domenica 11 agosto 2013

INTERVENTI CRITICI SUL FILMATO “ CARNIA 1944 IL SANGUE DEGLI INNOCENTI - ( di D. Ariis)












INTERVENTO CRITICO SUL FILMATO “ CARNIA 1944 IL SANGUE DEGLI INNOCENTI - ( di  D. Ariis)
Poiché qualcuno gentilmente  ha inserito nella mia pagina pubblica di Facebook il DVD del filmato in oggetto, del che naturalmente ringrazio, avendolo ovviamente  visionato mi permetto di esporre un mio punto di vista o chiamiamolo se volete giudizio, se questo era quanto si voleva.
E’ stata inserita anche una premessa che vengo a ripetere :
Tanto per fare chiarezza. L’analisi delle vicende legate agli eccidi sulle malghe carniche ha consentito di approfondire scientificamente un aspetto alquanto controverso in merito ad alcune storie propinate  in funzione antipartigiana da ambienti culturali ostili ai valori della resistenza, “pseudoverità” che hanno contribuito ad “ammorbare” il clima di  ricupero della memoria storica legata ai predetti eventi. Tali “ dicerie” hanno potuto dilagare in tutti questi anni anche a causa di una inerte attività di contrapposizione da parte della storiografia ufficiale. Questo video, in parte vuole contribuire a fare una qualche chiarezza a fronte di un continuo “avvelenamento” della coscienza collettiva.
Ora sarò io a fare, invece,  chiarezza in nome di una sentita verità storica vera quale testimone del tempo dei fatti trattati nel filmato e da tempo studioso dei medesimi.  Vengo subito al dunque. Premetto  di aver percorso e ripercorso quelle montagne in cui verificarono le rappresaglie, cercando riscontri testimoniali in particolare nella gente austriaca della valle del Gail. A suo tempo il Bürgermeister di Hermagor, Vincenz Rauscher, venendo incontro al il mio interesse storico all’ argomento delle  infiltrazioni di bande partigiane carniche  nella valle del Gail  e dove  pure venne ad insediarsi una formazione di  disertori tedeschi, la “Freies Deutschland“ (Germania Libera), di cui, nel filmato, si accenna appena, mise a mia disposizione su una lettera dei nomi di persone attendibili che potevano fornirmi notizie ed eventualmente collaborare onde affrontare una seria ricognizione dei fatti ed in realtà  ebbi della collaborazione, al dilà del mio rapporto, in anni precedenti, con l’organizzazione tedesca SUCHDIENST  che mi offerse la possibilità di andare oltre alla cronaca dei fatti partecipando, in Austria e atrove, quale referente,   a raduni  ristretti di esponenti d’elite ex appartenenti alla Wehrmacht (divisione Brandenburg), alla Gebirgs Division Waffen SS. “Nord”, Gebirgs Brigade Waffen SS. “Karstjäger”, “Prinz Eugen” eccetera, intesi a raccogliere elementi probatori su accadimenti della seconda guerra, esistenza di fosse comuni o  individuali di tedeschi uccisi dai partigiani ed altro ancora.
I miei riscontri derivanti dal supporto austriaco basato su testimonianze combaciano in parte con quanto riferito nel filmato, ma in altra parte no.
Il diario storico della Garibaldi, in riferimento alle azioni condotte  nella Gailtal, riferisce di volta in volta l’entità delle vittime provocate dalle azioni, come da  stralcio seguente:
-26.07.44 attacco alla caserma doganale di Straniz: 7 morti tedeschi e 10 feriti e, nella prosecuzione e dell’azione altri 2  morti e 3 feriti ;
-24.09.44 attacco  caserma doganale di Straniz : 7 morti tedeschi  e 10 feriti;
-5.10.44 attacco caserma doganale di Straniz : 12 tedeschi  morti e 16 feriti.
Dal confronto dei dati tra le notizie tedesche riferite da fonte partigiana e quelle indicate della gendarmeria, sebbene da lato partigiano è pensabile che le notizie sulle perdite  nemiche siano state date con  una certa approssimazione, i dati non concordano. Dalla relazione da me ottenuta dalla gendarmeria austriaca, datata 13.10.1994, risulta che in seguito all’azione partigiana del 26.7.1944 alla Straniger Alpe vi sono due feriti, Jakob Jank e Karl Neuwirt, dei quali  il primo dei due muore. Successivamente, sempre la gendarmeria asserisce che, nello scorrere del 1944 alla Straniger Alpe si verificano 4 nuovi attacchi partigiani nei quali  due funzionari doganali della stazione di controllo di Kirchbach vennero uccisi e un terzo funzionario  viene ferito, ma nel filmato viene indicato, come vittima, solo lo Jank Jakob deceduto,  il 27.7.1944 in seguito alla ferita riportata. Risultano quindi omessi nel filmato i due funzionari doganali di Kirkbach, Fleischhauer Franz classe 1903  e Reinstadler Josef classe 1896, uccisi  dai partigiani  alla Straniger Alpe nell’attacco del  7 ottobre 1944. Decedette inoltre,il 14.03.1945, sempre in un attacco  alla Straniger Alpe, il funzionario doganale Bernhard Albin, classe 1904, ugualmente omesso nel filmato. Tutte le azioni  di attacco alla Straniger furono eseguite dal Gramsci.  Viene poi ad aggiungersi un’altra vittima, pure funzionario doganale, ucciso il 20 luglio 1944 nell’attacco alla casermetta doganale di Rattendorf, come risulta  da ferma dichiarazione resa nel medesimo filmato dall’austriaco Heinrich Lackner e  dal medesimo rilasciata e pubblicata dal Kleine Zeitung, nonostante  non fosse stata segnalata nel diario della Garibaldi dove si parla solo di due prigionieri. Riporto il trafiletto del Kleine Zeitung : 25.10.2007 pag. 31 “….Il 20 luglio giunsero i partigiani dall’Italia, uccisero un SS. doganale ed incendiarono anche la casa della dogana. Dall’ufficiale italiano e i suoi seguaci noi civili fummo fortunatamente  risparmiati. Noi eravamo in 20 persone".
 Le uccisioni certe da parte del Gramsci sono quindi cinque (5) e non una (1) solamente  su cui si insiste nel filmato. Oltre a tali vittime  di addetti doganali militarizzati, la cui uccisione comportava l’attuazione di rappresaglia nei termini previsti dai noti dispositivi, secondo notizie ricognitive vi sarebbero altre sette (7) vittime tra pastori e militi della difesa doganale confinaria uccisi nel corso di azioni  lungo la fascia confinaria della Gaital, per mano partigiana. Evito di riferire dei particolari considerando la notizia  per ora  indicativa in attesa di una consolidata certezza anche  in subordine  alla redazione definitiva di un articolato rapporto di contenuto storico. Concludendo allo stato di fatto le vittime certe sono quindi cinque (5) e non  una dichiarata  nel film, mentre  come accennato,  rimangono in  sospeso, senza per ora assumerne certezza,   altre sette (7).
Rilevo nel filmato una certa genericità nell’attribuzione delle azioni ai tedeschi (Waffen SS., controbande etc.). Manca inoltre riguardo la causale delle rappresaglie sulle malghe,  il riferimento a sospettabili agganci ed intese delle bande partigiane carniche comuniste con il IX Corpus sloveno, obbiettivo confermato da memoriale in mio possesso,  redatto dal capo partigiano C.Bellina mediante l’affermazone seguente: “”….la valle del Gail aveva per noi importanza strategica di primo piano. Significava in parole povere “saldare” i movimenti di resistenza armata austriaca esistenti a nord con il nostro Movimento e il IX° Corpo della Armata popolare iugoslava a cavallo della pontebbana e della Ferrovia Tarvisio-Vienna “”. Ma in realtà movimenti di forze partigiane austriache esistenti a nord, all’infuori dello scarno gruppo “Freies Deutschland” la cui presenza mi fu confermata dal Bürgermeister di Mauthen-Koetschach, Türk, con lettera del 25.04.1978, non risultarono esistiti. Appare comunque evidente che, da parte tedesca, si ebbe a sospettare ed avere  persuasione, come mi fu fatto di sapere la fonti certe ed amiche, che gli attacchi delle bande carniche nella valle del Gail  si collegassero alle azioni  di penetrazione slava nel sud Carinzia anche e perchè la Garibaldi comunista, come da dichiarazione contenuta nel citato memoriale, era favorevole ad un abbraccio con gli slavi e  lo ricorda bene , a pagina n. 113 delle sue memorie, l’agente britannico , Patrick Martin Smith, membro di una missione segreta britannica operante su terreno partigiano in alta Carnia, il cosiddetto S.O.E( (Special Oparations Executive) con la precisazione che: “…un articolo sul giornale comunista locale appariva inteso a preparare la popolazione all’arrivo delle truppe di “Tito” sostenute dal vittorioso esercito sovietico che aveva appena liberato Romania, Bulgaria e Ungheria “. Nel prologo introduttivo del filmato questo ed altri aspetti del direttivo resistenziale comunista e del Partito comunista, risultano ignorati  mentre s’è fatto sfoggio dell’accusa ai rigidi progetti della Amministrazione tedesca instaurata nell’Adriatisches Küstenland  i cui poteri erano stati affidati  da Hitler al Supremo commissario dott. Freiedrich Rainer che, in realtà, impose una linea moderata e chiuse gli occhi, generosamente, su molte faccende su cui so qualcosa, essendo stato per lunghi anni in rapporto di vera reciproca amicizia con Frau Ada, vedova Rainer ed i diversi figli, in particolare con Friedrich, ingegnere, prematuramente deceduto che fu a lungo strenuo difensore della memoria del padre.
Ora le azioni delle bande partigiane carniche nella valle del Gail, motivatamente sospette da parte tedesca di un collegamento all’attività del IX° Copus sloveno operante con infiltrazioni nel sud Carinzia in  esecuzione alla minaccia di Josip Broz Tito di incorporare la maggior parte di tale territorio, esattamente dal sud fino al Grossglockner  nella  nascente Federativa iugoslava, dettero motivo ai tedeschi per una solerte repressione a scopo deterrente  che si abbattè  sulla popolazione delle malghe con uno strascico  nell’alta e valle del But e con l’intento  di provocare insicurezza e costringere i malghesi carnici ed anche austriaci, della stessa zona di confine della Gailtal, ad abbandonare le malghe, togliendo in tal modo    all’organizzazione partigiana una fonte  di approvvigionamento.
La decisione punitiva, interessando il caso il territorio nazionale, fu presa del Ministero dell’interno a Berlino per iniziativa di un alto funzionario austriaco, Barone Freiherr von Dürnberg Pächter, sulla base di notizie fornite da una ricognizione affidata a controbande  (travestite con indumenti di foggia partigiana) ed  inneggianti a Tito, secondo cui la popolazione carnica stava da quella parte,  il che non rifletteva certo il pensiero della popolazione, ma fu questa la falsa impressione di immagine. La motivazione di un accertato inizio di infiltrazioni comunque esisteva ed una spinta all’azione punitiva venne anche dall’attacco partigiano a una colonna tedesca lungo la valle del But, verificatosi il 15 luglio a località “Enfrators” che causò delle vittime e dei feriti,  e dall’ interruzione della strada del Plöckenpass, ma i due fatti costituirono solo un’ aggravante poichè, ove fosse stata decisa  una rappresaglia questa, secondo le regole, sarebbe dovuta scattare  entro 24 ore, il che non si verificò. L’ordine esecutivo della rappresaglia sulle malghe venne certamente dall’alto  in base a sistema segreto per tali circostanze, sul cui meccanismo  che non lasciava traccia l’ex capo di Stato maggiore dell’ Alto Comando SS. e Polizia di Trieste. mio amico  Lerch, mi aveva ragguagliato.
Tornando al caso rappresaglie trattate  nel filmato, all’osservatore non può sfuggire  l’impegno che dal medesimo traspare nel voler dimostrare che le azioni partigiane di prelievo di mandrie di cavalli e bovini nelle malghe della Gailtal  produssero perdite umane minime, causando la morte di un solo funzionario doganale militarizzato, evidenziando inoltre  che, i danni provocati furono  in qualche modo bilanciati da una rivalsa tedesca mediante il consistente prelievo di   bestiame bovino  in territorio italiano, a malga Lanza il 18 luglio  (data risultante da nota del Comando Carabinieri di Tolmezzo),operazione preceduta dall’uccisione a scopo punitivo, dei  due pastori ivi addetti, mentre il 19 luglio vennero uccisi quattro pastori nella sovrastante  malga Cordin. Ma la questione non si pone in questi termini. Le vittime tedesche potevano comunque essere anche molte di più, il che non avrebbe rilievo sul piano storico se l’iniziativa era sorretta da un motivato impegno ideale e strategico a prescindere dal fatto che le vittime furono comunque cinque  fatte salve altre sette , con mia riserva per queste ultime di una ulteriore verifica e certezza.
L’azione punitiva, affidata ricognitivamente e  anche in fase attuativa a reparti speciali, come precisato nel mio volume “Lo Sterminio Mancato”- Mursia editore  , era  finalizzata ad interrompere ogni velleità di creare una situazione di infiltrazione parallela a quanto andava sviluppandosi nel sud Carinzia da parte del IX° Corpus sloveno e, in quanto all’immagine operativa dei partigiani, un’idea la fornisce un articolo apparso in data 21.07.1994 sul Gazzettino di Venezia, edizione di Udine, a firma del cronista Natalino Sollero di Paularo : “….I fatti sono ancora bene impressi tra gli anziani di Paularo che ricordano i partigiani scendere a valle come barbari: capelli lunghi sul torso nudo, fazzoletto rosso al collo, forme di formaggio infilzate sui fucili, cavalcavano e trascinavano numerosi cavalli e armenti…”. Ed in effetti, senza alcun intento spregiativo ,  era questa l’immagine del partigiano, elemento al di fuori delle regole previste per il soldato combattente riconoscibile da segnali  dell’uniforme prescritti da norme internazionali, ma libero nella foggia del vestiario, braccato e senza fissa dimora,   costretto a decisioni ed azioni rapide  ed  uccisioni sbrigative di oppositori o presunti tali, il che finì per imprimerle una certa spregiudicatezza, motivato infine, laddove occorresse, ad assumere atteggiamenti impositivi onde rendere funzionante l’ organizzazione logistica.                
Riassumendo il senso del filmato appare  racchiuso nel  martirio delle complessive 49 (quarantanove) vittime innocenti delle rappresaglie sulle malghe e dintorni ( alta valle del But) (nota n.1) che, nella realtà storica, furono un prezzo pagato dalla popolazione  per causa partigiana e qui tralascio di innescare, al riguardo,  un giudizio a più alto livello che comporterebbe una delicata dissertazione espositiva di norme relative alle convenzioni  internazionali, argomento però da trattarsi in sede storico scientifica.
Non posso sottacere e mi permetto di puntualizzare che la guerra partigiana sviluppatasi in Carnia, nella breve stagione di alcuni mesi estivi,  non dette luogo e spazio di fatto ad alcuna “Repubblica libera” o “ Repubblica di Ampezzo” menzionata nel filmato, vera e propria invenzione di comodo da me radicalmente e motivatamente contestata, che  comportò fra i vari sacrifici pagati dalla popolazione,  la tragica vicenda delle malghe. Rilevo inoltre che  non si accenna nemmeno,  sul piano oggettivo e storico, quale fu il rapporto dell’attività partigiana con la popolazione e cioè la linea di condotta, elemento di rilevanza storica che non può essere sottaciuta. Dico questo poichè nell’immediato dopoguerra, nella sola giurisdizione del tribunale di Tolmezzo, risultavano avviate oltre 300 istruttorie penali per omicidi ed altri fatti delittuosi sulla popolazione  civile, consumati nell’ambito della lotta partigiana. Si tratta di istruttorie che finirono tuttavia per essere in buona parte archiviate, in quanto  omicidi e delitti a seguito di provvedimenti di amnistia, trovarono prevalente giustificazione nel concetto dell’azione di guerra. Espongo questa situazione non per suscitare un’immagine aggravante  della lotta partigiana ma perché il carattere della stessa, come appare dall’introduzione del diario della Garibaldi, fu rivoluzionario per cui rientrava implicitamente nella natura della lotta  che si sarebbero potute verificare uccisioni, stragi, furti etc. e questa cose in qualche modo vanno almeno accennate  in una rievocazione filmistica indirizzata a far conoscere la realtà storica in senso educativo e didattico alle nuove generazioni, spiegando concretamente quali furono le ragioni fondamentali della sollevazione dettate, a mio giudizio, da un consistente sottofondo  di rivendicazione sociale.
Da ultimo l’esibizione nel filmato di una targa ricordo, da parte dell’austriaco Heinrich Lackner di Spittal an der Drau a memoria dell’azione su Rattendorf,  va corretta,  sulla base di prove da me acquisite e rese note, indicando i tre nomi del triumvirato guida che condusse effettivamente l’attacco alla casermetta  e cioè : Buzzi Simone “Niti”, Tarussio Giacomo fu Lorenzo, classe 1922, Medean Luigi “Bigio”.
Concludendo poiché nel preambolo introduttivo del filmato si accenna a “pseudoverità” storiche propinate  in funzione antipartigiana da ambienti culturali ostili ai valori della resistenza, ”pseudoverità” che hanno contribuito ad “ammorbare” il clima di ricupero della memoria storica legata ai predetti eventi, stante il fatto che la mia posizione ha un distinguo perchè si colloca nella  classificazione storica apolitica degli eventi, monda da esaltazioni agiografiche ed ispirata al realismo storico regolato da “ causali ed effetti” comunque nel pieno rispetto di  ogni nobile principio di reazione e quindi resistenziale laddove realmente fossero risultati lesi la dignità nazionale di italianità ed i diritti fondamentali del cittadino, ho ritenuto di ripercorrere fatti e le circostanze del filmato quale testimone del tempo e studioso della materia, con alle spalle una lunga specifica attività giornalistica storico documentale svolta secondo gli accennati principi.

-Nota nr. 1 : secondo i  dati dell’Istituto per la storia del movimento di liberazione di  Udine le vittime delle rappresaglie sulle malghe ed alta valle del But ammontavano a quarantasei (46).
2 febbraio 2013
PIER ARRIGO  CARNIER

 

NUOVO INTERVENTO CRITICO SUL FILMATO “ CARNIA 1944 .IL SANGUE DEGLI INNOCENTI


pubblicato da Pier Arrigo Carnier  anche su Facebook il giorno Sabato 23 febbraio 2013 alle ore 17.00 
Cari  amici e simpatizzanti, in  particolare di Treppo Carnico, Ligosullo e paularesi trattandosi di argomento  riguardante le vostre contrade, e comunque  amici lontani oltreoceano che seguite questa mia  trattazione, aggiungo un nuovo intervento  esplicativo di una serie di motivi intesi  all’ approfondimento storico, sulla base  di un’indagine condotta, senza pregiudizi di parte, della tragica vicenda delle rappresaglie sulle malghe Lanza, Cordin,  Pramosio ed alta valle del But, in  connessione a parallele considerazioni  utili alla comprensione della causale che portò il vertice tedesco a decidere un’azione repressiva,  impegnando  nell’operato tattico delle unità speciali d’avanguardia quali i  Kommandos, “Zugsonderdienst”, “Einsatz” etc. dotati della sigla Z.b.V. ( Zur besondere Verwendung-Per speciale impiego). Il tutto affinché  questo  mio impegno, sintesi di un annoso lungo iter,  giovi a porre fine al trascinarsi di illazioni, perniciose fantasie e pressappochismi informativi e si affronti la verità senza circonvenzioni.

UN FILMATO POLITICIZZATO CHE  HA  MISTIFICATO LA  VERITA’ STORICA, FINALIZZATO UNICAMENTE A MANLEVARE  DA IMPUTAZIONI L’OPERATO PARTIGIANO COMUNISTA:
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“CARNIA 1944: IL SANGUE DEGLI INNOCENTI” di D.Ariis       

Il film del regista americano  Spike Lee “ Miracolo a S.Anna” girato nel 2008 a S.Anna di  Stazzema, rievocando le circostanze di una dura rappresaglia tedesca risalente al 1944,  ha aperto gli occhi gli italiani sulla resistenza.  Nella sua “prima” a Firenze è scattato infatti l’applauso ed il regista è rientrato negli Stati Uniti  con la cittadinanza onoraria di Stazzema. Di recente è stato girato in  Carnia, non un film,  ma un documentario dal titolo “Carnia 1944 . Il sangue degli innocenti”: una vicenda pressochè analoga riferentesi a un’azione di rappresaglia tedesca verificatasi   nel 1944. Nel medesimo, anzichè presentare i fatti con spirito aperto ed evolutivo  s’è invece insistito in una linea scenica ricognitiva  vecchio  stereotipo resistenziale, intesa scopertamente a difendere l’operato partigiano comunista, rifuggendo dall’effettiva realtà. Pur essendo già  intervenuto,  nella mia pagina pubblica, con una nota critica sull’argomento mi permetto un secondo appropriato e motivato intervento  che mi accingo ad esporre, dettato non  da spirito contestatario, ma da palesi esigenze correttive costruttive ed integrative nel rispetto  della verità.
Ricollegandomi all’immagine fornita dal cronista Sollero Natalino in un articolo sul Gazzettino di Venezia, edizione di Udine del 21.7.1994 in cui il medesimo  asseriva : “ I fatti sono ancora bene impressi tra gli anziani di Paularo che ricordano i partigiani scendere a valle come barbari: capelli lunghi sul torso nudo fazzoletto osso al collo forma di formaggio infilate sui fucili, cavalcavano e trascinavano numerosi cavalli ed armenti “ frase che, nel mio precedente intervento  del 17 gennaio, ritenni appropriata, quale risultanza dello status di circostanze. Senza negare che, in fondo al tutto, vi fosse stato  un filo conduttore ideale, nella veste di testimone, ritengo ora di esporre  brevemente dei fatti connessi al sostantivo “barbari”,  fra molti altri  di mia conoscenza.

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In un mattino di fine maggio 1944, appena uscito di casa per portarmi al mio ufficio al centro del  paese, vidi avanzare sulla strada due partigiani e fra loro un uomo alto barcollante. Mi fermai rendendomi conto che c’era qualcosa di sinistro. Appena mi furono vicini vidi che l’uomo barcollante grondava sangue dalla testa ed aveva un orecchio quasi strappato. Riconobbi in lui la guardia campestre del comune, di nome Venier, che  da anni svolgeva quel compito, persona nota per la sua correttezza nel dovere. Rimasi impietrito. Giunti vicini alla mia casa, dove io mi ero bloccato,  il Venier,  dall’uniforme di guardiano insanguinata, si accasciò sulla  una breve gradinata che portava nell’orto. Ansimava e, con voce spossata, disse in carnico  “ Uccidetemi ma non torturatemi”. Venni preso da paura e ricordo che non mi venivano  in mente  le parole per  gridare qualcosa.  Mi resi  anche conto che doveva avere un braccio spezzato. I due li conoscevo: uno, era capo partigiano della Garibaldi, nome di battaglia Alfonso del paese di Tualis, l’altro era un capo reparto della Garibaldi, si chiamava  Puschiasis ed era dell’alta valle di Gorto, boscaiolo che aveva lavorato come dipendente dell’ azienda da cui io stesso dipendevo.  Dopo alcuni minuti il Puschiasis vibrò al Venier,  che mandò un gemito, un   colpo col calcio del mìtra  colpendolo in un fianco e dicendogli andiamo. Mia madre avendo avvertito qualcosa era uscita di casa. Resasi conto del terrificante spettacolo mi grido’ agitata: “Vattene via!” Io non potei trattenermi e gridai : “ Ma cosa fate, lasciate quell’uomo…!! “.  Al che l’Alfonso mi disse: “ Non impacciarti, ti conviene !” Erano come due sciacalli attorno a un essere  massacrato. Qualche giorno dopo seppi che il Venier   era stato fucilato in fondo alla val Pesarina lungo il rio  Malins, un luogo scelto per le esecuzioni dove io stesso passando, per recarmi sul monte omonimo, notai ad una curva le tracce di diverse fosse. Corse voce che la ragione dell’uccisione del Venier fascista  sarebbe stata una questione personale del capo partigiano Alfonso, ma di  che si fosse trattato  non fu dato saperlo. Il capo partigiano Alfonso morì comunque nella primavera 1945 nei dintorni di Ravascletto: cadde sotto una raffica sparatagli dai caucasici mentre , dopo essere stato scoperto, in seguito a una soffiata, nascosto in un rifugio di una borgata isolata e quindi arrestato,  approfittando di un attimo disattenzion degli addetti alla sua custodia, stava fuggendo..
Sempre in quel periodo, agli inizi di luglio,  assieme al mio titolare stavamo andando in macchina in  fondo alla val Pesarina ai confini del Comelico, per ragioni di lavoro in quanto l’azienda  aveva in  corso in quella località l’utilizzazione di un grosso lotto di piante resinose. Attraversando il paese di Prato Carnico notammo un assembramento di gente vicino ad un bar per cui il mio titolare ritenne di fermarsi. Uscimmo dalla macchina e lui chiese a caso ad un uomo che cosa vi fosse. Questo  tentennava a rispondere mentre un altro, avvicinatosi disse: “ I partigiani, laggiù, vicino al fiume, hanno fucilato un uomo”. “Ma chi ?”. Chiese il mio titolare e questi disse: “ Un sappadino, il podestà di Sappada” e, sottovoce  :“ Lo ha fatto fucilare il commissario…. “.
A quella frase il mio titolare mi guardò significativamente ed io risposi al suo sguardo altrettanto significativamente: entrambi sapevamo e conoscevamo perfettamente il  commissario.
A fronte del paese dove ci trovavamo, alla destra  del fiume Pesarina che scorre circa due,trecento metri più sotto, stava dirimpettaio Pradumbli noto paese di  anarchici  dove, come io sapevo, il commissario della Garibaldi, diciamo di un battaglione della stessa,  teneva  i quel periodo la sua sede mobile acquartierato in un piccolo locale pubblico  che  funzionava da bar e  trattoria. Lo gestiva allora una giovane simpatica donna, “M.” che ben conoscevo, nota perché mai la sua presenza mancava nelle balere della valle che anch’io frequentavo. Passando al fatto dell’uccisione, uno delle tante, va detto che in quel periodo era in atto un programma di pulizia politica, che stava nelle regole della lotta partigiana comunista della Garibaldi con l’eliminazione di civili oppositori, collaboratori o fiancheggiatori dei fascisti o dei tedeschi sul terreno, o presunti tali .La vittima del giorno era  Luigi Cecconi,  podestà di Sappada, fucilato sulla destra del fiume ed ivi sepolto. Ai familiari come io seppi avendo in seguito, nel corso di mie ricerche, preso contatti con gli stessi  (aveva moglie e cinque figli), con  cinica finzione fu fatto credere, fino al tardo autunno, ch’egli fosse tenuto prigioniero, tant’è che gli stessi, tramite i partigiani, ritiravano la sua biancheria   e gli facevano tenere il cambio. Questa precisazione apparve anche in un mio articolo a piena pagina sul Gazzettino di Venezia, edizioni di Udine e Pordenone, dal titolo “Carnia libera.Le opposte verità” in data 21 settembre 1999.
Detto in breve a carico del  Cecconi, come capo di imputazione  per l’avvenuta  condanna  capitale, stava l’accusa  di avere rifondato, nel comune di Sappada, la sezione del  partito fascista sotto il   nuovo nome di partito fascista repubblicano. Anni dopo, allorché mi capitava di passare per Pradumbi, perché di là passava la mulattiera che portava alle malghe,  mi  fermavo  a salutare “M.” la barista locandiera. Tornammo più volte sul caso Cecconi. Lei diceva : “ Lo fece fucilare laggiù prima del ponte e seppellire là in una buca scavata nella ghiaia, quel pover’uomo che implorava salvezza, padre di cinque figli. Sono stata male per un pezzo e ogni volta che mi ricordo sento pena, ma allora  era così. Lui, il commissario, girava qui dentro nervoso con delle  carte in mano, fazzolettone rosso al collo e spesso mano sulla pistola per darsi aria da guerriero “. Poi sarcasticamente “M.” aggiungeva :” Lo sai benissimo che   il commissario era  molto conosciuto nella valle di Gorto ed anche qui in val Pesarina era considerato una brava persona ma resta il fatto che eliminò  quel bravuomo, podestà di Sappada, un vero galantuomo come tutti seppero essendosi  sparsa la voce “.
“Del resto tu lo conoscevi bene il commissario così come conoscevi tutti gli altri del suo contorno: Ivo Toniutti (Ivan)   Stefani Odino, detto il “Didi” ed altri ancora che si aggiravano  qui dentro nel locale. Poco tempo dopo però morì anche lui, il commissario, si vede che era destino !”
E a questa frase ricordo che un vecchio, che stava seduto nel bar e aveva sentito i nostri discorsi, aggiunse :” Dio ha la mano lunga !”
Già allora io mi chiedevo ed oggi pure me lo chiedo come si spiega che si possa uccidere un uomo semplicemente perché fascista o perché aveva  rifondato il  partito, cosa a quel tempo normale nel clima della costituita Repubblica Sociale  per cui considero quell’uccisione un crimine.
Una seconda vittima pure prelevata a Sappada ed uccisa lì  in val Pesarina, fu la signora Maria Teresa  Treichl Rosenwald, moglie del noto pittore cadorino  Pio Solero. A fine luglio 1944, partigiani  carnici della Garibaldi, dopo aver devastato la casa del pittore fracassando mobili ed asportato oggetti di valore, prelevarono la signora Maria Teresa viennese, che  poi uccisero  sospettata di essere una spia tedesca, abbandonandone  il corpo senza sepoltura in una sterpaglia. Pio Solero,ex ufficiale degli alpini, valoroso  combattente nella prima guerra mondiale ed amico di mio padre, che aveva portato a suo tempo  a casa nostra,  onde farcelo conoscere,  il famoso pittore ucraino Jussupoff esule a Roma,  affranto dalla perdita della moglie e con la casa invivibile in quanto devastata, si rifugiò, assieme ai due figli,  a Cortina  d’Ampezzo dove trovò generosa assistenza e riprese l’ attività di pittore.                                              
Sempre a Sappada  nell’inverno 1944-1945,  nonostante la resistenza si fosse sfasciata sotto i grandi rastrellamenti tedeschi per cui le esigenze logistiche e le necessità di sussistenza erano limitate alle necessità di pochi nuclei sopravvissuti, ebbe a verificarsi che dei  partigiani carnici della Garibaldi prelevarono nelle  tre latterie esistenti, una quantità rilevante di formaggi  che portarono in Carnia attraverso il passo Siera. Accadde però che uno dei carichi, collocato su un carro o su una slitta ove vi fosse stata neve, ebbe incidentalmente a rovesciarsi per cui le forme di formaggio  rotolarono  lungo il crinale della montagna finendo  a frantumarsi contro i tronchi delle piante.
Ma c’è ancora una triste vicenda, fra altre che  varrebbe ancora la pena di raccontare, forse per certi versi, dal punto di vista umano, una delle più toccanti perché riguarda l’ingiusta uccisione di un giovane. E’  il caso di Giuseppe Melotti, classe 1926, del villaggio di Pesariis in comune di Prato Carnico, fucilato dai partigiani all’età di  diciannove anni, nei giorni della liberazione.
 Cercherò di sintetizzare il caso. Nell’ottobre 1944 il nord della Carnia era stato occupato, a scopo di presidio antipartigiano, dalla Freiwillige Brigade  Nord Kaukasus (Brigata volontari Nord Caucaso)  per cui anche nel villaggio di Pesariis giunse ad insediarsi un contingente di caucasici. Il Melotti era un giovane disimpegnato, bonario e semplice che viveva di occupazioni saltuarie per cui, attratto dai nuovi venuti, ne divenne un subalterno. Lo utilizzavano per spaccare la legna che serviva alla loro cucina militare o per il disbrigo di altre faccende per cui  si assicurava in tal modo il pane quotidiano. I caucasici mangiavano pane nero tedesco e, frequentemente, carne di pecora che lessavano in grandi pentole ed il Melotti spesso mangiava con loro.
Se necessario i caucasici ricorrevano a sistemi coatti obbligando i valligiani a collaborare in special modo allorché si trattava di prelevare del foraggio con metodo impositivo presso i valligiani per i loro cavalli. Nel gennaio  1945 il Melotti fu costretto a guidare una colonna di caucasici verso un segreto rifugio partigiano, situato tra  boschi del monte Vinadia, dove si teneva nascosto un noto commissario della Garibaldi, nome di battaglia Nembo, che infatti fu raggiunto e cadde colpito  a  morte  nell’azione di attacco.
In altre occasioni consimili i caucasici costrinsero dei valligiani ad affiancarli, usandoli come ostaggi, senza che però tali valligiani abbiano poi subito delle vendette partigiane. Ma al Melotti non andò così.
A fine aprile 1945 le forze di quel presidio caucasico, in base all’ordine di ritirata, lasciarono il paese. Partirono all’alba di un giorno gelido e piovoso, fasciando dapprima gli zoccoli ai loro cavalli con degli stracci allo scopo di evitare rumori, temendo naturalmente un’imboscata partigiana, che però non avvenne.
Già nella notte il Melotti aveva preavvertito i paesani di quell’imminente partenza e si era mantenuto nella sede del comando, quale custode  di diverso materiale sequestrato ai valligiani, tra cui delle biciclette che poi provvide a restituire ai legittimi proprietari. Venne comunque arrestato dopo alcuni giorni dai partigiani garibaldini locali. Come motivazione dell’arresto gli dissero di considerarlo un traditore, uno che aveva indicato agli occupatori i sentieri della montagna per stanare ed uccidere  un noto comandante e lui stesso li aveva accompagnati. In realtà in paese tutti sapevano che le cose stavano diversamente poichè il Melotti era stato costretto  a  condurre i caucasici  fino al  luogo che agli stessi era stato segnalato.
“ Sei stato contro di noi, ti uccideremo!” , gli dissero in forza al potere assunto dai tribunali militari partigiani, “E sai come, aggiunsero.” : “Sarai ucciso con delle scariche di mitra che ti crivelleranno il torace!”. Questo gli  gridava in faccia un partigiano dal soprannome “Pinacal”, che in seguito poi,  alcuni anni dopo, per altri motivi, si suicidò.
Prima dell’esecuzione, che avvenne a località Pontela, all’imbocco della val Pesarina in fondo alla quale sta il villaggio di Pesariis, il Melotti fu confessato dal prete del suo paese. Evidentemente la decisione della condanna fu accettata passivamente, in un clima di sudditanza tipico di quell’epoca. Non ricorrevano sicuramente gli estremi che motivassero un’esecuzione immediata. Riguardo infatti le operazioni partigiane connesse ai giorni della liberazione il C.L.N. “ Val di Gorto”,  che aveva giurisdizione  nelle valli contermini e quindi anche in Val Pesarina, in una seduta del 29 aprile, in quanto ad azioni di giustizia aveva deliberato: ”Si prenda atto che le Forze Armate (vale a dire i partigiani) provvederanno d’urgenza alla costituzione di Tribunali militari ai quali soltanto è deferita la competenza di giudicare i crimini di guerra, politici e comuni, qualora aggravati. Atti personali di qualsiasi genere sono vietati nella maniera più assoluta e saranno pure presi dei provvedimenti a carico dei colpevoli di tali infrazioni “.
Giuseppe Melotti, giovane indifeso, si vide solo dinanzi alla morte e supplicò salvezza - secondo testimonianze – con voce lacerata dal terrore. Avrebbe voluto vivere e proclamava la sua estraneità alle accuse, ma nessuno intervenne a bloccare le scariche mortali che lo abbatterono. Il prete del suo paese altro non seppe dire tutto compunto .” Raccomanda la tua anima al Signore !”  Non seppe, quel benedetto prete ribellarsi a quell’idiota spirito di rassegnazione  rendendosi suddito della volontà comunista di uccidere, non seppe   rivolgersi agli esecutori con energia chiamando anche dei valligiani in  suo appoggio e chiedere di salvare quella giovane vita. Quello era ciò che doveva fare e non dire “ Raccomanda la tua anima al Signore”. Fu un deplorevole comportamento di ignavia, una vergogna, anzi una grave vergogna !!!
Il corpo del Melotti fu gettato in una fossa comune, appena scavata nella citata località, dove si stavano seppellendo  dei cosacchi. ( Nota nr.1) . Questa vicenda è stata comunque da me pubblicata e documentata, in data 30 settembre 2001, su un’intera pagina del Gazzettino di Venezia.                                                                                                       
Non posso infine non ricordare come in un pomeriggio del maggio 1944 giunsero con delle macchine al mio paese  dei partigiani comunisti  del battaglione Carnia comandato da Tredici, fra i quali riconobbi Ivan, il Didi ed Olmo della val Pesarina che,  congiuntamente al battaglione Friuli comandato da Mirko (si trattava di battaglioni di 20/25 elementi) avevano agito in azione punitiva a Paluzza. Parcheggiate le macchine i piazza affluirono tutti al bar Tavoschi, dove già brilli continuarono a bere e cantare. Il Didi, con cui scambiai quattro parole,  mi disse che a Paluzza avevano disarmato la caserma dei Carabinieri ed i tre addetti in quel pomeriggio,  arrestati erano stati  fucilati sulla piazza del vicino paese di Cercivento. In  realtà di questa esecuzione mi ricordavo vagamente ma ne trovai conferma  in un vecchio periodico dal titolo  Mese Regione  - nr.6 Giugno 1986, dove in un articolo  a firma di Antonio Lenoci , si riferisce inoltre che, a Paluzza, con quella spedizione venne ucciso a pugnalate, come io stesso ricordo, il segretario del ricostituito partito fascista repubblicano  locale, Santoro, al quale  devastarono pure la casa.

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Ho riferito alcuni dei fatti di mia conoscenza onde rendere l’immagine ambientale dei partigiani  e gli effetti emotivi provocati  dall’operato degli stessi, in allineamento a all’aggettivazione  ”…barbari “  introduttivamente menzionata, che rifletteva la realtà fattuale dello status partigiano, denso di imprevisti, notti all’addiaccio con  vesti promananti l’afrore dell’affaticamento per  marce accelerate e fughe, in quanto  braccati dal nemico tedesco o fascista. Ma fu nel suo assieme che  l’immagine partigiana   produsse  nella popolazione un distacco per cui la stessa  non intravide nei partigiani  i rappresentanti garanti del proprio futuro ed  interpreti delle proprie necessità. La popolazione giudicava  l’iniziativa partigiana, pur riconoscendo alla stessa un contenuto  ideale di  sentite  rivendicazioni sociali, un fatto puramente transitorio e confidava che, a guerra cessata, si sarebbe rivelato  quale poteva essere il proprio avvenire. La popolazione quindi , come si volle invece far credere nel dopoguerra, non costituì quel supporto che legittimò l’insurrezione finale, ma  assunse  un comportamento agnostico e distaccato. Talune situazioni motivarono inoltre l’invio  di molte lettere delatorie da parte di cittadini, in genere anonime, contenenti denunce e richieste di misure   di protezione ai comandi tedeschi e soprattutto all’Alto comando SS. e di Polizia di Trieste, com’ebbe a confidarmi il mio amico Lerch, quale ex capo di Stato maggiore. Non va dimenticato come già precisai nel mio precedente intervento critico sul filmato, del 2 febbraio 2013 che, nella sola giurisdizione del tribunale di Tolmezzo risultavano avviate oltre trecento (300) istruttorie penali  per omicidi ed altri fatti delittuosi sulla popolazione civile, consumati nell’ambito della lotta partigiana che poi, come  ebbi già a precisare, finirono per essere in buona parte archiviate, in quanto omicidi e delitti, a seguito dei provvedimenti di amnistia, trovarono assorbimento e prevalente giustificazione nel concetto dell’azione di guerra.
Ai tedeschi, sia ben chiaro,  non interessava impiegare delle truppe a presidiare la Carnia considerata una sacca montuosa priva di interesse strategico. Bastava  loro tenere occupato il capoluogo di Tolmezzo, e mantenere  il traffico sulle strade nei contatti col  Cadore e con Mauthen-Koetschach onde confermare la sovranità sul territorio dichiarata da Hitler il  13.9.1943 Le insistenti scorrerie  partigiane nella zona di Sauris, motivarono comunque da parte tedesca, in accoglimento di specifiche  richieste,  la creazione  un presidio stabile a Sauris di Sotto e successivamente, con l’autunno, fu creato un presidio con dislocazione di forze ad Aupa  e Studena Bassa, che si mantenne stabilmente fino all’aprile 1945, onde porre fine a prepotenti scorrerie, su quell’onesta popolazione, da parte dei paularesi del Gramsci e  di membri dell’Osoppo, affermazione che mi fu fatta dallo Sturmbannführer  Josef Bernschneider che fu al comando di quelle forze in val d'Aupa che  rintracciai nel dopoguerra in Germania. Analogamente, sempre in Germania, mi fu possibile rintracciare uno degli ufficiali più in vista della 24 Gebirgs Division Waffen SS. “Karstjäger”  poi riformata in brigata,lo Sturmbannführer Erich Kühpantner di cui fui anche ospite, che stese in seguito  per me un  lungo rapporto  autografo riferito alle vicende dell' unità e al suo impiego in Italia.

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Ed ora passo all’oggetto in causa vale a dire al DVD “Carnia 1944 – Il sangue degli innocenti”.
Non posso non rilevare, che per l’intelaiatura di questo filmato in DVD si è partiti, come filo conduttore, su testimonianze da me indicate nel mio volume “Lo Sterminio Mancato” ed altre risultanti da miei scritti pubblicati giornalisticamente. Mi riferisco ad esempio a un vasto  articolo rievocativo documentato pubblicato sul Gazzettino di Venezia in due puntate il 20-21 luglio 1997,  nel quale riferisco sui Kommandos  tra cui i “Zugsonderdienst Z.b.V.” intervenuti ad attuare le rappresaglie. Vi è poi un mio articolo del 4.9.2006 “Carnia 1944-Il giallo elle malghe “ ed altro del 30.12.2007 “Morti alle malghe di Paularo, verso un’altra verità – Maria da Titine”,  tanto per citarne alcuni, ma ve ne sono  altri  anche su periodici, questo solo per dire che, in qualche modo, ho aperto  la strada  su  questa vicenda con  indicazioni utili ed essenziali che, palesemente, sono state utilizzate consentendo di  arrivare dove si è arrivati col filmato.

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Di fatto si evidenzia chiaramente che il D.V.D.  si prefigge l’obbiettivo politico di una difesa dell’operato della Garibaldi nel dimostrare che l’azione punitiva della rappresaglia, causata da  infiltrazioni partigiane  nella valle del Gail prima del 21 luglio 1944, stanti i  motivi irrilevanti consistenti in  una sola vittima provocata dall’azione del Gramsci del 20 luglio, mentre l’operato del dopo a partire dal 26 luglio, con altre vittime causate da successive azioni  restano ininfluenti in quanto posteriori alla rappresaglia tedesca. La Garibaldi resta infine manlevata da ogni responsabilità, si asserisce nel filmato, riguardo il il prelievo dei cavalli effettuato 12 luglio trattandosi  di operazione effettuata  dall’Osoppo,  distinzione quest’ultima, mi permetto di osservare, puramente di comodo e alquanto sorprendente in quanto nega quell’unitarietà d’azione Garibaldi-Osoppo a lungo sbandierata nel dopoguerra ma in realtà mai esisita. Va comunque rilevato che i tedeschi non stavano certo ad individuare chi avesse attuato le azioni se i rossi o i bianchi, per cui la distinzione sollevata è una questione di lana caprina.
Non sfugge poi  che, la formulazione delle domande a cittadini austriaci sentiti come testimoni, nel chiedere loro se le azioni partigiane avessero o meno provocato delle vittime, nel tono e nei termini in cui venivano formulate già contenevano la risposta beninteso negativa e le risposte ottenute risultarono infatti negative.
A puro titolo di verifica quale constatazione di fatto le vittime provocate dalle azioni partigiane della Garibaldi in Austria ad iniziare dal 20 luglio 1944 sono cinque (5) più altre sette (7), rese da testimonianze, in via di  conferma comprensive queste ultime  anche vittime causate dall’Osoppo. Ma tutto questo sostanzialmente è irrilevante poichè non ha alcunché da vedere con il motivo per cui i tedeschi disposero l’azione repressiva, preceduta da ricognizioni, svoltasi dal 17 al 22 luglio 1944. Essa fu un atto deterrente finalizzato  a reprimere le ventilate intese comuniste di un rapporto con gli slavi, verso i quali sussisteva l’auspicio di un loro ingresso vittorioso nel Friuli,  causale da me ribadita in molti scritti almeno da trent’anni a questa parte,  operazione che i tedeschi intendevano assolutamente sventare sul nascere tenuta d’occhio  dal Supremo commissario dr. Rainer  e dall’Alto comando SS. e Polizia di Trieste. A tal riguardo infatti, fra le misure attuative lo Standartenführer Freiherr von Alvensleben, Platzkommandantur di Udine,  ”ottenne che le formazioni dell’Osoppo troncassero qualsiasi intesa e rapporto con le formazioni partigiane slovene confinanti e ciò non solamente per quanto concerneva eventuali azioni in  comune “ ( da Lo Sterminio Mancato pag.181), intesa che irrigidì e congelò ogni rapporto dell’Osoppo con la Garibaldi comunista e, da parte dell’Osoppo. si andò anche oltre….C’è comunque da dire sul piano di fatto che, già nel giugno, secondo fonte tedesca, presenze circospette  di partigiani erano state registrate più volte nella zona malghe della valle del Gail  ed anche verso fondovalle, finalizzate sospettabilmente a predisporre dei sabotaggi alla  linea  ferroviaria. .                 
Lo svincolamento (dico svincolamento quale termine appropriato non  svicolamento) del filmato da questa realtà facendo credere  immotivata l’azione repressiva mediante le rappresaglie sulle malghe costituisce prova di non conoscenza delle  decisioni prese dal vertice tedesco nell’Adriatisches Küstenland in collegamento con Berlino.  L’azione ebbe una sua motivazione di base quella precisamente di stroncare l’obbiettivo, da parte delle formazioni partigiane comuniste della Carnia,  di fare della valle del Gail e val Canale un ponte  di collegamento  con le formazioni partigiane di Tito del IX Corpus sloveno, che agivano con infiltrazioni già in atto nel sud Carinzia compiendo delitti e creando le premesse per l’acquisizione alla nascente Federativa Iugoslava del territorio carinziano fino al Gross Glockner.(Nota nr.2)
In ogni e qualsiasi caso va tenuto presente quanto segue. Il 20 luglio 1944 giorno in cui il cospiratore von Stauffenberg fece esplodere la bomba a Rastenburg che non causò la morte di Hitler per cui l’attentato fallì, le massime autorità tedesche del litorale Adriatico, e questo per pura casualità, decretarono l’isolamento della Carnia bloccando ogni rifornimento alimentare, quale misura punitiva per l’attività partigiana antitedesca. Già comunque da alcuni giorni un Kommando ed unità  speciali richiamate dal fronte o già presenti in parte nel sud Carinzia, nonché contingenti di forze  regolari stazionate a Pontebba affluirono  su un  territorio circoscritto tedesco ed italiano, praticamente lungo il confine nord-est della Carnia, in una zona di pascoli e malghe tra Paularo ed Hermagor assumendo talune veste di controbande. Nei giorni 17-19 e 21 luglio  rappresaglie vennero attuate nelle malghe con   un’ultima strage non disgiunta dall’operazione, consumata il giorno 22, nell’alta valle del But dove giunsero anche consistenti forze regolari tedesche e fasciste, provenientri da Tolmezzo ed altre sedi, per una manifestazione di forza alle quali si unirono, in parte, le forze che avevano agito sulle malghe ma non tutte. Nell’ultima fase, praticamente nelle strage del giorni  21 e 22, non parve estranea una spinta provocata dal fallito attentato ad Hitler che aveva innescato nei tedeschi, soprattutto nelle Waffen SS. e Polizia, una furiosa carica di vendetta. Le vittime, inermi di pastori e valligiani uccise da una controbanda a raffiche  e colpi alla nuca a malga Pramosio, rivelavano gli squarci di profonde coltellate secondo lo stile della ferocia slava  stante il fatto che, nel gioco di una concertata finzione, elementi delle controbande si erano spacciati  per uomini di Tito per cui le tracce della ferocia dovevano confermarlo.
Ma chi erano le controbande, erano formate da tedeschi, Volksdeutsche, collaborazionisti,  inclusi anche  italiani e altoatesini??
Su questo argomento sono circolate negli anni  varie fantasie paesane ed il preassapochismo ebbe la sua parte.
E’  questo uno dei particolari di maggior interesse  anche per sapere chi, veramente, abbia ucciso i sei pastori  delle malga Lanza e di Cordin ma,soprattutto, chi ha puntato l’arma e premuto il grilletto contro  i due pastori  undicenni di Cordin.
Già nei miei richiamati articoli del 20-21 luglio 1997, sulla base di  indagini, indicai i compiti svolti dal Kommando della Brandenburg integrato da elementi Karstjäger e quelli del “Zugsonderdienst Z.b.V.”. A tal proposito riguardo le controbande ho trovato rispondenza, su quanto di mia conoscenza, nella testimonianza resa nel filmato da Hans Wiertig, che riferì  sull’arrivo  a Kirchbach, mediante ferrovia, di un “Zugsonderdienst” da me segnalato  negli articoli summenzionati, per precisione nella puntata del 21 luglio. A sua volta  anche il teste Wassertheurer  riferì dei particolari a conferma dello  speciale reparto, menzionato dal Wiertig,  allorché il medesimo  giunse in malga, credo alla Straniger Alpe. Quello che intendo far rilevare è che le informazioni fornite dai due testimoni trovano corrispondenza con quanto da me dichiarato a suo tempo nei miei scritti.
In riferimento  a malga Rattendorf mi permetto di precisare, a conferma di quanto già riferito nel mio volume "Lo Sterminio Mancato",  che il Kommando  Brandenburg integrato da elementi Karstjäger, dopo aver passato la notte del 19 luglio nella stessa,  si portò nell'indomani in territorio italiano. Da quanto io sappia, contrariamente a ciò che venne riferito dall’austriaco Heinrich Lackne, che allora undicenne si trovava a diporto a malga Rattendorf, il Kommando, dopo aver svolto il suo compito agendo da controbanda, non avrebbe fatto ritorno verso la malga per cui il trasferimento,  verso fondovalle  con destinazione Kirchbach, del bestiame sequestrato a malga Lanza si suppone titolo di compensazione dei prelievi fatti da partigiani, ma questo andrà meglio precisato perchè pare che lo scopo non fosse stato solo quello, operazione gestita da altra formazione  che si sarebbe servita  di valligiani austriaci.
L’uccisione dei due pastori a malga Lanza, in base alla testimonianza di Tolazzi Gino avvenne il 17 luglio.
Dopo aver aver precisato di essersi   rifugiato in tale giorno  e quindi  il 17,  assieme ad altri pastori, a malga  Ramaz  situata in zona di pascoli sottostante a  Lanza, il Tolazzi ebbe a riferire  che, nell’indomani 18 luglio, partendo da tale malga : “…  una comitiva di coraggiosi compreso mio fratello, si recò a Lanza per vedere cosa fosse successo……Al loro ritorno seppimo che si trovarono di fronte a due morti, il vecchio Domenico Cescutti ed il figlio Giuseppe, la casera bruciata e tutto il bestiame portato via “. Da un documento dei Carabinieri   di Tolmezzo, in mio possesso, risulta che:” il 18 luglio ad ore 10 a località Lanza comune di Paularo, un gruppo di banditi assalivano la casera, uccidevano due pastori padre e figlio…..,quindi incendiavano la casera distruggendola ed asportavano 72 capi bovini, un mulo e 20 pecore allontanandosi per ignota destinazione…
In base alla testimonianza del Tolazzi, ritenuta attendibile e resa pubblica su un periodico locale  dal titolo "CARNIA ALPINA" nr.32 del febbraio del 2003, va quindi assunto  che l’uccisione dei due pastori avvenne il 17 luglio 1944  (Nota nr.3) e, nel medesimo giorno o tutt’al più nell’indomani 18 luglio, avvenne  l’incendio della casera e la distruzione della stessa ( onde togliere, secondo le disposizioni dei noti proclami tedeschi, di Koesselring e Globocnik, ogni possibilità di asilo ai partigiani) nonché il prelievo  del bestiame, che fu portato a  Kirchbach nella valle del Gail. Discordanze di date sussistono tra quanto asserìto dal già citato  Henrich Lackner, secondo il quale,  stando alla Rattendorf, avrebbe visto passare il bestiame il giorno 21, vale a dire l'indomani dell'attacco e distruzione della casermetta doganale, e poichè il bestiame fu prelevato il giorno 18 non troverebbe spiegazione l'intercorrenza di due giorni tra le due date, cioè tra il 18 e il 21, chiarimento che tuttavia tralascio in questa sede  in quanto, pur rivestendo interesse, appare di second'ordine  rispetto agli obbiettivi primari di questa mia indagine.  Mi preme invece correggere l’errata dichiarazione fatta  dal Lackner, riguardo l’operazione partigiana di attacco e distruzione della casermetta doganale di Rattendorf, di cui fu testimone, dal medesimo attribuita a suo dire per recente informazione ricevuta  per cui al momento dei fatti nessuna dichiarazione del genere gli  era stata fatta , al comandante  " Augusto”, nome di battaglia del capo partigiano  C. Bellina ( il Lackner lo elesse addirittura a capitano  Augusto ),  ed al riguardo, sempre il Lackner, venne ripreso  nel filmato esibendo una specie di epigrafe cartacea, incorniciata a futura memoria, col  nome di capitano "Augusto". L’azione del  distaccamento Gramsci fu invece condotta, come  da me precisato in varie a circostanze e sulla base d accertati  inoppugnabili elementi, sotto la guida del triumvirato composto  da  Buzzi Simone “Niti”, Tarussio Giacomo fu Lorenzo, classe 1922 Menean Luigi “Bigio”, e non da C. Bellina il quale, senza nulla togliere al suo operato, non ebbe alcunché da vedere con tale azione e, solamente nell’agosto 1944   gli fu demandato per un periodo  il comando del Gramsci che, con la riorganizzazione della Garibaldi, aveva assunto la veste di battaglione.-
Questo dettaglio mi induce ad una dissertazione a scopo puramente informativo. L' errata surrichiamata informazione del comandante "Augusto" fornita da taluno  al  Lackner , apparve su  un articolo del Messaggero Veneto nel gennaio 2008  che mi fu inviato da amici paularesi con preghiera di confutarne il contenuto, ciò che feci con ritardo il 27.03.2008 ovviamente sul medesimo quotidiano, avendo  rilevato, in detto articolo, circostanze contradditorie ed infondate non riconducibili alle realtà fattuali storiche a me note, accertate e documentate per cui risultò evidente che la fonte  della notizia ignorava la situazione ed era stata del tutto male informata. L’argomento fu poi da me  ribadito poi sul Gazzettino, di cui ero e sono collaboratore, in data 19.06.2008,  rivelando i tre nomi del triunvirato guida, in precedenza menzionati. Spesso comunque su nomi di comandanti e vicecomandanti partigiani sono emersi  equivoci e  discordanze e, nel dopoguerra, parlando con qualsiasi ex partigiano risultava che vantasse  un qualche comando... Mi permetto a tal proposito di ricordare che la creazione di un assetto documentale con rubricazione dei nomi delle formazioni partigiane avvenne a distanza di diversi anni dalla fine della guerra, non senza comprensibili difficoltà data la non facile situazione  che consentisse, durante l’attività partigiana, di tenere nota di fatti e di incarichi  ed anche l’incombente pericolo da evitare di lasciare carte compromettenti che cadessero in mano di tedeschi e fascisti. Rammento di essermi presentato alcune volte alle sede dell’ ANPI ad Udine , allora se ben ricordo in via del Gelso in un vecchio  fabbricato, per ottenere dei dati, nel mio caso su Mirko, Katia ed altri, senza nulla trovare, ricavando la sensazione che molto stesse sull’incerto. Seppi anche da amici, senza che questo intenda riferirsi all’argomento in causa, che l’attribuzione di gradi di servizio, in molti casi tra il se ed il ma, fu decisa con approssimazione e probabilmente con dei favoritismi…Prevalse, di solito, il sistema all’italiana che non mancò di avvantaggiare  i più furbi. Rammento anche che, siccome sui nomi di Mirko (Arko Mirko) e Katia (Gisella Bonanni)  non vi era assolutamente traccia di una loro rubricazione come partigiani, eliminati ln quanto ultrascomodi ed i cui nomi  dovevano sparire, mi rivolsi a un noto e stimato comandante partigiano  dell’Emilia, e precisamente a Germano Niccolini, che scontò  lunghi anni di carcere per un’ingiusta condanna relativa alle vicende del “ Triangolo della morte” e venne  poi riabilitato e risarcito dei danni.  Potei conoscerlo in quanto la direzione della casa editrice Mursia, venuta a conoscenza che il medesimo aveva scritto le sue esperienze sul caso, mi aveva pregato di contattarlo avendo la medesima interesse a pubblicare tali memorie.  Il Niccolini, mediante amici politici fece per me chiarezza a Roma, nel  competente ministero, sulla posizione di Katia (Gisella Bonanni) per scoprire che, dagli addetti a curare l’eredità partigiana ad Udine, era stata data per morta in  seguito a malattia negando la sua posizione partigiana ed il fatto che era stata assassinata dai partigiani il che, come conseguenza,  comportò  la perdita della pensione agli anziani genitori, situazione a cui cercai di rimediare.                                    

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Riprendo quindi l’argomento rappresaglie e controbande per il quale, grazie a fortunate circostanze, mi fu possibile acquisire vari elementi chiarificatori.
Ad un raduno ristretto in anni lontani della Suchdienst tenuto ad Innsbruck , io presente, prese parte anche Alois Scintholzer ex Hauptsturmführer già appartenente alla 7a Waffen SS. Gebirgs Division  Prinz Eugen. Reduce delle campagne di Russia e Iugoslavia gli furono demandati, nel 1944 il comando e la direzione della GEBIRGSKAMPFSCHULE  (Scuola da combattimento da montagna)  di Predazzo, congiuntamente al compito di reprimere l'attività antitedesca nel territorio ed altrove nel Veneto e fu per tale incarico, nel dopoguerra, che venne avviato  dal Tribunale militare di Verona un processo a suo carico  con imputazione  delle  stragi di Caviola, Canale d’Agordo, Tegosa, Sappada, Falcade, Fregona e Feder, che comportarono l' uccisione di 33 persone, con conseguente sentenza di condanna all'ergastolo,   pronunciata in contumacia in data 15 novembre 1988. L’Austria comunque rifiutò decisamente l’estradizione e per mio conto fece bene. Allorché  io lo conobbi Scintholzer aveva in corso già dei processi, ma non ancora era stata pronunciata la condanna all’ergastolo del Tribunale militare di Verona di cui  poi non ne tenni conto, per una serie di  valutazioni che tralascio di esporre poiché, pur pensando che qualche responsabilità lo Scintholzer l’avesse avuta,  la magistratura italiana, già in  partenza, in tali processi considerava gli imputati “colpevolisti”. Ebbi una tale intuizione anche quando fui citato, come teste storico al corrente dei fatti, al processo Dörnenburg fissato presso la magistratura militare a Padova, processo che poi non ebbe luogo in quanto l’imputato decedette qualche giorno prima dell’inizio.  Ora tra me e lo Scintholzer si stabilì un  rapporto per cui tornando ad Innsbruck assieme a mia moglie, mentre lei girava a visitare la città, io mi intrattenevo con lui su vari argomenti. Ci si trovava in un bar-locanda, una specie di Saloon all’austriaca molto cupo all’interno con antico arredo mobiliare  nero  e delle piccole luci al soffitto che parevano irradiare  un delicato scintillio stellare, tant’è che stando là dentro sembrava che fosse notte e dove, comunque, si poteva parlare indisturbati. Fu così che,  tra un bicchiere e l’altro di Vernasso, un  vino dal gradito sapore asprigno e dal colore rubino, prodotto nel Sud Tirolo ed anche in Cecoslovacchia, potei avere accurate preziose delucidazioni riguardo l’organizzazione delle truppe speciali,  gli “Zugsonderdienst Z.b.V”, utilizzate dai tedeschi nell’antiguerriglia e come  controbande. Tali Kommandos o plotoni speciali, non previsti dalle convenzioni internazionali, nacquero dall’esperienza della divisione Brandenburg che godeva dell’autorizzazione ad indossare, ove il caso lo richiedesse, le uniformi del nemico. Le controbande ebbero vario impiego anche nei Balcani. Dette specialità, dati i compiti ed i rischi a cui venivano esposte,  godevano di certe immunità. Scintholzer mi fece conoscere degli ex appartenenti alla Brandenburg ed altri della Prinz Eugen, specialisti sull’argomento controbande e “Zugsonderdienst Z.b.V”. Parlammo anche delle due Junkerschule create per le Waffen SS. specializzate nell’arte della guerra in alta montagna, una in Cecoslovacchia e l’altra  a Neustift nella Subaital delle alpi Tirolesi dove ugualmente si insegnavano metodi avanzati utili nella lotta antipartigiana. Una terza scuola, di tale tipo, era stata progettata in val Seisera (Val Canale-Tarvisiano) e  ne era già stata avviata la costruzione che però  non fu completata poiché la guerra ebbe termine. Scintholzer,  che ad Innsbruck faceva il tassista, decedette settantacinquenne il 18 giugno 1989. La moglie Mathilde  il 21 giugno 1989 fece pubblicare un necrologio sul “Tiroler Tageszeitung” nel quale, subito sotto  le citazioni di rito che includevano figli, parenti etc., si leggeva:  “Seine Ehre hiess Treue” (“Il suo onore si chiamava fedeltà” il motto delle SS. e delle Waffen SS.). Due giorni dopo, il 23 giugno, sempre sul “Tageszeitung”, apparve  un secondo necrologio nel quale si precisava che l’annuncio che comprendeva il motto di fedeltà delle SS. era stato attribuito, senza alcun diritto ai figli  e alle loro famiglie, per cui gli interessati prendevano le debite distanze. Era ovvio che i figli, nel clima di una nuova Austria non più nazionalsocialista onde tutelare la propria posizione e l’avvenire di sè stessi, avessero formalmente manifestato un tale dissenso.

                                                                          *  *  *

Attraverso vari rapporti coltivati nel tempo giunsi pertanto alla identificazione delle forze, vale a dire dei Kommandos, “Zugsonderdienst Z.b.V.” ed “Einsatz” oltre a reparti ordinari che, secondo un meccanismo ricognitivo ed esecutivo  intervennero ed agirono, nel luglio 1944, sul territorio delle malghe di confine con la Gailtal ed alta valle del But, talune già utilizzate  nel sud Carinzia e nei Balcani, argomento che, in parte, avrei potuto inserire  nel volume “ Lo Sterminio Mancato”, uscito nel 1982, con varie successive riedizioni, ad integrazione di quanto comunque già riferito a proposito, ma essendo il libro già in stampa non feci in tempo. Alcune indicazioni, ma  ancora non tutte, furono inserite nell’articolo  a due puntate, già in precedenza citato, pubblicate sul Gazzettino di Venezia  nel luglio 1997.
 Nel commemorare il 50° anniversario di detta strage, riferita in particolare alla strage delle malghe Lanza e Cordin, in data 16 luglio 1994 presso una  maina posta in val di Lanza  sotto  malga Meledes Bassa, dove all’interno della stessa un’epigrafe  riporta i  sei nomi delle vittime  trucidate il 18 luglio 1944, il parroco officiante di Paularo, don Del Negro Gio Batta, pronunciò una frase allusiva, contenuta nell’omelia di cui posseggo il testo dal medesimo rilasciatomi, intesa a incoraggiare la ricerca della verità mettendo in dubbio le parole “furia tedesca”  scolpite nella lapide,  precisando di essere egli stesso testimone di come, in quel periodo,  altre ”furie” circolassero su quelle montagne,  per cui se la strage  non era  imputabile ai tedeschi  occorreva  stabilire chi altro poteva avere avuto motivo ed interesse per compierla.                                                                                                                                                               Sospetti riguardo l’uccisione dei sei pastori delle due malghe  sarebbero stati accampati secondo voci paesane,  a carico dei partigiani del Gramsci nel senso che gli stessi dubitando  che i  pastori avessero fornito, probabilmente sotto costrizione, delle informazioni ai tedeschi  tali da far supporre, ad esempio, la possibilità di un proprio arresto, avrebbero deciso e provveduto alla loro eliminazione. Considerate le diffidenze, le tensioni e gli intrighi di  quel periodo e quindi la paura di un  imprevedibile arresto su segnalazione con probabile deportazione da parte dei tedeschi, per chi  era partigiano e sapeva di dover rispondere di qualcosa, potrebbe forse aver provocato anche il proposito di uccidere. Qualora  vi fossero state realmente delle confidenze od informazioni, sotto costrizione o meno, fatte dai pastori ai tedeschi che certamente nelle loro ricognizioni nelle malghe, provenienti generalmente dal presidio di Pontebba, prima delle rappresaglie, cercarono sicuramente di captare notizie dai pastori, questa potrebbe essere stata, come ipotesi, la causale. In  realtà tra  malgari e pastori e i partigiani,  in senso generale e con qualche eccezione,  non correva di fatto buon sangue, non solamente a causa dei  ricorrenti prelievi della produzione casearia per le  necessità della sussistenza dell’organizzazione partigiana,  a fronte dei quali venivano rilasciati semplici buoni col timbro dalla stessa rossa, ma soprattutto  per il clima di insicurezza determinato, in genere, dall’attività medesima aggravatosi nella zona delle malghe poste nel territorio del confine  orientale dal momento in cui,   da lato partigiano,  vennero intraprese azioni  e prelievi di bestiame  nella valle del Gail.
Alluse anche, il parroco, alla testimonianza di un malghese che, opportunamente nascosto assieme a un altro, avrebbe visto e  gli esecutori e presumibilmente riconosciuti. Disse infatti il parroco nell’omelia“…e sarà la storia, il Tempo a raccontarci quella verità che lo stesso Larice Gioacchino conosceva molto bene !” 
In quanto al Larice Gioacchino, si trattava di uno dei due malghesi associati, l’altro era Gortani Riccardo, che si erano spartiti la gestione delle malghe della Val di Lanza posta sul versante italiano lungo la linea di confine. Sempre riguardo il Larice, , il medesimo ,sulla base di attendibili informazioni,  era notoriamente ritenuto filo partigiano.
L’allusione pronunciata dal  parroco, di cui comunque venni a conoscenza successivamente, fu per me motivo di indagine, tant’è che il 4.09.2006 pubblicavo sul Gazzettino un  articolo  dal titolo  già  precedentemente richiamato  in  narrativa“ Carnia 1944. Il giallo delle malghe”, dal contenuto riflessivo con cui  mi  ponevo alcune domande che qui di seguito riporto . “….cosa sapevano quei testimoni a quanto risulta due, che si sono portati il segreto nella tomba ? Avevano visto quanto accadde a malga Lanza , e cioè l’uccisione dei due pastori, padre e figlio, e disponevano  probabilmente di elementi in riferimento ai responsabili della strage a malga Cordin, dove furono rinveneuti altri quattro pastori uccisi a  colpi d’arma. Per quali timori hanno taciuto la verità per il resto dell’esistenza ? E ancora : chi erano gli uccisori  per imporre una simile omertà ? 
Nel successivo 2007 tornavo sull’ argomento per informare che l’indagine non si era spenta ed anzi precisavo di aver raccolto la  preziosa testimonianza, per memoria tramandata, di una gagliarda montanara, detta Maria da Titine. Riferendomi inoltre  alle quattro vittime di malga Cordin poichè sulla loro uccisione, per vari indizi,  avevo raggiunto una collocazione in ordine di tempo, concludevo :”” Era una tarda mattinata calda di circa metà luglio 1944 quando a malga Meledis alta, furono udite ripetute raffiche d’arma automatica. Era l’eco della strage di Cordin dove quattro pastori venivano assassinati.””. Secondo le testimonianze era il 19 luglio 1944 data a mio avviso sostenibile,  mentre nell'epigrafe scolpita nel marmo, posta a memoria della strage nella maina in precedenza menzionata, la data viene indicata nel 18 luglio. Anche se la storia esige precisione lo scarto fra le due date è breve ed avrebbe una sua spiegazione che qui tralascio ad evitare lungaggini.
Sull’ipotesi allusiva pronunciata nella commemorazione del 1994, celebrata nella meravigliosa val di Lanza,  pur sussistendo elementi indizianti  taluni per deduzione,  sulla base delle mie indagini,  intese a sondare e valutare la possibile imputazione ad altre “ furie”, gli esiti  hanno fornito per ora dei segnali oscillanti tra la quasi credibilità ed il dubbio ma non tali da configurare una sostenibile imputazione, purtuttavia sulla vicenda, nel senso sospettato, insiste  un’ombra  non  ancora dissolta, mentre la tesi contraria che appare  più ovvia, vale a dire  l’imputazione della strage ai tedeschi, sempre riferendomi ai risultati di mie indagini, si è rafforzata. Su tali basi traggo pertanto  la conclusione che segue.
ASSUNTO CONCLUSIVO SULL’ELIMINAZIONE DEI  SEI PASTORI 
Riferendomi  al caso delle due vittime di malga Lanza, assunte per valide alcune testimonianze  e fissate le coordinate in ordine  ai tempi d’attuazione, riconosco che la loro uccisione non sia imputabile ad altre “furie”, allora circolanti sulle montagne, così definite nella menzionata omelia parrocchiale vale a dire, ai partigiani del distaccamento Gramsci o ad altra formazione partigiana ma rientri nel quadro esecutivo della repressione tedesca per cui allo stato dei miei accertamenti, l’uccisione delle stesse resta un’esecuzione ordinata ed eseguita, in base ai poteri della sovranità  tedesca…                                                            
Per quanto invece concerne l’uccisione dei quattro pastori di malga Cordin  pur disponendo di un’importante testimonianza austriaca resa da  un valligiano della Gailtal (J.M.) direi decisiva da me raccolta grazie all’indicazione di un vecchio parroco austriaco che tenne in gran conto la mia riverenza e l’apprezzamento storico manifestato in un mio scritto verso l’Austria imperiale ( a volte sono piccole cose che ti aprono la strada della verità) , avallata da determinanti  indizi a sostegno e direi validi come prova sul caso per l’attribuzione dell’eliminazione ai tedeschi, labili sfumature che non sto qui a spiegare in certa parte ancora legate all’illazione del parroco pronunciata nel lontano luglio 1994 e  tenuto anche conto dell’imprevedibile , mi inducono prudentemente ad una riserva cautelativa che assumo con forzata  decisione  per cui, per serietà d’impegno e scrupolo, rimando  il mio pronunciamento sulle quattro vittime di Cordin a dopo  un rinnovato riapprofondimento  esaustivo del tessuto d’indagine di cui dispongo.
Ciò non mi impedisce di concludere che le vittime delle rappresaglie sulle malghe ed alta valle del But, pur con riserva formale  sul caso Cordin, furono  il prezzo sacrificale pagato per  quel clima  sbandierato dai partigiani della Garibaldi e confermato dal medesimo Partito Comunista  di un’unione di  intenti con gli slavi di Tito, sia  esso o meno stato realizzato,  nell’alone di una politica  filostalinista.!
                                                                      *   *   *

Prendo occasione, prima di concludere,  per rispondere  ad osservazioni che, in relazione  precedente mio intervento del 2 febbraio, mi sono state rivolte con riferimento al prelevamento  di 61 cavalli e bon numero di armenti, il 27 giugno 1944  nelle malghe austriache prospicienti la valle d’Incaroio (Paularo). L’informazione su tale operazione di prelievo mi fu  data dall’ex partigiano dell’Osoppo, Gio Batta Nodale detto “Capot”, di Sutrio,  il quale, come da mia annotazione,  disse che  il prelievo di 61 cavalli e 15 manze fu eseguito con un’operazione congiunta  della Garibaldi ed Osoppo. Aggiunse inoltre, secondo  la mia annotazione,  che si trattava  forse del mese di luglio anzicchè giugno. La notizia  uscì già nella prima edizione de “Lo Sterminio Mancato” nel 1982 e,  in quanto datami da un ex partigiano, fu da me ritenuta credibile. Il 21 luglio 1994 e cioè dodici anni dopo, la notizia apparve pubblicata sul Gazzettino di Venezia a firma di Natalino Sollero, cronista paularese, il quale  aggiunse che, a malga Wurmlach,  i partigiani oltre a prelevare 24 cavalli pregiati uccisero due pastori e violentarono una bambina di 12 anni prima di gettarla in una caldaia di siero bollente. Ebbi modo in seguito di  incontrare il Sollero a Paularo al bar dell’albergo Alle Alpi per cui parlammo dell’argomento dei prelevamenti di bestiame incluso l’episodio della bambina. Il Sollero  mi confermò la fondatezza delle notizie  e,   girandosi verso dei  paesani che gli stavano accanto, questi assentirono nel senso che voci al riguardo sarebbero circolate. Ma sulla base  di indagini in territorio austriaco, per quanto concerne la bambina, io non trovai conferma  alcuna per cui  editorialmente e gionalisticamente evitai scrupolosamente di riferire il fatto, limitandomi a fornire la notizia del  prelievo di bestiame. Tuttavia taluno  nel territorio della Gailtal, riguardo il fatto della bambina,  mi disse che,  non nei termini da me riferiti,   qualcosa  sarebbe comunque accaduto senza però andare oltre. Ritenne anche  di aggiungere  che,  da parte austriaca in certi casi  si è reticenti a parlarne : “ Ich weiss nicht ! = (Io non so nulla !).  Per quanto  invece concerne  i  61 cavalli io propendo che possa trattarsi  del totale di due operazioni ma soprattutto mi prendo tempo Per chiarire più precisamente la zona di prelievo,  pur essendo  difficile alla distanza di ormai quasi settant’anni dai fatti  affrontare delle indagini.  Debbo aggiungere però  che talune  informazioni attendibili  datemi da austriaci, stranamente  non trovano riscontro nelle annotazioni della gendarmeria per cui sono portato a supporre, a fronte di testimonianze,  che forse, dico forse, non tutti gli eventi siano stati dalla gendarmeria annotati. A tal proposito desidero ricordare che il già citato sig. Lackner secondo un trafiletto apparso sul Kleine Zeitung il 25.10.2007 ebbe a dichiarare di essersi trovato a malga Rattendorf, quale undicenne villeggiante il 20.07.1944 dove assistette all’attacco di partigiani italiani aggiungendo che il giorno prima (e quindi il 19.07.1944) sempre partigiani italiani avevano rapinato una mandria di cavalli in una malga austriaca (si tratta  della Maldatscher sul versante della Rattendorf) uccidendo un pastore ed un ragazzo. Questo disse il Lackner il che mi fu  confermato da un teste, del quale indico le iniziali K.P., segnalatomi dal Bürgermeister Herr  Rauscher di Hermagor. Detto teste  asserì che,  durante una rapina di 20/30 cavalli nella Maldatscher Alm, portati poi in Italia, vennero uccisi due pastori padre e figlio mentre un secondo figlio, di nome Pietro, potè salvarsi essendo riuscito a nascondersi. 

                                                                         *    *    *

Concludendo trovo che il filmato, sul  piano storico, è restrittivo e sin dal titolo punta a creare effetto martiriologico senza però premettere le  vere causali dell’azione repressiva e senza un riferimento al panorama piu ampio del momento storico, stante che la Carnia era un minuscolo frammento la cui situazione non può essere disgiunta da un richiamo allo stato politico  facendo il punto sulla situazione del conflitto in essere con un riferimento alle motivazioni dell’insorgenza partigiana  di predominante natura comunista ed alla  forte influenza sovietica che  caratterizzava i movimenti di resistenza, non solo in Italia, tant’è che nella Garibaldi si tenevano lezioni di mistica comunista. Come già rilevato in narrativa il filmato si propone di dimostrare una corretta condotta resistenziale della corrente partigiana comunista  il che snatura, sul piano storico, gli spiccati  contenuti rivoluzionari della stessa quantomeno fintantoché Togliatti, dopo la svolta di Salerno,  ammorbìdì la situazione e i partigiani della Garibaldi inserirono il tricolore nella stella rossa del copricapo. Ciò nonostante  non si venne meno all’obbiettivo di fondare uno stato progressista e, a fine guerra, a quello di creare addirittura, restando in armi, un’amministrazione slava nell’attuale nord-est tant’è che, ove sul territorio non fossero rapidamente avanzate le forze corazzate alleate, questo si sarebbe verificato.
 Limitando il progetto del film alla questione delle rappresaglie sulle malghe non occorreva dimostrare che il comportamento della Garibaldi non fu tale da motivarle attraverso le azioni di attacco alle posizioni doganali rafforzate da difese e d’infiltrazione per prelevamenti di bestiame nella valle del Gail,  allo stato iniziale, in quanto  la prevalente motivazione tedesca, anche se gli ultimi avvenimenti furono la goccia che fece traboccare il vaso, era già programmata. La stessa aveva infatti uno scopo  deterrente  quello precisamente di evitare che la valle del Gail e la val Canale diventassero, per l'organizzazione partigiana della Carnia, un ponte di collegamento con gli slavi a cui nel film non s’è fatto il minimo accenno. Mancando di queste informazioni il filmato risulta  privo di un costrutto storico per cui lo spettatore disinformato e soprattutto i giovani, che nulla sanno, finiscono per recepire conclusivamente una versione dei fatti che è solo di parte, mancante  di oggettività.

22 febbraio 2013
PIER ARRIGO  CARNIER

SEGUONO NOTE
Nota nr.1 = Si trattava di cosacchi cadurti nell'attacco partigiani ad Ovaro del 2 maggio 1945 o comunque vittime di quella giornata.
Nota nr.2 =Ritenuto di prevalente etnia slava (Windisc) m entre poi, nel dopoguerra, mediante un plebiscito fu dimostrato che l'etnia prevalente era tedesca.
Nota nr.3 =Il certificato ufficiale di morte delle due vittime, redatto dall'Ufficiale dello Stato civile del C omune di Paularo, in data 22 luglio 1944, indica come data di decesso il 18 luglio 1944.



Luigi Cecconi podesta del comune di Sappada e rifondatore del partito fascista sotto il nome di partito fascista repubblicano. Archivio storicico P. A. Carnier - Porcia (PN) Riproduzione vietata


AZIONE REPRESSIVA TEDESCA IN CARNIA – LUGLIO 1944


 COMUNICATO
Cari amici e simpatizzanti, in particolare di Treppo Carnico, Ligosullo e paularesi trattandosi di argomento riguardante le vostre contrade e comunque amici lontani oltreoceano e a tutti coloro che hanno qualche  interesse alle  lontane vicende della resistenza 1944-1945, raccontate però per quelle  che realmente furono, sfrondate da invenzioni e da contorni agiografici,  a seguito dei  miei già noti interventi critici motivati dal video “Carnia 1944. Il sangue degli innocenti”, aggiungo qui di seguito una nota con ulteriori considerazioni e valutazioni  riferita all’ azione repressiva tedesca del luglio 1944 sulle malghe ed alta val But, riconfermandone la causale con l’aggiunta di particolarità sulle controbande.

ULTERIORI PRECISAZIONI E CONSIDERAZIONI CONNESSE ALLA RAPPRESAGLIA  SULLE MALGHE ED ALTA VALLE DEL BUT -  LUGLIO 1944
                                  
Torno su quanto riferito riguardo l’azione repressiva tedesca sulle malghe ed alta valle del But per ulteriori  considerazioni.  Il prelevamento del bestiame di Lanza e poi di  Cordin,  inteso in certo senso, secondo voci austriache, a  compensazione dell’entità di bestiame  rapinato dai partigiani nelle malghe della Gail o piuttosto a  togliere ai partigiani una delle consistenti fonti di sussistenza, ma   finalizzato primariamente a stroncare la sospetta azione di affiancamento  al piano d’infiltrazione in essere del IX° Corpus sloveno  nel sud Corinzia con stillicidio di vittime civili terrore.
 I Kommandos  e Zugsonderdienst  travestiti all’occorrenza da controbande nel loro assieme con precisi incarichi, dovevano rendere terra bruciata il circoscritto territorio  localizzato a cavallo del confine tra Paularo ed Hermagor dopo l’ avere accertato, quale causale,  “ da che parte stava” la popolazione delle malghe italiane ma pure quella delle malghe austriache. Dagli stessi tedeschi la zona austriaca confinante della valle del Gail era ritenuta sospetta,  supponibilmente  perché vi  si aggirava la banda detta “ Fraies Deutschland”, formata da disertori dell’esercito tedesco, ma  soprattutto per  valutazioni e misure cautelative tant’è che, con dispositivo diramato il 27 luglio 1944, la zona fu considerata bloccata con divieto di accesso ai civili.
 Secondo fonti paularesi, bene informate  ed in base a confidenze fattemi in anni lontani, a guidare sulle malghe uno dei Kommandos tedeschi, probabilmente su imposizione,  fu  un cittadino paularese che lavorava  presso un’azienda austriaca di  klagenfurt. Un ufficiale italiano del disciolto Regio Esercito, Occelli, acerrimo antipartigiano per motivate ragioni personali, affiancò spesso i tedeschi come guida sul terreno, soprattutto in talune circostanze. Nella consistente documentazione fotografica  sulla Waffen SS. Gebirgs Karstjäger Brìgade in mio possesso, che meriterà in futuro un’esposizione di interesse storico da realizzarsi in sede opportuna,  l’Occelli appare   assieme ad ufficiali  Karstjäger da me identificati, in un momento di rilasso  a Tolmezzo e, in  altra immagine,  risulta ripreso  sul terreno d’azione sulle montagne, presente lo Sturmbannfhuerer Josef Berschneider che fu al comando della guarnigione dislocata in val d’Aupa e, per un certo periodo, fu  comandante effettivo della brigata Karstjäger. Sulla presenza dell’Occelli, affiancato alla Karstjäger, ebbi modo di parlare con Erich Küphantner, ufficiale della brigata e pure con Josef Berschnaider, entrambi da me raggiunti a suo tempo in Germania, come riferito in miei precedenti scritti.
A proposito della strage delle malghe Lanza e Cordin ritengo necessarie  alcune osservazioni. Il diario storico della Garibaldi nemmeno accenna alla strage di Lanza e Cordin. Si limita ad informare che il 19 luglio 1944 una controbanda tedesca fu avvistata a casera Stua Ramaz per poi asserire che, il giorno 20 luglio, il distaccamento Gramsci del Btg. Carnia rastrella la zona in cerca della controbanda con risultato infruttuoso e quindi attacca, di sorpresa, la casermetta doganale tedesca nell’area di malga Rattendorf presso la quale aveva passato la notte per ripartire all’alba,  (questo non lo dice il diario ma è notizia tratta dal mio libro “Lo Sterminio Mancato”)  un Kommando di Waffen SS. travestite dapartigiani ( composto da elementi della Brandengurg e Karstjäger). Va osservato a questo punto  che, il capo partigiano  C. Bellina (Augusto), il quale non comandò affatto il distaccamento Gramsci nell’azione Rattendorf perché nemmeno ne era comandante (Nota n.1), come invece taluno volle inventare, in un memoriale postumo, steso nel dopoguerra, ebbe a dare notizia solamente dei due morti di malga Lanza,  ignorando letteralmente le quattro vittime di malga Cordin per cui si tratta della seconda mancata citazione delle vittime riferita specificatamente  alle quattro di Cordin.  Michele Gortani, nel suo opuscolo “Il Martirio della Carnia”, sulla base di informazioni assunte ufficialmente elenca  i nomi e precisa l'età delle sei vittime di Lanza e Cordin  indicando, come data della strage, il 19 luglio. Stando alla testimonianza resa con memoria orale postuma del malghese Gortani Riccardo,  fu nella giornata precedente, vale a dire il 18 luglio che, il medesimo,  da malga Meledes Alta, posta sullo stesso versante montuoso di Cordin ma in posizione sottostante, udì distintamente l’eco di raffiche d’arma ritenute  probatorie  della strage dei quattro pastori. Nel libro La Patria Era Sui Monti” autore Chino Ermacora, scrittore friulano il quale riferisce sulla base di una ricognizion e di massima senza fare date, a pagina nr. 133,  parla delle sei vittime di Lanza-Cordin attribuendone  la strage  a nazisti e fascisti travestiti da partigiani. In un rapporto,  redatto il 10 agosto 1944, il segretario comunale di Paluzza (Candido) filo partigiano e membro di CLN locale, sicuramente al corrente dei fatti,  riferisce sulla strage tedesca del 21 luglio a malga Pramosio,  ma non accenna minimamente , e questo è il terzo caso, alle sei vittime di Lanza e Cordin . A mio giudizio non pare che le citate tre omissioni ( diario Garibaldi, capo  partigiano Bellina, filo partigiano e membro  di CLN,  Candido segretario di Paluzza,  un comune coinvolto nella rappresaglia del luglio) si possano ritenere una banale dimenticanza, ma sembrano invece nascondere l’intento  di ignorare deliberatamente l’argomento Una tale propensione al silenzio pare quindi nascondere qualcosa che andasse sepolto per cui riemerge l’illazione che, ad uccidere,  potessero essere stati i partigiani onde punire i pastori di quelle malghe sospettati di avere  fornito ai tedeschi, probabilmente sotto costrizione,   notizie che potevano costituire un pericolo per la propria sicurezza individuale
Le controbande tedesche, Kommandos e Zugsonderdienst travestiti, erano un’arma dell’esercito regolare contro le bande ribelli. Già nella prima guerra mondiale gli austroungarici adottarono le controbande nei Balcani (1917) ed al riguardo esisteva una loro tattica. Le controbande erano formate da 15-20 uomini ed ecco  alcuni dei loro essenziali principi: “Il valore essenziale della controbanda non sta nella sua forza bensì nella persona del  suo capo.”- “ Ogni controbanda riceve il compito di inseguire una determinata banda per giorni, settimane, mesi. Questo principio è la regola fondamentale e deve essere seguito come legge” (Nota nr.2) Sulla tattica delle controbande, come precisai nel mio secondo intervento critico sul video “Carnia 1944. Il sangue degli innocenti” del 22 febbraio 2013, ebbi interessanti informazioni dal capitano Alois Scintholzer, già uffficiale della 7a SS. Freiwilliegen Gebirgs Division "Prinz Eugen" a cui fu demandato, nel 1944,  il comando e la direzione  della scuola da combattimento da montagna di Predazzo. In certi casi talune controbande dovevano sfuggire con grande abilità ad ogni scontro coi partigiani usando la tecnica della distrazione. Nel luglio1944  nella zona malghe, oggetto della rappresaglia,  i partigiani non riuscirono mai a localizzare le controbande per affrontarle. Segnalate a destra e a manca le stesse risultarono irrintracciabili. A tal proposito ebbe a verificarsi che, il 21 luglio 1944, mentre  una controbanda piombava indisturbata su malga Pramosio dove massacrò brutalmente tutto il personale compresi dei valligiani casualmente presenti, la gendarmeria tedesca di  Hermagor, nel medesimo giorno (21luglio),  annotava che undici banditi (partigiani)  che si aggiravano nella zona della ZollnerAlpe tennero fermi per due ore ( evidentemente per ostaggio) tre raccoglitori di bacche. Sempre a proposito delle controbande ritengo interessanti alcuni particolari, che mi riuscì di acquisire, riguardo taluni componenti la  formazione di una di esse che  agì nel menzionato territorio delle  malghe e su cui avrò modo di riferire nell'auspicabile conclusionale.
 In alcune note,  inviatemi  a suo tempo dal Parroco di Paularo,   si asserisce che, il 19 luglio 1944, i partigiani Buzzi Simone (Niti) e Menean Luigi “Bigio”, entrambi del distaccamento Gramsci, rinvennero verso le ore 10  i due cadaveri di Lanza. Nell’indomani, 20 luglio, stando a dette note, mentre gli uomini del Gramsci e quindi anche il Buzzi e il Menean  si trovavano impegnati nell’attacco alla casermetta di Rattendorf in territorio austriaco,   una squadra di giovani ed uomini di Paularo, reclutati  nella circostanza dai partigiani a scopo di soccorso, raggiunsero verso le 9,30 del mattino  malga Cordin e qui rinvennero le quattro vittime  due delle quali, come noto,  erano ragazzi undicenni. Non è ben chiaro se la squadra di soccorritori abbia raggiunto malga Cordin  spontaneamente spinta dall’intento di compiere una verifica  dopo aver constatato  l'accaduto a malga Lanza o se, invece, la sollecitazione possa essere venuta in  modo vago dai partigiani nel qual caso sorge il sospetto che gli stessi  fossero al corrente dell’accaduto per cui  la circostanza merita  degli approfondimenti a fine di trasparenza onde dare una risposta esaustiva, in senso positivo o negativo, all'ipotesi accampata che siano loro, i partigiani, gli effettivi autori della strage. Ovviamente questa è un’ ipotesi che, per reggere, o per essere considerata priva di attendibilità va avvalorata da una ricostruzione dei fatti con elementi probatori traendo spunti e prove dalle  parti in causa: partigiani, tedeschi, terzi testimoni.
Non posso prevedere quale potrà essere la conclusione di questa mia  revisione analitica intesa a sfrondare anche inesattezze fatte circolare nel tempo sui fatti della rappresaglia del luglio 1944. Si tratta di lavoro che sto conducendo compatibilmente a vari altri impegni. Prescindendo da ciò  è chiaro  che la storiografia partigiana della Carnia merita una profonda revisione  per un allineamento, estremamente necessario, a un realismo storico oggettivo liberato  da contorni agiografici. Rimane fermo comunque quanto da me precisato,  nel secondo intervento critico del 22 febbraio 2013,  riferito al video “ Carnia1944. IL sangue degli innocenti " che cioè , sulla base di consolidate certezze, le 49 vittime della rappresaglia sulle malghe ed alta valle del But  pur con riserva formale sul caso Cordin, non furono una ritorsione per l’inizio di prelievi di bestiame ed azioni di disturbo nella valle del Gail oltre all’attacco  a una colonna tedesca del 15 luglio nella valle del But, anche se questo potè essere motivo per dare il  via ad una decisione già presa, ma furono il prezzo sacrificale pagato per quel clima sbandierato  dai partigiani della Garibaldi e confermato dal medesimo Partito Comunista di un’ unione di intenti con  gli slavi di Tito, sia esso  stato o meno  realizzato, nell’alone di una politica filostalinista.

Porcia (PN.) 25 aprile 2013                                                
             PIER ARRIGO  CARNIER.

Seguono note:
Nota nr.1 = fu nell' agosto 1944 che, per un periodo, fu demandato a C. Bellina “Augusto” il comando del Gramsci che aveva assunto la veste di battaglione.
 Nota nr. 2 = dal volume Bandenkampf di Hanns Schneider-Bosgard.




















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