domenica 2 dicembre 2018

Recensione diffusa dal quotidiano indipendente TRENTINO LIBERO il 22.01.2017, sul mio volume “l’Armata cosacca...”



Recensione diffusa dal quotidiano indipendente TRENTINO LIBERO il 22.01.2017, sul mio volume “l’Armata cosacca...”


PIER ARRIGO CARNIER·DOMENICA 2 DICEMBRE 2018


Cari amici e lettori, soprattutto mi rivolgo ai giovani studenti in particolare universitari, mi è capitata nelle mani questa recensione,  sfuggitami a suo tempo, che invito a leggere perchè conferma la verità storica da me accertata  con un lungo  sofferto impegno condotto in silenzio in anni difficili, quando mancava ogni traccia documentale sull’ argomento e nulla si sapeva della tragedia cosacca della Drava, ed in genere la maggioranza degli ambienti culturali italiani,  succubi ed ammaestrati  a considerare la Resistenza patrimonio essenziale della  ricostruzione del Paese, mostravano  insofferenza a conoscerla, considerandola  oggetto di intralcio  alla linea politica ed agiografica della storiografia ufficiale.  Oggi, invece,  grazie il determinante mio primario contributo storiografico alla conoscenza della verità,  la tragedia ha assunto interesse storico internazionale.



“L’armata cosacca in Italia” di P. A. Carnier (ed. Mursia)

Doenica 22 gennaio 2017 - SERGIO STANCANELLI    

 VISITE: 1617

Cosacchi, caucasici, georgiani, ucraini, bielorussi, turchestani furono nel 1944-1945 nell'Italia nord-orientale animati dal desiderio di riaffermare diversità culturali ed etniche che lo stalinismo deliberatamente aveva livellato – erano un milione di uomini, che arresisi agli alleati dopo la sconfitta della Germania col patto di non venire consegnati ai sovietici, vennero con cinismo da Churchill, in omaggio all'alleanza con la Russia e alla libertà per cui si era combattuto, consegnati a Stalin, che li fece tutti massacrare – Lo si è saputo dopo il crollo e la dissoluzione dei regimi comunisti dell'est: la perfida Albione non si smentisce – Capo dei cosacchi irredenti era il generale Pjotr Krassnoff, mitico autore del libro "Dall'aquila imperiale alla bandiera rossa", anch'egli assassinato
Verona, 22 gennaio 2017. - recensione di Sergio Stancanelli
Uno dei primi libri che lessi da bambino prelevandoli dalla biblioteca paterna, fu il romanzo "Dall'aquila imperiale alla bandiera rossa" del generale russo Pjotr Nikolajewitsch Krassnoff (ed. Salani, ricordo), che mi fece una grande impressione. Non credo sapevo, allora, che l'autore era vivente, e che quindi, teoricamente, avrei potuto conoscerlo anche di persona; né tanto meno avrei immaginato che sarebbe stato fatto assassinare da Josef Stalin dopo la fine della seconda guerra mondiale (come neanche immaginavo – eravamo nel 1935 – che ci sarebbe stata una seconda guerra mondiale). Le rivelazioni mi son venute da questo "L'armata cosacca in Italia 1944-1945", 171° numero della collana "Testimonianze fra cronaca e storia – Guerre fasciste e facce di bronzo alleate" dell'editore Ugo Mursia di Milano, 302 pagine, con fuori testo 95 fotografie di proprietà dell'autore, in origine lire 35mila, del quale è autore quel Pier Arrigo Carnier cui già si deve "Lo sterminio mancato" ("Trentino libero" 21 gennaio 2017). L'edizione è ampliata rispetto alla prima del 1965.
Nulla di meglio, mi pare, per presentare quest'opera, che estrapolarne quanto vi si legge nel primo risvolto di copertina, poi che difficilmente il cronista riuscirebbe a condensare con parole proprie altrettanto essenziali e sufficienti il contenuto del volume. Verso la fine della guerra i tedeschi avevano trasferito nell'Italia nord-orientale (Kosakenland) quelle truppe cosacche le quali, in opposizione al regime sovietico imperante nell'Urss, militavano sotto la bandiera dalla croce uncinata nella fiducia o la speranza che la vittoria del terzo Reich abbattesse il comunismo restituendo al loro popolo, così come a caucasici, georgiani, ucraini, bielorussi e turchestani, le differenziazioni etniche e culturali che lo stalinismo aveva deliberatamente livellato. Merito dell'autore è avere individuato l'importanza e la portata dell'opposizione al comunismo in Russia, manifestatasi anche in armi in un movimento imponente che portò un milione di combattenti dell'Europa orientale a militare contro il regime che con la violenza si era instaurato nelle loro terre.
Il destino di tutta quella gente fu segnato dalle pattuizioni di Yalta, secondo cui tutti coloro di germe russo che si fossero schierati avverso al regime comunista avrebbero dovuto al termine della guerra essere consegnati ai sovietici insieme con le loro famiglie. Il loro destino fu scientemente sacrificato e sottaciuto dagli anglo-americani, che in omaggio all'alleanza con Stalin, ne ignorarono i significati e le profonde ragioni storiche e politiche, riemerse soltanto dopo il crollo e la dissoluzione dei regimi comunisti nell'Europa orientale. L'autore lascia al lettore la valutazione sul piano storico e su quello morale riguardo all'operazione di consegna attuata con la violenza. «Ci consegneranno ai bolscevichi – disse il generale Krassnoff agli ufficiali cosacchi allorché si rese conto del tradimento britannico – e ci attende la morte, che dobbiamo affrontare con fierezza, in piedi e senza strisciare: ma gli inglesi non ne usciranno con onore.»
E a proposito degli omicidi dovuti al campione della libertà Josef Stalin, cui recentemente si è saputo va addebitata anche l'uccisione dei fratelli Rosselli commissionata al fine che ne venisse incolpato Mussolini, si vedano in pagina 17 gli episodi degli affamati fatti fucilare per avere sottratto un pane per i propri figli, e in pag.25 nomi e cognomi dei fuorusciti fatti assassinare all'estero dopo essere stati costretti a rifugiarsi in occidente. Sono esposti anche numerosi episodi con i quali i partigiani italiani diedero consueta prova del loro coraggio colpendo alle spalle militari germanici per poi lasciare che, ad onta dei manifesti affissi nei villaggi, ostaggi venissero fucilati e case distrutte dalle truppe tedesche per rappresaglia in base alle norme della Convenzione di Ginevra. Richiamo l'attenzione del lettore su pagine come la 76, che riferisce l'uccisione da parte dei partigiani italiani, assassini per vocazione e di professione, dei prigionieri cosacchi, poi gettati nei gorghi del torrente Leale, dei cosacchi uccisi a decine sulle montagne di Alesso, di altre decine gettati nelle foibe sopra Avasinis, ed altri ancora, sia giovani che anziani, massacrati dopo che si erano dati prigionieri in località Chiadin-Narusseit. Insieme con i cosacchi venivano assassinati gli italiani che avessero dato loro ricovero o da mangiare o da bere.

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