lunedì 29 maggio 2017

CALMUCCHI


COMUNICATO
Cari lettori e lettrici, non solo italiani, ma soprattutto amici slovacchi, russi, calmucchi, mongolici delle steppe dell’Asia, mi permetto di segnalarvi riguardo il mio post di 36.706 battute, riproposto il 18 maggio corr. sotto il titolo “CARNIA 1944 – TESTI- MONIANZA STORICA DI QUELL’ ESTATE PARTIGIANA CON CRUENTE RAPPRESAGLIE TEDESCHE E GRAVI CARENZE ALIMENTARI …” il testo di una recente aggiunta al paragrafo nr. 6 concernente la strage di oltre una dozzina di prigionieri calmucchi consumata dai partigiani nel 1945 in Carnia, a guerra cessata, in un’abetaia sulle falde del monte “Piz di Mede” sopra Zovello.

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“”….A questo punto non posso evitare di aggiungere, a proposito dell’eliminazione fisica dei prigionieri stante la mancanza di mezzi per il loro sostegno e di luoghi adatti per la custodia che, a guerra cessata tale possibilità sussisteva, peraltro imposta dalle norme internazionali a protezione dei prigionieri, ciò nonostante si verificarono stragi ed uccisioni singole passate tranquillamente sotto il silenzio. A onor del vero avverto un turbamento quando mi torna in mente un fatto di cui fui personalmente testimone. Nel pomeriggio del 3 maggio 1945, quando ormai l’enorme massa di cosacchi, attraversata la Carnia ( non meno di 100.000) alternativamente a forze tedesche aveva superato il Ploeckenpass che immette nell’ Austria, nel mio paese, passando accanto alla vecchia stazione ferroviaria, notai circa oltre una dozzina di soldati in uniforme in posizione di sosta, vigilati da un partigiano. Stavano sdraiati per terra con le spalle a la testa appoggiata allo zainetto. Mi avvicinai per fare loro qualche domanda in tedesco, con un certo disappunto del partigiano. Rivelavano nel fisico delle caratteristiche asiatiche: non alti, occhi a mandorla. Vidi nei loro sguardi, che fissavano il cielo, un’evidente depressione. Indossavano  un'  uniforme nuova di panno color verde betulla, tipico dei collaborazionisti dell’ Est, forse di un verde un po’più marcato : la giacca dal collo chiuso, classico delle divise tedesche, e le mostrine rettangolari, tinta arancione, con lance incrociate. Mi resi conto, ed ebbi conferma da successive indagini, che si trattava di appartenenti alle forze calmucche, popolazione asiatica e in parte insediata tra il basso Don ed il Volga, con cui i tedeschi, stante la forte disponibilità di prigionieri, avevano formato una grossa unità (Kalmichisches Kavallerie Korps). Probabilmente potevano essere elementi appartenenti a forze di detta unità giunti in Italia, e destinati negli ultimi tempi sul fronte del Po, ma si sarebbe potuto trattare anche di turco-mongolici appartenenti alla “ Ostürk. Waffenverband d. SS.” vale a dire “ Forze SS. turchi dell’Est” dislocate a Sondrio, Bergamo e in altre zone della Lombardia, per cui, trovandosi in ritirata assieme ad unità tedesche e cosacche, erano caduti in mano partigiana. Di lì a poco giunse un altro partigiano che aveva l’ aria del capo il quale, più che a parola a gesti, fece intendere che bisognava partire. Li vidi allontanarsi, sembravano dei giapponesi e provai pena per loro. Seppi successivamente che avevano attraversato il mio paese poi furono visti lungo la Val Calda. Queste notizie mi convinsero che qualcosa non funzionava in quanto, quali prigionieri, avrebbero dovuto essere concentrati verso i punti di raccolta , e quindi in direzione opposta, verso Tolmezzo ed Udine. Qualche tempo dopo appresi la notizia da dei pastori che, quei prigionieri, nell’ entità di oltre una dozzina dall’ immagine asiatica, scortati da partigiani, furono visti in sosta nel villaggio di Zovello per poi proseguire sulla mulattiera che porta nei boschi di “Costalops” sotto le malghe “Riumal” e “ Bosch da Piera”, zona dominata dal monte “Piz di Mede” dove, secondo voci, vennero uccisi. Via via nel tempo un imprenditore carnico di utilizzazioni boschive, di cui cito le iniziali (E.D.I.), mi dichiarò che i resti di quei prigionieri, furono rinvenuti da suoi boscaioli, sparsi all’ interno di un bosco nelle menzionata zona “Costalops” dove i partigiani li avevano lasciati insepolti in pasto a volpi erranti nelle notti. Egli stesso chiamato sul luogo, fece raccogliere quei pietosi resti e seppellire. Non mi fu detto, perlomeno non ricordo se, fra i resti, fosse stata trovata qualche “ Erkennungs Marke” (piastrino di riconoscimento). Mi auguro che i lettori non restino insensibili a questa storia di morte dai biechi risvolti, consumata dai partigiani con l’obbiettivo di far sparire le tracce per cui è mio auspicio che se ne parli, se ne diffonda la conoscenza...

28 maggio 2017 PIER ARRIGO CARNIER




NOTA IMPORTANTE. Il presente post è stato pubblicato il 20 giugno 2017 sill' importante quotidiano TRENTINO LIBERO ON LINE.


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