiani carnici della Garibaldi, dopo aver devastato la casa del pittore fracassando mobili ed asportato oggetti di valore, prelevarono la signora Maria Teresa viennese, che poi uccisero sospettata di essere una spia tedesca, abbandonandone il corpo senza sepoltura in una sterpaglia. Pio Solero,ex ufficiale degli alpini, valoroso combattente nella prima guerra mondiale ed amico di mio padre, che aveva portato a suo tempo a casa nostra, onde farcelo conoscere, il famoso pittore ucraino Jussupoff esule a Roma, affranto dalla perdita della moglie e con la casa invivibile in quanto devastata, si rifugiò, assieme ai due figli, a Cortina d’Ampezzo dove trovò generosa assistenza e riprese l’ attività di pittore.
Sempre a Sappada nell’inverno 1944-1945, nonostante la resistenza si fosse sfasciata sotto i grandi rastrellamenti tedeschi per cui le esigenze logistiche e le necessità di sussistenza erano limitate alle necessità di pochi nuclei sopravvissuti, ebbe a verificarsi che dei partigiani carnici della Garibaldi prelevarono nelle tre latterie esistenti, una quantità rilevante di formaggi che portarono in Carnia attraverso il passo Siera. Accadde però che uno dei carichi, collocato su un carro o su una slitta ove vi fosse stata neve, ebbe incidentalmente a rovesciarsi per cui le forme di formaggio rotolarono lungo il crinale della montagna finendo a frantumarsi contro i tronchi delle piante.
Ma c’è ancora una triste vicenda, fra altre che varrebbe ancora la pena di raccontare, forse per certi versi, dal punto di vista umano, una delle più toccanti perché riguarda l’ingiusta uccisione di un giovane. E’ il caso di Giuseppe Melotti, classe 1926, del villaggio di Pesariis in comune di Prato Carnico, fucilato dai partigiani all’età di diciannove anni, nei giorni della liberazione.
Cercherò di sintetizzare il caso. Nell’ottobre 1944 il nord della Carnia era stato occupato, a scopo di presidio antipartigiano, dalla Freiwillige Brigade Nord Kaukasus (Brigata volontari Nord Caucaso) per cui anche nel villaggio di Pesariis giunse ad insediarsi un contingente di caucasici. Il Melotti era un giovane disimpegnato, bonario e semplice che viveva di occupazioni saltuarie per cui, attratto dai nuovi venuti, ne divenne un subalterno. Lo utilizzavano per spaccare la legna che serviva alla loro cucina militare o per il disbrigo di altre faccende per cui si assicurava in tal modo il pane quotidiano. I caucasici mangiavano pane nero tedesco e, frequentemente, carne di pecora che lessavano in grandi pentole ed il Melotti spesso mangiava con loro.
Se necessario i caucasici ricorrevano a sistemi coatti obbligando i valligiani a collaborare in special modo allorché si trattava di prelevare del foraggio con metodo impositivo presso i valligiani per i loro cavalli. Nel gennaio 1945 il Melotti fu costretto a guidare una colonna di caucasici verso un segreto rifugio partigiano, situato tra boschi del monte Vinadia, dove si teneva nascosto un noto commissario della Garibaldi, nome di battaglia Nembo, che infatti fu raggiunto e cadde colpito a morte nell’azione di attacco.
In altre occasioni consimili i caucasici costrinsero dei valligiani ad affiancarli, usandoli come ostaggi, senza che però tali valligiani abbiano poi subito delle vendette partigiane. Ma al Melotti non andò così.
A fine aprile 1945 le forze di quel presidio caucasico, in base all’ordine di ritirata, lasciarono il paese. Partirono all’alba di un giorno gelido e piovoso, fasciando dapprima gli zoccoli ai loro cavalli con degli stracci allo scopo di evitare rumori, temendo naturalmente un’imboscata partigiana, che però non avvenne.
Già nella notte il Melotti aveva preavvertito i paesani di quell’imminente partenza e si era mantenuto nella sede del comando, quale custode di diverso materiale sequestrato ai valligiani, tra cui delle biciclette che poi provvide a restituire ai legittimi proprietari. Venne comunque arrestato dopo alcuni giorni dai partigiani garibaldini locali. Come motivazione dell’arresto gli dissero di considerarlo un traditore, uno che aveva indicato agli occupatori i sentieri della montagna per stanare ed uccidere un noto comandante e lui stesso li aveva accompagnati. In realtà in paese tutti sapevano che le cose stavano diversamente poichè il Melotti era stato costretto a condurre i caucasici fino al luogo che agli stessi era stato segnalato.
“ Sei stato contro di noi, ti uccideremo!” , gli dissero in forza al potere assunto dai tribunali militari partigiani, “E sai come, aggiunsero.” : “Sarai ucciso con delle scariche di mitra che ti crivelleranno il torace!”. Questo gli gridava in faccia un partigiano dal soprannome “Pinacal”, che in seguito poi, alcuni anni dopo, per altri motivi, si suicidò.
Prima dell’esecuzione, che avvenne a località Pontela, all’imbocco della val Pesarina in fondo alla quale sta il villaggio di Pesariis, il Melotti fu confessato dal prete del suo paese. Evidentemente la decisione della condanna fu accettata passivamente, in un clima di sudditanza tipico di quell’epoca. Non ricorrevano sicuramente gli estremi che motivassero un’esecuzione immediata. Riguardo infatti le operazioni partigiane connesse ai giorni della liberazione il C.L.N. “ Val di Gorto”, che aveva giurisdizione nelle valli contermini e quindi anche in Val Pesarina, in una seduta del 29 aprile, in quanto ad azioni di giustizia aveva deliberato: ”Si prenda atto che le Forze Armate (vale a dire i partigiani) provvederanno d’urgenza alla costituzione di Tribunali militari ai quali soltanto è deferita la competenza di giudicare i crimini di guerra, politici e comuni, qualora aggravati. Atti personali di qualsiasi genere sono vietati nella maniera più assoluta e saranno pure presi dei provvedimenti a carico dei colpevoli di tali infrazioni “.
Giuseppe Melotti, giovane indifeso, si vide solo dinanzi alla morte e supplicò salvezza - secondo testimonianze – con voce lacerata dal terrore. Avrebbe voluto vivere e proclamava la sua estraneità alle accuse, ma nessuno intervenne a bloccare le scariche mortali che lo abbatterono. Il prete del suo paese altro non seppe dire tutto compunto .” Raccomanda la tua anima al Signore !” Non seppe, quel benedetto prete ribellarsi a quell’idiota spirito di rassegnazione rendendosi suddito della volontà comunista di uccidere, non seppe rivolgersi agli esecutori con energia chiamando anche dei valligiani in suo appoggio e chiedere di salvare quella giovane vita. Quello era ciò che doveva fare e non dire “ Raccomanda la tua anima al Signore”. Fu un deplorevole comportamento di ignavia, una vergogna, anzi una grave vergogna !!!
Il corpo del Melotti fu gettato in una fossa comune, appena scavata nella citata località, dove si stavano seppellendo dei cosacchi. ( Nota nr.1) . Questa vicenda è stata comunque da me pubblicata e documentata, in data 30 settembre 2001, su un’intera pagina del Gazzettino di Venezia.
Non posso infine non ricordare come in un pomeriggio del maggio 1944 giunsero con delle macchine al mio paese dei partigiani comunisti del battaglione Carnia comandato da Tredici, fra i quali riconobbi Ivan, il Didi ed Olmo della val Pesarina che, congiuntamente al battaglione Friuli comandato da Mirko (si trattava di battaglioni di 20/25 elementi) avevano agito in azione punitiva a Paluzza. Parcheggiate le macchine i piazza affluirono tutti al bar Tavoschi, dove già brilli continuarono a bere e cantare. Il Didi, con cui scambiai quattro parole, mi disse che a Paluzza avevano disarmato la caserma dei Carabinieri ed i tre addetti in quel pomeriggio, arrestati erano stati fucilati sulla piazza del vicino paese di Cercivento. In realtà di questa esecuzione mi ricordavo vagamente ma ne trovai conferma in un vecchio periodico dal titolo Mese Regione - nr.6 Giugno 1986, dove in un articolo a firma di Antonio Lenoci , si riferisce inoltre che, a Paluzza, con quella spedizione venne ucciso a pugnalate, come io stesso ricordo, il segretario del ricostituito partito fascista repubblicano locale, Santoro, al quale devastarono pure la casa.
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Ho riferito alcuni dei fatti di mia conoscenza onde rendere l’immagine ambientale dei partigiani e gli effetti emotivi provocati dall’operato degli stessi, in allineamento a all’aggettivazione ”…barbari “ introduttivamente menzionata, che rifletteva la realtà fattuale dello status partigiano, denso di imprevisti, notti all’addiaccio con vesti promananti l’afrore dell’affaticamento per marce accelerate e fughe, in quanto braccati dal nemico tedesco o fascista. Ma fu nel suo assieme che l’immagine partigiana produsse nella popolazione un distacco per cui la stessa non intravide nei partigiani i rappresentanti garanti del proprio futuro ed interpreti delle proprie necessità. La popolazione giudicava l’iniziativa partigiana, pur riconoscendo alla stessa un contenuto ideale di sentite rivendicazioni sociali, un fatto puramente transitorio e confidava che, a guerra cessata, si sarebbe rivelato quale poteva essere il proprio avvenire. La popolazione quindi , come si volle invece far credere nel dopoguerra, non costituì quel supporto che legittimò l’insurrezione finale, ma assunse un comportamento agnostico e distaccato. Talune situazioni motivarono inoltre l’invio di molte lettere delatorie da parte di cittadini, in genere anonime, contenenti denunce e richieste di misure di protezione ai comandi tedeschi e soprattutto all’Alto comando SS. e di Polizia di Trieste, com’ebbe a confidarmi il mio amico Lerch, quale ex capo di Stato maggiore. Non va dimenticato come già precisai nel mio precedente intervento critico sul filmato, del 2 febbraio 2013 che, nella sola giurisdizione del tribunale di Tolmezzo risultavano avviate oltre trecento (300) istruttorie penali per omicidi ed altri fatti delittuosi sulla popolazione civile, consumati nell’ambito della lotta partigiana che poi, come ebbi già a precisare, finirono per essere in buona parte archiviate, in quanto omicidi e delitti, a seguito dei provvedimenti di amnistia, trovarono assorbimento e prevalente giustificazione nel concetto dell’azione di guerra.
Ai tedeschi, sia ben chiaro, non interessava impiegare delle truppe a presidiare la Carnia considerata una sacca montuosa priva di interesse strategico. Bastava loro tenere occupato il capoluogo di Tolmezzo, e mantenere il traffico sulle strade nei contatti col Cadore e con Mauthen-Koetschach onde confermare la sovranità sul territorio dichiarata da Hitler il 13.9.1943 Le insistenti scorrerie partigiane nella zona di Sauris, motivarono comunque da parte tedesca, in accoglimento di specifiche richieste, la creazione un presidio stabile a Sauris di Sotto e successivamente, con l’autunno, fu creato un presidio con dislocazione di forze ad Aupa e Studena Bassa, che si mantenne stabilmente fino all’aprile 1945, onde porre fine a prepotenti scorrerie, su quell’onesta popolazione, da parte dei paularesi del Gramsci e di membri dell’Osoppo, affermazione che mi fu fatta dallo Sturmbannführer Josef Bernschneider che fu al comando di quelle forze in val d'Aupa che rintracciai nel dopoguerra in Germania. Analogamente, sempre in Germania, mi fu possibile rintracciare uno degli ufficiali più in vista della 24 Gebirgs Division Waffen SS. “Karstjäger” poi riformata in brigata,lo Sturmbannführer Erich Kühpantner di cui fui anche ospite, che stese in seguito per me un lungo rapporto autografo riferito alle vicende dell' unità e al suo impiego in Italia.
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Ed ora passo all’oggetto in causa vale a dire al DVD “Carnia 1944 – Il sangue degli innocenti”.
Non posso non rilevare, che per l’intelaiatura di questo filmato in DVD si è partiti, come filo conduttore, su testimonianze da me indicate nel mio volume “Lo Sterminio Mancato” ed altre risultanti da miei scritti pubblicati giornalisticamente. Mi riferisco ad esempio a un vasto articolo rievocativo documentato pubblicato sul Gazzettino di Venezia in due puntate il 20-21 luglio 1997, nel quale riferisco sui Kommandos tra cui i “Zugsonderdienst Z.b.V.” intervenuti ad attuare le rappresaglie. Vi è poi un mio articolo del 4.9.2006 “Carnia 1944-Il giallo elle malghe “ ed altro del 30.12.2007 “Morti alle malghe di Paularo, verso un’altra verità – Maria da Titine”, tanto per citarne alcuni, ma ve ne sono altri anche su periodici, questo solo per dire che, in qualche modo, ho aperto la strada su questa vicenda con indicazioni utili ed essenziali che, palesemente, sono state utilizzate consentendo di arrivare dove si è arrivati col filmato.
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Di fatto si evidenzia chiaramente che il D.V.D. si prefigge l’obbiettivo politico di una difesa dell’operato della Garibaldi nel dimostrare che l’azione punitiva della rappresaglia, causata da infiltrazioni partigiane nella valle del Gail prima del 21 luglio 1944, stanti i motivi irrilevanti consistenti in una sola vittima provocata dall’azione del Gramsci del 20 luglio, mentre l’operato del dopo a partire dal 26 luglio, con altre vittime causate da successive azioni restano ininfluenti in quanto posteriori alla rappresaglia tedesca. La Garibaldi resta infine manlevata da ogni responsabilità, si asserisce nel filmato, riguardo il il prelievo dei cavalli effettuato 12 luglio trattandosi di operazione effettuata dall’Osoppo, distinzione quest’ultima, mi permetto di osservare, puramente di comodo e alquanto sorprendente in quanto nega quell’unitarietà d’azione Garibaldi-Osoppo a lungo sbandierata nel dopoguerra ma in realtà mai esisita. Va comunque rilevato che i tedeschi non stavano certo ad individuare chi avesse attuato le azioni se i rossi o i bianchi, per cui la distinzione sollevata è una questione di lana caprina.
Non sfugge poi che, la formulazione delle domande a cittadini austriaci sentiti come testimoni, nel chiedere loro se le azioni partigiane avessero o meno provocato delle vittime, nel tono e nei termini in cui venivano formulate già contenevano la risposta beninteso negativa e le risposte ottenute risultarono infatti negative.
A puro titolo di verifica quale constatazione di fatto le vittime provocate dalle azioni partigiane della Garibaldi in Austria ad iniziare dal 20 luglio 1944 sono cinque (5) più altre sette (7), rese da testimonianze, in via di conferma comprensive queste ultime anche vittime causate dall’Osoppo. Ma tutto questo sostanzialmente è irrilevante poichè non ha alcunché da vedere con il motivo per cui i tedeschi disposero l’azione repressiva, preceduta da ricognizioni, svoltasi dal 17 al 22 luglio 1944. Essa fu un atto deterrente finalizzato a reprimere le ventilate intese comuniste di un rapporto con gli slavi, verso i quali sussisteva l’auspicio di un loro ingresso vittorioso nel Friuli, causale da me ribadita in molti scritti almeno da trent’anni a questa parte, operazione che i tedeschi intendevano assolutamente sventare sul nascere tenuta d’occhio dal Supremo commissario dr. Rainer e dall’Alto comando SS. e Polizia di Trieste. A tal riguardo infatti, fra le misure attuative lo Standartenführer Freiherr von Alvensleben, Platzkommandantur di Udine, ”ottenne che le formazioni dell’Osoppo troncassero qualsiasi intesa e rapporto con le formazioni partigiane slovene confinanti e ciò non solamente per quanto concerneva eventuali azioni in comune “ ( da Lo Sterminio Mancato pag.181), intesa che irrigidì e congelò ogni rapporto dell’Osoppo con la Garibaldi comunista e, da parte dell’Osoppo. si andò anche oltre….C’è comunque da dire sul piano di fatto che, già nel giugno, secondo fonte tedesca, presenze circospette di partigiani erano state registrate più volte nella zona malghe della valle del Gail ed anche verso fondovalle, finalizzate sospettabilmente a predisporre dei sabotaggi alla linea ferroviaria. .
Lo svincolamento (dico svincolamento quale termine appropriato non svicolamento) del filmato da questa realtà facendo credere immotivata l’azione repressiva mediante le rappresaglie sulle malghe costituisce prova di non conoscenza delle decisioni prese dal vertice tedesco nell’Adriatisches Küstenland in collegamento con Berlino. L’azione ebbe una sua motivazione di base quella precisamente di stroncare l’obbiettivo, da parte delle formazioni partigiane comuniste della Carnia, di fare della valle del Gail e val Canale un ponte di collegamento con le formazioni partigiane di Tito del IX Corpus sloveno, che agivano con infiltrazioni già in atto nel sud Carinzia compiendo delitti e creando le premesse per l’acquisizione alla nascente Federativa Iugoslava del territorio carinziano fino al Gross Glockner.(Nota nr.2)
In ogni e qualsiasi caso va tenuto presente quanto segue. Il 20 luglio 1944 giorno in cui il cospiratore von Stauffenberg fece esplodere la bomba a Rastenburg che non causò la morte di Hitler per cui l’attentato fallì, le massime autorità tedesche del litorale Adriatico, e questo per pura casualità, decretarono l’isolamento della Carnia bloccando ogni rifornimento alimentare, quale misura punitiva per l’attività partigiana antitedesca. Già comunque da alcuni giorni un Kommando ed unità speciali richiamate dal fronte o già presenti in parte nel sud Carinzia, nonché contingenti di forze regolari stazionate a Pontebba affluirono su un territorio circoscritto tedesco ed italiano, praticamente lungo il confine nord-est della Carnia, in una zona di pascoli e malghe tra Paularo ed Hermagor assumendo talune veste di controbande. Nei giorni 17-19 e 21 luglio rappresaglie vennero attuate nelle malghe con un’ultima strage non disgiunta dall’operazione, consumata il giorno 22, nell’alta valle del But dove giunsero anche consistenti forze regolari tedesche e fasciste, provenientri da Tolmezzo ed altre sedi, per una manifestazione di forza alle quali si unirono, in parte, le forze che avevano agito sulle malghe ma non tutte. Nell’ultima fase, praticamente nelle strage del giorni 21 e 22, non parve estranea una spinta provocata dal fallito attentato ad Hitler che aveva innescato nei tedeschi, soprattutto nelle Waffen SS. e Polizia, una furiosa carica di vendetta. Le vittime, inermi di pastori e valligiani uccise da una controbanda a raffiche e colpi alla nuca a malga Pramosio, rivelavano gli squarci di profonde coltellate secondo lo stile della ferocia slava stante il fatto che, nel gioco di una concertata finzione, elementi delle controbande si erano spacciati per uomini di Tito per cui le tracce della ferocia dovevano confermarlo.
Ma chi erano le controbande, erano formate da tedeschi, Volksdeutsche, collaborazionisti, inclusi anche italiani e altoatesini??
Su questo argomento sono circolate negli anni varie fantasie paesane ed il preassapochismo ebbe la sua parte.
E’ questo uno dei particolari di maggior interesse anche per sapere chi, veramente, abbia ucciso i sei pastori delle malga Lanza e di Cordin ma,soprattutto, chi ha puntato l’arma e premuto il grilletto contro i due pastori undicenni di Cordin.
Già nei miei richiamati articoli del 20-21 luglio 1997, sulla base di indagini, indicai i compiti svolti dal Kommando della Brandenburg integrato da elementi Karstjäger e quelli del “Zugsonderdienst Z.b.V.”. A tal proposito riguardo le controbande ho trovato rispondenza, su quanto di mia conoscenza, nella testimonianza resa nel filmato da Hans Wiertig, che riferì sull’arrivo a Kirchbach, mediante ferrovia, di un “Zugsonderdienst” da me segnalato negli articoli summenzionati, per precisione nella puntata del 21 luglio. A sua volta anche il teste Wassertheurer riferì dei particolari a conferma dello speciale reparto, menzionato dal Wiertig, allorché il medesimo giunse in malga, credo alla Straniger Alpe. Quello che intendo far rilevare è che le informazioni fornite dai due testimoni trovano corrispondenza con quanto da me dichiarato a suo tempo nei miei scritti.
In riferimento a malga Rattendorf mi permetto di precisare, a conferma di quanto già riferito nel mio volume "Lo Sterminio Mancato", che il Kommando Brandenburg integrato da elementi Karstjäger, dopo aver passato la notte del 19 luglio nella stessa, si portò nell'indomani in territorio italiano. Da quanto io sappia, contrariamente a ciò che venne riferito dall’austriaco Heinrich Lackne, che allora undicenne si trovava a diporto a malga Rattendorf, il Kommando, dopo aver svolto il suo compito agendo da controbanda, non avrebbe fatto ritorno verso la malga per cui il trasferimento, verso fondovalle con destinazione Kirchbach, del bestiame sequestrato a malga Lanza si suppone titolo di compensazione dei prelievi fatti da partigiani, ma questo andrà meglio precisato perchè pare che lo scopo non fosse stato solo quello, operazione gestita da altra formazione che si sarebbe servita di valligiani austriaci.
L’uccisione dei due pastori a malga Lanza, in base alla testimonianza di Tolazzi Gino avvenne il 17 luglio.
Dopo aver aver precisato di essersi rifugiato in tale giorno e quindi il 17, assieme ad altri pastori, a malga Ramaz situata in zona di pascoli sottostante a Lanza, il Tolazzi ebbe a riferire che, nell’indomani 18 luglio, partendo da tale malga : “… una comitiva di coraggiosi compreso mio fratello, si recò a Lanza per vedere cosa fosse successo……Al loro ritorno seppimo che si trovarono di fronte a due morti, il vecchio Domenico Cescutti ed il figlio Giuseppe, la casera bruciata e tutto il bestiame portato via “. Da un documento dei Carabinieri di Tolmezzo, in mio possesso, risulta che:” il 18 luglio ad ore 10 a località Lanza comune di Paularo, un gruppo di banditi assalivano la casera, uccidevano due pastori padre e figlio…..,quindi incendiavano la casera distruggendola ed asportavano 72 capi bovini, un mulo e 20 pecore allontanandosi per ignota destinazione… “
In base alla testimonianza del Tolazzi, ritenuta attendibile e resa pubblica su un periodico locale dal titolo "CARNIA ALPINA" nr.32 del febbraio del 2003, va quindi assunto che l’uccisione dei due pastori avvenne il 17 luglio 1944 (Nota nr.3) e, nel medesimo giorno o tutt’al più nell’indomani 18 luglio, avvenne l’incendio della casera e la distruzione della stessa ( onde togliere, secondo le disposizioni dei noti proclami tedeschi, di Koesselring e Globocnik, ogni possibilità di asilo ai partigiani) nonché il prelievo del bestiame, che fu portato a Kirchbach nella valle del Gail. Discordanze di date sussistono tra quanto asserìto dal già citato Henrich Lackner, secondo il quale, stando alla Rattendorf, avrebbe visto passare il bestiame il giorno 21, vale a dire l'indomani dell'attacco e distruzione della casermetta doganale, e poichè il bestiame fu prelevato il giorno 18 non troverebbe spiegazione l'intercorrenza di due giorni tra le due date, cioè tra il 18 e il 21, chiarimento che tuttavia tralascio in questa sede in quanto, pur rivestendo interesse, appare di second'ordine rispetto agli obbiettivi primari di questa mia indagine. Mi preme invece correggere l’errata dichiarazione fatta dal Lackner, riguardo l’operazione partigiana di attacco e distruzione della casermetta doganale di Rattendorf, di cui fu testimone, dal medesimo attribuita a suo dire per recente informazione ricevuta per cui al momento dei fatti nessuna dichiarazione del genere gli era stata fatta , al comandante " Augusto”, nome di battaglia del capo partigiano C. Bellina ( il Lackner lo elesse addirittura a capitano Augusto ), ed al riguardo, sempre il Lackner, venne ripreso nel filmato esibendo una specie di epigrafe cartacea, incorniciata a futura memoria, col nome di capitano "Augusto". L’azione del distaccamento Gramsci fu invece condotta, come da me precisato in varie a circostanze e sulla base d accertati inoppugnabili elementi, sotto la guida del triumvirato composto da Buzzi Simone “Niti”, Tarussio Giacomo fu Lorenzo, classe 1922 Menean Luigi “Bigio”, e non da C. Bellina il quale, senza nulla togliere al suo operato, non ebbe alcunché da vedere con tale azione e, solamente nell’agosto 1944 gli fu demandato per un periodo il comando del Gramsci che, con la riorganizzazione della Garibaldi, aveva assunto la veste di battaglione.-
Questo dettaglio mi induce ad una dissertazione a scopo puramente informativo. L' errata surrichiamata informazione del comandante "Augusto" fornita da taluno al Lackner , apparve su un articolo del Messaggero Veneto nel gennaio 2008 che mi fu inviato da amici paularesi con preghiera di confutarne il contenuto, ciò che feci con ritardo il 27.03.2008 ovviamente sul medesimo quotidiano, avendo rilevato, in detto articolo, circostanze contradditorie ed infondate non riconducibili alle realtà fattuali storiche a me note, accertate e documentate per cui risultò evidente che la fonte della notizia ignorava la situazione ed era stata del tutto male informata. L’argomento fu poi da me ribadito poi sul Gazzettino, di cui ero e sono collaboratore, in data 19.06.2008, rivelando i tre nomi del triunvirato guida, in precedenza menzionati. Spesso comunque su nomi di comandanti e vicecomandanti partigiani sono emersi equivoci e discordanze e, nel dopoguerra, parlando con qualsiasi ex partigiano risultava che vantasse un qualche comando... Mi permetto a tal proposito di ricordare che la creazione di un assetto documentale con rubricazione dei nomi delle formazioni partigiane avvenne a distanza di diversi anni dalla fine della guerra, non senza comprensibili difficoltà data la non facile situazione che consentisse, durante l’attività partigiana, di tenere nota di fatti e di incarichi ed anche l’incombente pericolo da evitare di lasciare carte compromettenti che cadessero in mano di tedeschi e fascisti. Rammento di essermi presentato alcune volte alle sede dell’ ANPI ad Udine , allora se ben ricordo in via del Gelso in un vecchio fabbricato, per ottenere dei dati, nel mio caso su Mirko, Katia ed altri, senza nulla trovare, ricavando la sensazione che molto stesse sull’incerto. Seppi anche da amici, senza che questo intenda riferirsi all’argomento in causa, che l’attribuzione di gradi di servizio, in molti casi tra il se ed il ma, fu decisa con approssimazione e probabilmente con dei favoritismi…Prevalse, di solito, il sistema all’italiana che non mancò di avvantaggiare i più furbi. Rammento anche che, siccome sui nomi di Mirko (Arko Mirko) e Katia (Gisella Bonanni) non vi era assolutamente traccia di una loro rubricazione come partigiani, eliminati ln quanto ultrascomodi ed i cui nomi dovevano sparire, mi rivolsi a un noto e stimato comandante partigiano dell’Emilia, e precisamente a Germano Niccolini, che scontò lunghi anni di carcere per un’ingiusta condanna relativa alle vicende del “ Triangolo della morte” e venne poi riabilitato e risarcito dei danni. Potei conoscerlo in quanto la direzione della casa editrice Mursia, venuta a conoscenza che il medesimo aveva scritto le sue esperienze sul caso, mi aveva pregato di contattarlo avendo la medesima interesse a pubblicare tali memorie. Il Niccolini, mediante amici politici fece per me chiarezza a Roma, nel competente ministero, sulla posizione di Katia (Gisella Bonanni) per scoprire che, dagli addetti a curare l’eredità partigiana ad Udine, era stata data per morta in seguito a malattia negando la sua posizione partigiana ed il fatto che era stata assassinata dai partigiani il che, come conseguenza, comportò la perdita della pensione agli anziani genitori, situazione a cui cercai di rimediare.
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Riprendo quindi l’argomento rappresaglie e controbande per il quale, grazie a fortunate circostanze, mi fu possibile acquisire vari elementi chiarificatori.
Ad un raduno ristretto in anni lontani della Suchdienst tenuto ad Innsbruck , io presente, prese parte anche Alois Scintholzer ex Hauptsturmführer già appartenente alla 7a Waffen SS. Gebirgs Division Prinz Eugen. Reduce delle campagne di Russia e Iugoslavia gli furono demandati, nel 1944 il comando e la direzione della GEBIRGSKAMPFSCHULE (Scuola da combattimento da montagna) di Predazzo, congiuntamente al compito di reprimere l'attività antitedesca nel territorio ed altrove nel Veneto e fu per tale incarico, nel dopoguerra, che venne avviato dal Tribunale militare di Verona un processo a suo carico con imputazione delle stragi di Caviola, Canale d’Agordo, Tegosa, Sappada, Falcade, Fregona e Feder, che comportarono l' uccisione di 33 persone, con conseguente sentenza di condanna all'ergastolo, pronunciata in contumacia in data 15 novembre 1988. L’Austria comunque rifiutò decisamente l’estradizione e per mio conto fece bene. Allorché io lo conobbi Scintholzer aveva in corso già dei processi, ma non ancora era stata pronunciata la condanna all’ergastolo del Tribunale militare di Verona di cui poi non ne tenni conto, per una serie di valutazioni che tralascio di esporre poiché, pur pensando che qualche responsabilità lo Scintholzer l’avesse avuta, la magistratura italiana, già in partenza, in tali processi considerava gli imputati “colpevolisti”. Ebbi una tale intuizione anche quando fui citato, come teste storico al corrente dei fatti, al processo Dörnenburg fissato presso la magistratura militare a Padova, processo che poi non ebbe luogo in quanto l’imputato decedette qualche giorno prima dell’inizio. Ora tra me e lo Scintholzer si stabilì un rapporto per cui tornando ad Innsbruck assieme a mia moglie, mentre lei girava a visitare la città, io mi intrattenevo con lui su vari argomenti. Ci si trovava in un bar-locanda, una specie di Saloon all’austriaca molto cupo all’interno con antico arredo mobiliare nero e delle piccole luci al soffitto che parevano irradiare un delicato scintillio stellare, tant’è che stando là dentro sembrava che fosse notte e dove, comunque, si poteva parlare indisturbati. Fu così che, tra un bicchiere e l’altro di Vernasso, un vino dal gradito sapore asprigno e dal colore rubino, prodotto nel Sud Tirolo ed anche in Cecoslovacchia, potei avere accurate preziose delucidazioni riguardo l’organizzazione delle truppe speciali, gli “Zugsonderdienst Z.b.V”, utilizzate dai tedeschi nell’antiguerriglia e come controbande. Tali Kommandos o plotoni speciali, non previsti dalle convenzioni internazionali, nacquero dall’esperienza della divisione Brandenburg che godeva dell’autorizzazione ad indossare, ove il caso lo richiedesse, le uniformi del nemico. Le controbande ebbero vario impiego anche nei Balcani. Dette specialità, dati i compiti ed i rischi a cui venivano esposte, godevano di certe immunità. Scintholzer mi fece conoscere degli ex appartenenti alla Brandenburg ed altri della Prinz Eugen, specialisti sull’argomento controbande e “Zugsonderdienst Z.b.V”. Parlammo anche delle due Junkerschule create per le Waffen SS. specializzate nell’arte della guerra in alta montagna, una in Cecoslovacchia e l’altra a Neustift nella Subaital delle alpi Tirolesi dove ugualmente si insegnavano metodi avanzati utili nella lotta antipartigiana. Una terza scuola, di tale tipo, era stata progettata in val Seisera (Val Canale-Tarvisiano) e ne era già stata avviata la costruzione che però non fu completata poiché la guerra ebbe termine. Scintholzer, che ad Innsbruck faceva il tassista, decedette settantacinquenne il 18 giugno 1989. La moglie Mathilde il 21 giugno 1989 fece pubblicare un necrologio sul “Tiroler Tageszeitung” nel quale, subito sotto le citazioni di rito che includevano figli, parenti etc., si leggeva: “Seine Ehre hiess Treue” (“Il suo onore si chiamava fedeltà” il motto delle SS. e delle Waffen SS.). Due giorni dopo, il 23 giugno, sempre sul “Tageszeitung”, apparve un secondo necrologio nel quale si precisava che l’annuncio che comprendeva il motto di fedeltà delle SS. era stato attribuito, senza alcun diritto ai figli e alle loro famiglie, per cui gli interessati prendevano le debite distanze. Era ovvio che i figli, nel clima di una nuova Austria non più nazionalsocialista onde tutelare la propria posizione e l’avvenire di sè stessi, avessero formalmente manifestato un tale dissenso.
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Attraverso vari rapporti coltivati nel tempo giunsi pertanto alla identificazione delle forze, vale a dire dei Kommandos, “Zugsonderdienst Z.b.V.” ed “Einsatz” oltre a reparti ordinari che, secondo un meccanismo ricognitivo ed esecutivo intervennero ed agirono, nel luglio 1944, sul territorio delle malghe di confine con la Gailtal ed alta valle del But, talune già utilizzate nel sud Carinzia e nei Balcani, argomento che, in parte, avrei potuto inserire nel volume “ Lo Sterminio Mancato”, uscito nel 1982, con varie successive riedizioni, ad integrazione di quanto comunque già riferito a proposito, ma essendo il libro già in stampa non feci in tempo. Alcune indicazioni, ma ancora non tutte, furono inserite nell’articolo a due puntate, già in precedenza citato, pubblicate sul Gazzettino di Venezia nel luglio 1997.
Nel commemorare il 50° anniversario di detta strage, riferita in particolare alla strage delle malghe Lanza e Cordin, in data 16 luglio 1994 presso una maina posta in val di Lanza sotto malga Meledes Bassa, dove all’interno della stessa un’epigrafe riporta i sei nomi delle vittime trucidate il 18 luglio 1944, il parroco officiante di Paularo, don Del Negro Gio Batta, pronunciò una frase allusiva, contenuta nell’omelia di cui posseggo il testo dal medesimo rilasciatomi, intesa a incoraggiare la ricerca della verità mettendo in dubbio le parole “furia tedesca” scolpite nella lapide, precisando di essere egli stesso testimone di come, in quel periodo, altre ”furie” circolassero su quelle montagne, per cui se la strage non era imputabile ai tedeschi occorreva stabilire chi altro poteva avere avuto motivo ed interesse per compierla. Sospetti riguardo l’uccisione dei sei pastori delle due malghe sarebbero stati accampati secondo voci paesane, a carico dei partigiani del Gramsci nel senso che gli stessi dubitando che i pastori avessero fornito, probabilmente sotto costrizione, delle informazioni ai tedeschi tali da far supporre, ad esempio, la possibilità di un proprio arresto, avrebbero deciso e provveduto alla loro eliminazione. Considerate le diffidenze, le tensioni e gli intrighi di quel periodo e quindi la paura di un imprevedibile arresto su segnalazione con probabile deportazione da parte dei tedeschi, per chi era partigiano e sapeva di dover rispondere di qualcosa, potrebbe forse aver provocato anche il proposito di uccidere. Qualora vi fossero state realmente delle confidenze od informazioni, sotto costrizione o meno, fatte dai pastori ai tedeschi che certamente nelle loro ricognizioni nelle malghe, provenienti generalmente dal presidio di Pontebba, prima delle rappresaglie, cercarono sicuramente di captare notizie dai pastori, questa potrebbe essere stata, come ipotesi, la causale. In realtà tra malgari e pastori e i partigiani, in senso generale e con qualche eccezione, non correva di fatto buon sangue, non solamente a causa dei ricorrenti prelievi della produzione casearia per le necessità della sussistenza dell’organizzazione partigiana, a fronte dei quali venivano rilasciati semplici buoni col timbro dalla stessa rossa, ma soprattutto per il clima di insicurezza determinato, in genere, dall’attività medesima aggravatosi nella zona delle malghe poste nel territorio del confine orientale dal momento in cui, da lato partigiano, vennero intraprese azioni e prelievi di bestiame nella valle del Gail.
Alluse anche, il parroco, alla testimonianza di un malghese che, opportunamente nascosto assieme a un altro, avrebbe visto e gli esecutori e presumibilmente riconosciuti. Disse infatti il parroco nell’omelia“…e sarà la storia, il Tempo a raccontarci quella verità che lo stesso Larice Gioacchino conosceva molto bene !”
In quanto al Larice Gioacchino, si trattava di uno dei due malghesi associati, l’altro era Gortani Riccardo, che si erano spartiti la gestione delle malghe della Val di Lanza posta sul versante italiano lungo la linea di confine. Sempre riguardo il Larice, , il medesimo ,sulla base di attendibili informazioni, era notoriamente ritenuto filo partigiano.
L’allusione pronunciata dal parroco, di cui comunque venni a conoscenza successivamente, fu per me motivo di indagine, tant’è che il 4.09.2006 pubblicavo sul Gazzettino un articolo dal titolo già precedentemente richiamato in narrativa“ Carnia 1944. Il giallo delle malghe”, dal contenuto riflessivo con cui mi ponevo alcune domande che qui di seguito riporto . “….cosa sapevano quei testimoni a quanto risulta due, che si sono portati il segreto nella tomba ? Avevano visto quanto accadde a malga Lanza , e cioè l’uccisione dei due pastori, padre e figlio, e disponevano probabilmente di elementi in riferimento ai responsabili della strage a malga Cordin, dove furono rinveneuti altri quattro pastori uccisi a colpi d’arma. Per quali timori hanno taciuto la verità per il resto dell’esistenza ? E ancora : chi erano gli uccisori per imporre una simile omertà ?
Nel successivo 2007 tornavo sull’ argomento per informare che l’indagine non si era spenta ed anzi precisavo di aver raccolto la preziosa testimonianza, per memoria tramandata, di una gagliarda montanara, detta Maria da Titine. Riferendomi inoltre alle quattro vittime di malga Cordin poichè sulla loro uccisione, per vari indizi, avevo raggiunto una collocazione in ordine di tempo, concludevo :”” Era una tarda mattinata calda di circa metà luglio 1944 quando a malga Meledis alta, furono udite ripetute raffiche d’arma automatica. Era l’eco della strage di Cordin dove quattro pastori venivano assassinati.””. Secondo le testimonianze era il 19 luglio 1944 data a mio avviso sostenibile, mentre nell'epigrafe scolpita nel marmo, posta a memoria della strage nella maina in precedenza menzionata, la data viene indicata nel 18 luglio. Anche se la storia esige precisione lo scarto fra le due date è breve ed avrebbe una sua spiegazione che qui tralascio ad evitare lungaggini.
Sull’ipotesi allusiva pronunciata nella commemorazione del 1994, celebrata nella meravigliosa val di Lanza, pur sussistendo elementi indizianti taluni per deduzione, sulla base delle mie indagini, intese a sondare e valutare la possibile imputazione ad altre “ furie”, gli esiti hanno fornito per ora dei segnali oscillanti tra la quasi credibilità ed il dubbio ma non tali da configurare una sostenibile imputazione, purtuttavia sulla vicenda, nel senso sospettato, insiste un’ombra non ancora dissolta, mentre la tesi contraria che appare più ovvia, vale a dire l’imputazione della strage ai tedeschi, sempre riferendomi ai risultati di mie indagini, si è rafforzata. Su tali basi traggo pertanto la conclusione che segue.
ASSUNTO CONCLUSIVO SULL’ELIMINAZIONE DEI SEI PASTORI
Riferendomi al caso delle due vittime di malga Lanza, assunte per valide alcune testimonianze e fissate le coordinate in ordine ai tempi d’attuazione, riconosco che la loro uccisione non sia imputabile ad altre “furie”, allora circolanti sulle montagne, così definite nella menzionata omelia parrocchiale vale a dire, ai partigiani del distaccamento Gramsci o ad altra formazione partigiana ma rientri nel quadro esecutivo della repressione tedesca per cui allo stato dei miei accertamenti, l’uccisione delle stesse resta un’esecuzione ordinata ed eseguita, in base ai poteri della sovranità tedesca…
Per quanto invece concerne l’uccisione dei quattro pastori di malga Cordin pur disponendo di un’importante testimonianza austriaca resa da un valligiano della Gailtal (J.M.) direi decisiva da me raccolta grazie all’indicazione di un vecchio parroco austriaco che tenne in gran conto la mia riverenza e l’apprezzamento storico manifestato in un mio scritto verso l’Austria imperiale ( a volte sono piccole cose che ti aprono la strada della verità) , avallata da determinanti indizi a sostegno e direi validi come prova sul caso per l’attribuzione dell’eliminazione ai tedeschi, labili sfumature che non sto qui a spiegare in certa parte ancora legate all’illazione del parroco pronunciata nel lontano luglio 1994 e tenuto anche conto dell’imprevedibile , mi inducono prudentemente ad una riserva cautelativa che assumo con forzata decisione per cui, per serietà d’impegno e scrupolo, rimando il mio pronunciamento sulle quattro vittime di Cordin a dopo un rinnovato riapprofondimento esaustivo del tessuto d’indagine di cui dispongo.
Ciò non mi impedisce di concludere che le vittime delle rappresaglie sulle malghe ed alta valle del But, pur con riserva formale sul caso Cordin, furono il prezzo sacrificale pagato per quel clima sbandierato dai partigiani della Garibaldi e confermato dal medesimo Partito Comunista di un’unione di intenti con gli slavi di Tito, sia esso o meno stato realizzato, nell’alone di una politica filostalinista.!
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Prendo occasione, prima di concludere, per rispondere ad osservazioni che, in relazione precedente mio intervento del 2 febbraio, mi sono state rivolte con riferimento al prelevamento di 61 cavalli e bon numero di armenti, il 27 giugno 1944 nelle malghe austriache prospicienti la valle d’Incaroio (Paularo). L’informazione su tale operazione di prelievo mi fu data dall’ex partigiano dell’Osoppo, Gio Batta Nodale detto “Capot”, di Sutrio, il quale, come da mia annotazione, disse che il prelievo di 61 cavalli e 15 manze fu eseguito con un’operazione congiunta della Garibaldi ed Osoppo. Aggiunse inoltre, secondo la mia annotazione, che si trattava forse del mese di luglio anzicchè giugno. La notizia uscì già nella prima edizione de “Lo Sterminio Mancato” nel 1982 e, in quanto datami da un ex partigiano, fu da me ritenuta credibile. Il 21 luglio 1994 e cioè dodici anni dopo, la notizia apparve pubblicata sul Gazzettino di Venezia a firma di Natalino Sollero, cronista paularese, il quale aggiunse che, a malga Wurmlach, i partigiani oltre a prelevare 24 cavalli pregiati uccisero due pastori e violentarono una bambina di 12 anni prima di gettarla in una caldaia di siero bollente. Ebbi modo in seguito di incontrare il Sollero a Paularo al bar dell’albergo Alle Alpi per cui parlammo dell’argomento dei prelevamenti di bestiame incluso l’episodio della bambina. Il Sollero mi confermò la fondatezza delle notizie e, girandosi verso dei paesani che gli stavano accanto, questi assentirono nel senso che voci al riguardo sarebbero circolate. Ma sulla base di indagini in territorio austriaco, per quanto concerne la bambina, io non trovai conferma alcuna per cui editorialmente e gionalisticamente evitai scrupolosamente di riferire il fatto, limitandomi a fornire la notizia del prelievo di bestiame. Tuttavia taluno nel territorio della Gailtal, riguardo il fatto della bambina, mi disse che, non nei termini da me riferiti, qualcosa sarebbe comunque accaduto senza però andare oltre. Ritenne anche di aggiungere che, da parte austriaca in certi casi si è reticenti a parlarne : “ Ich weiss nicht ! = (Io non so nulla !). Per quanto invece concerne i 61 cavalli io propendo che possa trattarsi del totale di due operazioni ma soprattutto mi prendo tempo Per chiarire più precisamente la zona di prelievo, pur essendo difficile alla distanza di ormai quasi settant’anni dai fatti affrontare delle indagini. Debbo aggiungere però che talune informazioni attendibili datemi da austriaci, stranamente non trovano riscontro nelle annotazioni della gendarmeria per cui sono portato a supporre, a fronte di testimonianze, che forse, dico forse, non tutti gli eventi siano stati dalla gendarmeria annotati. A tal proposito desidero ricordare che il già citato sig. Lackner secondo un trafiletto apparso sul Kleine Zeitung il 25.10.2007 ebbe a dichiarare di essersi trovato a malga Rattendorf, quale undicenne villeggiante il 20.07.1944 dove assistette all’attacco di partigiani italiani aggiungendo che il giorno prima (e quindi il 19.07.1944) sempre partigiani italiani avevano rapinato una mandria di cavalli in una malga austriaca (si tratta della Maldatscher sul versante della Rattendorf) uccidendo un pastore ed un ragazzo. Questo disse il Lackner il che mi fu confermato da un teste, del quale indico le iniziali K.P., segnalatomi dal Bürgermeister Herr Rauscher di Hermagor. Detto teste asserì che, durante una rapina di 20/30 cavalli nella Maldatscher Alm, portati poi in Italia, vennero uccisi due pastori padre e figlio mentre un secondo figlio, di nome Pietro, potè salvarsi essendo riuscito a nascondersi.
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Concludendo trovo che il filmato, sul piano storico, è restrittivo e sin dal titolo punta a creare effetto martiriologico senza però premettere le vere causali dell’azione repressiva e senza un riferimento al panorama piu ampio del momento storico, stante che la Carnia era un minuscolo frammento la cui situazione non può essere disgiunta da un richiamo allo stato politico facendo il punto sulla situazione del conflitto in essere con un riferimento alle motivazioni dell’insorgenza partigiana di predominante natura comunista ed alla forte influenza sovietica che caratterizzava i movimenti di resistenza, non solo in Italia, tant’è che nella Garibaldi si tenevano lezioni di mistica comunista. Come già rilevato in narrativa il filmato si propone di dimostrare una corretta condotta resistenziale della corrente partigiana comunista il che snatura, sul piano storico, gli spiccati contenuti rivoluzionari della stessa quantomeno fintantoché Togliatti, dopo la svolta di Salerno, ammorbìdì la situazione e i partigiani della Garibaldi inserirono il tricolore nella stella rossa del copricapo. Ciò nonostante non si venne meno all’obbiettivo di fondare uno stato progressista e, a fine guerra, a quello di creare addirittura, restando in armi, un’amministrazione slava nell’attuale nord-est tant’è che, ove sul territorio non fossero rapidamente avanzate le forze corazzate alleate, questo si sarebbe verificato.
Limitando il progetto del film alla questione delle rappresaglie sulle malghe non occorreva dimostrare che il comportamento della Garibaldi non fu tale da motivarle attraverso le azioni di attacco alle posizioni doganali rafforzate da difese e d’infiltrazione per prelevamenti di bestiame nella valle del Gail, allo stato iniziale, in quanto la prevalente motivazione tedesca, anche se gli ultimi avvenimenti furono la goccia che fece traboccare il vaso, era già programmata. La stessa aveva infatti uno scopo deterrente quello precisamente di evitare che la valle del Gail e la val Canale diventassero, per l'organizzazione partigiana della Carnia, un ponte di collegamento con gli slavi a cui nel film non s’è fatto il minimo accenno. Mancando di queste informazioni il filmato risulta privo di un costrutto storico per cui lo spettatore disinformato e soprattutto i giovani, che nulla sanno, finiscono per recepire conclusivamente una versione dei fatti che è solo di parte, mancante di oggettività.
22 febbraio 2013
PIER ARRIGO CARNIER
SEGUONO NOTE
Nota nr.1 = Si trattava di cosacchi cadurti nell'attacco partigiani ad Ovaro del 2 maggio 1945 o comunque vittime di quella giornata.
Nota nr.2 =Ritenuto di prevalente etnia slava (Windisc) m entre poi, nel dopoguerra, mediante un plebiscito fu dimostrato che l'etnia prevalente era tedesca.
Nota nr.3 =Il certificato ufficiale di morte delle due vittime, redatto dall'Ufficiale dello Stato civile del C omune di Paularo, in data 22 luglio 1944, indica come data di decesso il 18 luglio 1944.
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