giovedì 21 gennaio 2016

CONSIDERAZIONI SULLA PUBBLICAZIONE DAL TITOLO “ I COSACCHI IN CARNIA 1944-1945”, DEL DOTTOR GREGORIO VENIR, QUALE PARTE DI UNA TESI DI LAUREA DISCUSSA PRESSO L’UNIVERSITA’ DI BOLOGNA NEL 1994.


COMUNICATO.

Agli amici interessati a vicende storiche ed ai centri archivistici storiografici della Slovenia, Bosnia. Slovacchia. Mosca. Alle comunità cosacche di Germania, Francia, Serbia, Stati Uniti, Canadà, Argentina ed alle comunità caucasiche di Germania e Turchia.     
Un amico, fra i tanti di Facebook, e precisamente il signor Leita Lucio, mi ha cortesemente inviato copia della pubblicazione del dott. Gregorio Venir, dal titolo I COSACCHI IN CARNIA, 1944-1945. Si tratta di uno studio di 94 pagine, che è parte di una tesi di laurea in Storia contemporanea discussa dall’autore ventiseienne presso l’Università di Bologna nel 1994.
Colgo quindi occasione per un mio intervento integrativo inteso a fornire delucidazioni e precisazioni che, da parte mia, ritengo utili ad esaustivo approfondimento dell’argomento con l’aggiunta, sebbene non pertinente,
di qualche sensazione  personale vissuta.

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La tesi si fonda su pubblicazioni uscite nel dopo seconda guerra che affrontano l’argomento dell’insediamento dei cosacchi, da parte tedesca, nel circoscritto territorio della Carnia, nord Friuli e parte del Goriziano, ribattezzato “COSSACKJA” Il testo principale preso in esame , asserisce il Venir, è “L’Armata cosacca in Italia 1944-1945”- De Vecchi-Milano 1965  di cui sono autore alle cui argomentazioni è dedicato nella tesi ampio spazio con disamina dei contenuti posti, in taluni casi, a confronto con richiami a pubblicazioni di altri autori, diffuse,  in ordine di tempo, successivamente alla mia e con riferimenti ad altro mio volume  “Lo Sterminio Mancato”- Mursia, Milano 1982 ed a vari miei articoli pubblicati sulla stampa. Peccato, devo dirlo subito, che all’autore, laureatosi nel 1994, sia sfuggita la riedizione de “L’Armata Cosacca in Italia 1944-1945” diffusa nel 1990 dal cessionario Gruppo Ugo Mursia-Milano con successive diverse riedizioni su piano nazionale, ampiamente integrata da nuovi preziosi dati  acquisiti e da ponderate valutazioni sul piano storico che avrebbero offerto al laureando una più agevole comprensione dell’evento sotto il profilo fattuale e storico.
L’aggiornamento del testo diffuso dalla Mursia, con altri inserimenti, ha preteso un mio notevole impegno per un allineamento rigoroso alla realtà degli  avvenimenti in senso storico,  suscitando forte interesse nella Direzione nazionale RAI-TV che, mediante un’equipe, realizzò poi , su mia documentazione d’archivio con la mia e qualche altra testimonianza, il film documentario “COSSACKIA” della durata di due ore. E’ innegabile che, le due menzionate pubblicazioni ed il filmato, mediante una trattazione radicata su fondamento documentale e dei contatti con autentici protagonisti, apersero in certo senso gli occhi agli italiani, superando ampiamente la provincialità. Motivato da interesse venne ad incontrarmi anche il famoso regista internazionale Fred Zinnemann col proposito di realizzare un film, progetto che insieme concordammo in  alcuni incontri, uno dei quali in Austria sulla Drava. La realizzazione venne poi sospesa dalla casa produttrice Fox francese, per motivi politici e, diciamolo pure stando a quanto mi riferì Zinnemann, perché il film avrebbe evidenziato la disumana, delittuosa, barbara operazione degli Alleati, di consegnare i cosacchi ai sovietici, che equivalse ad un atto di morte.  Non posso evitare di riferire l’indimenticabile grande personalità e sensibilità di Fred Zinnemann, ebreo di origine, da cui appresi fondamentali principi e, mi perdonino i lettori se mi permetto di ricordare la gioia  e l’ emozione che provai in Austria, nella Hall dell’ Hotel Post di Lienz, dove lui stava ad attendermi per uno degli incontri e dove, al mio arrivo, una notevole folla di giovani austriaci mi acclamarono, consapevoli che io ero l’uomo scelto da Zinnemann per realizzare la trama del film  sui cosacchi che avrebbe evidenziato la tragica ritirata dall’ Italia attraverso le alpi innevate e la  tragedia della Drava, argomento di cui aveva parlato la stampa austriaca.

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Scrive il Venir a pag. 40:”Credo che sia opportuno esaminare più da vicino la posizione di Carnier, che è un nome che spesso ricorre anche nelle parole di Lizzero.(Nota n.1) Nell’impossibilità di contattarlo personalmente, nonostante ripetute richieste di un  colloquio sempre rifiutato, bisogna accontentarsi dei suoi scritti che, peraltro credo contengano sufficienti indicazioni sulla sua posizione ” Si tratta di affermazione che, assolutamente contesto non essendo  mai  stato contattato dal Venir per cui, di conseguenza, non ho rifiutato alcuna proposta di colloquio che invece avrei accettato volentieri come da mia abitudine, trattandosi soprattutto di argomento riguardo il quale avevo tutto l’interesse  a fornire informazioni.
Vero è, quanto asserisce il Venir, che io non ho dissimulato la simpatia per i cosacchi e ciò a conferma della loro possente fama storica, ma questo non altera l’intelaiatura dei fatti  da me riferiti e descritti. I cosacchi . giunti nell’ottobre 1944 in Carnia,  fomentati inizialmente da una falsa propaganda tedesca che dipingeva la popolazione carnica come nemica e comunista, dettero luogo a spiacevoli incidenti, ad alcuni  atti di violenza e saccheggi, situazione che rientrò tuttavia rapidamente nell'ordine dovuto. Nella realtà di fatto i cosacchi ( ed i  caucasici) in termini storici  furono destinati dall’alleato tedesco nell’ Adriatisches Küstenland  per un loro insediamento provvisorio in seguito alla retrocessione del fronte orientale con la motivazione di garantire la sicurezza del territorio minacciato dalla presenza di bande, qualificate comuniste  ( Nota n.2) che agivano contro l’instaurata  Repubblica Sociale Italiana e contro l’ alleato tedesco considerato invasore, sceso ad occupare l’Italia per colmare il vuoto determinato  dal tradimento italiano dell’8 settembre e combattere gli Alleati sbarcati in Sicilia ed a Salerno,  con particolare interesse  a garantire i valichi del Brennero e  Coccau (Tarvisio) nel caso di una presumibile ritirata.
Al tempo dei fatti, 1944-1945,  pur essendo studente diciannovenne, io non ero proprio un adolescente, come si accenna a fini tendenziosi  nella tesi a pag. n.44, in quanto  lavoravo come dipendente amministrativo presso un’azienda industriale a fianco dell’amministratore  delegato L.D.A. che era, a sua volta, membro di rilievo del C.L.N. “Val Gorto”, organismo per il quale battevo a macchina i rapporti e, tenuto ovviamente al segreto,  presenziavo ad incontri  riservati ed importanti, diversi dei quali, tanto per citarne alcuni, tra l’ amministratore delegato e l’ing. Franz Gnadlinger,  fiduciario della massima autorità dell’Adriatisches Küstenland il  Supremo commissario tedesco, dott. Friedrich Rainer, l’ing. Rinaldo Cioni dirigente delle miniere di Ovaro pure membro del C.L.N  ed in seguito nominato  presidente e vari membri dell’organizzazione partigiana o ad essa legati. Avevo modo quindi di ascoltare ed apprendere  notizie, segnalazioni informative dirette e voci su quanto stava accadendo nell’ organizzazione partigiana della Carnia oltre a conoscere, ovviamente, le decisioni che si prendevano nel C.L.N. “Val Gorto” e le disposizioni riservate che pervenivano dal C.L.N.A.I. (Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia).  Riferisce il Venir a pag. 44 riportando una frase del Lizzero: “” che Carnier viveva in un paese occupato dai cosacchi, il che è vero,(per la verità si trattava di caucasici-Nota n.3) e non poteva quindi avere  informazioni dirette su quanto accadeva tra i partigiani”” ed aggiunge a tal proposito “” e qui ritorna ancora una volta l’accusa di Lizzero sulla “posteriorità” di certe affermazioni””. Si tratta di supposizione del tutto accampata e destituita di ogni fondamento, tenendo fermo quanto da me sopraprecisato sulla  mia posizione e mi permetto di osservare che la critica  della “posteriorità” ”, escogitata dal Lizzero appare  scopertamente pretestuosa,  intesa  ad invalidare affermazioni scomode  le mie comprese.

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 In quanto al movimento partigiano, nelle mie pubblicazioni, tenni conto del giudizio popolare. Il movimento, in base ad attestazioni scritte pervenutemi nel lungo tempo della mia attività culturale e pubblicate ed in relazione alla mia personale testimonianza e conoscenza, in base alla mia riferita posizione, secondo molteplici fatti  spesso  non ha rispettato la dignità popolare. Il movimento partigiano, nei suoi contenuti di fondo, (tralasciando l’ organizzazione Osoppo, scioltasi nell’autunno 1944, su cui va dato un  giudizio del tutto separato) esprimeva non tanto un’aspirazione di libertà bensì un prevalente impegno di rivendicazione sociale con l’obbiettivo di una profonda riforma di fondamento marxista. Era questo  l’orientamento imposto alle formazioni Garibaldi da Palmiro Togliatti, leader senza dubbio di forte carisma e di grandi capacità tattiche, che non ho mai sottovalutato.
La popolazione carnica come altrove, temendo ritorsioni, preferiva tacere in pubblico il suo giudizio sui partigiani che, motivato da comportamenti autoritari ed eccessi, era prevalentemente negativo. Vi si aggiungeva che, fin dall’ inizio, si erano verificate  diverse uccisioni di civili, con l’accusa di essere oppositori o presunti tali, per cui si era diffuso  nella popolazione un clima d' insicurezza. Ai comandi tedeschi, da mie informazioni, pervennero centinaia e centinaia di lettere di delazione, in parte anonime per ovvia precauzione, denuncianti abusi, soprusi, rapine  e delitti dei partigiani con invito accorato a liquidare le bande, così allora definite. Nel tribunale  di Tolmezzo, nell’immediato dopoguerra, risultavano avviate oltre 300 istruttorie penali per omicidi, rapine ed altri reati delittuosi sulla popolazione civile, consumati nell’ ambito della lotta partigiana che  trovarono poi, in certa parte, in seguito ai provvedimenti di amnistia, ingiusta archiviazione. A quel tempo, nell’alta Carnia, esisteva una coalizione reazionaria di notabili. Si trattava di  industriali che gestivano il potere economico, i quali non condividevano la Resistenza, resisi conto  che la stessa era di radicale tendenza comunista, ma fingevano ufficialmente di appoggiarla e godevano d' infiltrazioni ed agganci nelle file partigiane a scopo informativo. A fine estate 1944,  la Resistenza carnica, aveva  perduto per una serie di motivi, che qui tralascio di enunciare, l’aggressività rivoluzionaria iniziale e, con grande abilità, la coalizione di notabili, tramite l’ing. Gnaglinger, era riuscita a far credere, al Supremo commissario dott. Friedrich Rainer, con suo compiacimento che, la Resistenza carnica, aveva assunto un carattere puramente patriottico situazione a  me inequivocabilmente nota ed accertata. Dati i miei lunghi  rapporti di  stretta cara amicizia avuti ,dall’ immediato dopoguerra fino al suo decesso, con Frau Ada Pflüger, tedesca della Slesia, vedova del Supremo commissario Friedrich Rainer e sulla base di documenti mi fu chiaro che il medesimo, nell’esercizio delle sue funzioni, aveva come obbiettivo essenziale la normalizzazione ambientale e coltivava, negli ultimi tempi sul presumibile crollo del III° Reich, il progetto patrocinato dal Vaticano della creazione di una Grande Austria.

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Occorre anche ricordare qual’era il clima predominante di quegli anni (1943-1945) nell’opinione pubblica. Rammento che, dopo l’ecatombe tedesca di Stalingrado (febbraio1943) e la forte retrocessione del fronte orientale nel 1944, reggeva ancora il desiderio nell’opinione pubblica, sebbene fosse un’illusione, che 
la Germania potesse resistere e negli  Stati d’Europa  sotto occupazione tedesca, vi fu un febbrile arruolamento nelle Waffen SS. di decine di migliaia volontari, spinti dalla volontà di giovare al rafforzamento dell’armata tedesca per  bloccare il pericolo della minacciosa avanzata sovietica verso occidente. Allora si era completamente all’oscuro di quanto detestabilmente era accaduto ed accadeva  nei campi di concentramento tedeschi. La Resistenza, rispetto al pericolo che incombeva sull’Europa. era un fenomeno secondario, sicuramente di disturbo per i tedeschi, ma poco convincente nel suo divenire per le popolazioni. ”Le popolazioni non riconoscevano più nei partigiani gli interpreti delle loro aspirazioni, i loro protettori, le forze sane e costruttive del paese…” come ho già scritto spesse volte riportando le sincere affermazioni del partigiano Paolo  Zanelli della  Garibaldi. Di fatto, alla fine del 1944, la Resistenza carnica, come altrove nel nord Italia,  era stata travolta dai grandi rastrellamenti tedeschi.
                                                
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Ritengo di lasciar perdere alcune  osservazioni critiche dell’ autore tipiche nella stesura di una tesi onde dimostrare la dovuta attenzione all’argomento in causa, prescindendo dal fatto che nei contenuti  si riscontra il metodo di non trarre conclusioni definitive laddove si tratti di riferire fatti sgradevoli non edificanti riguardo la Resistenza. Non posso, in  ogni caso, evitare alcuni motivati rilievi. Prendo in esame la  pagina 43 dove, con riferimento all’attività partigiana in Carnia, si parla di una zona liberata dove si tennero libere elezioni. Senza tema di smentita posso affermare che, in Carnia, non ebbe a verificarsi alcuna zona liberata tant’è che i tedeschi mantennero un  costante collegamento tra il capoluogo di Tolmezzo posto a sud e dagli stessi stabilmente occupato, e la cittadina di Sappada, posta a nord  nel Cadore, percorrendo l’arteria stradale attraverso l’intero territorio con frequenti colonne di automezzi e forze appiedate, ma vi fu soprattutto, da parte tedesca, l’attuazione di costanti ricognizioni sul terreno e  rastrellamenti, che costituirono il quotidiano timore e spesso l’incubo della popolazione. In particolare, nel luglio 44, ebbe a verificarsi il rastrellamento e conseguente rappresaglia della zona malghe, al confine orientale con l’Austria e valle del But, che causò la rappresaglia di malga Pramosio che fu una strage di  valligiani innocenti ed altre vittime. I tedeschi mantennero inoltre, per diverso tempo, un presidio di Turchestani nel villaggio di Sauris ed un secondo, di Karstjäger, nella val d’Aupa. C’è pertanto da chiedersi, in tali condizioni, come una  zona in qualsiasi  area si trovasse, potesse intendersi liberata, per cui appare evidente trattarsi di una autentica  invenzione per dar lustro alla lotta partigiana e per ragioni che tralascio di esporre per questione di spazio, già a suo tempo da me pubblicate. In quanto alle  libere elezioni, iniziativa di cui fui diretto testimone, della quale  una stragrande maggioranza di carnici nemmeno sentirono parlare, le stesse risultarono null’ altro una squallida  messinscena priva  del convalidante suffragio popolare.
Più oltre, nella stessa pagina 43 con prosecuzione  nella  44, il laureando cade  in una  interpretazione permissiva, del tutto errata,  su quanto da me riferito ne  “L’Armata Cosacca…“ - edizione De Vecchi-Milano 1965, a pagine  86,87,88 a proposito di un’esecuzione partigiana di due anziani valligiani in val Pesarina il 23 dicembre 1944. Vengo pertanto a riferire il caso seguendo in sintesi lo scritto del mio testo con l’aggiunta di qualche breve risvolto tratto dal brogliaccio di vecchi appunti e dalla memoria, essendo utile che i lettori prendano cognizione. Dei due esecutati si trattava di una donna, detta la “Maga”, che aveva perduto un figlio ucciso dai partigiani e del fratello della stessa, cittadini di Pesariis compaesani  di mia moglie, purtroppo venuta a mancare da alcuni anni. Sul caso, stante la mia familiare conoscenza dei valligiani di Pesariis, ebbi modo di ricostruire e chiarire l’intera vicenda  dal sospettato, ma non provato spionaggio dei due da lato partigiano, all’azione del prelievo notturno grazie al tradimento di un  valligiano delatore che ricevette, a compenso, una grossa somma di denaro e quant’altro. Per la verità se ne parlò molto soprattutto con Cleva Romana, donna ”pesarina” sorella dei due fucilati, nel suo casolare posto sotto le vette dolomitiche della quale tengo  una dichiarazione firmata il 24.09.1962, in cui la stessa riferisce ed afferma che il prelievo dei due fratelli fu effettuato da Nembo (Augusto Nassivera), commissario della Garibaldi ex condannato al confino dal regime fascista. Al fianco di Nembo, come risultò da accertamenti, c'erano alcuni altri , uno dei  quali Tito, nome di battaglia a me fin troppo noto che riemergerà nel caso Mirko …. Da  indagini accurate e  confidenze fattemi  a suo tempo da partigiani, seppi che, la fucilazione dei due valligiani,  fu decisa a scopo deterrente, per vendicare la morte del commissario Gracco (Roiatti Pietro), uno dei più ardenti sostenitori della lotta rossa, avvenuta nella stessa valle a località Pieria, mediante  un’azione dei caucasici  in data   14 dicembre 1944 e quindi pochi giorni prima, a seguito di segnalazione spionistica anonima ed al riguardo mi giunse in seguito  notizia che, tale segnalazione sarebbe stata fatta da un osovano. Nembo, di lì a pochi giorni, il 9 gennaio 1945, cadde sotto  un attacco a sorpresa dei caucasici  nel suo rifugio sul monte Vinadia.
Nell’indomani 24 dicembre, vigilia di Natale, tutti gli abitanti di Pesariis furono spinti a bastonate sulla piazza dai caucasici posti a presidio del villaggio, i quali scelsero una trentina d’uomini, giovani e vecchi da fucilare per rappresaglia, secondo i termini della legge marziale, qualora  non venisse fatta un’aperta confessione indicando gli autori dell’esecuzione. Vi furono scene di panico ed i caucasici parvero comprendere che, la popolazione, era del tutto estranea al duplice delitto. L’esecuzione fu quindi sospesa.
Il mio testo sul caso termina con la frase :  “ ….Certamente, con la fucilazione dei due valligiani, la brigata Garibaldi aveva voluto vendicare la morte del commissario Gracco, ritenuto vittima dell’attività spionistica che allora imperversava “.
Scrive sorprendentemente l’autore della tesi, con riferimento a quanto sopra riportato : ”… mi sembra impensabile che,  i partigiani, attuassero la legge marziale, così come facevano gli occupanti, e tantomeno che si servissero della vendetta. Certo, i due civili furono fucilati, ma per un motivo ben preciso, per spionaggio e non per vendetta, che è  motivazione aggiunta dall’autore, il quale, a sostegno della propria  tesi, fa precedere questa affermazione dalla narrazione di un episodio nel corso del quale un gruppo di cosacchi avrebbe evitato per pietà una rappresaglia sulla popolazione civile.
Si tratta di esternazione che decisamente respingo, viziata nel giudizio  dovuto a non conoscenza e quindi radicalmente priva di fondamento, avendo riferito, da parte mia, gli eventi accaduti nella loro reale successione. Preciso inoltre che non vi è, nel mio scritto, manipolazione o posposizione di fatti per far sì che il lettore tragga un’ impressione diversa dalla verità. I caucasici del presidio di Pesariis (non un  gruppo di cosacchi) pronti all’ esecuzione della trentina di elementi è fatto grave, indelebile. rimasto nella memoria dei valligiani che, il laureando,  sembra trattare con svagatezza per  sfornare una nota di verginità pro Resistenza,  interponendo l’illazione che i due valligiani , la “Maga” ed il fratello”, furono uccisi dai partigiani per spionaggio e non per vendetta con l’ aggiunta, come sopra riportato, di ritenere “… impensabile che i partigiani attuassero la legge marziale, così come facevano gli occupanti". Ciò spiega che il medesimo, autore della tesi ,  non era quindi  informato sulle malefatte dei partigiani perchè anche queste furono Resistenza:  ladroneggi, vendette personali, esecuzioni capitali senza preamboli su due piedi e senza verifiche, intese a soddisfare la brama di uccidere in nome della legge della macchia, delitti di molti di loro dalle mani sporche di sangue, fatta eccezione ovviamente per quell’ altra parte che si comportò con correttezza nei comportamenti rispettando l' ideale della lotta. Ignorava,  evidentemente, il laureando, che i partigiani, non potendo mantenere e custodire i prigionieri tedeschi, li fucilavano, ignorava  il massacro dei cosacchi a Chialina, quello degli sei caucasici fucilati a Casiacco,( pagine n.196-197 de “Lo Sterminio Mancato”)  il criminale massacro dei prigionieri cosacchi con donne e bambini nel bosco Chianâl sui monti di Avasinis, consumato dopo  l’avvenuta firma dell’armistizio e le cessate ostilità,  e molto altro.
Riconfermo quindi che, la fucilazione dei due valligiani, in conformità a valutazioni e confidenze fattemi da partigiani della Garibaldi fu decisa ed avvenne per vendicare la morte del commissario Gracco.



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Al dilà della zona d’ombra lasciata dai comportamenti partigiani nella memoria popolare,  è necessario tracciare un profilo storico della Resistenza carnica, come già scrissi altre volte, riconoscendo che in nome dell’ideale rivoluzionario attribuitole nello stesso diario della Garibaldi perché questo è l’elemento chiave, lasciando perdere false aureole, essa sopportò sacrifici, difficoltà di vettovagliamento, visse delusioni, ebbe vittime, subì deportazioni nei lager d’oltralpe per cui, seppure nel coacervo di intrighi, taluni inestricabili, vi furono figure di resistenti che pagarono con la vita la fedeltà ideale al principio di una radicale giustizia sociale intesa quale apportatrice di profonde riforme.
Il giudizio storico deve tenere in debita considerazione che l’obbiettivo di una radicale giustizia ed equità sociale fu sentito,come elemento portante, a molti dei componenti le formazioni Garibaldi della Resistenza carnica, dai filostali-nisti soprattutto, consapevoli del  disegno di Stalin di un allargamento della sfera d ‘ invadenza sovietica che includeva anche il nord Italia.
Nel volume “Lo Sterminio Mancato”, ho evidenziato, sulla base di certezze, la verità su Porzûs, che non fu, con tutto  il rispetto per le vittime, un eccidio, ma un’esecuzione motivata ( riguardo Porzûs ho difeso Giacca (Toffanin Mario) che condusse l’azione, mediante  vasti miei articoli sulla stampa,  rimasti senza alcun intervento a contestazione, perché nessuno è in grado di farlo e perché sanno che io conosco le vere motivazioni dell’esecuzione ) A tal riguardo è venuto ad incontrarmi in Italia, nella mia residenza, il biografo di Winston Churcill, Richard  Lamb,  per discutere ed attingere notizie etc. etc.


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 Sul tentativo dell’Osoppo, organizzazione partigiana riemersa a fine guerra dopo lo scioglimento autunnale, con qualche nucleo per affrontare i tedeschi ormai perdenti ed in ritirata, proponendosi di ottenere la resa del presidio cosacco di Ovaro e bloccare decine di migliaia di cosacchi in ritirata verso l’Austria lungo la val Gorto, il 2 maggio 1945, il Venir  riporta quanto da me affermato nell’“Armata cosacca in Italia…”  fin dalla prima edizione del 1965, riconfermato  nelle riedizioni della Mursia ad iniziare dal 1990 (vedi nota  a pagina nr. 170 riportata in calce, Nota n.4). Si trattò di ” una decisione dovuta alle insistenze di un gruppo di borghesi che affiancavano il C.L.N., appoggiati dal comandante osovano Paolo ”. Conclude poi il Venir a pag.46: ” In fin dei conti la posizione di Carnier è qui forse la più obbiettiva e la più vicina al vero, se parecchi testi paiono sorvolare sull’accaduto, se lo stesso Lizzero appare così restio a parlarne, qualcosa di vero in ciò che dice Carnier probabilmente c’è, evidentemente ci sono precise responsabilità partigiane….”.   Lizzero “Andrea”, ed altri importanti esponenti della Garibaldi non furono presenti, in quanto impegnati altrove, nell’azione di Ovaro.
Stante il grave  risentimento della totalità della popolazione di Ovaro contro i responsabili della sciagurata azione contro i cosacchi, fu eletta una commissione che provvide  a redigere un  ricorso, che qui  riporto in sintesi, firmato dalla totalità della popolazione  attraverso i suoi capi famiglia: Nel medesimo fu fatta richiesta di effettuare una rigorosa inchiesta allo scopo di accertare le responsabilità delle persone che,  il 2 maggio 1945, provocarono i tragici fatti di Ovaro dopo che già era stato firmato l’armistizio e fossero stati impartiti gli ordini alla calma. Fu chiesto quindi di accertare l’identità dei colpevoli e che, gli stessi, siano chiamati a rispondere dei gravissimi danni materiali e morali .Furono 26 le vittime innocenti e ben sette famiglie rimasero senza tetto e  persero ogni avere.

L’atto prosegue precisando che “ vi è ragione di ritenere che un gruppo di industriali della zona avessero interesse a dimostrare attraverso un fatto d’arme la loro simpatia per gli Alleati allo scopo di mascherare i loro veri sentimenti e assicurarsi in tal modo l’impunità politica”…L’atto fu trasmesso, in data 9 settembre 1945, a S.E. il PREFETTO di Udine – al COMANDO MILITARE ALLEATO di Udine – al PROCURATORE DI STATO di Udine. Non si conoscono i risultati, ma è sospettabile che il ricorso sia stato insabbiato…
Grosse sciocchezze sono state scritte, a gran distanza di tempo, da pennaioli paesani sulla battaglia di Ovaro, emerse soprattutto al Convegno di Verzegnis tenuto in due sessioni separate nel 2005 e 2007, e da me bocciato in conformità a precise motivazioni sul Messaggero Veneto, in data 28.04.2009, sotto il titolo “BOCCIO IL CONVEGNO DI VERZEGNIS”: cui fece seguito un articolato rapporto, sui miei siti Facebook e Blogger, intitolato : COSACCHI. LO STRANO CONGRESSO  DI VERZEGNIS in data 13.09.2013...

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Il Venir riferisce a pag.40 ” che  Carnier  è un nome che spesso ricorre nelle parole di Lizzero”.Suppongo che  il Lizzero possa essersi espresso, nei miei confronti, in senso critico, ritenendomi  opposto alla sua posizione . In ogni caso a pag. 88 della tesi, in un’intervista rilasciata dal Lizzero, il medesimo  dice : “”Carnier ha preso  una posizione precisa e va rispettato”: Dal punto di vista storico l’On.le Lizzero, per quanto di mia conoscenza, svolse nel movimento partigiano un ruolo di essenziale responsabilità al vertice. Fu lui, in una riunione di esponenti partigiani responsabili nell’alta valle di Pani in Carnia, il 20 novembre 1944, in uno dei più tenebrosi momenti  della lotta partigiana,  ad imporre  la continuazione della Resistenza sui monti come precisai a pag.64 delle più volte citato mio volume “L’Armata Cosacca…”
Nella parte da pag.52 a 62 il Venir. passa in rassegna i contenuti di romanzi usciti sull’argomento, autori Sgorlon, Magris, Sibille Sizia e fa riemergere la figura del-
l’atamano generale cosacco Piotr Nikolaevic Krassnoff che fu in Carnia, insediatosi nel villaggio di Villa di Verzegnis. Si tratta di personaggio del quale, oltre a quanto riferito nei miei due volumi, ho esplorato l’intera esistenza. Riemerge nella tesi l’equivoco causato dalla falsa notizia del diario della Garibaldi, a pagina n. 67,  in cui si dichiara che i partigiani, a località Chiassis lungo la val Gorto, nel corso della ritirata,  avevano ucciso il generale Krassnoff. Tale falsità mi costò lunghe indagini per accertare la vera identità del generale e,  grazie all’apporto di cosacchi rintracciati all’estero e, soprattutto, del generale Boris Bogaevsky, rifugiato in Francia fin dall’esodo al termine della controrivoluzione russa, fui in grado di stabilire la verità. Si trattava del generale Teodor Diakonoff, anni 73, nato a Novocerkassk ucciso in  realtà da un partigiano, Ateo Beorchia, come da dichiarazione postuma apparsa sul periodico “Patria Indipendente” nr.14/15-1984, mentre inoffensivo procedeva a piedi in ritirata, come dettagliatemente riferito a pagine n.188,189 de “L’Armata Cosacca…”. Sulla base delle mie documentate informazioni la Commissione tedesca di Kassel, addetta alle onoranze dei caduti,  provvide a scolpire l’epigrafe nella tomba n.527 del campo I° nel grande cimitero militare tedesco di Costernano sul Garda ed  ovviamente diffusi la notizia sul  Messaggero Veneto.
Riscontro comunque che, nella tesi del Venir, nulla appare riguardo la destituzione del generale Krassnoff, rimosso dal comando dell’Armata cosacca appena giunse da Berlino in Italia, su disposizione del SS. Gruppenfuehrer Globocnik dell’Alto comando SS. e Polizia Trieste, con passaggio dei poteri di comando al generale Timofej Ivanovic Domanow, notizia diffusa tra i cosacchi con proclama nr. 4 del 14 febbraio 1945. L’argomento risulta trattato introduttivamente nella parte V de “L’Armata Cosacca….”, riedizione 1990, Mursia-Milano, sfuggita all’autore ed ugualmente a pagine nr.182-183 de “ Lo Sterminio Mancato”.
Termina qui questo mio intervento . Ho rilevato che l’autore Venir ha espresso stupore e disappunto che la vicenda cosacca, sulla quale il Messaggero Veneto e altre testate e poi il Gazzettino, di cui sono tuttora collaboratore culturale, mi avevano dato spazio e quindi ovvia attendibilità, non abbia scosso il freddo mondo culturale friulano dando luogo ad un fecondo dibattito storico, in contrapposizione al fatto, e questo lo dico io che, in molti centri importanti, perfino in Sardegna ad Orgosolo, mi fu offerta la possibilità di tenere conferenze sul caso.
Non posso  non rilevare che l’ambiente regionale,  soprattutto friulano, coercito dalla pesante cappa del clericalismo e vincolato  a subordinazione politica,  risulti condizionato da una chiusura alla conoscenza teoretica e quindi, in riferimento a molte vicende, al riconoscimento  dell’oggettività storica.E’ ormai consolidato che la gestione dell’eredità storiografica della Resistenza è in mano a consorterie  che ciecamente perseguono interessi di parte in danno di un’oggettiva formazione  culturale della collettività, attribuendo all’ insurrezione partigiana prevalenti ed  impropri aspetti agiografici ed occultando alle giovani generazioni la conoscenza di quali furono le concrete risultanze ed i veri fini politici.
 17 gennaio 2016

PIER ARRIGO  CARNIER


Nota n. 1
On.le Mario Lizzero “Andrea”, ex commissario della Garibaldi, personalità rilevante della Resistenza.

Nota n.2
Di tali bande sussistevano elementi probatori di un loro collegamento con le formazioni partigiane slovene di Josip Broz Tito.

Nota n.3
Caucasici della Freiwilligen Brigade Nord Kaukasus e Reggimento georgiano.

Nota n.4
Fu tenuta, la sera del 1° maggio, un’ulteriore riunione segreta dei membri del C.L.N. e dei capi partigiani in una casa isolata alla periferia nord di Chialina.
Nella riunionenil membro del C.L.N. Elio ( Fabiani) aggregato allo Stato Maggiore della “Garibaldi” (in base alla ricostruzione fatta dal medesimo all’autore), manifestò assieme a Da Monte, comandante delle formazioni d’assalto dell’”Osoppo”, la ferma opinione di nun usare le armi contro i cosacchi ad evitare prevedibili gravi conseguenze. Mancava allora alla riunione il comandante Furore, che si trovava col suo battaglione oltre il fiume Degano, nel villaggio di Cella.
Tutto il C.L.N., nel complesso, era dell’avviso di rimanere in posizione di trattativa coi cosacchi. Ma, poco dopo,, a modificare le opinioni di alcuni membri del C.L.N., giunsero alla riunione dei nuovi elementi borghesi, col fazzoletto verde al collo quale attestazione di fiancheggiamento dell’”Osoppo” ( si trattava di alcuni De Antoni di Comeglians, imprenditori dell’industria del legno e di qualche altro), i quali, col capo partigiano Paolo dell’”Osoppo”, riuscirono a far prevalere l’opinione di attaccare il presidio. Mancava allora alla riunione il conte Burgos, inoltratosi con alcuni partigiani verso la pianura per incontrare gli Alleati ch’erano già stati segnalati in arrivo.
L’opinione dei nuovi elementi, che rafforzavano il C.L.N., ebbe prevalenza e l’attacco fu progettato per l’alba. L’idea dell’attacco era quindi il volere di una terza forza, di natura borghese, che costituiva una corrente a sé stante appoggiata dalla brigata “Osoppo”:

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