lunedì 12 gennaio 2015

RILEVANTE CHIARIMENTO SULLE VICENDE PARTIAGIANE DELLA CARNIA - 1944

COMUNICATO AD AMICI, SIMPATIZZANTI E SOPRATTUTTO AI CARNICI DELLE SUPERSTITI GENERAZIONI CHE FURONO COME ME TESTIMONI DELLE VICENDE PARTIGIANE E DELL’OCCUPAZIONE COSACCO-CAUCASICA 1944-1945, TRATTANDOSI DI UN RILEVANTE CHIARIMENTO STORICO. L’articolo pubblicato sotto il titolo IL CASO MAGRINI – “OLMO” ha suscitato vivo interesse come infatti supponevo in quanto apportatore di chiarezza. Riprendo qui l’argomento sotto il titolo “ IL CASO “OLMO”. CAPO PARTIGIANO PROCESSATO, GIUSTIZIATO E DICHIARATO INNOCENTE. Ho integrato il testo con qualche nuova considerazione. Di tutto questo ho provveduto ad informare la figlia del Casali, Isa, che vive all’estero spiegando alla stessa che, dopo settantun anni dall’uccisione del padre, il ricupero del dispositivo di un processo partigiano che sentenziò la sua netta riabilitazione, mi ha consentito di riaprire il caso su fondati motivi. L’ uccisione di Olmo, capo partigiano, fu resa pubblica nel novembre 1944 come azione punitiva mentre invece si trattò di eliminazione concertata per sopprimere un testimone scomodo che poteva rivelare oscure vicende a carico di altri. Questo io e la madre, vedova Ines Maria Rupil, lo pensavano allorché, di mia iniziativa negli anni ottanta entrai in rapporto epistolare, intercalato da conversazioni telefoniche, con la stessa emigrata in Argentina. Per confidenze fattemi da partigiani sapevo fin dalla fine della guerra che vi era stato un processo con la riabilitazione di “Olmo”, di cui solo di recente sono entrato in possesso della prova che purtroppo spiacevolmente, Ines Maria Rupil, deceduta il 31 ottobre 2006, non ha potuto conoscere. VICENDE PARTIGIANE DELLA CARNIA - 1944 IL CASO “OLMO”, CAPO PARTIGIANO PROCESSATO, GIUSTIIZIATO E DICHIARATO INNOCENTE A fine novembre 1944 si diffuse la voce che, in base a processo era stato giustiziato dagli stessi partigiani, il trentaduenne capo partigiano Enore Casali “Olmo”. della brigata Garibaldi-Carnia. L’esecuzione era avvenuta nell’alta valle Pesarina, a località Jalna, esattamente il giorno 28 novembre 1944 come da registro di morte del comune di Prato Carnico, su notazione postuma effettuata sulla base di testimonianze, stanti le eccezionali circostanze di guerra (atto n. 4-II-C/1946). Si sparsero voci che la condanna sarebbe stata motivata dall’accusa che il medesimo era ritenuto l’uccisore del commissario partigiano Aulo Magrini”Arturo” del battaglione Carnia, al quale egli stesso apparteneva, ma i manifesti che i cittadini di Pesariis, villaggio posto nella zona dove avvenne l’esecuzione, trovarono affissi sui muri di alcune case, non riferivano affatto tale al accusa ma precisavano trattarsi di condanna ed avvenuta esecuzione motivata da comportamenti che avevano violato la disciplina partigiana. Come io scrissi a pag. 64 del mio volume “l’Armata cosacca in Italia 1944-1945“- De Vecchi 1965- poi Mursia 1990 pag. 67: “…"Olmo"era stato uno dei primi aderenti al movimento partigiano, noto per la parte attiva e rischiosa avuta nelle varie azioni iniziali”. Aveva preso parte anche alle incursioni su Sappada e ad operazioni connesse. Circolarono voci ed indiscrezioni su sue manchevolezze, relative all’imputazione, che tralascio di specificare ma che non erano tali da comportare la condanna a morte. Sorse pertanto, implicitamente,la considerazione che la motivazione della condanna capitale, dichiarata nel manifesto,fosse solo di copertura, ma che l’eliminazione fosse dovuta ad altri motivi e, sempre secondo voci, per ridurlo al silenzio ed annientare talune sue accuse su vicende che riguardavano altri, com’ebbe in seguito a dedurre e dichiararmi la moglie del medesimo, vedova Ines Maria Rupil, su cui riferirò più oltre. Del menzionato processo non fu possibile rintracciare copia perciò non fu dato di conoscere quali furono i membri della giuria e quale l’effettivo capo d’imputazione, nonché in forza a quale potere fosse stata esercitata la facoltà di giudicare. Tale processo e la relativa esecuzione avvennero quando già, dagli inizi dell’ottobre 1944, i cosacchi avevano occupato le valli della Carnia e l’organizzazione partigiana, travolta dai rastrellamenti tedeschi, si trovava sconvolta, notevolmente ridotta e frazionata. Da fonte ex partigiana attendibile (Toniutti Livio che fu capo partigiano ed Agostinis Bruno) seppi, a fine guerra, che i documenti processuali della Garibaldi-Carnia furono sepolti cautelativamente in un punto segreto del villaggio di Pradumbli ( valle Pesarina), arrotolati ed infilati dentro una damigiana.. Da qualche tempo in ogni caso sono entrato sorprendentemente in possesso del dispositivo di una sentenza partigiana di cui già avevo avuto notizia nel primo dopoguerra, relativa a un contro processo tenuto, il 2 dicembre 1944, dal comando della Divisione Garibaldi-Osoppo-Friuli a firma di due autorevoli protagonisti, il comandante Ninci (Lino Zocchi) e il commissario Andrea (Mario Lizzero ). Si tratta di sentenza che definisce irregolare il processo e false le accuse di condanna del capo partigiano “Olmo”, e lo dichiara: “INNOCENTE”. Ed ecco il testo del dispositivo : DIVISIONE GARIBALDI-OSOPPO - FRIULI Date le continue proteste circa il processo, non regolare, svolto contro il compagno Olmo (Casali Enore) da tutti i partigiani della Carnia, abbiamo rifatto il processo e dalle tante testimonianze, trovate nel controverbale, in favore del compagno Olmo, siamo in dovere di dichiararlo : INNOCENTE ! Coloro che si sono resi colpevoli con false accuse e falsi verbali dovranno rispondere anche con la vita nel processo regolare che si svolgerà appena le circostanze lo permetteranno. Il Comandante Il Commissario V.(Ninci) ( Andrea) Zona, 2.12.1944 Merita osservare che, il provvedimento di riabilitazione del capo partigiano “Olmo” a rettifica di un processo giudicato irregolare e falso, celebrato in zona operativa posta responsabilmente sotto il comando Gruppo brigate Nord (brigata Garibaldi-Carnia e Garibaldi Val But), fu invece deciso dal comando della divisione Garibaldi-Osoppo – Friuli che, in quel tragico autunno 1944, a fronte dello sbandamento delle formazioni partigiane, assunse una funzione guida. I responsabili di tale comando, “Ninci” e ““Andrea” giunti in Carnia dalla pedemontana occidentale con forze superstiti, sotto l’incalzare dei rastrellamenti, avevano preso parte, il 20 novembre 1944, all’importante raduno di tutti gli esponenti delle forze partigiane dopo i grandi rastrellamenti tedeschi, Osoppo compresa, nella valle di Pani, e fu in tale riunione che il commissario “Andrea” espresse ed impose la necessità di condurre nell’inverno, contro il parere alleato, la resistenza sui monti ( pagg. n. 63-65 del citato mio volume “L’Armata Cosacca …” ) E rilevante constatare come, il provvedimento di riabilitazione, costituisca prova ed avallo alle conclusioni di un recente processo, celebrato nel 2010 nel Tribunale di Tolmezzo”, a seguito a querela di parte lesa per diffamazione, sul caso del commissario Aulo Magrini “Arturo”. La relativa sentenza stabilì che il commissario cadde il 15 luglio 1944 colpito a morte dai tedeschi, nel corso di un’imboscata tesa dai partigiani agli stessi a località ponte di Nojariis, nella valle del But. Prive di consistenza risultarono pertanto, in senso giuridico sotto il profilo probatorio, le voci che si trascinarono a lungo nel tempo, secondo cui l’uccisione del Magrini non era imputabile ai tedeschi bensì ad azione proditoria di uno dei suoi, con l’accusa di esserne l’autore a carico dal capo partigiano Enore Casali “Olmo”, risultata infondata. Mi permetto in ogni modo di precisare che il rischio di taluni capi, di essere uccisi da membri delle proprie formazioni in realtà esistette, stanti consistenti indizi e particolarità accertate sulla presenza, successivamente al caso Magrini, di una quinta colonna infiltrata nelle file partigiane collegata a una coalizione reazionaria ambientale, argomento sollevato nel mio volume “Lo Sterminio Mancato” – Mursia 1982.. Poco dopo la morte del Magrini, il 27 luglio 1944, durante un attacco del battaglione Carnia alla caserma della gendarmeria tedesca di Sappada, nel vicino territorio del Cadore, cadeva il comandante “Aso”, Italo Cristofoli, ed al riguardo si sparsero voci che, a colpirlo, sarebbe stato qualcuno dei suoi. L’argomento finì per spegnersi ma il caso rimase non definito. Obbiettivo della coalizione reazionaria accennata, attraverso un abile gioco di contatti ed influenze che segretamente avevano coinvolto ed ottenuto l’appoggio di un alto funzionario tedesco, l’ing. Franz Gnadlinger, creando un potere trasversale, era di fare della Resistenza un’organizzazione puramente patriottica, disinnescata da intenti progressisti e rivoluzionari, il che era noto all’Alto comando tedesco… Elementi della Garibaldi, disponibili alla delazione, risultarono attratti dalla reazione che aveva interesse a disporre di un canale informativo riservato sul terreno partigiano onde recepire informazioni… In una riunione tenuta ad Ovaro intorno al 20 ottobre 1944, presenti gli elementi della coalizione e l’alto funzionario tedesco ing. Gnadlinger, fu freddamente proposta dal medesimo ed affrontata una questione “eliminazione individui ”, intesi tali taluni comandanti partigiani, considerati pazzi criminali. “Esisteva quindi un piano, orchestrato anonimamente, contro i rivoluzionari della Garibaldi”. Nel 1983 entrai in contatto con la moglie di Enore Casali, vedova Ines Maria Rupil, emigrata in Argentina la quale mi dichiarò, per iscritto, di essere emigrata in quanto: “ …rimasi con tre figli di 4, 7 e 10 anni, senza casa e nessun aiuto e protezione…”. Riguardo la condanna del coniuge precisò testualmente: “… mio marito, capo partigiano, fu ucciso dagli stessi partigiani in una situazione che non divenne mai chiarita. Dal primo momento si pensò che lo facessero per silenziarlo perché conosceva troppe cose che potevano mettere in situazione difficile molti di loro “ ed in riferimento alla morte del comandante “Aso” asserì che “… il fatto non è mai stato chiaro”. Il lapidario verdetto della sentenza del contro processo assorbente ed invalidante false accuse ed imputazioni addossate al capo partigiano Enore Casali “Olmo” dichiarato INNOCENTE, offre implicitamente attendibilità alle deduzioni della vedova anche per confidenze fattemi a fine guerra da partigiani, per cui la causa della sua eliminazione viene ad assumere altra veste e risulta motivata da interessi di altri a sopprimerlo in quanto ritenuto testimone scomodo di talune vicende. Non tutto quello che si è verificato nel corso della stagione partigiana della Carnia è stato pubblicato o comunque reso noto da parte di depositari, anche e perché vi sono limiti oltre i quali entra in gioco la riservatezza ed il diritto di tutelarla. Porcia (Pordenone), 07 gennaio 2015 PIER ARRIGO CARNIER

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