mercoledì 21 agosto 2013

SONJA LA BIMBA COSACCA DIMENTICATA SULLA DRAVA

Cari amici e simpatizzanti, perdonate se vi chiedo di leggere questa storia vera, qualora riteniate a primo acchito vi possa interessare, una delle tante che io ho scritto legate alla tragedia cosacca, in  parte pubblicate nel corso degli anni decorsi   e in altra parte ancora da pubblicare.


 Sonja Walder la cosacca , fattasi giovane ed avvenente, dimenticata da bambina, nei giorni della forzata consegna dei cosacchi ai sovietici, nelle baracche della Drava.


 Una delle baracche del lager Peggetz fotografata dall’autore nel dopoguerra. Il campo fu successivamente demolito e la zona  urbanizzata.



SONJA LA BIMBA  COSACCA DIMENTICATA  SULLA  DRAVA

Nella devastazione provocata dalla consegna ai sovietici di circa 90-100.000 cosacchi, prigionieri militari e profughi civili negli accampamenti dell’alta Drava, nei primi giorni del giugno 1945, attuata agli ordini dei britannici dalle forze della Brigata ebraica “Giuda il vendicativo”, vagava smarrito nella terra di nessuno, insanguinata da centinata di vittime sepolte in fretta in fosse comuni, qualche essere umano sperduto. Nella grande piana degli accampamenti, tra Lienz ed Oberdrauburg, era sceso un silenzio desolante ed alle brume mattutine si mescolava l’odore degli escrementi dei cavalli che, a migliaia, per un intero mese, avevano calpestato quel lembo pianeggiante ed erano stati poi radunati dai britannici, dopo la consegna dei cosacchi, in una zona circoscritta, salvo diverse centinaia che erano state abbattute per ragioni sanitarie.- 
Una pattuglia di Polizia britannica in perlustrazione s’imbatte, com’era accaduto sulla spiaggia di Anzio allorché sbarcarono gli americani della Va armata del generale Clark (il 22 gennaio 1944) in una bambina di poco più di un anno e mezzo, sola, nei baraccamenti detti di “Peggetz” alla periferia sud di Lienz. La piccola era stata evidentemente abbandonata nelle circostanze di panico provocate dalla consegna, concepita con cinismo dai massimi esponenti anglo-americani assieme a Stalin, e cioè la restituzione forzata al despota del Kremlino di esseri umani che, invece, avevano diritto ad asilo e protezione onde  essere sottratti alla condanna nei campi penali della Siberia e quindi a un sicuro destino di morte. Nei baraccamenti di Peggetz furono notate e fotografate, nell’immediato dopoguerra, scritte significative una delle quali in inglese, del seguente tenore : “Meglio morire qui che essere mandati nell’URSS”.
Della piccola creatura abbandonata si prese amorevolmente cura una donna austriaca dell’Östtirol, su cui  in seguito riferirò.
Premetto che, pur avendo avuto sentore, in anni lontani, della straordinaria e singolare vicenda e nonostante le mie relazioni internazionali a livello di esponenti delle associazioni russe  in esilio che via via riunirono i superstiti, solo recentemente mi fu dato di  venire a concreta conoscenza entrando direttamente in contatto con la protagonista, fattasi donna  con figli ormai sposati e nipoti. Mi accingo pertanto a raccontare la sua storia in base alle sue dichiarazioni.-
“Mi chiamo Sonja Antonia Walder e non ho mai saputo chi siano i miei genitori. Nei giorni in cui i cosacchi furono consegnati ai sovietici dagli inglesi, molti cercarono liberamente la morte gettandosi nelle acqua della Drava (oltre a quelli che furono massacrati, negli accampamenti, nell’azione della forzata consegna, ndr). E anch’io dovevo morire travolta dalle acque, il che non accadde perché ero molto ammalata e stavo nel mio giaciglio in una baracca.”
Fu una signora austriaca, Antonia Hanser, cittadina di Lienz, madre di tre figli e il cui marito si trovava in guerra, a prendersi cura di me, rendendosi conto del mio stato precario dovuto a dissenteria. In seguito lei mi dichiarò e me lo ripeté più volte, appena fui in grado di comprendere, che una donna cosacca, in stato di disperazione, disse implorante di prendermi per curarmi e salvarmi. Si trattava evidentemente di una cosacca che, come altri, era sfuggita alla consegna ma nella signora Hanser rimase un forte dubbio che fosse effettivamente mia madre”.
“Ero in stato di trascuratezza pietoso e per il mio spidocchiamento mi furono tagliati i capelli molto corti. Non avendo la signora Hanser la possibilità di nutrimento nemmeno per i suoi tre bambini, non senza difficoltà riuscì a farmi accogliere in una casa di cura, al nr.1 della Schlossgasse di Lienz, dove rimasi per alcuni mesi. Fortuna volle che la signora Hanser parlasse occasionalmente  a Lienz del mio caso alla signora Rosina Walder,  la quale, a sua volta, ne riferì alla sorella Maria, sposata Kock, suscitando in lei attenzione e tenerezza nei miei riguardi. La medesima decise, infatti,  di accogliermi nella sua fattoria posta  in una borgata dell’Obergail, territorio che cade sotto la giurisdizione dell’Osttirol, previo consenso del marito, signor Johann Kock, che si trovava allora prigioniero in Iugoslavia. Questi aveva già espresso l’idea di compiere, appena liberato, una buona azione allorché sarebbe rientrato salvo dalla prigionia. Fu rilasciato nel 1947”.
Prima ancora che la signora Rosina Walder passasse a prendermi in bicicletta, presso la casa di cura nella Schlossgasse, fui battezzata con rito cattolico con il nome di Sonja Antonia. La mia data di nascita, sulla base di un’analisi eseguita da un medico, fu fissata il 3 giugno 1943”.
Dato il mio lungo impegno dedicato a ricostruire storicamente l’intera vicenda cosacca, in buona parte su elementi di prima mano, devo dedurre, prendendo per valida la data di nascita accennata del 3 giugno 1943, che la bambina era venuta alla luce sul suolo sovietico durante l’esodo dei cosacchi al seguito dei tedeschi in ritirata, dopo la sconfitta della 6a Armata di von Paulus a Stalingrado. Aveva quindi stazionato, con le forze dirette verso occidente in Podolia nonché a Novogrudok e Baranovichi in Bielorussia e quindi era giunta in Italia nell’Adriatisches Küstenland, dove  seguì l’iter dell’insediamento in qualche presidio con probabili successivi spostamenti.
In realtà, comunque, assumendo il nome di Sonja Antonia, la piccola cosacca era nata una seconda volta nell’alta Drava, nell’Osttirol, come un fiore sbocciato nella tragedia.
“ Più tardi la signora Hanser - continua Sonja - riguardo la mia vicenda, mi riferì che sulla porta di una chiesa di Lienz, fu notato un biglietto nel quale stava scritto in tedesco: “Ich mochte noch einmal mein Kind schen!”( Io voglio vedere ancora una volta il mio bel bambino !). E poiché in tedesco Kind sta per bambino o bambina, ciò indusse a ritenere che, quel biglietto, si riferisse al mio caso per cui la madre fosse presente fra i cosacchi sfuggiti alla consegna.”
“In base a tale messaggio, l’addetto all’ufficio parrocchiale  portò la signora Hanser assieme a me in una baracca a località Peggetz, dove si trovavano due donne cosacche. A giudizio della Hanser, mia prima vicemadre,  la più giovane delle due era mia madre. L’argomento dette luogo a varie disquisizioni. Tuttavia a causa di differenti discorsi ingannevoli, su nessun dato si potè contare” .
“Le speranze che alimentarono l’intenzione di  risalire, attraverso indizi, ai miei genitori e comunque a mia madre, pur trascinandosi per lungo tempo in una costante ripresa di considerazioni e valutazioni, rimasero senza soluzione”.
 Per la storia Sonja è quindi la bambina di appena 19 mesi abbandonata nelle baracche di Peggetz a causa delle caotiche conseguenze provocate alla brutale consegna dei cosacchi ai sovietici.
Nei ricordi e valutazioni resta opinione prevalente che la madre sia morta per annegamento nelle acqua della Drava in piena in quelle lontane afose giornate di inizio giugno 1945. Diversamente potrebbe avere subito la consegna forzata, essere cioè stata spinta sulle tradotte predisposte per il trasporto a Judenburg, nella Stiria, in mano sovietica, (dalle quali dei testimoni rammentavano di avere udito dei gemiti al loro passaggio per Oberdrauburg) rinunciando a raccogliere la figlia ammalata che giaceva nelle baracche, per lasciarla a miglior destino. Un vago dubbio però rimane, come accennato in precedenza, che cioè la donna disperata, sfuggita alla consegna, che aveva supplicato la signora Hanser a prendersi cura della bambina e che poi risultò  abbia lasciato Lienz per emigrare oltreoceano, potesse essere stata la vera madre.
Sonja  prosegue “Accolta nella famiglia austriaca Kock, proprietaria della   fattoria alpestre a cui già accennai, via via crebbi uniformandomi al clima della tradizione ambientale, appresi la lingua e svolsi la mia parte nei lavori quotidiani, portando avanti contemporaneamente gli studi.  Si viveva in armonia con la gente del luogo. Tra le amiche ricordo volentieri le sorelle Marianne e Agnes.  Maria Kock, la mia nuova vicemadre, che fu con me generosa di affetto e da cui ricevetti fondamentali principi educativi all’insegna della cristianità, soffriva purtroppo di deficienza cardiaca era cioè cardiopatica e, dopo qualche tempo, si aggravò. Per meglio essere assistita e curata, si trasferì dall’Obergail a Tristach, villaggio alla periferia nordovest di Lienz, ospite dalla casa parrocchiale dove c’era uno zio prete. Dopo un breve miglioramento, rientrata nella fattoria, decedette. Era l’anno 1964”.
Sostanzialmente Sonja crebbe nella realtà contadina dell’Obergail (Osttirol) dalle zone prative alpestri, in estate folte di erbe,  profumate d’arnica e di garofano selvatico,  dove si allevano come altrove, le vacche dal mantello  rosso pezzato  o della specie “Pizgauer”  dal mantello rosso scuro. Essa assorbì le nozioni ed i principi morali della terra austriaca esuberante di tradizioni, che fu imperiale e dove gli Schutzen, tipica organizzazione non sol folcloristica dalle radici storiche, si riuniscono puntualmente in adunate, indossando l’uniforme, in genere dal tessuto color tabacco, dalle bordature sgargianti e dal cappello infiocchettato con lucenti scure penne d’urogallo, con bande  musicali che scandiscono nelle piazze solenni marce. Avvertì comunque insopprimibile e costante il senso di un legame interiore con l’immensità della sua terra orientale d’origine: la Russia.
In fondo lei si considera giustamente fortunata. Abbandonata in quei terribili  giorni della forzata consegna nelle baracche della Drava, diversamente sarebbe  morta per annegamento nel fiume, avvinghiata alla madre, oppure,  come la quasi totalità dei deportati,  nei lager siberiani per fame, maltrattamenti o addirittura nel corso del penoso viaggio sulle tradotte. E’ noto che, nelle tappe di sosta del lungo viaggio di deportazione, la polizia sovietica scaricasse i numerosi morti dai vagoni delle tradotte, seppellendoli dove capitasse in fosse comuni,  senza nemmeno  accertarne ed annotare  l’identità.
Nell’ottobre del 1966, ventitreenne avvenente, bella e graziosa, Sonja, come risulta dalle foto del suo album di ricordi, dotata di quel tipico fascino e temperamento della donna cosacca, convolò a nozze con Christian Walder, cittadino austriaco specialista in carpenteria da costruzioni. Dal matrimonio nacquero tre figli, ormai adulti e professionalmente affermati. Oggi  i coniugi sono allietati dalla presenza dei nipoti.
Finisce qui la straordinaria storia di Sonja, ma vorrei aggiungere dell’altro e cioè che lei non fu comunque la sola ad essere abbandonata a causa delle  circostanze connesse alla vicenda cosacca. Lungo le vie della ritirata nel nord Italia, bambini in fasce furono  abbandonati in ore antelucane, dalle colonne cosacche in marcia, qua e là presso abitazioni, contando evidentemente nell’idea che la popolazione vi avrebbe preso cura. I neonati vennero in realtà premurosamente raccolti ed assistiti e poi presi in affidamento da persone.
In ogni caso nell’alta Drava fu pure trovato abbandonato  un bimbo di quattro-cinque anni, che fu curato, adottato e quindi cresciuto da valligiani dell’Osttirol  ed oggi egli è un uomo con figli e nipoti. Si tratta di Michael Rainer, che  ovviamente assunse il cognome della famiglia dalla quale venne adottato. Mi venne presentato  in occasione ad una delle commemorazioni annuali della tragedia della Drava. Mi dichiarò di essere diretto testimone dell’azione brutale della consegna dei cosacchi ai sovietici, scena rimasta indelebile nella sua memoria. Era il primo giugno 1945 ed egli, assieme ad altri ragazzi, donne  e cosacchi  si trovava nel cordone umano  creato attorno all’altare, dove il pope, Vasily Grigoryev, stava celebrando la messa in onore dello zar Pietro il Grande. Vide coi propri occhi avanzare minacciose, impugnando le armi,  le forze della Brigata ebraica che, in esecuzione all’ordine britannico della consegna esigevano l’immediata evacuazione. Le stesse gridavano ordini e a un certo punto presero ad usare il calcio del fucile a mo’ di clava contro la massa ondeggiante e terrorizzata dei cosacchi per spingerla, come un gregge, verso il  punto di scalo delle tradotte. Fecero infine uso delle armi. “Taluni ebrei parlavano russo e lituano…”., dichiarò  Michael Rainer, prezioso testimone.-


PIER  ARRIGO  CARNIER




NOTA in data 17 ottobre 2016

Questa storia vera, credetemi, e molto rilevante. In anni molto lontani quando raggiunsi come primo italiano i luoghi della consegna ai sovietici sulla Drava, a località "Peggetz", c' erano trecento e più cosacchi superstiti nelle baracche del lager. Parlai a più riprese con la maggior parte di loro che mi raccontarono le proprie sofferte vicende. Il Burgermeister (Sindaco) di Lienz apprezzò molto il mio interesse a convocò diversi cosacchi a deporre presso l'Amtgemeinde (Municipio) sulle vicende della consegna, testimonianze che appaiono pubblicate, e vi risulta il timbro del Municipio, nella prima pubblicazione del mio libro "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945" anno 1965 diffusa dal grande editore svizzero De Vecchi che aveva sede a Milano.
             
PIER ARRIGO CARNIER



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