Cari amici e simpatizzanti, perdonate se vi chiedo di leggere questa 
storia vera, qualora riteniate a primo acchito vi possa interessare, una
 delle tante che io ho scritto legate alla tragedia cosacca, in  parte 
pubblicate nel corso degli anni decorsi   e in altra parte ancora da 
pubblicare.
 Sonja Walder la cosacca , fattasi giovane ed avvenente, dimenticata da bambina, nei giorni della forzata consegna dei cosacchi ai sovietici, nelle baracche della Drava.
 Una delle baracche del lager Peggetz fotografata dall’autore nel dopoguerra. Il campo fu successivamente demolito e la zona  urbanizzata.
SONJA LA BIMBA COSACCA DIMENTICATA SULLA DRAVA
Nella devastazione provocata dalla consegna ai sovietici di circa 
90-100.000 cosacchi, prigionieri militari e profughi civili negli 
accampamenti dell’alta Drava, nei primi giorni del giugno 1945, attuata 
agli ordini dei britannici dalle forze della Brigata ebraica “Giuda il 
vendicativo”, vagava smarrito nella terra di nessuno, insanguinata da 
centinata di vittime sepolte in fretta in fosse comuni, qualche essere 
umano sperduto. Nella grande piana degli accampamenti, tra Lienz ed 
Oberdrauburg, era sceso un silenzio desolante ed alle brume mattutine si
 mescolava l’odore degli escrementi dei cavalli che, a migliaia, per un 
intero mese, avevano calpestato quel lembo pianeggiante ed erano stati 
poi radunati dai britannici, dopo la consegna dei cosacchi, in una zona 
circoscritta, salvo diverse centinaia che erano state abbattute per 
ragioni sanitarie.- 
Una pattuglia di Polizia britannica in perlustrazione s’imbatte, 
com’era accaduto sulla spiaggia di Anzio allorché sbarcarono gli 
americani della Va armata del generale Clark (il 22 gennaio 1944) in una
 bambina di poco più di un anno e mezzo, sola, nei baraccamenti detti di
 “Peggetz” alla periferia sud di Lienz. La piccola era stata 
evidentemente abbandonata nelle circostanze di panico provocate dalla 
consegna, concepita con cinismo dai massimi esponenti anglo-americani 
assieme a Stalin, e cioè la restituzione forzata al despota del Kremlino
 di esseri umani che, invece, avevano diritto ad asilo e protezione onde
  essere sottratti alla condanna nei campi penali della Siberia e quindi
 a un sicuro destino di morte. Nei baraccamenti di Peggetz furono notate
 e fotografate, nell’immediato dopoguerra, scritte significative una 
delle quali in inglese, del seguente tenore : “Meglio morire qui che 
essere mandati nell’URSS”.
Della piccola creatura abbandonata si prese amorevolmente cura una donna austriaca dell’Östtirol, su cui  in seguito riferirò.
Premetto che, pur avendo avuto sentore, in anni lontani, della 
straordinaria e singolare vicenda e nonostante le mie relazioni 
internazionali a livello di esponenti delle associazioni russe  in 
esilio che via via riunirono i superstiti, solo recentemente mi fu dato 
di  venire a concreta conoscenza entrando direttamente in contatto con 
la protagonista, fattasi donna  con figli ormai sposati e nipoti. Mi 
accingo pertanto a raccontare la sua storia in base alle sue 
dichiarazioni.-
“Mi chiamo Sonja Antonia Walder e non ho mai saputo chi siano i 
miei genitori. Nei giorni in cui i cosacchi furono consegnati ai 
sovietici dagli inglesi, molti cercarono liberamente la morte gettandosi
 nelle acqua della Drava (oltre a quelli che furono massacrati, negli 
accampamenti, nell’azione della forzata consegna, ndr). E anch’io dovevo
 morire travolta dalle acque, il che non accadde perché ero molto 
ammalata e stavo nel mio giaciglio in una baracca.”
“Fu una signora austriaca, Antonia Hanser, cittadina di Lienz, 
madre di tre figli e il cui marito si trovava in guerra, a prendersi 
cura di me, rendendosi conto del mio stato precario dovuto a 
dissenteria. In seguito lei mi dichiarò e me lo ripeté più volte, appena
 fui in grado di comprendere, che una donna cosacca, in stato di 
disperazione, disse implorante di prendermi per curarmi e salvarmi. Si 
trattava evidentemente di una cosacca che, come altri, era sfuggita alla
 consegna ma nella signora Hanser rimase un forte dubbio che fosse 
effettivamente mia madre”.
“Ero in stato di trascuratezza pietoso e per il mio 
spidocchiamento mi furono tagliati i capelli molto corti. Non avendo la 
signora Hanser la possibilità di nutrimento nemmeno per i suoi tre 
bambini, non senza difficoltà riuscì a farmi accogliere in una casa di 
cura, al nr.1 della Schlossgasse di Lienz, dove rimasi per alcuni mesi. 
Fortuna volle che la signora Hanser parlasse occasionalmente  a Lienz 
del mio caso alla signora Rosina Walder,  la quale, a sua volta, ne 
riferì alla sorella Maria, sposata Kock, suscitando in lei attenzione e 
tenerezza nei miei riguardi. La medesima decise, infatti,  di 
accogliermi nella sua fattoria posta  in una borgata dell’Obergail, 
territorio che cade sotto la giurisdizione dell’Osttirol, previo 
consenso del marito, signor Johann Kock, che si trovava allora 
prigioniero in Iugoslavia. Questi aveva già espresso l’idea di compiere,
 appena liberato, una buona azione allorché sarebbe rientrato salvo 
dalla prigionia. Fu rilasciato nel 1947”.
“Prima ancora che la signora Rosina Walder passasse a prendermi 
in bicicletta, presso la casa di cura nella Schlossgasse, fui battezzata
 con rito cattolico con il nome di Sonja Antonia. La mia data di 
nascita, sulla base di un’analisi eseguita da un medico, fu fissata il 3
 giugno 1943”.
Dato il mio lungo impegno dedicato a ricostruire storicamente 
l’intera vicenda cosacca, in buona parte su elementi di prima mano, devo
 dedurre, prendendo per valida la data di nascita accennata del 3 giugno
 1943, che la bambina era venuta alla luce sul suolo sovietico durante 
l’esodo dei cosacchi al seguito dei tedeschi in ritirata, dopo la 
sconfitta della 6a Armata di von Paulus a Stalingrado. Aveva quindi 
stazionato, con le forze dirette verso occidente in Podolia nonché a 
Novogrudok e Baranovichi in Bielorussia e quindi era giunta in Italia 
nell’Adriatisches Küstenland, dove  seguì l’iter dell’insediamento in 
qualche presidio con probabili successivi spostamenti.
In realtà, comunque, assumendo il nome di Sonja Antonia, la piccola cosacca era nata una seconda volta nell’alta Drava, nell’Osttirol, come un fiore sbocciato nella tragedia.
“ Più tardi la signora Hanser - continua Sonja - 
riguardo la mia vicenda, mi riferì che sulla porta di una chiesa di 
Lienz, fu notato un biglietto nel quale stava scritto in tedesco: “Ich 
mochte noch einmal mein Kind schen!”( Io voglio vedere ancora una volta 
il mio bel bambino !). E poiché in tedesco Kind sta per bambino o 
bambina, ciò indusse a ritenere che, quel biglietto, si riferisse al mio
 caso per cui la madre fosse presente fra i cosacchi sfuggiti alla 
consegna.”
“In base a tale messaggio, l’addetto all’ufficio parrocchiale 
 portò la signora Hanser assieme a me in una baracca a località Peggetz,
 dove si trovavano due donne cosacche. A giudizio della Hanser, mia 
prima vicemadre,  la più giovane delle due era mia madre. L’argomento 
dette luogo a varie disquisizioni. Tuttavia a causa di differenti 
discorsi ingannevoli, su nessun dato si potè contare” .
“Le speranze che alimentarono l’intenzione di  risalire, 
attraverso indizi, ai miei genitori e comunque a mia madre, pur 
trascinandosi per lungo tempo in una costante ripresa di considerazioni e
 valutazioni, rimasero senza soluzione”.
 Per la storia Sonja è quindi la bambina di appena 19 mesi 
abbandonata nelle baracche di Peggetz a causa delle caotiche conseguenze
 provocate alla brutale consegna dei cosacchi ai sovietici.
Nei ricordi e valutazioni resta opinione prevalente che la madre sia 
morta per annegamento nelle acqua della Drava in piena in quelle lontane
 afose giornate di inizio giugno 1945. Diversamente potrebbe avere 
subito la consegna forzata, essere cioè stata spinta sulle tradotte 
predisposte per il trasporto a Judenburg, nella Stiria, in mano 
sovietica, (dalle quali dei testimoni rammentavano di avere udito dei 
gemiti al loro passaggio per Oberdrauburg) rinunciando a raccogliere la 
figlia ammalata che giaceva nelle baracche, per lasciarla a miglior 
destino. Un vago dubbio però rimane, come accennato in precedenza, che 
cioè la donna disperata, sfuggita alla consegna, che aveva supplicato la
 signora Hanser a prendersi cura della bambina e che poi risultò  abbia 
lasciato Lienz per emigrare oltreoceano, potesse essere stata la vera 
madre.
Sonja  prosegue “Accolta nella famiglia austriaca Kock, 
proprietaria della   fattoria alpestre a cui già accennai, via via 
crebbi uniformandomi al clima della tradizione ambientale, appresi la 
lingua e svolsi la mia parte nei lavori quotidiani, portando avanti 
contemporaneamente gli studi.  Si viveva in armonia con la gente del 
luogo. Tra le amiche ricordo volentieri le sorelle Marianne e Agnes.  
Maria Kock, la mia nuova vicemadre, che fu con me generosa di affetto e 
da cui ricevetti fondamentali principi educativi all’insegna della 
cristianità, soffriva purtroppo di deficienza cardiaca era cioè 
cardiopatica e, dopo qualche tempo, si aggravò. Per meglio essere 
assistita e curata, si trasferì dall’Obergail a Tristach, villaggio alla
 periferia nordovest di Lienz, ospite dalla casa parrocchiale dove c’era
 uno zio prete. Dopo un breve miglioramento, rientrata nella fattoria, 
decedette. Era l’anno 1964”.
Sostanzialmente Sonja crebbe nella realtà contadina dell’Obergail
 (Osttirol) dalle zone prative alpestri, in estate folte di erbe, 
 profumate d’arnica e di garofano selvatico,  dove si allevano come 
altrove, le vacche dal mantello  rosso pezzato  o della specie 
“Pizgauer”  dal mantello rosso scuro. Essa assorbì le nozioni ed i 
principi morali della terra austriaca esuberante di tradizioni, che fu 
imperiale e dove gli Schutzen, tipica organizzazione non sol 
folcloristica dalle radici storiche, si riuniscono puntualmente in 
adunate, indossando l’uniforme, in genere dal tessuto color tabacco, 
dalle bordature sgargianti e dal cappello infiocchettato con lucenti 
scure penne d’urogallo, con bande  musicali che scandiscono nelle piazze
 solenni marce. Avvertì comunque insopprimibile e costante il senso di 
un legame interiore con l’immensità della sua terra orientale d’origine:
 la Russia.
In fondo lei si considera giustamente fortunata. Abbandonata in 
quei terribili  giorni della forzata consegna nelle baracche della 
Drava, diversamente sarebbe  morta per annegamento nel fiume, 
avvinghiata alla madre, oppure,  come la quasi totalità dei deportati, 
 nei lager siberiani per fame, maltrattamenti o addirittura nel corso 
del penoso viaggio sulle tradotte. E’ noto che, nelle tappe di sosta del
 lungo viaggio di deportazione, la polizia sovietica scaricasse i 
numerosi morti dai vagoni delle tradotte, seppellendoli dove capitasse 
in fosse comuni,  senza nemmeno  accertarne ed annotare  l’identità.
Nell’ottobre del 1966, ventitreenne avvenente, bella e graziosa, 
Sonja, come risulta dalle foto del suo album di ricordi, dotata di quel 
tipico fascino e temperamento della donna cosacca, convolò a nozze con 
Christian Walder, cittadino austriaco specialista in carpenteria da 
costruzioni. Dal matrimonio nacquero tre figli, ormai adulti e 
professionalmente affermati. Oggi  i coniugi sono allietati dalla 
presenza dei nipoti.
Finisce qui la straordinaria storia di Sonja, ma vorrei aggiungere 
dell’altro e cioè che lei non fu comunque la sola ad essere abbandonata a
 causa delle  circostanze connesse alla vicenda cosacca. Lungo le vie 
della ritirata nel nord Italia, bambini in fasce furono  abbandonati in 
ore antelucane, dalle colonne cosacche in marcia, qua e là presso 
abitazioni, contando evidentemente nell’idea che la popolazione vi 
avrebbe preso cura. I neonati vennero in realtà premurosamente raccolti 
ed assistiti e poi presi in affidamento da persone.
In ogni caso nell’alta Drava fu pure trovato abbandonato  un bimbo di
 quattro-cinque anni, che fu curato, adottato e quindi cresciuto da 
valligiani dell’Osttirol  ed oggi egli è un uomo con figli e nipoti. Si 
tratta di Michael Rainer, che  ovviamente assunse il cognome della 
famiglia dalla quale venne adottato. Mi venne presentato  in occasione 
ad una delle commemorazioni annuali della tragedia della Drava. Mi 
dichiarò di essere diretto testimone dell’azione brutale della consegna 
dei cosacchi ai sovietici, scena rimasta indelebile nella sua memoria. 
Era il primo giugno 1945 ed egli, assieme ad altri ragazzi, donne  e 
cosacchi  si trovava nel cordone umano  creato attorno all’altare, dove 
il pope, Vasily Grigoryev, stava celebrando la messa in onore dello zar 
Pietro il Grande. Vide coi propri occhi avanzare minacciose, impugnando 
le armi,  le forze della Brigata ebraica che, in esecuzione all’ordine 
britannico della consegna esigevano l’immediata evacuazione. Le stesse 
gridavano ordini e a un certo punto presero ad usare il calcio del 
fucile a mo’ di clava contro la massa ondeggiante e terrorizzata dei 
cosacchi per spingerla, come un gregge, verso il  punto di scalo delle 
tradotte. Fecero infine uso delle armi. “Taluni ebrei parlavano russo e lituano…”., dichiarò  Michael Rainer, prezioso testimone.-
PIER ARRIGO CARNIER
NOTA in data 17 ottobre 2016
Questa storia vera, credetemi, e molto rilevante. In anni molto lontani quando raggiunsi come primo italiano i luoghi della consegna ai sovietici sulla Drava, a località "Peggetz", c' erano trecento e più cosacchi superstiti nelle baracche del lager. Parlai a più riprese con la maggior parte di loro che mi raccontarono le proprie sofferte vicende. Il Burgermeister (Sindaco) di Lienz apprezzò molto il mio interesse a convocò diversi cosacchi a deporre presso l'Amtgemeinde (Municipio) sulle vicende della consegna, testimonianze che appaiono pubblicate, e vi risulta il timbro del Municipio, nella prima pubblicazione del mio libro "L'Armata Cosacca in Italia 1944-1945" anno 1965 diffusa dal grande editore svizzero De Vecchi che aveva sede a Milano.
PIER ARRIGO CARNIER


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