giovedì 5 settembre 2013

RINGRAZIAMENTO AD AMICI, SIMPATIZZANTI




COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI, STUDENTI UNIVERSITARI ED A CHIUNQUE E’ INTERESSATO A VICENDE STORICHE


Ringrazio per l’attenzione dedicata ai miei scritti da amici,  simpatizzanti e chiunque altro.  Per particolari ragioni mi sia permesso di rivolgere un pensiero  di simpatia  ad amici o simpatizzanti della  Serbia, Stati Uniti, Germania,  Federazione russa, Ucraina.
5 settembre 2013

PIER ARRIGO CARNIER

martedì 3 settembre 2013

MORTE AD AVASINIS

3 settembre 2013 alle ore 13.07
MORTE AD AVASINIS


COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI, STUDENTI UNIVERSITARI  E CITTADINI COMUNQUE  INTERESSATI A VICENDE STORICHE.

L’aver richiamato l’attenzione sulla Rappresaglia di Avasinis, pubblicata nel mio volume “ Lo Sterminio Mancato “ (prima edizione 1982 e successive riedizioni), replicata giornalisticamente in due puntate sul Gazzettino di Venezia nel 2005, sotto le date del 14 e 21 novembre ed ora integrata da nuovi  definitivi aggiornamenti, ritengo possa ridestare dell'interesse.
 Molti non sapevano che, nell’aprile 45,  parte consistente delle forze Karstjäger erano concentrate a Ospedaletto, a portata di mano di Avasinis. Non sapevano  che l’unità aveva poteri  di autonomia assoluta nell’ antiguerriglia e poteva agire segnalando  solamente l’azione, appena avviata, al comando Wehrmacht, Kriegsmarine ed al comando territoriale della lotta contro le bande: Führungsstab Bandenkampf di Gradisca d’Isonzo. Vi fu nell’azione, come in altre precedenti, un intervento integrativo di forze Waffen SS. Prinz Eugen e Freiwilligen Einheit spagnola,  ma la responsabilità direzionale e di comando rimane Karstjäger ed il metodo esecutivo (uccisioni), da quanto mi riuscì di sapere, affidato di norma a veterani Karstwehr, tedeschi ed austriaci, ormai provati da esperienza. A giudicare dai fatti nell’ azione esecutiva, come riferito, vi fu  una parte che uccideva, ritenendo di compiere un dovere e un’altra  che   fungeva  quasi da assistente sociale,  badando a placare e ammortizzare  il tremendo trauma emotivo  dei cittadini  non designati a morte, in buona parte congiunti o parenti delle vittime, testimoni a caldo delle uccisioni.
Ho ricevuto messaggi e telefonate anche da giovani interessati, entusiasti di aver capito la realtà effettiva dei fatti, meritevole addirittura di trarne un film. Un regista austriaco mi ha ventilato infatti l’idea di un progetto in tal senso ed abbiamo insieme abbozzato  il possibile titolo: “ MORTE AD AVASINIS”. Sulla base delle testimonianze e degli elementi di cui dispongo sarebbe un film dal forte effetto emotivo. Nelle vicende storiche di quel periodo vi è, comunque, ancora altro da chiarire. Ad esempio ci terrei a riordinare  i dettagli dell’attacco partigiano, del 2 maggio 1945, al presidio cosacco  di Ovaro e la conseguente rappresaglia punitiva sulla popolazione,  caso meritevole di essere disinfestato da particolarità dovute ad invenzione e di comodo. Alle rituali commemorazioni annuali gli oratori chiamati a celebrare, da quanto mi venne casualmente riferito, si sono limitati a piagnistei senza mai pronunciare quattro parole dette come Dio comanda…La verità fa sempre paura! Tornerò certamente sulla rappresaglia tedesca del luglio 1944   sulle malghe ed alta valle del  But, vicenda  sulla quale sussistono già motivati miei interventi critici su Facebook, riferiti al filmato "Carnia 1944. Il sangue degli innocenti".

3 settembre 2013

PIER ARRIGO  CARNIER

domenica 1 settembre 2013

RAPPRESAGLIA TEDESCA SU AVASINIS (iTALIA) E STRALCI DI STORIA DELLA "FREIWILLIGEN EINHEIT" SPAGNOLA"


RAPPRESAGLIA TEDESCA SU AVASINIS (Italia) E STRALCI DI STORIA DELLA "FREIWILLIGEN EINHEIT" SPAGNOLA.

31 agosto 2013 alle ore 15.37
COMUNICATO AD AMIICI, SIMPATIZZANTI ED INTERESSATI A VICENDE STORICHE
IN PARTICOLARE SEGNALO IL SEGUENTE SCRITTO ALL'ATTENZIONE  DEL SITO "OSTFRONT AZUL"                                                                                                                  

RAPPRESAGLIA TEDESCA SU AVASINIS (Italia), 2 maggio 1945 E  STRALCI DI STORIA SULLA
“ FREIWILLIGHEN EINHEIT”, UNITA’ CHE FU PRESENTE NELL’ “ADRIATISCHES KÜSTENLAND” FORMATA DA SPAGNOLI EX  APPARTENENTI ALLA BLAUEN DIVISION  ED AZUL LEGION,

(Prima puntata -  Pubblicata dal Gazzettino di Venezia il 14 novembre 2005)

Vi sono novità sulla rappresaglia di Avasinis che avrei potuto riferire da tempo, ma la storia è lenta e ha bisogno di certezze. In pratica è ora assodato che su Ospedaletto, villaggio a nord di Udine, vennero concentrate, circa verso la metà di aprile 1945, varie unità Waffen SS., Schützen, Gebirgsjäger e reparti minori onde creare una base di pronto intervento nel caso di attacchi partigiani sulla nazionale Udine-Tarvisio a protezione dell’imminente defluire della ritirata proveniente dal Veneto e dal fronte Sud/West  (Italia) più esattamente dalle ultime posizioni della linea di difesa sul fiume Po.
Erich Kühbandner ufficiale della Karstjäger, promosso a Sturmbannfuehrer SS. sul campo, a Moggio Udinese, nei primi giorni di maggio 1945 dal Brigadenfuehrer Heinz Harmel subalterno del SS. Gruppenfuehrer Globocnik comandante del fronte Val Canale/Tirolo, mi riferì, nel dopoguerra, sul clima e sugli avvenimenti di quei giorni. Si percepivano, secondo quanto ricordava, le tensioni del divenire che stava per rivelarsi di minuto in minuto, ma c’era pure ancora una forte speranza per chi aveva combattuto con fedeltà per il Terzo Reich. Anch’egli era stato comandato con un battaglione di Karstjäger, come altri ufficiali con le rispettive forze della stessa brigata a protezione della ritirata. Venne quindi a trovarsi proprio ad Ospedaletto e fu a quell’ altezza che, sulla nazionale, dei partigiani che poi furono visti allontanarsi in direzione di Avasinis, con degli attacchi sporadici causarono diversi morti nelle colonne in ritirata. Di conseguenza, nel pomeriggio del 1°maggio 1945, alcune forze  di protezione, come misura di sicurezza e con funzione punitiva mediante  rappresaglia, motivata dalle vittime, vennero spostate da Ospedaletto verso Avasinis e si appostarono nei dintorni su un promontorio piazzando delle mitragliatrici.
Fu nel mattino del 2 maggio che tali forze, dopo aver tenuto sotto controllo il villaggio, lo occuparono e vi effettuarono la rappresaglia. Presero parte all'azione forze della Karstjager assieme a parte di un battaglione di complemento della 7 SS. Gebirgs Division Prinz Eugen,  stazionato a Gradisca d'Isonzo e in parte nel Castello di Duino, in quest’ ultimo caso quale componente  della Scuola antiguerriglia ivi costituita con funzioni di addestramento. Il battaglione, negli ultimi tempi, era stato affiancato per non dire inglobato, nelle azioni antiguerriglia, alla Karstjäger Brigade.
Nel dopoguerra, assieme a mia moglie Wanda, fui ospite di Kühbandner  in Germania, nella sua casa accogliente con sauna e ogni comodità. Era imparentato quale cognato con l’allora ministro   dell’economia Strauss, uno degli uomini politici allora più autorevoli della Germania e svolgeva, con ottimi  profitti, attività di rappresentanza. Fu spesso in Italia. Tornò anche a Tolmezzo, dove aveva avuto un’amante donna che mi fu dato di conoscere bene.
A prescindere da ciò ho riascoltato di recente delle mie preziose registrazioni fatte ad Avasinis sulla rappresaglia del 2 maggio 195, oltre trent’anni fa. Diverse donne ed uomini, testimoni della rappresaglia, raccontano ciascuno la propria storia fatta di particolari. Bisogna riascoltarle, quelle registrazioni, mentre il nastro si svolge lentamente. E allora ti rendi conto che le testimonianze sono precise e sincere rese nell’idioma friulano del luogo. Si tratta o diciamo si trattava di gente che aveva avuto delle vittime, sofferto, pianto disperatamente, provato paure: donne che al tempo della rappresaglia avevano 10 anni, oppure 15,16. Nelle testimonianze esse ricordano che i tedeschi camminavano per le viuzze lastricate del paese con pesante rumore di passi, in quanto  calzavano scarponi da montagna e non quindi gli stivali. Si trattava appunto di truppe alpine, e cioè di Karstjäger, Prinz Eugen ed altri su cui vengo a riferire nel prosieguo.
Le testimonianze sono di Anita Del Fabbro, classe 1935, Rina Da Mora, Anna Di Doi, Maria Rodaro… e di qualche uomo. Una di esse ricorda : Ci avevano ammassate in una stanza a pian terreno, nella quale avevano oscurato le finestre con delle coperte, una specie di carcere. Eravamo qualche decina con alcuni uomini. Dei tedeschi ci davano della cioccolata e altro per tenerci buone, mentre altri, quelli che avevano ucciso e continuavano ad uccidere, giravano per il paese e si sentivano spari, grida e pianti. Anch’io gridavo, volevo raggiungere la mia casa per vedere di mia madre. Un giovane tedesco, vero tedesco, disse che mi avrebbe accompagnata   e  quindi lo seguii. Era garbato. Mi confidò che la sua famiglia, in Germania, era stata distrutta dai bombardamenti. Quando fummo vicini alla casa lui volle precedermi per cui aperse la porta della cucina e poi la chiuse velocemente, dicendomi che lì non c’era, ma invece l’aveva vista, stesa morta per terra, ma volle evitarmi lo strazio. Andiamo di sopra” , aggiunse. “Quindi salimmo ma nemmeno di sopra mia madre c’era. Tornammo nella casa dove ci tenevano raggruppati sotto controllo. Io però non avevo pace e insistevo che volevo trovare mia madre. Un altro giovane tedesco, anche quello vero tedesco, mi prese sottobraccio e tornammo giù. Aperse la porta della cucina e vidi mia madre morta, per terra, crivellata di colpi. Cominciai a urlare con tutta la mia energia ( mi soi metuda a begheraa…!) Dalla casa vicina uscirono dei soldati e vennero verso di noi ma il giovane tedesco, urlando col fucile in mano, li allontanò dicendo :” Fertig Kaputt” (finito uccidere). Era sera “.
Ma c’è dell’altro e questa è la novità. Una donna di Avasinis, proprio nei giorni che raccolsi le testimonianze, si tratta credo di Maria Rodaro o di altra testimone, una donna comunque energica, mi disse che i militari della rappresaglia con cui lei, pur nella tragicità del momento, ebbe a conversare, parlavano tedesco, boemo, croato friulano ed anche spagnolo.
“Ma come, che dice “- esclamai – “ Parlavano spagnolo ?”- “ Si, le assicuro che parlavano spagnolo e io ne sono testimone 
Rimasi incredulo e lasciai perdere, sbagliando.
Gli spagnoli, invece, c’erano veramente. Me lo confermò Kühbandner in Germania. Lui li ebbe proprio sotto il suo comando nell’”Adriatisches Küstenland” ed  al riguardo mi riferì diversi particolari.
Ma chi erano questi spagnoli ? Erano parte di circa un migliaio di elementi ex appartenenti a due unità spagnole impiegate sul fronte orientale e fatte poi rientrare in Spagna, dal generalissimo Franco, per opportunità politiche : la Blauen Division che fu ritirata dal fronte nel novembre 1943 e la Legion Azul che fu richiamata nel febbraio-aprile1944. I restanti dell’entità accennata, che rifiutarono il rimpatrio  in quanto fedelissimi all’ideale della Nuova Europa ideata dai nazionalsocialisti, mentre  la Freiwilligen Einheit, fu destinata nel Litorale Adriatico, formarono tre compagnie di Waffen SS. ed ebbero varie destinazioni. Altri ancora fecero parte della SS. Jagdverband Sud-Ovest di Skorzeny,  della 1° Compagnia della Division Vallonie di Leon Degrelle, del battaglione Azquerra che lottò per la difesa di Berlino, della division Brandenburg e di una piccola unità, comandata da Martinez Alberich che operò nei dintorni del Brennero.
 La Freiwilligen Einheit, giunta in Italia, risultò sottoposta al comando dell’Untersturmfuehrer(Sottotenente) Josè Ortiz Fernandez, già falangista della “Delegacion Nacional de Sindacatos” de Madrid.
Inizialmente gli spagnoli furono acquartierati a Tolmezzo ed una parte spostata poi a San Giorgio di Nogaro. Secondo una memoria di appunti in spagnolo di uno di loro “ … en Tolmezzo nos riorganizamos come podimos. Tolmezzo era una torre di Babel. Habia croatos, espanoles, hungaros, italianos, rusos blancos, menos alemanes de verdad”.
Come accennato in narrativa la Freiwilligen Einheit passò in forza alla Karstjäger, fu sottoposta agli ordini di Kühbandner e partecipò a varie azioni antipartigiane, una delle quali sul monte San Vito, dove alcuni spagnoli caddero e fra questi Anton Chistu Vallejo.
A fine storico ebbi vari altri rapporti con degli ex Karstjäger in Austria, Alto Adige, Germania e con taluni che erano emigrati. Contattai ed incontrai in Germania l’ex SS. Sturmbannfuehrer Josef Berschneider nazionalsocialista della prima ora, che fu tra i fondatori del battaglione Karstwehr, dapprima comandante di compagnia e poi, per un periodo, comandante della stessa divisione prima che questa venisse riformata in brigata. Berschneider ebbe una parte rilevante nell’attacco alla guarnigione italiana di Tarvisio di cui ottenne la resa. Egli mi dette conferma su quanto riferitomi da Kühbandner circa la presenza di forze Karstjäger, integrate da forze  del  battaglione di complemento Waffen SS, Prinz Eugen e dalla Freiwillign Einheit spagnola sulla nazionale Udine-Tarvisio e su quanto ivi accadde nonchè  sugli eventi relativi al successivo posizionamento in Val Canale e in Austria fino al momento della resa.
La presenza degli spagnoli a copertura della ritirata è comunque provata anche da un’affermazione contenuta nella memoria di appunti già richiamata :” ...La compagnia di Josè Ortiz tiene come obiectivo cubrir la ritirada de la fuerzas de la Wehrmachte de la Waffen SS.  que retroceden da Italia en direcciòn a Austria “.          
La compagnia svolse il compito di protezione fino a Pontebba in val Canale. Qui itedeschi proponevano che tutte le forze in ritirata dovessero raggiungere i Carpazi a fine di contendere l’avanzata dei sovietici. Josè Ortiz assieme ai suoi uomini decise però di non proseguire, essendo evidente che ormai la fine della guerra era imminente ed era quindi doveroso pensare a come risolvere il proprio rientro in patria.

                                                    *      *      *

(Seconda puntata - Pubblicata dal Gazzettino di Venezia il 21 novembre 2005, aggiornata con qualche recente perfezionamento) 

Quali possano essere state le effettive responsabilità degli spagnoli nella rappresaglia di Avasinis, che costò 51 vittime civile e 25 feriti, e’ difficile dirlo. Essi comunque fecero parte della forza che fu comandata su Avasinis, ma l’effettiva azione esecutiva, secondo quanto potei dedurre dalle testimonianze  dei superstiti e da altri indizi, in quanto ad uccisioni,  sarebbe stata condotta   da un ristretto numero di elementi preventivamente designati : tedeschi ed  austriaci per cui la presenza spagnola assumerebbe veste formale.
Tornando alla rappresaglia i non addetti al compito di uccidere e adibiti comunque a vigilare, tra cui molti erano giovani, sempre secondo le testimonianze dei superstiti di Avasinis, offrivano conforto ai congiunti straziati dal dolore, considerando comunque le persone uccise un prezzo da pagare, una normale azione punitiva in base alle allora vigenti norme di guerra, eseguita però sconfinando nel crimine. Le vittime infatti non furono allineate per l’esecuzione né furono elencati i loro nomi ma vennero scelte lì per lì, con decisione sommaria individuale autocrata degli addetti. Fra le vittime sette risultarono ragazzi e bambini.
In quanto al responsabile dell’ordine di rappresaglia, in un incontro a Velden in Carinzia nel dopoguerra al quale fui invitato, l’ex generale Heinz Harmel comandante delle forze  in subordine a Globocnik mi dichiarò, rispondendo a domanda, presenti diversi ex ufficiali Karstjäger,  che l’ unità Karstjäger era del tutto autonoma in ogni sua decisione nei compiti della lotta antipartigiana. Al momento della ritirata ne era comandante l’SS. Obersturmbannfuehrer Wagner, successo al SS. Sturmbannfuehrer Werner Hahn.
Le forze comandate su Avasinis, dopo l’azione di rappresaglia, si ritirarono in  Austria puntando su Tolmezzo e poi su Paularo dove sostarono per rifocillarsi quindi, utilizzarono mulattiere e sentieri conosciuti su quelle montagne nel corso di varie azioni antiguerriglia e, superato  il confine, furono  in Austria. Altre forze, comandate di protezione a nord di Udine, imboccarono in ritirata la Val Canale e, giunte a Pontebba raggiunsero l'Austria superando il passo Nassfeld (Pramollo). Pioveva, faceva freddo  e le montagne erano fasciate di nebbia.  Fu a Pontebba che gli spagnoli  sostarono,  decisi a non proseguire, riunendosi ai restanti della  compagnia  che, lasciato Ospedaletto, avevano imboccato la nazionale. Talune forze  confluite a Pontebba lungo la nazionale, si trattava di Karstjäger, Prinz Eugen,  Gebirgsjäger, Schützen e flottiglie minori  raggiunsero poi Villach, dove erano state approntate posizioni di resistenza, nel mentre altre forze consistenti  provenienti dal fronte Sud-West(Italia) e più precisamente dalle ultime posizioni sul Po e sull'Adige , si spinsero oltre. Dopo di che intervenne il crollo.
Frattanto nei giorni successivi il 2 maggio sette sbandati che pare indossassero in parte l’uniforme delle Waffen SS. e in parte quella Repubblica Sociale Italiana, benché non vi fosse alcuna certezza che avessero preso parte alla rappresaglia, vennero uccisi bestialmente per ritorsione dalla popolazione di Avasinis, con forche e randelli, in un clima di  furibonda eccitazione. Altri undici sbandati tedeschi, rastrellati dai partigiani oltre venticinque chilometri a sud di Avasinis, in una zona deserta tra Pinzano e Valeriano, come da dettagliata descrizione resa nel mio volume “Lo Sterminio Mancato” finirono per essere portati ad Avasinis e qui, nonostante la loro estraneità all’azione di rappresaglia, vennero fucilati   lungo il torrente Leale, in località posta verso la confluenza del medesimo nel fiume Tagliamento. Seguirono varie  altre esecuzioni, singole  o di due tre elementi, senza  alcuna prova di colpevolezza.
 Non sono veritiere e quindi false le circostanze riferite, a partire da un certo momento nel dopoguerra, secondo una fantasiosa trovata di comodo per sovvertire come sempre la verità, intese a giustificare delle esecuzioni  compiute a punizione della rappresaglia, adducendo  che per una di esse si trattava di elementi  rastrellati dai partigiani  dopo l’azione sulle alture dei dintorni  dove gli stessi, gettate le  uniformi, avrebbero indossato degli abiti civili ritenuti  rubati nel villaggio in quanto sarebbero stati da taluno riconosciuti come tali. Si tratta di una  versione che non sta in piedi, utilizzata poi anche in un filmato locale, per incantare gli ignari. Non è credibile che degli elementi comandati nell'azione  possano aver scelto di restare rischiosamente nei dintorni del luogo dove la stessa ebbe esecuzione, addirittura indossando abiti rubati nelle case. Risulta, invece,  che i componenti dell'azione si rimisero in marcia il giorno il 3 maggio lasciando Avasinis e , in base ad accurati accertamenti, raggiunsero, in in vari modi, l'Austria. Capitolo a parte il centinaio di prigionieri cosacchi arresisi diversi giorni prima ad Avasinis per intercessione del parroco in nome dei bravi partigiani,  con la promessa che sarebbero stati rispettati e consegnati agli americani sottraendoli al timore di venire consegnati all'URSS. Fra gli stessi c’erano diverse donne, talune giovani e bambini, addirittura uno in fasce.Vennero invece uccisi in massa a raffiche di mitra sulle montagne sovrastanti Avasinis, da partigiani associati dell’Osoppo e Garibaldi,  come riferito dettagliatamente nel già citato mio volume “ Lo Sterminio Mancato”. I corpi delle povere vittime, dopo un tentativo maldestro di  bruciarli con del carburante, furono vilmente abbandonati sul luogo in sacrilego vilipendio delle più elementari norme di civiltà, senza sepoltura. Si tratta di un’incancellabile  vergogna che adombra la memoria partigiana...
Vi sono, comunque, altre vicende da evidenziare relative al teatro d’azione Ospedaletto-Gemona-Avasinis relativamente a quei giorni di fine guerra,  già da me pubblicate (Gazzettino di Venezia  del 1 e 2 agosto 2003),  di  cui taluna merita di essere qui richiamata. E’ il caso, ad esempio, di nove tedeschi delle forze di protezione lungo la nazionale, rimasti indietro per vigilare su un punto nevralgico del deflusso della ritirata : furono bloccati a località “ Gleseute” da un gruppo di partigiani dell’Osoppo mentre si dirigevano da Ospedaletto a Gemona, presumibilmente per arrendersi agli alleati  ormai segnalati in arrivo. Il capo partigiano osovano, certo M., intimò loro la resa ma questi si rifiutarono e chiesero, richiamandosi alle norme internazionali, di arrendersi a un esercito regolare e quindi di venire condotti, sotto scorta armata, a un comando alleato. Il capo osovano, adducendo di ritenerli responsabili dell’uccisione di un civile in una certa località, che fu trovato strangolato, fatto che i nove tedeschi respinsero sdegnosamente dimostrando che la località dove essi si trovavano durante il deflusso della ritirata, a scopo di protezione, non coincideva assolutamente con tale accusa, decise sbrigativamente di fucilarli, quindi ordinò ai suoi subalterni di aprire il fuoco. I nove tedeschi caddero  indifesi ancora col fucile in spalla e il loro capo con la pistola nella fondina in atteggiamento del tutto inoffensivo. Furono sepolti in una fossa comune. Alla loro riesumazione, nel maggio 1957, per essere inumati nel grande cimitero militare tedesco di Costernano sul Garda, in base a un documento di fonte tedesca in mio possesso, risultò che sui resti fu riscontrata  la mancanza dei rispettivi piastrini   di riconoscimento. Si tratta di un’azione di strage imprescrittibile che comportava legittimamente, anche per la sottrazione dei piastrini,  di essere perseguita giudiziariamente...
Passo ora alla vicenda degli spagnoli che va completata. Da testimonianze raccolte risulta che, nel corso della loro permanenza nel Litorale, essi manifestassero grande simpatia per il fascismo   per l'affinità con le teorie falangiste che riflettevano i principi di rinnovamento della Nuova Europa per la quale essi avevano combattuto assieme a varie unità di volontari che avevano formato le varie divisioni Waffen SS. ed unità minori. Credevano fermamente in quell’ideale che aveva affascinato il grande poeta americano Ezra Pound, il quale riteneva che l’ala sinistra del fascismo fosse la concezione vitale peril rinnovamento dell’Europa, come scrisse in un suo prezioso opuscolo che mi fu regalato con dedica  e che  conservo preziosamente,  Riccardo M. Degli Uberti, consulente letterario della nota casa editrice Sansoni e la cui famiglia ebbe stretti rapporti col grande poeta…
A Pontebba la compagnia spagnola, circa duecento uomini, dopo aver deciso di non proseguire verso un’ultima difesa tedesca, evidentemente ritenuta inutile, onde evitare il rischio di cadere in mano ai partigiani di Tito, che stavano infiltrandosi verso occidente, per cercare la propria salvezza si frazionò. Una sessantina della stessa si spinse verso Latisana e poi puntò su Trieste con l’obbiettivo di trovare una possibilità di imbarco per la Spagna. Prima di entrare nella città si videro costretti a procurarsi degli abiti civili  che riuscì loro di rubare, quindi gettarono le loro uniformi dai fregi tedeschi, ma furono ugualmente notati, riconosciuti e quindi arrestati e incarcerati. Un commissario partigiano, che aveva combattuto nelle brigate internazionali in Spagna, li insultò e sentenziò la loro condanna a morte. Per miracolo l’esecuzione venne, poi, annullata. Altri  componenti la compagnia caddero ugualmente in mano partigiana e subirono varie carcerazioni per poi venire destinati in campi di raccolta, a Rimini, vicino a Padova e ad Afragolaa nord di Napoli. Altri ancora sulla strada per Padova  trovarono un convoglio  di rimpatriati italiani al quale si unirono. Raggiunsero Milano e qui presero contatti col consolato spagnolo. Furono alloggiati  all’Hotel Espana. Vi furono comunque varie peripezie, ma infine il rimpatrio degli uomini della compagnia di Josè Ortiz fu raggiunto.
In quanto alla Karstjäger, nella sua formazione iniziale, non fu adibita alla custodia di un lager come qualcuno ebbe a sostenere. La  stessa nacque con elementi volontari qualificati provenienti da varie unità, a Pottenstein nell’Oberfranken, come unità destinata a ricerche per  lo studio delle cavità carsiche od anche per essere paracadutata nel Caucaso dietro le linee nemiche. Ricevette una formazione per la “lotta individuale” e la
“ lotta ravvicinata” per cui il vero impiego era la guerra di bande nei territori carsici e dietro le linee nemiche per cui  Pottenstein era stata scelta, appunto, come zona carsica utile per la preparazione, data la presenza di voragini. 
In un suo rapporto Erich Kühbandner mi riferì l’atroce fine che i partigiani slavi riservavano ai Karstjäger e comunque ai tedeschi, che cadevano nelle loro mani, con torture irriferibili e bestiali.
L’unità ebbe un peso determinante nella lotta di repressione antipartigiana nell’intero territorio dell’Adriatisches Küstenland. Le ultime tre compagnie, costituite ad Ugovizza con sudtirolesi, non arrivarono però concretamente ad operare.
Kühbandner morì nell’ottobre del 1991 per un male incurabile. Era nato nel 1921. Nel 1939 entrò volontario nel reggimento SS. Deutschland di cui  portava orgoglioso la fascetta sulla manica sinistra all'inizio dell’avambraccio. Partecipò a tutte le campagne e in Polonia prese parte all’assalto della fortezza Modlin. Fu paracadutato a Rotterdam. Fu in Belgio, Francia e pure a Dunkirchen. Divenne tenente a 19 anni e fu quindi impiegato al fronte, in Ungheria, Jugoslavia, Grecia, Russia. Entrò infine a far parte del Karstwehr Bataillon che poi divenne Karstjäger Bataillon. Fu ferito quattro volte e decorato. Fu infine tra i quattro Karstjäger che Hitler, nel suo quartier generale, decorò personalmente con la “ Goldener Bandenkamf Abzeichen” quale  ricompensa al valore  per cento giorni di lotta ravvicinata contro le bande.
 31 agosto 2013

PIER ARRIGO CARNIER                                      
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