sabato 31 ottobre 2015

EINTRITT VERBOTEN (INGRESSO VIETATO)


CRONACA PARTICOLAREGGIATA DI LONTANE
VICENDE DI GUERRA: OTTOBRE 1944,
TEDESCHI E COSACCHI NEL MIO PAESE.


La recente rievocazione legata al commissario partigiano Guerra (Foschiani Mario) diffusa nelle mie  puntate del 5,11,17, 22, 25 ottobre, ha rimosso in me  lontani ricordi dell’epoca partigiana quale testimone del tempo oltre che collaboratore a fianco di uno dei membri di rilievo del C.L.N.( Comitato di Liberazione Nazionale) Val Gorto, come  precisai in altre circostanze. Vissi pertanto quel clima teso d' attese e di paure  nell’ imminenza e durante i rastrellamenti tedeschi nonché le  improvvise notizie di  accadimenti  incresciosi. Ed ecco la cronaca di qualche ricordo. Nella prima quindicina dell’ottobre 1944 per sfuggire ad un rastrellamento che precedette l’arrivo dei cosacchi, con mio fratello Alcide ed un compaesano detto “Bibi” (Luciano Biasotti) cercammo, come altri, rifugio in montagna. Appena fuori dal paese incrociammo una formazione partigiana della Garibaldi di una trentina di elementi che, in ritirata dalla valle del But, si dirigevano nella val Pesarina. Nella maggioranza erano armati della pistola mitragliatrice sten e taluni di mitra.
Con alcune ore di cammino ci portammo sulle pendici del monte Crostis, nei pressi della malga Naval, sistemandoci in uno stallo detto “Stalon”. Avevamo scorta di viveri e da quel luogo, altitudine circa 1800 metri, muniti di un prezioso cannocchiale Zeiss, potevamo controllare il fondovalle e il nostro stesso paese Comeglians. C’era in noi tensione e tuttavia ci pareva di essere al sicuro, ma era solo un' illusione perchè al sicuro non eravamo affatto in quanto i  tedeschi battevano anche le montagne e in quel luogo (lo “Stalon” lo si vedeva dal fondovalle) sarebbero potuti arrivare e, ritenendoci partigiani, ci avrebbero fucilati o quantomeno deportati. Da lassù notammo l’arrivo dei tedeschi e degli stessi cosacchi (Nota n. 1). Dopo alcuni giorni, decidemmo tuttavia di tornare in  paese per renderci conto di ciò succedeva laggiù anche perché stavamo esaurendo i viveri  di scorta. Scendendo dalla montagna lungo scorciatoie scorgemmo chiazze di funghi commestibili che, in parte, raccogliemmo e mettemmo separati da un divisorio nei nostri zaini. Raggiunto il fondovalle passammo per Valpicetto, paese  in comune di Rigolato dove notammo del fumo che si alzava dai ruderi di uno stallo ormai distrutto da un incendio. Fummo informati da un casuale valligiano che, una colonna tedesca  avendo sorpreso nello stallo tre partigiani, che in seguito sapemmo erano del paese di Illegio, li fucilarono assieme  a un anziano casaro di malghe che si trovava sul luogo, proprietario dello stallo che poi incendiarono. I quattro morti, in seguito all’incendio, furono trovati mezzi carbonizzati. Tale notizia ci turbò per cui proseguimmo con una certa apprensione ed  imboccammo una mulattiera che correva fra i boschi di fondovalle sulla sinistra del fiume. Arrivammo nel paese di Mieli. che ormai calavano le prime ombre della sera. Superata l’ultima casa sentimmo alle spalle una voce che ci gridò:”Alt, Alt “.
Ci fermammo sbigottiti e notammo due tedeschi che venivano verso di noi. Uno dei due era giovane l’altro più anziano.Vestivano l’uniforme delle truppe Waffen SS. da montagna con la stella alpina sul lato sinistro del berretto alla finlandese ed impugnavano il Mauser. ”Documenta”, ci dissero da vicino. Porgemmo quindi, senza profferire parola, il documento di identità assieme a un tesserino che attestava l’impegno di ciascuno di noi, con nome e cognome, nel lavoro per la produzione bellica nell’interesse della Germania. All’azienda industriale dove io, allora studente, comunque lavoravo, li aveva rilasciati per disposizione dell’autorità tedesca (Der Deutsche Berater =Prefetto) che aveva sovranità sul territorio, un comando croato-ustascia sottoposto ai tedeschi. insediato a Bad Lusnizz in comune di Malborghetto nella val Canale, dove l’azienda aveva un noto stabilimento. A “Bibi”, studente che non lavorava , il tesserino glielo avevo procurato io, regolarmente a lui intestato, mentre mio fratello dipendente da un’altra azienda, lo aveva per  conto suo. Credetemi mi piace ricordare minuziosamente queste cose riferite a quegli anni vissuti con tante emozioni. I due tedeschi esaminarono minuziosamente i documenti ed il più giovane dei due, rivolgendosi a mio fratello, gli fece osservare che la statura indicata nella carta di identità, metri 1,75, non era esatta perché a lui sembrava che fosse un po’ più basso. Ci parve, ed ebbimo paura, che volessero trattenere mio fratello, ma dopo momenti di esitazione il dubbio fu superato e i due tedeschi ci restituirono i documenti e ci lasciarono andare.
I tedeschi sospettavano di tutto temendo che, sotto false spoglie, si nascondesse un partigiano. Il soldato tedesco vedeva nel partigiano un fuori legge che, nascosto in un qualsiasi angolo, poteva sparare ed uccidere e poi dileguarsi. Il partigiano rappresentava per il tedesco un’ostilità insidiosa sfuggente le norme  di guerra, in quanto privo dei segni di regolare identificazione, diverso cioè dal nemico che indossava un’uniforme.
Ci riavviammo verso casa che distava ancora alcuni chilometri. Strada facendo incontrammo dei valligiani  provenienti da Comeglians, diretti ai paesi di Noiaretto, Frassenetto e Tualis, a cui chiedemmo notizie. Ci dissero che in vari luoghi vi era stata qualche  vittima, uccisa dai tedeschi durante il rastrellamento, che dei giovani erano stati  deportati,  infine che i cosacchi, giunti nella nostra valle attraverso la val Calda, avevano commesso atti  di violenza su donne, per cui si era diffuso un clima di paura. Arrivammo alla periferia nord del nostro paese e, con sorpresa, non notammo alcuna sentinella. Procedemmo con  cautela e, raggiunto il centro, ci rendemmo conto  della  presenza di molti tedeschi, direi centinaia con diverse macchine ed autocarri parcheggiati. Era ormai buio e temevamo, anche per le notizie ascoltate lungo la strada che, ai tedeschi, vedendo tre giovani con gli zaini,  venisse inevitabile il sospetto che fossimo partigiani e ci arrestassero. Quelle riflessioni ci crearono uno stato di tensione. Potevamo proseguire e semplicemente raggiungere le nostre case ma non ci sentimmo di farlo. I tedeschi ci avevano messo soggezione, sentivamo la loro sovranità e avvertivamo quasi uno stato di sudditanza che rivelava  la nostra fragilità italiana dovuta al collasso in cui era precipatata l’Italia (Nota n.2).
Consultandoci nervosamente ci venne l’idea di presentarci spontaneamente al comando delle forze che, dopo il rastrellamento, stazionavano in paese. Chiesi, in tedesco, ad un soldato di indicarmi “das Kommando Truppe”  ed egli  allungando la mano ed additando una casa dove si vedeva l’ingresso spalancato e illuminato , disse. “ Jaaa, in jene Haus est der Kommandeur ”( Siii, in quella casa c’è il comandante). Entrammo quindi nella stessa togliendoci i berretti, tenendo in mano le carte d' identità e quei preziosi  tesserini con lo stemma croato. C’erano diversi ufficiali in piedi che parlavano tra loro e si voltarono a guardarci. Chiesi allora  di parlare con “der Herr Kommandeur” (il signor comandante). Uno di loro, alto, si fece avanti e ci chiese, in  italiano, “cosa desiderare”  per cui,  tutti e tre, ci rivolgemmo a lui in italiano dichiarando che eravamo cittadini del luogo  che rientravamo da una gita in montagna dove avevamo raccolto dei funghi e, slacciando gli zaini,  mostrammo i funghi. Affermammo che, stante la situazione di guerra in essere, volevamo dimostrare la nostra regolarità di cittadini impegnati nel lavoro ed esibimmo a turno i documenti. L’ufficiale ci guardò un po’ stupito forse per lo zelo dimostrato, guardò i documenti e ci disse: “ Sehr guut, guut, andare, andare (Molto bene,bene, andare, andare) e ci sorrise…!!”
Uscimmo rasserenati.   
Passando accanto a un pubblico noto locale sul lato sinistro della strada,  poco dopo il centro,  di proprietà di un conosciuto benestante, ( S.Tavoschi ), a sua volta  titolare dell’azienda trasporti pubblici della valle, notammo che, il  medesimo,  stava cenando assieme a molti tedeschi, tutti seduti attorno al gran tavolo della sala illuminata, ai quali presumibilmente, su loro pretesa, aveva dovuto far preparare la cena. A guardare quella scena pareva che il paese fosse in festa e non vivesse, invece, la realtà dell'occupazione.
“Bibi”, eravamo vicini alla sua abitazione, ci lasciò per cui proseguimmo soli.
Più oltre nel grande piazzale dell’ ex stazione ferroviaria in disuso da tempo, stava in sosta una  massa di cosacchi con cavalli e carrette che occupavano pure la parallela via principale di accesso al paese, che noi stavamo percorrendo. Era la prima volta che vedevamo i cosacchi . Notammo fra loro anche diverse donne, talune in uniforme militare. Traggo da una mia prima  pubblicazione, risalente al 1957, brevi  frasi  sull’impressione che fecero in me i cosacchi , “”…Nel buio della notte si mescolavano le ombre dei cavalli che fiatavano una lunga stanchezza. La luna venne nel cielo a rischiarare vagamente i loro mantelli, mostrando furtivamente attorno ai carri sagome goffe di soldati dormienti, fucili ammucchiati, ceneri semispente “”.
Leggendo  vecchie pagine di quella pubblicazione provo ammirazione per me stesso. Penso che avei dovuto scrivere un romanzo che, in ogni modo, vive dentro di me, ma sento nostalgia di non averlo fatto.
Fummo costretti a procedere cautamente e, superato quell’addiaccio, ci trovammo finalmente di fronte  alla nostra casa, la prima del paese sulla via principale della valle venendo da  sud. Sul portone d’ingresso risultava affisso un manifesto dove, in grosso stampatello, stava scritto in tedesco EINTRITT VERBOTEN (INGRESSO VIETATO). Pensammo subito che la casa fosse occupata dai tedeschi. Mi ero dimenticato di dire che i miei genitori non c’erano. Ancora prima della nostra andata in  montagna erano partiti, come centinaia  anzi migliaia di carnici, donne  coraggiose soprattutto, diretti a piedi, attraverso il passo di Monte Rest, nella pianura friulana e veneta alla ricerca di granaglie ed altre risorse alimentari, a causa della crisi provocata dall’attività partigiana, avendo i tedeschi bloccato ogni  rifornimento alimentare. In casa erano rimaste le due nostre sorelle e, alla nostra partenza per il monte Crostis, avevamo raccomandato a un’anziana signora della casa vicina di tenerle  sotto protezione.
Suonammo e poi bussammo al portone. Giunse ad aprirci un ufficiale non tedesco ma fascista che guardammo con sorpresa, al quale ci dichiarammo ed egli sorridente ci disse che le sorelle avevano già parlato di noi. Entrammo e ci sedemmo nella sala  dove c’erano altri ufficiali fascisti. Giunsero frattanto, dal piano superiore, le due nostre  sorelle alle quali, dopo un abbraccio, consegnammo gli zaini. Dopo di che, scambiate alcune considerazioni con gli ufficiali, salimmo nelle nostre stanze a rimetterci in ordine. La sera, dopo la cena, fu trascorsa a dialogare con i detti ufficiali. Gli stessi non si toglievano di testa l’idea che noi due fratelli fossimo partigiani scesi dal bosco dopo aver nascosto le armi. Erano tutti pordenonesi e ci lasciarono anche i loro nomi che ora non ho sottomano, ma  ricordo con precisione che uno di oro si  chiamava Messinese. Ci parlarono ovviamente della rinascita dell’Italia attraverso il fascismo repubblicano, delle armi segrete della Germania, del nuovo esercito repubblicano con importanti innovazioni che effettivamente, anche dal mio punto di vista come in seguito mi resi conto, non era cosa effimera e riscuoteva credito negli italiani che si aspettavano qualcosa di concreto in cui credere. Parlarono anche della situazione partigiana contro la quale in tutto il nord Italia, Carnia e Friuli compresi,  era un atto da parte tedesca con l’appoggio fascista, un’inesorabile azione repressiva che portò a un decisivo, per certi versi spietato, travolgimento della forze alla macchia da cui la lotta uscì effettivamente stremata. Nell’autunno, perlomeno in Carnia, quasi non se ne sentiva  più parlare e pochi nuclei resistenti sopravvivevano sulle montagne.
Gli ufficiali  lasciarono la nostra casa nell’ indomani molto presto che ancora era notte, senza salutarci . Quando ci alzammo notammo che, nell’ anticamera, avevano staccato i due quadri del re Vittorio Emanuele III° di Savoia e della regina Elena accostandoli per terra con l’immagine girata verso la parete ed un biglietto accostato a uno dei due dove si leggeva  “ Traditori”. Vent’anni dopo essendomi insediato  con la famiglia nella  città di Pordenone mentre professionalmente lavoravo anche in quel di Venezia, ebbi modo di  interessarmi a dette persone. Seppi che, a fine guerra, detti ufficiali furono arrestati dai partigiani, incarcerati, condannati a morte da un Tribunale del popolo e giustiziati, semplicemente perché fascisti repubblicani. Provai umanamente  dispiacere. Fra l’altro aggiungo un’altra notizia spiacevole. Alcuni anni dopo la fine della guerra seppimo che “Bibi” il nostro amico, che si era trasferito a Milano, era morto.
31 ottobre 2015

PIER ARRIGO  CARNIER


Nota n.1
I cosacchi giunsero al mio paese il 12 ottobre 1944.

Nota n.2
La caduta del fascismo provocata da traditori nel luglio 1943 e il tradimento nei confronti dei tedeschi con la resa separata italiana, del settembre 1943, agli alleati  anglo americani, sulla quale vi sarebbero  alcune considerazioni da esporre, provocò nei tedeschi un’evidente ostilità verso l’Italia che accrebbe nel 1944 con il rivelarsi dell’attività partigiana apportatrice, primariamente, di un contributo in favore degli alleati che, sbarcati nel sud Italia, salivano lentamente lungo la penisola.
I tedeschi si erano insediati nel Litorale adriatico come nel resto dell’Italia fin dal settembre1943,  assumendo la sovranità sul territorio in base al decreto di Hitler del 13 settembre 1943.






Segue timbro apposto su tutti i tesserini rilasciati ai dipendenti e al personale direttivo dell'azienda presso cui lavoravo dal comando delle forze appartenenti alla Legione croato-ustascia subordinata ai tedeschi, insediato a Bad Lusnizz (Malborghetto) in val Canale. Dette forze croate erano addette al controllo della linea ferroviaria Tarvisio-Venezia.









4 commenti:

  1. Grande vastissimo interesse di lettori, molti degli USA ritengo italo americani per questo mio post rievocativo di momenti vissuti nell' ottobre 1944 durante un vasto rastrellamento tedesco che precedette l' arrivo dei cosacchi. Non vi fu alcuna repubblica della Carnia nè un' estate di libertà !!!! CARNIER PIER ARRIGO

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  2. A proposito di questo post mi sono giunti pure oggi diversi messaggi di compiacimento e congratulazione per i contenuti di verità che travolgono il clima di invenzioni allestito da una falsa consorteria di pennaioli e sedicenti storici. Il 1944 non fu, per i Carnici, un' estate di libertà ma un' estate punitiva di sangue , con la tragica rappresaglia tedesca attuata da controbande sulla malghe orientali e a, fine estate, ebbe inizio la "diaspora" cioè il massiccio esodo della popolazione della Carnia, attraverso il passo di Monte Rest, alla ricerca nelle contrade del Friuli e del Veneto di risorse, cereali etc., per la sopravvivenza. Fu un esodo affrontato, andata e ritorno a piedi, riposando ai margini delle strade e nelle stalle. Poi ancora rastrellamenti e quindi arrivarono i cosacco-caucasici quali forze di presidio. Qualcuno ha voluto pure inventare che Hitler aveva loro regalato la Carnia quale futura dimora e c'è tutt' oggi una donna su per la Carnia, credo tolmezzina, che racconta questa favola....!!! 1° agosto 2020 CARNIER PIER ARRIGO

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  3. Grande imprevisto continuo interesse di lettori per questo mio post riferito ai ricordi dell' ottobre 1944, ricordi dichiarati con sincerità. E' meraviglioso constatare che, rientrati dalla località di montagna, sulla falde del Crostis, giunti in paese (Comeglians) massicciamente occupato dai tedeschi, anzicchè andare alle proprie case, si è avvertito il bisogno di presentarsi al comando tedesco come infatti avvenne. Questo spiega e prova che ancora credevamo nei principi, che il potere delle forze di comando avevano ancora un senso... !!! 3 agosto 2020 CARNIER PIER ARRIGO

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  4. Mi soiego meglio riguardo quanti sopra che cioè consideravamo valide le forze dominanti in essere, tedesche, fasciste, collaborazioniste cosacco,,caucasiche, croate quelle che erano mentre la realtà partigiana, pur ravvisando che la stessa era orientata a sinistra anche con esponenti efficaci, risultava unicamente una forza di disturbo da cui non traspariva, perlomeno ancora, un concreto segnale di fiducia per il futuro. 3 ggosto 2020 CARNIER PIER ARRIGO

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