lunedì 18 novembre 2019


FRAMMENTI DI RICORDI SULLA RITIRATA COSACCA : 2 maggio 1945


PIER ARRIGO CARNIER·DOMENICA 6 GENNAIO 2019·8 MINUTI29 letture
Cari amici e lettori, in relazione alle vicende rivangate nelle recenti trasmissioni televisive con spezzoni di mie dichiarazioni su cui già ho riferito, mi sono tornati in mente dei fatti inerenti alla ritirata cosacca del maggio 1945, che qui di seguito voglio rievocare anche in risposta  a richieste di lettori interessati all' argomento Ovaro, da me trattato nel volume "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945" la cui riedizione, su contratto già firmato con nuova copertina e qualche integrazione, è programmata  dal  mio editore (MURSIA-Milano),  per un prossimo nuovo lancio.
O V A R O
Presto nel mattino del 2 maggio 1945 nella mia valle tutti sentirono un' esplosione che fece vibrare i vetri delle finestre. Si trattava del brillamento di una carica di dinamite, fatta esplodere su iniziativa dei partigiani dell' Osoppo, che provocò nel villaggo di Chialina,  posto ad alcuni chilometri a sud del mio paese, il crollo di  una caserma dove stavano  alloggiati dei cosacchi,  taluni con le proprie famiglie e quindi con donne e bambini. Ovviamente la gran parte decedette sotto il crollo salvo una ventina di feriti. Poco dopo, potevano essere le sette del mattino, ed io assieme ai miei  ero appena alzato, avvertimmo all' esterno uno scalpiccio di  cavalli e sentimmo bussare alla porta. Aprimmo. Sull' uscio comparvero diversi cosacchi, di cui  due ufficiali, mentre un cosacco di fianco alla casa badava  ai cavalli. Entrarono  in casa ed uno dei due ufficiali  chiese in tedesco a mio padre che parlava tedesco  se, nel villaggio, ci fossero dei partigiani, quanti e di quale brigata :- "Non ve ne sono . Vi sono solo i georgiani, circa un migliaio, e sono in fondo al villaggio , passati a fianco dell' organizzazione partigiana Osoppo", rispose mio padre. L' ufficiale chiese poi  se la strada, che proseguiva per l' alta valle, fosse interrotta e in quanto tempo si sarebbe potuta raggiungere l' Austria,  al  che mio padre dette tutte le necessarie informazioni. Avevo allora 19 anni. La guerra era appena finita e regnava un' aria di tensione . Pioveva forte.  Quei cosacchi, sfidando la vigilanza partigiana,  provenivano dal presidio di Ovaro. Avevano le uniformi bagnate e bagnati erano pure i cavalli accostati alla casa, che dava sulla strada  ed era la prima casa del paese venendo da sud.
Usciti di casa con un rapido saluto e rimontati a cavallo, quei cosacchi con folle galoppo si diressero  verso Ovaro. Cadeva ancora una pioggia' insistente  ed io, uscito sulla strada, li seguii con lo sguardo fino ad una curva, dove scomparvero avvolti in un pulviscolo nebbioso provocato dal furioso scalpiccio dei cavalli nelle pozzanghere.Poco dopo, in quel mattino, un compaesano delle famiglie di industriali del mio paese che, verso fine guerra avevano creato una coalizione con l'organizzazione partigiana Osoppo, sostenendo  l'opportunità di attaccare il presidio cosacco di Ovaro per  ottenere la resa e, di conseguenza, bloccare la ritirata di oltre trentacinquemila cosacchi in sosta lungo la bassa val Gorto a sud di Ovaro, bussò a casa mia e disse di esporre la bandiera perchè la  guerra era finita. Mio padre ed io ci affrettammo precisare che un drappello di cosacchi a cavallo, giunto in avanscoperta da Ovaro, era appena ripartito dopo avere ottenuto informazioni rassicuranti sulla via della ritirata. Il compaesano sorrise sarcasticamente ed aggiunse testualmente che ""... ai cosacchi di Ovaro, fra poco, ci pensiamo noi (partigiani assieme ai georgiani), ...""
La menzionata coalizione di notabili industriali con l' 0rganizzazione partigiana Osoppo anticomunista assunse  addirittura direi  sovranità decisoria, argomento che però andrebbe spiegato nel suo retroscena e nei dettagli, a me ben noti, ma nel loro assieme ancora mai rivelati motivando  le causali, essendo stato a fianco, quale dipendente aggregato, di uno degli esponenti di maggior prestigio, membro del Comitato di Liberazione Nazionale " Val Gorto".
Forze partigiane dell' Osoppo, al comando di Alessandro Foi, con l'appoggio di qualche decina di georgiani che si erano spostati in comune di Forni Avoltri a nord del mio paese, e qualche elemento della Garibaldi che aderì per singola decisione, attaccarono nella tarda mattinata del 2 maggio il presidio di Ovaro che si difese tenacemente finchè, nel primo pomeriggio, intervennero dei rinforzi costituiti dalla Scuola allievi ufficiali di cosacchi di Villa Santina, dotata di un pezzo di artiglieria, e da consistenti forze del I° Reggimento a cavallo del colonnello A.M. Golubow  (che io personalmente potei conoscere in Austria nel dopoguerra e dal quale ottenni preziose precisazioni) che si trovava in ritirata  a sud di Ovaro. Applicando la tattica dell' accerchiamento i cosacchi del I° Reggimento sorpresero i partigiani alle spalle che caddero colpiti da raffiche,  mentre dei georgiani, sorpresi alla periferia del villaggio, furono fucilati  quali  traditori.
L' attacco ad Ovaro che doveva suggellare trionfalmente l’ operato dell' Osoppo anticomunista  assieme  alla coalizione dei notabili industriali ch’ ebbe una sua sovranità,  onde accogliere l’ imminente ingresso degli alleati americani  in arrivo con un titolo d’ onore probatorio della propria arrischiata collaborazione ( in pratica, scusate se mi permetto di osservare, da fascisti alleati dei tedeschi ci si gettava in braccio all’ avversario vincitore), si concluse nel fallimento con conseguente rappresaglia cosacca sulla popolazione civile che comportò 28 vittime e degli incendi di fabbricati. In un’ultima riunione segreta dei membri del C.L.N. e capi partigiani la sera del 1° maggio, in una casa isolata alla periferia nord di Chialina, era stato deciso di rimanere in posizione di trattativa coi cosacchi, ma a modificare le opinioni di alcuni membri del C.L.N.  giunsero alla riunione dei nuovi elementi, borghesi, col fazzoletto verde al collo quale attestazione di fiancheggiamento all’ “Osoppo” (si  trattava di alcuni imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro) i quali col capo partigiano Paolo dell “Osoppo” riuscirono a far prevalere l’opinione di attacco del presidio. A pag. nr. 170 del mio volume “L’Armata Cosacca in Italia 1944-1945”- con nota in calce nr. 15 è incontestabilmente affermato:- L’ opinione dei nuovi elementi ( imprenditori dell’ industria del legno e qualche altro), che rafforzavano il C.L.N. ebbe prevalenza e l’ attacco fu progettato per l’ alba. L’ idea dell attacco era quindi il volere di una terza forza, di natura borghese, che costituiva una corrente a sè stante appoggiata dalla brigata “Osoppo”.
Per farla breve i cosacchi che, secondo il paesano che passò a casa mia invitando ad esporre la bandiera, sarebbero stati sistemati, travolsero invece l' aggressione partigiana, di cui comunque va rispettato il sacrificio delle vittime, talune di giovani promettenti  che tuttavia mai avevano sparato un colpo, trascinati ad affrontare un’ azione nell’ illusione di conquistarsi la fama di eroi.... L’ azione, in ogni caso, risultò  condotta con  svagatezza come ebbe a raccontare, nelle sue memorie, l’insegnante Pittini e,  del  comandante osovano  Alessandro  Foi emigrato nell'immediato dopoguerra oltreoceano, non si seppe più nulla.
A tarda notte tra il 2 e 3 maggio i cosacchi del presidio di Ovaro, caricati parte dei morti su carrette che poi furono sepolti lungo la strada oltre il Ploeckenpass, col seguito dei trentacinquemila che sostavano a sud lungo la valle, transitarono nel il mio paese per poi seguire la val Calda verso Paluzza e quindi superare il Ploeckepass. Delle  particolarità ancora non pubblicate, frutto di un meticoloso direi appassionato lavoro di ricognizione, riconosciutomi  da molte fonti e con onestà d'animo dallo scrittore Carlo Sgorlon, stanno nel mio cassetto.
E’ doveroso aggiungere che,  il nucleo di notabili industriali, uno dei quali membro importante del C.L.N. al cui fianco, come già riferito,  ebbi ad operare per cui conosco come testimone l’intero sviluppo degli eventi, giunti in macchina ad Ovaro nel primo pomeriggio del 2 maggio in quanto avvertiti che la situazione  precipitava e quando ormai stava verificandosi l’ intervento dei rinforzi, furono arrestati dai cosacchi del presidio comandato dal colonnello G.P. Nasikow, cioè non da quelli sopraggiunti a rinforzo, ed allineati per la fucilazione due volte, miracolosamente poi sospesa.  Trattenuti come ostaggi nella notte seguirono la lenta angosciosa ritirata, per poi essere lasciati liberi lungo la val Calda prima del villaggio di Ravascletto.Uno di loro, persona che ricordo motivatamente con rispetto per la correttezza morale,  direttore di banca nel mio paese, rag. De Antoni Migliorati,  associatosi  al gruppo dei notabili ritenendo doveroso il rendersi utile nelle circostanze del momento, incontratolo nel dopoguerra a Vicenza mi dichiarò che, dopo il primo  intento di fucilazione da parte cosacca, tolse di tasca un bloch notes e, con brevi parole, vi annotò freneticamente le proprie volontà testamentarie...
Nella notte menzionata, mentre nevicava, la ritirata attraversò il mio paese reso disabitato dalla paura e solo pochissimi abitanti si mantennero nelle case. La massa transitò, formata da nere colonne staccate l'una dall'altra, mute perchè nessuno parlava e si sentiva solo il cigolare delle ruote delle carrette e qualche nitrito dei cavalli. La scena era biblica, grandiosa, immagine della sofferta epopea cosacca, che cercava la libertà  (...Si suchen die freiheit..!.=  Essi cercavano la libertà !) La cosacca T.N. Danilewitsch, convivente del colonnello A.I. Medynsky, dirigente della Scuola allievi ufficiali cosacca, da me rintracciata nel dopoguerra in Inghilterra, mi precisò  che, fra le forze in ritirata provenienti dalla linea di fronte del Po, c’ erano due battaglioni di donne cosacche di cui mi descrisse l'uniforme dalle mostrine rosso arancione con le lance incrociate. La cosacca S. Helene Kevorkova, laureata in medicina, conosciuta in Austria nel dopoguerra, mi riferì  sulla ritirata delle particolarità interessanti, esternando le sue sensazioni umane vissute con partecipazione ardente  in quei giorni di fine guerra  gravidi di emozioni,  di attese e di speranze. Rammento le sue frasi allorchè, in uno degli  incontri in Austria, a Doelsach nell' Osttirol, mi riferì, come infatti ebbi a raccontare  nel mio ultimo recente libro "Cosacchi contro Partigiani" a pagg. 132-133, la gioia che provò nella ritirata, in territorio austriaco, dopo aver vissuto le bufere, passando le notti rannicchiata sulle carrette, vedendo nella valle Drava il sorgere del sole sui monti Tauri innevati.
 Non posso rinunciare, riguardo la Kevorkova,  superando la rigidità storiografica i cui principi non ammettono divagazioni sentimentali e romantiche, a ricordarla come donna  dotata di  personalità piacente  nel cui volto affiorava una velata impronta d’ impercettibile austerità dovuta  alle sofferte vicende della guerra. Credo che, dopo il crollo del comunismo all’ est, anni 1989-1990, possa avere fatto ritorno in Russia, ma non nascondo che provo  nostalgia  ricordando   i piacevoli colloqui, evocativi di consumate lontane tragedie ed altre vicende, nel clima distensivo dell’ Osttirol in Austria, terra dai sentieri ordinati, ed in estate profumata di bosco, di fieno e  garofano selvatico.
6  gennaio 2019                                       CARNIER PIER ARRIGO

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